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Autore: alicyana    05/10/2009    8 recensioni
"Allora perchè non rimani sempre qui?" °Terza classificata allo Tserith contest indetto da Valy_Chan°
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One Thousand Needles

 

 

Proiettando due fasci di luce bianca sulla prateria buia e deserta, l’elicottero blu notte della ShinRa arrivò a destinazione in meno di un’ora di volo, le pale che fendevano l’aria con suoni attutiti dal silenziatore attivo. Atterrò dolcemente, sollevando un turbinio di polvere, nel bel mezzo di un’ampia distesa verde di erba scossa dal vento.

L’obbiettivo della missione di quella notte era situato a pochi chilometri da lì.

Come al solito fiero del proprio operato,  Reno allontanò le mani dalla cloche, stiracchiandosi per bene:

« Destinazione raggiunta!» esclamò, con tono pimpante.

Si sfilò i grandi occhiali da aviatore, poggiandoli sul capo tra i folti capelli rosso fuoco; si alzò dalla poltrona del pilota, raggiungendo in un batter d’occhio il portellone ormai spalancato:

« La missione ci attende, gente! » Balzò giù dal veicolo, guardandosi attorno « Capo, cosa facciamo? Aspettiamo che arrivino anche gli altri, prima di proseguire? »

« No, è meglio agire subito. » Tseng controllò l’orologio: erano le due del mattino.

Scese dalla vettura seguito dal silenzioso Rude e dalla minuta Cissnei, la più piccola fra loro.

Era stato inviato assieme al resto del gruppo in un paesino situato nei pressi dei boschi di Gongaga. La ShinRa progettava di costruire un reattore nelle vicinanze, ma ovviamente ai cittadini la notizia non era andata a genio. C’erano stati molti episodi di violenza, di protesta e di ribellione, una decina di feriti che avevano provocato molto spavento alla gente locale ed una forte irritazione tra gli Esecutivi della ShinRa. L’obbiettivo della missione affidata ai Turks era la soppressione della rivolta: consisteva nell’entrare nel villaggio, trovare il covo dei sovversivi e catturarne il maggior numero possibile. Se poi fossero riusciti a rintracciare il capo, avrebbero dovuto incatenarlo ed imbavagliarlo per scortarlo direttamente al quartier generale, dove avrebbe risposto delle sue azioni di fronte al presidente in persona.

A loro disposizione avevano anche una scorta di soldati che il presidente stesso aveva voluto affiancare loro, nonostante le lamentele di Heidegger. Sarebbe arrivata di lì a poco, a bordo di un secondo velivolo, e sarebbe rimasta appostata a qualche centinaio di metri dal villaggio, nascosta, aspettando ulteriori ordini.

Tseng trovava che l’insistenza del presidente affinché venissero prese precauzioni fosse stata opportuna e saggia: la situazione all’ interno del paese era degenerata fino a  diventare insostenibile e di sicuro avere un’armata – anche se ristretta – che potesse dare man forte, sarebbe stato senz’altro utile ai fini del completamento della missione.

« Rude, Cissnei, recatevi rispettivamente ad est e ad ovest. Io mi occuperò della zona nord, mentre Reno, tu resterai qui di guardia. » ordinò Tseng, impugnando la pistola appena estratta dalla fondina.

« Come sempre, capo. » Il rossino sollevò il pollice destro in segno di approvazione, mentre gli altri due annuivano, pronunciando un “Sissignore” fermo e deciso.

La missione ebbe inizio.

 

 

(xxx)

 

 

Tseng caricò l’arma cercando di fare meno rumore possibile, rasentando il muro di una piccola casa di campagna nella quale, secondo i calcoli degli esploratori, probabilmente si trovava il covo. Fece irruzione sfondando la porta di legno scuro con una spallata.

« ShinRa Company, non opponete resistenza! »

 All’interno della sala però, non c’era anima viva. Solo due divani, un tavolo e qualche mobile, visibili grazie al chiarore lunare. La luce era spenta, così come il camino.

C’era troppo silenzio.

Avanzò cautamente nel buio, calibrando con precisione la pesantezza dei passi sulle scricchiolanti assi del pavimento, facendo attenzione ad ogni minimo ed eventuale cambiamento di luce.

Quando poi scese le scale che portavano al seminterrato, sentì delle voci. Erano confuse ed attutite, sembravano provenire dal locale sotterraneo a cui dava accesso una grande porta chiusa in fondo al corridoio. Accostandovisi, si mise in ascolto, quasi trattenendo il respiro.

