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Autore: OttoNoveTre    07/10/2009    8 recensioni
La mia prima parola si chiamava Tanuki.
L'incontro con un'altra lingua è l'incontro con un mondo nuovo.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanuki

La mia prima parola si chiamava tanuki.
La incontrai là, sul ciglio del sentiero. Seduta sulle sue zampette grassocce, sorseggiava una tazza di sake.
Bislacca come prima parola, come se un neonato se ne uscisse gorgogliando “mandolino!”, sotto lo sguardo attonito di mamma e papà. Così per caso quell’esserino peloso e paffutello aveva scavalcato tutti i  concorrenti, infilandosi in un libro di fiabe che la nonna mi aveva regalato. Fece capolino verso pagina 49, sgargiante con la sua pelliccia lucida e la coda panna e cioccolato, immerso nella quiete di un boschetto.
- Sei tu quella parola strana che non conosco?-
- Io non sono una parola, sono un Tanuki! Ti sembra il modo di interrompere un picnic, in ogni caso? Questi bambini moderni…-
- Scusa scusa scusa! Però signor Tanuchi, non sei mica una parola che conosco. Qui da noi quelli con la coda così si chiamano procioni.-
- Sono i miei cugini d’oltremare.-
Pareva si fosse calmato. Si slacciò dal fianco una fiaschetta azzurra con su un disegnino strano, e ne versò del liquido bianco in una ciotola.
- Sake?-
- So che cosa?-
- Ma no! Non “Sa-che”, sake! C’è anche scritto qui, vedi?-
Indicò il disegnino sulla fiaschetta.
- Io vedo solo delle linee, vogliono dire una parola pure quelle?-
Gonfiò le gote visibilmente irritato.
 - Una calligrafia così raffinata “delle linee”?! Ma tu guarda questi gaijin…-
Borbottò ancora un attimo mentre beveva dalla ciotola. Un altro sorso lo riportò alla calma.
- Tutte ‘ste strane parole… da dove vieni te?-
- Giappone.-
- Così lontano! E dimmi, com’è il Giappone?-
La bestiola parve riflettere un attimo, accarezzandosi la pelliccia con le zampe.
- Non che lo conosca molto, ti posso parlare di casa mia. Nel bosco dove abito crescono rigogliosi i take. In primavera io e i miei amici andiamo a fare picnic sotto i sakura. Ma una magia sottile avviene soprattutto nei giorni di kitsune no yomeiri…-
- Uffaaa… Non ci capisco nulla di quel che dici. Puoi raccontarmi com’è casa tua in una lingua che conosco?-
Mi aspettavo che si arrabbiasse ancora, invece fece una smorfia: immagino sia così che ride un tanuki. Poi staccò una foglia grande come la mia testa, di quelle che si usano come ombrelli quando si mette a piovere a metà di una gita, e me la porse.
- Sei piccola, vuoi far crescere tante foglie in qualche ora. Tutti vorrebbero gli alberi ricoperti di verde già ad inizio primavera, ma se sei saggia imparerai a gioire per la prima gemma.-
- Ti metti pure a fare il filosofo?-
Tamburellai scocciata sulla superficie verde lucido della foglia.
- Oh, non mi do arie da maestro zen. Sono solo un tanuki, dopo tutto. Allora diciamo così: un bambino non impara a parlare il primo giorno che nasce. Tu oggi hai avuto la tua prima parola.-
- Si, e che me ne faccio di saper dire “procione”? Almeno potevo imparare a chiedere da mangiare…-
Bevve ciò che rimaneva nella fiaschetta, poi si pulì le zampe con la lingua, si lisciò la coda e si stiracchiò.
- E’ vero, forse te ne dimenticherai, ci sono cose più importanti da sapere. Però se vuoi venirmi a trovare ti aspetto a casa mia. Ci si vede piccola.-
Scomparve tra le fronde, lasciando i bambù che ondeggiavano. Rilessi altre volte il libro, ma il bosco del tanuki rimaneva spopolato. Solo a volte un fruscio tra i bambù mi faceva ricordare la sua presenza.
Crebbi, e trovai man mano le altre parole, prima sparse alla rinfusa, poi in lunghe liste sui libri dell’università, ed infine incredibilmente vive, per le strade di Tokyo: manga, kuruma, karaoke, izakaya, daigaku, senpai, okonomiyaki… Nella metropoli non importa molto sapere cos’è un tanuki.
Poi, durante una passeggiata, riconobbi il boschetto del mio libro, e lì, sul ciglio della strada, eccoti il tanuki che beveva sake dalla sua ciotola. Ora capivo bene il “disegnino strano” della calligrafia.
- Ubriacone.-
Bel modo di salutare una vecchia conoscenza, ma non sembrò infastidito. Era un po’ invecchiato, la pelliccia aveva qualche chiazza grigia. Era anche ingrassato un po’.
- Bambina, eccoti qui. Allora, com’è il Giappone?-
- Sono stata a Tokyo: le luci, la gente, la vita, la metropolitana affollata alle sette di mattina, i locali pieni di ragazzi la sera, le ragazzine in divisa che vanno a scuola, i negozi che non chiudono mai… Ho visto il mondo dietro alle parole che imparavo, ed è sconvolgente. Sai che quando chiamo casa mescolo italiano e giapponese come facevi tu? Come se due lingue non bastassero ad esprimere tutta la mia meraviglia. Eppure sono nate proprio per questo le parole, per poter raccontare agli altri il proprio stupore. Ed allora meglio saperne più possibili, no?-
Sorrise con la smorfietta che ricordavo. Poi, improvvisamente, scese una pioggerella leggera, mentre una tenue luce brillava ancora tra i rami. Kitsune no  yomeiri, una magia sottile. Il tanuki staccò una foglia simile a quella che mi aveva regalato anni prima e me la porse, poi ne prese una per sé. Ci riparammo dalle gocce.
- Sake?-
- Grazie.-
Bevemmo in silenzio, in sottofondo il tintinnio dell’acqua.
- La prima volta che mi hai parlato di foglie non ti avevo capito, ma adesso lo so che intendevi.-
Presi un rametto e scrissi davanti a me nel terriccio due caratteri:
言葉
Kotoba.
- Hai imparato bene, piccola.-
-“Dire foglie”, così si dice “parola” in giapponese. Come se il linguaggio fosse un albero che cresce man mano, in cui tutte le foglie servono a creare una chioma rigogliosa.
Guardammo ancora per un po’ le fronde del bosco piegate dal peso dell’acqua. Davanti a noi passò un branco di volpi. Il tanuki fece un inchino a quella con la coda più folta, io lo imitai. Loro risposero cortesemente, poi proseguirono per la loro strada.
- Cosa porterai con te in Italia?-
- Tanti ricordi, e più foglie possibili per raccontarli tutti. Però per il ricordo di questo istante ne basta una, la prima.-
- Visto che non sono così inutile, alla fine?-
La mia prima foglia si chiamava tanuki.
   
 
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