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Autore: BaschVR    05/10/2009    2 recensioni
La città, quella mattina, appariva vuota, silente, libera. Aveva nevicato per tutta la notte, e il bianco aveva ricoperto ogni cosa. Il pallido sole invernale era sorto, eppure Midgar era rimasta dormiente. Tutto appariva ovattato in quell’onirica visione, quasi irreale. L’unico rumore che Tseng sentiva era il tonfo dei suoi passi sulla neve. Era un rumore leggero, quasi impercettibile, eppure era l’unico che probabilmente la città stesse udendo. Un rumore ritmico e costante.
Dedicata a tutti coloro che amano questo pairing e, naturalmente, alla nostra inimitabile Zia Polly.
2^ classificata allo Tserith Contest indetto da Valy_Chan
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Altro Personaggio, Reno, Tseng
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V: La verità che rende liberi
 
Quella giornata, così piena di sorprese, così tentatrice e al tempo stesso rivoluzionaria, non era ancora giunta al termine. Il sole sarebbe tramontato a breve; già i primi riflessi color arancio si riversavano sulla terra, illuminandola e allungando le ombre dei passanti che si dirigevano verso le proprie case.
Tseng osservò la sua ombra distendersi sulle mura di una delle baracche dei Bassifondi di Midgar, lo sguardo serio, la bocca serrata in una smorfia di disgusto.
Come si poteva essere arrivati a quel punto? In poche ore, tutto ciò che aveva costruito in quei mesi, in quegli anni, era stato irrimediabilmente distrutto.
Merda, quanto si stava odiando…
La colpa era sua, solo sua, che aveva taciuto per così tanto tempo la verità, celandola dietro le pagine di un rapporto basato su fondamenta minate dal silenzio. Adesso stava vivendo sulla propria pelle la conseguenza delle menzogne che aveva alimentato per anni.
A quanto pare, il castello di carte era crollato quando Aerith aveva incontrato quell’idiota di Reno: o almeno, così quest’ultimo gli aveva riferito, quando gli aveva parlato pochi minuti prima. A quanto pare, quel cretino aveva spifferato tutto su quel che davvero era successo quel giorno di parecchi anni fa in cui la neve cadeva fitta, concludendo raccontando anche del suo licenziamento. Ed Aerith aveva creduto a tutto ciò che lui le aveva detto. Forse si era ricordata del volto del carnefice di sua madre, o probabilmente si era solamente lasciata abbindolare dalle parole del Turk. Quel che davvero importava, in quel momento, era che lei stava contro di lui, dalla parte opposta alla sua. Era diventata irraggiungibile, e, ad ogni minuto che trascorreva, il crepaccio tra loro si allargava, e rendeva polvere tutto ciò che in passato c’era stato tra di loro. Allungava una mano, cercando di raggiungerla, ma lei appariva sempre più lontana, di spalle, mentre lui affondava nel baratro…
Si fermò, respirando a fondo. Doveva trovare Aerith il prima possibile, e parlarle. Probabilmente si sentiva delusa, sola, confusa, abbandonata dall’ultima persona di cui si era fidata. Sconvolta per quella rivelazione, che a lui era sempre apparsa così ovvia...
La verità è che la conoscenza rende pienamente padroni degli eventi. La conoscenza che Aerith aveva acquisito in quella calda giornata di sole le aveva cambiato la vita per sempre. Spettava a lei, adesso, capire cosa fare: e, in quanto a Tseng, poteva solo sperare nel suo perdono. Che, effettivamente, appariva parecchio improbabile.
Immaginava che ormai fosse tutto irrecuperabile. E come dar torto ad Aerith? Come poteva amare colui che ti ha impedito di essere amata, come poteva pensare di provare affetto per la causa delle tue più grandi sofferenze?
Non poteva, semplice. Era del tutto impossibile pensare al perdono.
Precipitava ancora nel baratro, cercando di risalire, annaspando per respirare l’aria a cui non poteva anelare… Inspirò ed espirò profondamente, di nuovo. Doveva calmarsi. Eppure non ci riusciva, sentiva il disprezzo e l’ira di Aerith sulla sua pelle, vedeva il suo sguardo pieno di risentimento, e le sue lacrime di rabbia…
No, non sarebbe nemmeno riuscito a parlarle, non con quel senso di colpa che lo dilaniava dall’interno. Non sapendo che lei sapeva. Ma doveva farlo, doveva provare, non poteva buttare la sua ultima speranza al vento e lasciarla scivolare tra le sue dite, per vederla sparire per sempre.
