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Autore: Ryta Holmes    04/06/2005    4 recensioni
L'Amore coniugale, che persiste attraverso mille vicissitudini, mi sembra il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune -François Mauriac- [Dedicata a Sara]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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One-shot regalo

Salve gente! Eccomi qui con un piccolo lavoretto su una coppietta che sto adorando in questo periodo!^^ Voglio dedicarla a Saretta, con i migliori auguri di BUON COMPLEANNO!!! Non è niente di che, ma spero che le piaccia ugualmente ^^ Un bacio tesora!:*****

 

 

A volte puo' succedere...

Una volta mi è capitato di leggere il pensiero di un autore Muggle, un tale Mauriac. Esso diceva che l'amore coniugale era in grado di attraversare le più grandi vicissitudini e che poteva definirsi il miracolo più grande.

E ricordo bene che le prime persone che mi vennero in mente leggendo quella frase, furono Ernest e Hannah.

Allora ero ancora piccola e non conoscevo il mondo così com'era, perciò mi sembrò una frase molto bella e che si adattava a loro due perfettamente.

Ero convinta che il loro fosse un amore puro e incondizionato, capace di superare tutti gli ostacoli con facilità. Sapevo che si amavano fin dai tempi di scuola e che da allora non si erano mai separati. 

Quello che in realtà non sapevo, ma che conobbi in seguito, è che non sempre l'amore è così semplice come sembra. A volte gli ostacoli sembrano insormontabili e rischiano di far crollare anche i sentimenti più intensi con i loro scherzi.

Mia madre mi raccontò questa storia, in un momento buio della mia vita. Mi raccontò di quando Ernest e Hannah McMillan conobbero per la prima volta, il sapore amaro dell'amore.

All'epoca erano sposati da appena un anno. Ernie lavorava al Ministero con grande zelo. Quando appena diplomato, era stato assunto, aveva già in mente grandi cose, e solo col grande impegno profuso, unito ad una buona dose di incoraggiamenti della sua fidanzata, era riuscito a raggiungere una carica molto importante e di gran prestigio.

Era quello che aveva sempre sognato, perciò inutile dire che una volta raggiunta la sua meta, si era gettato a capofitto nel lavoro, godendo delle nuove possibilità: uno stipendio più alto, un ufficio tutto per sé, una segretaria, una targhetta col suo nome inciso sopra e tante altre comodità che fino a poco prima gli erano state precluse.

E Hannah... Hannah era rimasta nella loro graziosa villetta nelle tranquille campagne londinesi. L'insistenza di Ernie l'aveva convinta qualche anno prima a pubblicare le sue poesie e da allora aveva preso a farlo con buona lena, incoraggiata anche dal discreto successo che avevano avuto.

La loro vita trascorreva abbastanza tranquilla. Ernie lavorava al Ministero e Hannah si dedicava alle sue poesie in casa, aspettando che una nuova vita crescesse nel suo grembo. Chiunque avrebbe potuto pensare che la loro fosse una vita felice e serena. 

Ma nessuno evidentemente li conosceva poi così bene.

Quel giorno di metà settembre, Hannah leggeva annoiata un libro sulla veranda, riparata grazie al portico, dalla pioggia incessante che scendeva ormai da ore.

Chiuse il libro con un gesto secco, imbronciando lievemente le labbra e guardando l'orologio. Le sei.

Sbuffò malinconicamente, cambiando posizione sulla sedia. La schiena ormai le doleva in continuazione. Era già entrata al nono mese e la settimana seguente sarebbe scaduto il termine.

Era un po' stanca di quella gravidanza. Per quanto aspettasse con gioia quel bambino, nove mesi erano tanti, soprattutto se poi era costretta a trascorrerli per gran parte del giorno da sola.

Ernie lavorava troppo per i suoi gusti. Sapeva quanto ci tenesse e come era orgoglioso del suo impiego, ma non riusciva a non pensare a quanto si sentisse sola per tutto il giorno, in attesa del suo arrivo, che puntualmente era troppo tardi.

Hannah era sempre già a letto, quando Ernie tornava a casa, così stanco e assonnato che a malapena riusciva a fare un discorso normale con sua moglie.

Si morse il labbro inferiore leggermente seccata. Erano ancora le sei, e lei era stufa di starsene lì seduta a non far niente.

Si alzò in piedi e si affacciò dal balconcino del portico respirando l'aria umida e profumata di erba appena tagliata. Si accorse che aveva smesso di piovere, perciò, dopo aver ponderato per alcuni istanti il da farsi, era rientrata in casa e si era affrettata, per quanto le riuscisse, in camera da letto, per prendere giacca e ombrello.