«…ne sono morti altri due ieri… » una grossa voce maschile stava forse facendo un rapporto sul numero delle vittime delle ultime operazioni terroristiche. « E ci sono anche nuovi feriti… la situazione sta diventando intollerabile.»

Seguì la voce acuta e preoccupata di una donna:

« Non ce la faccio più, capo… i cittadini di questa città si stanno uccidendo l’un l’altro…» un singhiozzo disperato interruppe la frase « persino Matthew… »

Dunque le spie avevano riferito correttamente: la banda di ribelli si era attirata addosso inimicizie all’interno del villaggio stesso.

Se la ShinRa non fosse intervenuta subito, la situazione attuale avrebbe potuto causare lo  scoppio di una guerra civile – una piaga che in poco tempo si sarebbe estesa anche ad altre città. E in quel caso, il presidente non avrebbe avuto altra scelta se non quella di far saltare tutto in aria.

Una scarica di bombe sganciate dai bombardieri e via. Qualche piccola esplosione e tutto si sarebbe risolto facilmente, almeno per la ShinRa.

« Ma non possiamo arrenderci ora… quei bastardi vogliono privarci della nostra natura, distruggere i boschi… Non possiamo lasciare che accada.» questa volta fu un altro uomo ad intervenire, sbottando con voce autoritaria.

Tseng attivò l’auricolare premendo un piccolo pulsante dietro l’orecchio – quel semplice gesto bastò a metterlo in comunicazione con gli altri.

« Tseng a rapporto. Ho trovato il quartier generale dei ribelli. Abbandonate le vostre postazioni e raggiungetemi appena possibile nella casa del sindaco. Passo e chiudo. »

Interruppe la comunicazione senza nemmeno attendere una risposta.

Togliendo la sicura sollevò l’arma, indietreggiando appena; un istante dopo riuscì a buttare giù la porta serrata con un solo calcio deciso. Puntò rapidamente la canna della pistola verso i presenti, senza far caso allo sgomento che la cosa provocò loro.

« ShinRa company, non opponete resistenza! » ripeté, perentorio, il cane stretto saldamente in entrambe le mani. Studiò i volti dei tre ribelli, riconoscendo in uno di loro i lineamenti marcati dell’uomo che gli esploratori avevano identificato come il capo dei terroristi. Aveva una folta barba rossa e delle spesse sopracciglia, gli occhi azzurri ed impavidi di un uomo pronto a morire per i suoi ideali.

Chiamare i rinforzi era stata una giusta decisione – aveva appena trovato un modo rapido di mettere a tacere per sempre quella rivolta.

La donna scoppiò a piangere non appena vide Tseng irrompere con la pistola in pugno; uno dei due uomini ebbe tuttavia una reazione completamente diversa. Era alto e snello e con un gesto fluido impugnò un lungo fucile che teneva appoggiato al muro dietro di lui:

« Merda, ci hanno trovati! »

« Non fate un solo movimento, o sparo. » il Turk mosse qualche cauto passo, la canna puntata dritta verso l’uomo barbuto.

La ragazza continuava a piangere silenziosamente, mentre lo sguardo del tipo alto vagava, posandosi prima su di lei, poi sul loro capo, infine di nuovo su Tseng.

« Ammasso di figli di puttana! » imprecò sputando ai suoi piedi, il viso contratto in una smorfia di puro disgusto « Dovete tutti crepare, sporchi bugiardi di merda! Voi, poi, la feccia della Shinra che si fa chiamare Turk… vi credete i migliori, ma siete i più bastardi di tutti! Infidi e stronzi fino al midollo! »

Un colpo partì dalla pistola di Tseng, provocando un boato secco: la pallottola si piantò rumorosamente nel muro, a poca distanza dalla testa del loro leader. Bastò quello a farlo impallidire, irrigidendolo, facendolo sbiancare fino a diventare pallido come un cadavere.

« La prossima volta non finirà conficcata nell’intonaco. »

Il Turk usò il tono più duro di cui fosse capace, anche se, a detta di Reno, non cambiava molto da quello che usava normalmente.

Sembrava che a Reno piacesse rompergli sempre l’anima dicendogli che era troppo nervoso, che avrebbe dovuto imparare a rilassarsi. Una volta gli aveva messo un braccio attorno al collo, durante una bevuta in una bettola di Midgar, e si era espresso come suo solito con terribili sproloqui che spesso e volentieri Tseng manco ascoltava. Se non ricordava male, gli aveva consigliato di farsi una scopata di tanto in tanto. Come se il ritmo di lavoro serrato gliene avesse mai dato il tempo.

Reno e le sue cazzate da ubriaco.