Non poteva.
Continuò a camminare, a testa alta, abbagliato dalla luce del tramonto che aveva davanti agli occhi, verso la chiesa. Sperava di trovarla lì, accanto ai suoi fiori ormai quasi del tutto avvizziti, con lo sguardo perso nel vuoto dei suoi pensieri.
Appena sarebbe entrato nel polveroso atrio della chiesa, lei forse l’avrebbe guardato, per un attimo, senza proferir parola; poi sarebbe tornata con lo sguardo fisso verso i fiori, come se nessuno fosse entrato. E allora lui si sarebbe avvicinato, ed il rumore dei suoi passi sarebbe echeggiato per la chiesa buia, e le avrebbe parlato, con un tono di voce pacato, raccontandole tutta la verità. Tutto ciò che lei aveva già appreso da Reno, ed anche altro, tutto ciò che non le aveva mai detto in quegli anni; e poi avrebbe terminato con i sentimenti che provava per lei, e con la speranza che lei capisse, che lo perdonasse. E poi, non riusciva più ad immaginare cosa sarebbe successo, se Aerith lo avesse perdonato o se, al contrario, gli avesse intimato di sparire, e di non farsi mai più vedere tra quelle mura, che erano state testimoni di un sentimento che in realtà nemmeno esisteva…
Si fece coraggio, fece ancora un altro passo,  e un altro, oltrepassando l’ormai sgombra piazza del mercato. Come era solito per quell’ora, le strade stavano cominciando a riempirsi di tipi poco raccomandabili che Tseng non degnò nemmeno del suo disprezzo: aveva questioni più urgenti da risolvere.
Il crepuscolo aveva dato una leggera tinta violacea al cielo, che ben presto sarebbe stata sostituita dalla notte perenne, la notte senza stelle dei bassifondi. Doveva sbrigarsi.
Eppure, più si avvicinava, più l’ansia si impadroniva di lui, allungando le sue malefiche spire nella mente di Tseng: perché doveva finire così? Non era mai stato orgoglioso dell’omicidio di quella donna, né di aver messo in pericolo Aerith. Perché allora Aerith avrebbe dovuto disprezzarlo? Non sapeva di come il senso di colpa l’avesse quasi ucciso, in quegli anni, e di come l’avesse spinto a prendersi cura di lei, fingendosi ancora un Turk, per tenerla d’occhio? E di come si era odiato quando si era accorto di provare qualcosa per lei, perché sapeva che, quando tutto sarebbe finito, non ci sarebbe più stato posto per l’amore, ma soltanto per l’odio e per la disperazione?
No, non poteva farlo, non poteva presentarsi così come se nulla fosse. Si fermò un momento, sedendosi su una panchina.
Un gruppo di uomini loschi vestiti di nero lo fissarono, sospettosi a causa della sua uniforme, e lui rispose allo sguardo, in modo glaciale. Quelli si allontanarono subito, scoccandogli ancora qualche occhiataccia in lontananza.
Riprese a combattere tra la tempesta di pensieri che gli offuscavano la mente. Doveva solamente fermarsi un attimo, e cercare di riflettere con lucidità. Niente di più semplice, no? Solamente riflettere…
Cercò di concentrarsi, ma voci di un passato lontano si insinuavano nella sua mente, confondendolo.
Dannazione, se solo fosse stato capace di riflettere per un singolo momento in pace!
Si rialzò in piedi, mentre le voci nella sua mente si facevano più insistenti, sempre più vive, come se appartenessero alla realtà. Urlavano, gridavano, lo asfissiavano con le loro voci... non erano veri eppure gli sembrava quasi di vedere le figure a cui appartenevano quei timbri vocali, davanti a lui…
Scosse la testa, chiudendo gli occhi, la testa tra le mani. Ma che gli stava succedendo?!
“Basta!” esclamò ad alta voce, ed il caos nella sua testa si fermò bruscamente, quasi in modo innaturale.
Poi, una mano si insinuò sulla sua spalla. Era una mano ben curata, con le unghie smaltate di rosso e le dita affusolate, che sicuramente apparteneva ad una donna. E Tseng credeva anche di sapere a chi.
“Sai, ti dirò una cosa” cominciò la donna dietro di lui, in tono saccente “ho sempre pensato che tu fossi solamente un grandissimo idiota, ed adesso ne ho pure la conferma!”
Una risata stridula attraversò l’aria fresca dell’imminente sera.