Raccolse poi la Passaporta che veniva consegnata alle gestanti, e con essa si fece condurre fino a Londra. Se Ernie non tornava, allora sarebbe andata lei da suo marito...

Nel frattempo, al Ministero, stava accadendo qualcosa di simile.

Ernie aveva chiuso l'ultimo rapporto con una bella firma e un viaggio verso l'ufficio centrale. Si passò le mani sulla faccia stancamente osservando l'orologio e notando che erano appena le sei.

Sorrise pensando che per una volta sarebbe potuto rientrare a casa presto, per una sera, così aveva afferrato il mantello e si era alzato dalla scrivania.

Una voce femminile però lo distolse dai suoi pensieri, catturando la sua attenzione.

"Monsieur McMillan."

Ernie riconobbe quella voce in un attimo. Sollevò lo sguardo sorpreso, per trovarsi davanti la collega dell'ufficio di fronte al suo.

Era una donna molto affascinante. Capelli scuri dai riflessi incomprensibili, occhi verdi e scintillanti, da gatta, labbra perfette e carnose e un corpo alto e slanciato. Vestiva sempre di eleganti tailler che scoprivano grazie a spacchi particolarmente generosi, le belle e lunghe gambe; e quel giorno non faceva eccezione.

Gli sorrise con fare giocoso, appoggiandosi allo stipite della porta. "Va' già via?"

Ernie, dapprima stupito da quella visita, si sistemò poi il mantello sulle spalle e abbozzò un sorriso. "S-sì... signorina Gèraldy..."

Fece il giro della scrivania, prendendo la valigetta in pelle scura, che aveva posato per terra. "Torno a casa." spiegò brevemente.

La donna scosse la testa. "Oh nono..." iniziò con un particolare accento francese, suo paese d'origine. "Mi chiami Giselle... quante volte devo dirglielo ancora, monsieur Ernèst?"

Gli si avvicinò sorridendogli. "Le posso rubare qualche minuto? Vorrei ringraziarla per l'aiuto che mi ha dato ieri... solo il tempo di un caffè!" gli propose assumendo un'aria più sensuale.

Ernie avvertì un certo disagio. Quella donna lo aveva sempre fatto sentire in quel modo. Aveva un modo di fare sempre accattivante e malizioso e per un uomo come lui, con un carattere così riservato e timido, era sempre complicato gestire quel tipo di incontri.

Gli venne spontaneo arretrare di un passo e di passarsi una mano dietro la nuca imbarazzato. "Ehm... ecco, se non le spiace andrei un po' di fretta... mia moglie mi sta aspettando..."

"Ma è solo per poco!" la interruppe la strega esibendo un broncio. "Un caffé per ringraziarla e la lascio andare." aggiunse ritrovando il tono di voce di poco prima.

Ernie era indeciso. Decisamente preferiva evitare di andarsene in giro con quella donna, tanto più che non gli importava di approfondire alcun tipo di rapporto con lei. Ma dall'altro era incapace di frenare l'entusiasmo di Giselle.

"D-d'accordo..." mormorò infine come risposta.

Lei batté le mani esultante, quindi afferrò senza tanti complimenti il braccio del collega e lo trascinò fuori dal Ministero, attaccando bottone con gli esiti del prezioso aiuto che aveva ricevuto.

Ernie dovette trasfigurare il mantello in un impermeabile, quando furono nella Londra Muggle. E mentre la mente volava a sua moglie, che avrebbe tanto voluto vedere, Giselle lo portò una sala da thè poco più avanti, continuando a ricordare di quanto fosse stato provvidenziale e miracoloso il suo intervento appena un giorno prima.

Iniziò a temere che il tempo di un caffè si sarebbe orribilmente prolungato, quando le tazzine furono vuotate e la Geraldy parlava ancora.

Ernie guardò l'orologio sospirando e solo allora si costrinse ad ascoltare le parole della donna.

"Le dà così fastidio, che io sia con lei?" gli chiese con fare svenevole. Solo in quel momento Ernie si accorse che Giselle aveva lentamente accostato la sua sedia a lui.

La situazione iniziava a piacergli sempre meno. E la sua agitazione aumentò. Provò a mostrare un sorriso finto, quando si spiegò.

"No... assolutamente. Devo andare... lei mi capisce..." fece per alzarsi, ma una mano di lei lo bloccò, costringendolo così ad arrestarsi e a guardarla negli occhi.

Il tono di voce della strega si fece più basso e sensuale. "Ernèst... io volevo dirle una cosa... è per questo che l'ho invitata qui."

Abbassò lo sguardo per un attimo, prima di rialzarlo nuovamente e di guardare Ernie con occhi speranzosi e languidi. Nel frattempo nella sua mente si stava scatenando il putiferio. Adesso la situazione era diventata insostenibile. Aveva il vago sospetto di cosa stesse per dirgli e decisamente non voleva ascoltarlo.