Rude ovviamente non diceva mai nulla né in sua difesa né per appoggiare il compare, mentre Cissnei ridacchiava delicatamente, divertita.

Tseng non aveva risposto alla provocazione e aveva continuato a sorseggiare il suo gin tonic.

Non era certo il tipo da avventure occasionali. Non si divertiva ad accalappiare qualche tipa qualsiasi come spesso faceva Reno per poi abbandonarla senza troppe cerimonie il giorno dopo.

C’era troppo lavoro da fare per occuparsi di cose del genere, e le uniche due donne della sua vita ne facevano parte.

« Eccomi, capo. » si annunciò Reno, oltrepassando dinoccolato la porta ormai scardinata, il teaser in spalla pronto a scaricare. « Cosa abbiamo qui? Gatte da pelare? »

Non appena l’incauto rosso fece la propria apparizione, la ragazza sobbalzò e trattenne il respiro, singhiozzando più forte; chinò la testa, cercando di nascondere il viso fra le mani e dietro le ciocche castane che le sfioravano le guance.

« Mh? » Reno avanzò verso di lei, scrutandone i lineamenti « Mi pare di averti già vista da qualche parte… Ma certo!» esclamò poi, riconoscendola « Strano modo di rincontrarsi dopo qualche mese, Mischa! »

« Non so di cosa tu stia parlando.» tremante, la donna evitò il suo sguardo voltando la testa di lato, il terrore dipinto nei grandi occhi neri.

« Reno, dacci un taglio. » con un cenno della testa, Tseng indicò l’uomo che ancora teneva sotto tiro « E’ lui. Tieni d’occhio gli altri. »

Reno, divertito, fu felice di obbedire: si accostò a Mischa, picchiettandole la spalla sinistra con il manico dell’EMR.

« Non si muova.» Tseng sfilò dall’interno della giacca un paio di manette e le chiuse attorno ai polsi del boss, facendole scattare sonoramente.

« Perché non mi guardi Mischa? Non ti ricordi di me?» continuava il rosso nel frattempo, con tono dispiaciuto « Ci siamo incontrati a Junon, sulla spiaggia… vero?» la ragazza continuava a tremare, tentando vanamente di farsi ancora più piccola.

« Smettila… » visibilmente irritato, il tizio alto sollevò con lentezza il fucile che aveva tenuto basso fino a quel momento.

« Reno… limitati ad ammanettarli e falla finita, per cortesia.» Tseng lo ammonì, costringendo il proprio prigioniero ad accostarsi alla porta.

Dal canto suo, Reno prese le manette che si era portato appresso e cominciò a farle roteare attorno all’indice destro: sul suo volto comparve un ghigno divertito e piuttosto sadico.

« Ti ricordi, Mischa? Avevamo usato uno di questi affari, quella notte… »

« STAI ZITTO, STRONZO! » l’uomo che Reno avrebbe dovuto preventivamente immobilizzare, in preda ad una furia improvvisa, premette con forza il grilletto del fucile, facendo partire un colpo « MUORI! »

Reno si abbassò appena in tempo da evitarlo, ma non fu abbastanza rapido da parare anche il calcio che Mischa gli assestò in mezzo alle gambe.

« Che doloooore… Io stavo solo scherzando… » tenendosi i gioielli di famiglia, il rosso Turk si piegò in due; agitando debolmente il manganello alla cieca, riuscì a colpire l’uomo alla gamba.

Bastò quell’istante, quell’errore fatale e Tseng comprese che la situazione stava sfuggendo di mano. I due rivoltosi ancora liberi, armi in pugno, avanzavano minacciosi contro di lui; non poté fare altro che serrare la presa sui polsi incatenati del loro capo.

“Maledizione.” Indietreggiò un poco verso l’uscita. Reno agonizzava ancora dall’altro lato della stanza. “Dobbiamo trovare un modo per tornare all’elicottero…”

Interruppe di colpo il flusso di pensieri.

Prima di iniziare la missione, aveva affidato a Reno il compito di stare di guardia all’elicottero.

Eppure Reno era , lo vedeva benissimo.

E se lui era lì, all’elicottero chi diavolo…?

Doveva avvertire gli altri prima che fosse troppo tardi. Nervosamente si portò una mano all’orecchio per attivare l’auricolare, ma l’eco di uno sparo lo assordò del tutto: il PHS si frantumò in mille pezzi, colpito da un proiettile che, sfrecciando, gli bruciò appena la guancia destra.