Tseng si ritrovò a sorridere sarcasticamente, insieme a quella donna che aveva ormai riconosciuto. “Grazie… Scarlet” sussurrò, a denti stretti.
“No, dico sul serio!” ribadì la donna, con la solita arroganza che la contraddistingueva “sei così codardo da non riuscire nemmeno a chiarire con Aerith per una colpa che tu hai commesso!” “Tu non sai nulla di questa storia, sta’ zitta!” esclamò Tseng voltandosi verso di lei. Era uguale all’ultima volta che lui l’aveva vista, con i capelli biondi raccolti in uno stretto chignon e con il suo solito vestito rosso, così poco consono ad un ambiente come quello…
“Lo credi davvero?” chiese lei, avvicinandosi fino a sfiorargli la guancia con una mano. “vorresti farmi credere che c’è forse qualcuno che ti conosce meglio di te stesso?” la donna scoppiò in un’altra acuta risata, che interruppe il gelido silenzio di quella strada. Stranamente, nessuno si voltò verso di loro.
Tseng riprese a camminare. “Che intendi dire?” le chiese, certo che l’avrebbe seguito.
“Intendo dire che ogni cosa esiste ed esisterà in base alle scelte che tutti noi abbiamo compiuto nel corso della nostra vita!” rispose Scarlet, in tono più mite, volgendo lo sguardo agli ultimi raggi color rubino che sparivano dietro ad una verde collina fuori città.
“E questo che vuol dire?!” chiese Tseng, spazientendosi.
“Ottima domanda!” esclamò la donna, sfoderando un sorrisetto sardonico. “Sai che me lo sto  chiedendo anch’io?”
Tseng sospirò. Ma che stava succedendo? Cosa voleva quell’orribile donna da lui?
“Si, lo so che cosa pensi, ma te l’ho già detto: nessuno ti conosce meglio di te stesso!” ribadì nuovamente Scarlet, accelerando il passo.
“Vuoi parlare chiaro, per una volta?!”
“Risparmia il fiato per la chiacchierata con Aerith, piuttosto!” rispose la donna, non lasciandosi sfuggire l’occasione per sputare un po’ di veleno sulla faccenda.
Tseng provò l’impulso di uccidere anche lei, così come aveva fatto con Elmyra. Si voltò verso la donna, pronto a scoccarle un’occhiata carica di odio, ma lei era sparita, dissolta come se fosse stata portata via da una folata di vento. Si guardò intorno, ma non la vide da nessuna parte. Forse se l’era soltanto immaginata.
Probabilmente stava solo impazzendo.
I suoi passi producevano lievi tonfi, e nella sua testa le voci si susseguivano, in un entropia di suoni di cui non riusciva a comprendere quasi nulla. Proseguiva, senza ormai avere nulla che potesse dissuaderlo dai suoi propositi. In lontananza, vedeva già le guglie della chiesa nella quale, ne era certo, avrebbe trovato Aeirth.
Poi un’altra mano lo afferrò per il braccio, bloccandolo. Voltandosi, riconobbe Reno, con lo sguardo carico di determinazione e che sembrava non voler mollare la presa.
Tseng si ritrovò a sbuffare. Adesso si ci metteva pure lui?
“Lasciami andare!” esclamò, cercando di divincolarsi dalla stretta dell’altro.
“Mi vuoi spiegare che diamine stai facendo?!” urlò Reno di rimando, senza prestare attenzione alle parole di Tseng.
“Vado da Aerith, per cercare di rimediare al casino che hai combinato!” sibilò lui di rimando.
“Che tu hai combinato, vorrai dire!” rispose Reno, seguendolo. “Io non ho colpa! Ricordi che ho cercato di fermarti, quattro anni fa?”
“Senti…” Tseng si coprì gli occhi con una mano, abbassando il capo. Perché Reno non capiva? E perché, in fondo, lui sapeva che il Turk aveva ragione?
“E’ ovvio che Aerith sarà furiosa con te! Che senso avrebbe andare alla chiesa, adesso?” domandò Reno, interrompendolo.
Tseng non rispose. Continuò a camminare, ignorando il ragazzo che stava alle sue spalle. Lui gridò, per un’ultima volta: “Fermati!”, poi non parlò più, forse sparì, come Scarlet aveva fatto prima di lui.
Il suo mal di testa era aumentato di molto… non era certo di sentirsi molto bene. La testa gli girava, come se avesse la febbre. Si tastò la fronte, distrattamente, ma non notò nulla di anormale nella sua temperatura.