« Non dirai proprio niente a nessuno. » la donna avanzò verso di lui, tenendo Reno per i capelli « Riconsegnaci il capo e non faremo nulla di male al tuo amichetto. »

« Anche se si meriterebbero di morire bruciati, quei cani.» commentò aspramente lo spilungone, tenendo costantemente il fucile puntato verso Tseng.

« Preferirei morire di vecchiaia mentre mi godo la pensione, grazie. » suggerì Reno, la voce ancora provata dal dolore pulsante.

Ma come faceva a uscirne con certe battute nei momenti meno consoni?

Tseng studiò attentamente i due, senza allentare la presa sul braccio del proprio ostaggio. Non aveva intenzione di fallire la missione a causa dell’idiozia di Reno.

Come potevano uscirne fuori vincitori?

Sembrava non esserci alcuna soluzione se non cercare di opporsi a suon di proiettili.

Ma c’era quel cretino lì, ormai prigioniero del nemico.

Cercare di scappare sarebbe stato disonorevole e controproducente.

Lo scambio dei due prigionieri non sarebbe servito ad un gran che, probabilmente subito dopo uno dei tre avrebbe fatto fuori o lui o Reno.

Dal basso della sua posizione inginocchiata, quest’ ultimo chiedeva di essere liberato inducendolo con lo sguardo a fare come era stato richiesto dai suoi aguzzini.

Dannazione. Odiava questo genere di situazioni incerte.

 

 

Poi uno scoppio. Un boato violento e una scossa.

E un altro ancora. Delle urla provennero, sovrapponendosi, dal piano di sopra e dall’esterno.

« Ma cosa diav…? » l’uomo armato si diresse verso l’uscita, ma non appena mise piede fuori dalla porta, una scarica di proiettili lo freddò all’istante.

Entrarono nella sala alcuni uomini equipaggiati di tutto punto che impugnavano dei corti mitragliatori di produzione ShinRa – irruppero nel sotterraneo capitanati da un ragazzo giovane con i capelli color paglia.

« Stanate i ribelli! » urlò quest’ ultimo, gesticolando nell’impartire ordini ai suoi sottoposti « Prendete il sindaco! »

I suoi seguaci si riversarono nella stanza, rimanendo però basiti dalla scena che si trovarono di fronte.

« I Turks! » esclamò uno di loro, rivolgendosi al suo capo.

Quest’ultimo si fece largo tra i subordinati, raggiungendo infine il Comandante dai capelli neri e l’espressione altera.

« Signor Tseng.» fece un breve inchino « Sapevamo sareste arrivati un giorno o l’altro. Siamo dalla vostra parte. Noi ci fidiamo della ShinRa. Siamo sicuri che migliorerà le nostre vite. Il mio nome è Noah. »

« Oh bene! » esclamò Reno, afferrando il braccio della donna che ancora gli teneva stretti i capelli « Mi dispiace Mischa. » le torse il polso con un  gesto veloce e secco, allontanandola da sé. Si rialzò in piedi a fatica e la afferrò nuovamente, immobilizzandola.

« Ce ne hai messo di tempo.» lo fulminò con lo sguardo Tseng. « Non pensare che la passerai liscia. Hai lasciato l’elicottero sguarnito.»

« Ho lasciato lì due soldati, non sono mica venuto abbandonando l’elicottero al suo destino.» si scusò Reno, consegnando la donna a uno dei nuovi ed inattesi alleati. Tseng tuttavia non distese l’espressione:

« Era tuo compito.»

« Capo, con tutto il rispetto, non avete specificato che io in particolare non potessi accorrere in vostro aiuto. »

Tseng rimase interdetto per qualche secondo.

Aveva commesso un errore.

 

Capita a tutti di commettere qualche sbaglio.

 

Gli sembrò di sentire la sua voce rimbombargli nella testa, con il suo solito tono dolce e spensierato.

« In ogni caso, ora non perdiamo tempo. Dobbiamo portarlo via.» riprese poco dopo, dirigendosi verso la porta.

« Signore.» lo interruppe Noah « Fuori non è sicuro. Infuria la battaglia, permetteteci di farvi da scorta.»

Senza rifiutare né asserire, Tseng trascinò l’uomo ammanettato e lo consegnò a due di quegli uomini, mentre lui stesso e Reno si incamminavano verso l’esterno, risalendo rapidamente le scale.

Merda.

Se avesse fatto più attenzione alle sue stesse parole, non si sarebbero probabilmente ritrovati a dover affrontare quella complicazione.

Era stato uno sbaglio, una distrazione che non avrebbe dovuto concedersi.

 

Sei sempre così duro con te stesso.