Era a pochi metri dalla chiesa, ormai, riusciva ad intravederla attraverso la fievole luce dei lampioni che costeggiavano il vicolo. Il suo cuore batteva forte, così forte da fargli quasi male. Non sentiva più nessuna voce, o alcun rumore, che turbasse la quiete dei Bassifondi. Respirò a fondo, arrivò davanti alla porta di legno che tante volte, con leggerezza, aveva già oltrepassato. Perché quella volta sembrava così difficile?
Allungò una mano e toccò la fredda maniglia della porta. Sembrava così difficile da aprire…
“Aspetta” sussurrò una voce alle sue spalle. Una voce ben calibrata, dolce, una voce calda e piena di sentimento, con una sfumatura di maturità nella voce che si acquisisce solo con l’età. Tseng aveva già sentito quella voce, in verità: una volta soltanto, in una particolare occasione; ma gli era rimasta impressa, e, da allora, aveva sentito ogni notte, nei suoi incubi, quella donna gridare a sua figlia di mettersi al sicuro...
Lentamente, Elmyra emerse dall’oscurità, con un sorriso dolce sul viso, osservandolo. Aveva i vestiti del giorno della morte, ancora macchiati del suo stesso sangue, forse perché quella era stata l’unica occasione in cui Tseng aveva potuto conoscerla. Il suo sguardo era fiero, pieno di una determinazione che il ragazzo non le aveva mai notato, in quel fatidico giorno.
Si avvicinò, e non seppe nemmeno cosa dire. Voleva dirle qualcosa, però; che gli dispiaceva di averla uccisa e che quel gesto gli era costato un permanente senso di colpa che lo dilaniava ogni giorno. Ne avrebbe avute di cose da dire, eppure restava in silenzio, incapace di articolare qualunque suono. Il mal di testa era ancora aumentato, e faceva fatica anche a respirare…
“Non trovi che sia una splendida notte?” chiese la donna, osservando gli sprazzi di cielo che si intravedevano da sotto il piatto. Sembrava tranquilla, serena, incurante della ferita che le attraversava il torace e da cui sgorgava sangue scarlatto.
“Lei... lei è…?” chiese Tseng, balbettando, anche se sapeva già la risposta.
“Si, Tseng” la donna si voltò verso di lui, seria. “Io sono la donna che hai ucciso 4 anni fa”.
Tseng aspettò che Elmyra parlasse ancora, ma lei non sembrava intenzionata a farlo. Capì che  stava aspettando. Stava aspettando che Tseng si decidesse a declamare tutto ciò che, in quegli anni, aveva pensato su quella mattinata d’Inverno di ormai parecchio tempo prima.
Aprì la bocca, ancora incerto su cosa dire.
“M-mi dispiace” biascicò, con un sussurro appena udibile e che subito si perse in quella nera notte.
“E per quale motivo?” chiese la donna, sorridendo. Come aveva fatto prima Scarlet, anche lei portò una mano sulla sua spalla. Ma a differenza di quello di Scarlet, quel tocco infondeva coraggio, decisione, determinazione.
“Per… per averla uccisa!” esclamò Tseng, a testa bassa, non avendo il coraggio di guardarla.
Un attimo dopo, sentì Elmyra ridere. Istintivamente alzò lo sguardo, e vide il viso della donna invaso dall’allegria e dalla vitalità.
“Ma andiamo, credi che un paio di scuse possano cambiare ciò che è accaduto?” chiese la donna. Osservò per un momento la sua ferita, poi riprese, come se nulla fosse: “Le scuse non servono a nulla, Tseng. Quello che davvero è servito a farti meritare il perdono è stato il senso di colpa che hai provato durante l’arco di questi quattro anni! E’ stato un cammino duro, guidato dalla redenzione, dal riscatto verso gli errori del passato, verso un’espiazione lontana, quasi un’inafferrabile chimera che tu hai continuato a perseguire, anche quando tutto sembrava perduto! Nessuno può biasimarti per aver taciuto la verità ad Aerith, così come nessuno potrà avere nulla da ridire sul coraggio che hai dimostrato venendo qui, a discapito di tutto ciò che potevi provare. Tutti questi gesti ti hanno portato a ciò che più anelavi. La completa espiazione dalle tue colpe! Fidati, so di te più di quanto non ne sappia tu stesso!”.
Tseng sorrise. Eppure era un sorriso forzato: quel mal di testa non lo abbandonava, e tutto appariva sempre più sfocato… eppure si sentiva allo stesso tempo bene davvero per la prima volta, bene con sé stesso, anche se…
“E’ normale sentirsi così?” chiese Tseng dopo qualche minuto di silenzio, cercando di osservare il cielo, come prima aveva fatto Elmyra.