 

Ancora lei a tormentarlo. Gli sembrava di sentirla mentre lo rimproverava con quella sua voce da ragazza, così ingenua…

Scosse la testa. Non era il momento di pensare a cose così futili, e in quel momento lontane, custodite nei bassifondi di Midgar.

Quando uscirono dalla casa del sindaco, la scena che si presentò ai loro occhi era terribile.

Ciò che tutti temevano, ovvero lo scoppio di una guerra civile, si era infine avverato: alcune case erano state date alle fiamme, altre stavano saltando per aria; per le strade i ribelli e gli alleati della ShinRa si combattevano, si uccidevano, bambini e donne correvano al riparo, gli animali scappavano dalle stalle. Il cielo, all’orizzonte, era tinto di sangue e fuoco.

Alcuni fanti della scorta arrivarono correndo, guidati da una Cissnei corrucciata. Aveva la fronte segnata da una sottile escoriazione scura:

« Capo, state bene? » La ragazza lo raggiunse, piuttosto preoccupata « E’ successo tutto d’improvviso… »

Tseng annuì

« Bisogna portare subito via da qui il sindaco.» si guardò attorno, ma ciò che vide fu solo una battaglia sanguinosa, udì solo rumore di spari e grida impaurite.

 

La guerra… è orribile, vero?

 

« Cissnei, torna a Midgar con Reno e porta l’ostaggio con te. Io rimango qui. –

 

Fa parte del mio lavoro.

 

Furono raggiunti dai due uomini che tenevano il prigioniero, impedendogli di divincolarsi.

« Ma…! Capo! » si oppose Reno « Se lei rimanesse qui e dovesse…»

 

Anche il tuo lavoro lo è allora.

 

« E’ un ordine.» lo disse con tono gelido, senza degnarlo di un solo sguardo.

Cissnei sembrava contrariata quanto il giovane aviatore, ma dopo un momento di esitazione, si mise sull’attenti.

« Ricevuto. Reno, andiamo. »

 

Non posso scegliere le missioni.

 

I due Turk, seguiti dai membri dell’alleanza, si avviarono più in fretta che poterono verso l’elicottero. Reno si guardò indietro più volte, poi quando fu abbastanza lontano, urlò:

« Torna presto, capo! »

Dopo aver raccolto intorno a sé un piccolo gruppo di alleati dalle truppe di Noah, Tseng usò un rapido cenno della mano per ordinare ai suoi improvvisati sottoposti di avanzare verso il campo di battaglia, nel centro del villaggio.

Lanciando un ultimo sguardo ai due colleghi che correvano verso il velivolo, prese fra le mani la sua magnum.

« L’ho già promesso a qualcun altro, Reno.»

 

 

 

(xxx)

 

 

La luce filtrava flebile fra le crepe nei muri e dai buchi fra le assi del tetto. Era piacevole quel tenue calore che aiutava i suoi fiori a crescere. Talvolta si ritrovava a goderne anche lui, come le piccole piante, ad occhi chiusi, mentre ascoltava i suoni che il vento produceva penetrando nei più nascosti anfratti della costruzione. La brezza giocava a produrre i rumori più disparati a contatto con oggetti diversi, a rievocare gli echi di suoni lontani, a portare con sé voci e sussurri. Ogni momento della giornata era scandito da melodie diverse, a tempo con le quali le corolle e le foglie danzavano, cullate dalle divertite folate. Al centro della chiesa, china sulla sua piccola aiuola, stava lei, i fluenti capelli castani che ondeggiavano ad ogni piccolo movimento, le mani piccole e candide perennemente sporche di terra.

Era questo ciò che Tseng trovava ogni volta che apriva piano il grande portone in legno intarsiato, facendo cigolare i vecchi ed arrugginiti cardini sconnessi.

« Sei tornato.» la sua voce limpida, leggera e delicata come il colore dei fiori che curava gli arrivò alle orecchie all’improvviso,mentre avanzava verso le panche rovesciate.

Aveva fatto il più silenziosamente possibile, ma ormai la ragazza si era abituata al rumore dei suoi passi che facevano scricchiolare il pavimento tarlato.

« Sono tornato. » ammise Tseng, continuando a camminare verso di lei. Non riuscì a capire dal suo tono di voce se le sue parole fossero contente o solamente rassegnate. Quella della ragazzina era sembrata una semplice affermazione.

Pulendosi le mani sul piccolo grembiule bianco che teneva legato alla vita, Aerith fece forza sulle ginocchia e si sollevò. Diede un ultimo sguardo ai suoi piccoli germogli e poi voltò la testa con la sua solita grazia, incontrando gli occhi del Turk.

« Oh cielo, Tseng. » allarmata, si portò una mano alla bocca « Sei ferito!»

Il Turk annuì brevemente. Era appena tornato da una missione che gli aveva dato non pochi problemi. Era stato a causa di un tizio delle parti di Kalm che era entrato a lavorare alla ShinRa da poco tempo ed era stato sbattuto in prigione per un furto di materia modificate nei laboratori; era riuscito tuttavia ad evadere, aiutato da alcuni complici suoi paesani. Quando alla Turk era stato ordinato di ricatturarlo, Tseng si era ritrovato suo malgrado coinvolto in una lotta corpo a corpo. Una fasciatura al braccio, una alla testa e parecchi cerotti, erano stati il risultato. Nulla di particolarmente grave, ma per guarire completamente avrebbe dovuto passare uno o due giorni a riposo.

Aerith gli si avvicinò trafelata, per studiare l’entità dei danni.

« Non preoccuparti. Non è niente. » cercò di tranquillizzarla, come suo solito. Non era affar suo, in ogni caso.

« Lasciami dare un’occhiata almeno…» lo sguardo della ragazza esaminò i graffi sul viso, la  fascia che gli circondava il capo, il braccio che gli pendeva dal collo. « Deve fare male questa.» osservò, sfiorando appena le bende che gli avvolgevano il polso.

« Non particolarmente.» Tseng distolse lo sguardo, cercando qualcos’altro su cui posarlo. Fissare troppo a lungo il suo viso lo mandava in agitazione. Il fatto che si preoccupasse per lui gli faceva fin troppo piacere.

Più di quanto il suo lavoro gli permettesse.

« Mi hanno inferto ferite peggiori, durante la guerra.»

« La guerra… è orribile, vero?»

Tornò su di lei, corrugando le sopracciglia. E ora perché quella domanda?

« Fa parte del mio lavoro. » rispose, atono. Non gli era permesso sbilanciarsi nemmeno riguardo quell’argomento..

Il viso di Aerith si rabbuiò.

« Anche il tuo lavoro lo è allora. Orribile.» stizzita, gli voltò le spalle.

E dire che era andato lì con la speranza di passare qualche momento in tranquillità. Solitamente sorvegliarla lo rilassava. Però avrebbe dovuto aspettarsi una reazione del genere da parte sua, vedendolo in quello stato. Trasse un breve sospiro.

« Ammetto che non è dei migliori.» si sedette su di una delle poche panche ancora intattei, anche se evidentemente provate dal tempo. « Ho a che fare con ogni genere di cosa.»

« Ogni genere di cosa .» ripeté lei, tornando a chinarsi sui fiori « Di cui faccio parte anche io. »

E adesso perché si era arrabbiata? O forse fingeva?

Le donne sapevano diventare un grande mistero.

« Sì, anche tu ne fai parte » dove voleva andare a parare?

« Quindi anche io sono orribile.» concluse decisa lei, strappando via un’erbaccia che era cresciuta spontaneamente fra le travi.

« Non ho detto questo. » Tseng sollevò un sopracciglio, confuso. « Tra tutti gli incarichi che mi hanno dato finora… » si bloccò un attimo, non sapendo esattamente come continuare la frase per paura di offenderla ulteriormente. «…sorvegliare te è forse l’unico che mi abbia mai fatto piacere…»

« Allora perché non rimani sempre qui?»

Era incredibile con quanta ingenuità e candidezza lei sapesse dire certe cose. Aveva appena compiuto quattordici anni, ma a volte parlava come una bambina innocente.

Si ritrovò spiazzato, i suoi due grandi occhi di smeraldo che lo fissavano aspettando una risposta.

« Non posso scegliere le missioni. »

Aerith continuò a guardarlo, l’annaffiatoio in mano.

Per un attimo il Turk temette che glielo avrebbe lanciato.

Tuttavia lei si limitò a sospirare, riponendo l’oggetto per terra.

« Sai, è che… » incominciò poi, accovacciandosi sul pavimento. « …mi sento sola.» si cinse le gambe con le braccia, incurvandosi « Sento le voci del Pianeta, quella della mamma e di tante altre persone. Ma sono l’unica, non ho ancora trovato nessuno che le senta come le sento io… E poi, la gente non si avvicina mai a questo posto…» scosse la testa lentamente «… gli abitanti di questa città mi trovano strana. Una tizia che coltiva fiori, nella città del Mako, della tecnologia…» un sorriso mesto le apparve sulle labbra « E’ un controsenso bello e buono, non credi? Perciò mi tengono a distanza. Se provo io ad avvicinarmi, mi evitano. Tu sei l’unico che mi faccia un po’ di compagnia. » si voltò verso di lui, sorridendogli « Anche se non sei esattamente un chiacchierone. »

Rimase un po’ in silenzio, dondolando con le ginocchia al petto.