“Così come?” chiese lei, guardandolo curiosa.
“Come se avessi ancora qualcosa da fare prima dell’espiazione assoluta” sussurrò Tseng, tutto d’un fiato. Guardò la porta di legno che aveva davanti: pochi metri lo separavano da lei… “Devo farmi perdonare da Aerith?” chiese, senza neanche pensarci su, in attesa di avere una risposta.
La voce della donna si fece grave. Quando rispose, una nota dolente si percepì nella sua voce, che suonò triste, simile ad un rimpianto. “Non ne avresti nemmeno il tempo” sussurrò, chinando la testa, affranta.
E Tseng capì a cosa stava andando incontro, e che non c’era nessuna via che potesse impedire quello che stava per accadere.
“C’è qualcosa che posso fare per rimediare del tutto, prima di…?” chiese, senza aspettarsi nessuna risposta in particolare.
Elmyra gli si avvicinò e gli accarezzò il volto, lentamente.
“Chiudi gli occhi” sussurrò poi, mentre la voce si faceva rotta dal pianto.
Tseng sbatté le palpebre un’ultima volta, dando un’occhiata di sfuggita al mondo. Il suo sguardo si chiuse sulla chiesa che era stata protagonista della sua storia, e che gli sorrideva amorevolmente, come per indicargli che stava facendo la cosa giusta. Sorrise, senza neanche avere un buon motivo, anche se non era riuscito a rivedere Aerith, per un’ultima volta. Sorrise e, per la prima volto dopo tanti anni, pianse. Soltanto poche lacrime, ma che valsero come quelle di un’intera vita.
Si sentì meglio, come liberato da un ulteriore peso. Si sedette con la schiena poggiata alla porta della chiesa, con gli occhi serrati. Riuscì a sentire il profumo di uno dei fiori che non erano ancora morti. C’era ancora speranza per Aerith, ne era sicuro.
“Grazie” sussurrò ad Elmyra, o forse a sé stesso. Un momento dopo, senza una ragione ben precisa, si sentì abbandonare e, al chiaro della luce spettrale di un lampione lì vicino, morì.
Tseng non seppe mai cosa successe in seguito a quella notte: non seppe mai del pianto disperato di Aerith, alla vista del suo corpo immobile e privo di vita, la mattina seguente,  e non seppe di come lei, in seguito, fu l’unica persona ad andare a trovarlo, ogni giorno, nella sua eterna dimora. Non seppe nemmeno di come la ragazza si pentì, e di come capì che in tutto quel tempo Tseng era cambiato, e che aveva ormai raggiunto l’espiazione che tanto aveva desiderato mentre stava con lei. Sì, Tseng rimase all’oscuro dei fatti posteriori alla sua morte, per l’eternità; ma morì con il sorriso tra le labbra, con uno dei pochi sorrisi che avessero mai attraversato quel volto tanto imperturbabile.
Morì con il sorriso della verità che rende liberi, e con la certezza che, in un altro luogo diverso da lì, un luogo che forse nemmeno esisteva, un giovane e inesperto Tseng aveva evitato, per una volta, di premere il grilletto che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Era quasi riuscito a vederlo, quel giovane ragazzino pallido, mentre catturava il trafficante di Materie e salvava la donna. Ed era quasi riuscito ad udire, mentre i sensi lo abbandonavano, la voce di una bambina, una bambina che era Aerith Gainsborough, e che sussurrava, in maniera appena udibile: Grazie.
 

FINE

 
Azz, mi dispiace che sia finita qui! xD Questo contest è stato una così bella esperienza! Ho incontrato persone simpaticissime e, tutto sommato, mi sono divertito un mondo a scrivere questa fan fic, che spero vi piaccia! (ogni riferimento a  fatti, persone o a Zio Al è PURAMENTE casuale xD).
Volevo spendere un minuto del mio tempo a ringraziare Valy, la mitica organizzatrice del contest, che ha saputo creare questa sfida magnificamente e che ha diffuso, in questo modo, l’amore per una coppia così bella all’interno del fandom di FFVII. Grazie davvero, Zia Perifrastica! xD
Perdonate la banalità, è l’una di notte e non so cos’altro aggiungere! Anzi, in verità qualcosa da aggiungere ci sarebbe…
Zia Polly, we love you! XD

   
 
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