« Ogni volta che te ne vai dicendomi che dovrai partire per una nuova missione, ho sempre paura che non ti vedrò tornare. Che non sentirò la porta cigolare piano e le assi di legno scricchiolare sotto i tuoi passi.» smise di ondeggiare, poggiando le mani sulle ginocchia « Ho paura di ritrovarmi di nuovo sola.»

« Se io dovessi… non tornare da una missione, probabilmente affiderebbero l’incarico a qualcun altro.» osservò Tseng « Non saresti sola.»

« Sì, hai ragione.» annuì, ma era evidente che non fosse pienamente convinta di quelle parole.

Calò il silenzio, intervallato solo dal frusciare del vento e da qualche rumore sinistro proveniente dal tetto. Tutto quel discorso l’aveva decisamente scosso, ma come al solito non l’aveva dato a vedere, ostentando la sua abituale freddezza professionale.

La paura di non tornare da una missione e non poterla rivedere, ovviamente rimase celata nel suo cuore. I loro erano due sentimenti diversi comunque, e di questo era perfettamente consapevole.

Lei non ne sarebbe mai venuta a conoscenza. Non gli era permesso, dopotutto.

« Tseng… » la sua voce che pronunciava il suo nome, ruppe lievemente la quiete «…posso fare qualcosa per te? »

Il Turk inarcò ulteriormente il sopracciglio, cercando di capire a cosa si stesse riferendo. Lei si avvicinò e si sedette sulla panca, al suo fianco. I loro corpi erano pericolosamente vicini.

« Ho tutto questo potere, ed è inutile se non può essere di alcun aiuto… » avvicinò le mani all’arto offeso dell’uomo, chiudendo gli occhi. Respirò profondamente e corrugò le sopracciglia: le dita si illuminarono di una pallida luce verde chiaro, Lifestream puro che, dolcemente, cominciò a lenire il dolore della ferita al braccio.

Erano incredibili i poteri degli Antichi. Aerith era davvero un esemplare magnifico, un ottimo elemento per gli studi e gli esperimenti agli occhi della ShinRa.

Tseng riuscì facilmente ad immaginare la faccia compiaciuta del dottor Hojo mentre la attaccava ai suoi beneamati marchingegni e la sottoponeva ad estenuanti test…

Aveva spesso assistito alle iniezioni di Mako nei corpi dei futuri SOLDIER e non era mai stato uno spettacolo consigliabile, soprattutto quando il soggetto sottoposto al flusso non risultava compatibile.

Quando ebbe finito, Aerith passò alla testa, mettendoci la stessa identica concentrazione.

Il suo profumo inconfondibile, di frutta e, ovviamente, dalle note floreali, lo inebriava, lo solleticava, penetrava insieme al Lifestream in ogni parte del suo corpo.

Avrebbe voluto sfiorare la sua pelle, che sembrava così morbida. Affondare le mani fra i soffici capelli, leggermente bagnati dall’umidità dell’aria.

Chiuse anche lui gli occhi: non doveva lasciarsi sopraffare da pensieri del genere. Represse, ancora una volta, i desideri che sentiva affiorare dentro sé quando stava in compagnia di quella ragazza.

Nonostante fosse più piccola di lui, e non di poco, se n’era invaghito pericolosamente.

Ma tutto questo non poteva certo convivere col suo dovere. Prima fosse riuscito a dimenticarla, meglio sarebbe stato per tutti.

Quanto sarebbe stato difficile?

« Ecco fatto! » esclamò lei, svegliandolo dal torpore dei suoi pensieri « Va meglio ora?» gli chiese, soddisfatta del proprio operato. Tseng annuì: non sentiva più alcun fastidio o bruciore.

« Grazie. » le rispose, con un timido sorriso « Va molto meglio. »

Lei ricambiò, poggiandosi sullo schienale mentre respirava profondamente. Sembrava che si fosse stancata. Probabilmente ancora non riusciva a controllare al meglio i suoi poteri: era giovane d’altronde.

Una creatura così fragile con un così grande potenziale… sembrava incredibile che dentro di sé nascondesse tutta quella forza.

« La mamma dice che è stato un piacere.»

« Cosa » il Turk si voltò verso la ragazza, un sopracciglio leggermente sollevato.

« Anche lei mi ha aiutata a curarti, no? » poggiando le mani sul bordo della panca, si sporse facendo ciondolare le gambe magre, un movimento tipicamente infantile ma estremamente grazioso. « Le ha fatto piacere. Dice che sei un bel ragazzo. »

Tseng sgranò gli occhi, le guance che si coloravano leggermente. Cercò di trattenere l’imbarazzo come meglio poté. Era solo un complimento, ne aveva ricevuti parecchi sul lavoro.

Perché si sentiva… contento? Non era nemmeno stata lei a farglielo, ma sua madre, da chissà quale minuscola particella di Lifestream.

Aerith teneva gli occhi chiusi, in ascolto. Annuì con la testa un paio di volte, poi lo guardò ancora:

« E ti ringrazia, anche. »

« Mi ringrazia? » Tseng scosse la testa « Deve esserci un errore.» Come poteva voler ringraziare qualcuno che faceva parte dell’organizzazione che minacciava alla salute del Pianeta? Soprattutto lei che ormai faceva parte del flusso vitale.

« Nessun errore.» lei piegò la testa di lato, facendo ricadere sulla spalla la morbida treccia che le arrivava quasi a metà schiena. « Ti ringrazia perché stai con me molto spesso. »

Era davvero assurdo. La mamma di una bambina sorvegliata e pedinata ringraziava il persecutore che teneva d’occhio sua figlia per conto di una compagnia che la voleva utilizzare come cavia da laboratorio.

Aerith diceva sul serio? Guardandola negli occhi, trovava solo sincerità, trasparenza. Ma le sue parole risultavano incredibili. Ogni giorno lo stupiva sempre di più. Forse era proprio per questo che gli piaceva.

E quegli stessi occhi, così cristallini, lo guardavano fisso. E ora che succedeva?

Con un gesto lento, quasi solenne, Aerith gli porse il dito mignolo della mano destra.

Tseng guardò prima la mano, poi lei, sempre più confuso.

« Promettimi una cosa. » gli disse, tutto ad un tratto serissima.

Lui restò immobile, aspettando che continuasse.

« Quando parti, io non ho mai la certezza che ti rivedrò.. » con la mano libera, afferrò la destra del Turk e gliela chiuse a pugno, lasciando libero solo il mignolo.

« Quindi… promettimi che d’ora in poi tornerai sempre. Se ho la tua parola, allora sarò sempre sicura che alla fine di ogni missione, verrai a trovarmi. »

L’ultima discendente degli antichi era una ragazza dai grandi occhi verdi e la pelle vellutata. Adorava la natura, le piaceva parlare ed era sempre allegra. Aveva un bel corpo snello, anche se acerbo, che celava un animo ancora infantile.

Un po’ riluttante, Il Turk intrecciò il dito con quello di Aerith.

« Lo prometto. » disse poi, a bassa voce.

 

 

(xxx)

 

 

Si lanciò alla propria destra, compiendo una veloce capriola. Aveva evitato una raffica di colpi agilmente, nascondendosi dietro il muro di una delle poche case ancora in piedi.

Si lasciò andare con la schiena contro i duri mattoni, ansimando. Il dolore lancinante delle ferite gli annebbiava la vista e accelerava i battiti del suo cuore. Il respiro si era fatto corto, un po’ incerto a volte. Si tastò la spalla che era stata trapassata da un proiettile: il rosso liquido che gli impregnava i vestiti gli macchiò la mano e il polsino un po’ strappato.

L’avevano colpito con un pugno allo stomaco e in altri punti, persino sulla faccia. Sorrise debolmente, pensando all’espressione che avrebbe fatto Aerith nel vederlo tornare un’altra volta ricoperto di ferite.

Perché sarebbe tornato.

Impugnò di nuovo la sua arma e la caricò.

In fondo, aveva fatto giurin giurello.

 

 

Nota dell’autrice: Ed ecco che anche io ci ho provato. Non è stato per niente facile, e devo ringraziare la mia amata Frances, che ha avuto la pazienza di sopportare i miei scleri e che ha gentilmente betato la mia fic! <3 

E’ la prima volta che scrivo su Final Fantasy VII, e non sono nemmeno la mia coppia preferita (ZackXCloud 4 evah <3), e questo è il risultato!

Il titolo, che tradotto sarebbe “Mille aghi”, è ispirato al  giurin giurello giapponese:

“Se mentirai, ti farò ingoiare 1000 aghi.”

La vendetta di Aerith sarebbe tremenda XD

Hope u like it <3

 

 

 

 

   
 
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