Arrossì leggermente sulle gote, e tentò di sollevare il braccio per liberarsi così dalla presa della donna, ma dovette accorgersi che Giselle aveva una strana forza sconosciuta. Era in trappola.

"Lei... mi piace molto, Ernèst. Trovo sia un uomo affascinante e molto intelligente, e davvero mi piacerebbe..."

"I-i-io sono sposato!" esclamò improvvisamente lui con voce non troppo alta.

La mano della donna continuava pressante sul braccio. Lo fissava ancora battagliera, sicuramente decisa a non lasciarsi scoraggiare da un'inezia simile.

"Non importa Ernèst... quello che importa è quello che c'è tra noi due..."

Ma non c'è niente tra noi due!, avrebbe detto se, senza che se lo aspettasse, le labbra di Giselle, non si fossero premute sulle sue.

Dapprima sgranò gli occhi, poi dopo un attimo di smarrimento, in cui lei si staccò, la fissò sconvolto e si divincolò con forza liberandosi. Si fece indietro seccato, ma non ebbe il tempo di replicare, perché casualmente gli venne spontaneo lanciare un'occhiata alle spalle della donna, per accorgersi di una figura familiare che aveva malauguratamente assistito alla scena.

Da quel momento Giselle scomparve dalla sua mente. Si alzò in piedi, noncurante di quella sciocca donna e iniziò a fare una gincana attraverso i tavoli in legno della sala da the, per uscirne fuori in fretta.

"Hannah!" esclamò sconvolto, ma prima che potesse ritrovarsi sulla strada, la donna era già scomparsa con la sua Passaporta.

Dopo essersi guardato intorno più volte, aveva iniziato a scuotere la testa, sentendo l'angoscia sopraffarlo. "Oh no... nononononooo.... non questo..." biascicò, prendendo a correre per trovare un posto nascosto in cui Smaterializzarsi. Doveva trovarla e spiegarle tutto. Sapeva di non avere colpa, ma si sentiva ugualmente un verme. Comparve nella loro villetta pochi istanti dopo, ma dovette constatare, che sua moglie aveva trovato un altro posto in cui scappare da lui...

Hannah non aveva usato la Passaporta. Non appena si era recata in quella sala da the, in cui al Ministero le avevano detto che si trovava suo marito, e aveva visto Ernie baciare un'altra donna, l'oggetto le era caduto di mano e la sua mente, quando l'uomo aveva preso a correre verso di lei, le aveva suggerito l'unica cosa da fare in quel momento: Smaterializzarsi.

Non si curò dello sforzo che avrebbe dovuto subire con quel gesto, così si ritrovò solo a pochi chilometri dal posto in cui era sparita e ancora nel cuore di Londra.

Era rimasta ferma nella sua posizione per alcuni minuti, fissando il vuoto come se cercasse di convincersi che quello a cui aveva assistito era stato solo un brutto scherzo. Ma poi le lacrime amare vennero fuori e così anche la sua reazione.

Si portò le mani sul viso, prendendo a singhiozzare, desiderando improvvisamente di essere da un'altra parte, di volere persino un'altra vita.

Si sentiva a pezzi, soprattutto per via dello sforzo che aveva compiuto, ma quando alcuni passanti non si curarono di lei e la travolsero con la loro fretta, si rese conto che non poteva restare in quel posto, tra l'altro sconosciuto, in cui era apparsa.

Prese a camminare con aria vuota, non sapendo dove andare, finché fortuna volle, che riconobbe la facciata di un palazzo a tre piani. Il suo corpo si mosse da solo verso quello che ricordava essere l'appartamento di un suo vecchio amico, Justin Finch-Fletchly.

Justin era l'unico che potesse aiutarla. Lo conosceva fin da piccola e in passato si erano aiutati a vicenda in alcuni momenti difficili, perciò quando suonò il campanello, pregò con tutto il cuore che il suo amico fosse in casa, perché aveva un disperato bisogno di aiuto.

Fu con un sospiro di sollievo che vide la sua faccia sorpresa, quando aprì la porta. La presenza di quel suo caro amico le permise di sciogliersi in pianto, quando Justin, confuso, le chiese il motivo del suo arrivo e notò la sua aria sconvolta.

"Hannah... cosa è successo?" domandò preoccupato, posandole una mano sulla guancia.

Lei singhiozzò disperata, ma prima che potesse provare a spiegargli ogni cosa, Justin la fece entrare in casa e sedere sul divano, con fare premuroso.

Un altro singhiozzo, prima di emettere qualche suono con voce roca.

"N-non è giusto..."

L'amico le si fece a fianco e le posò una mano sulla spalla. Il tocco rassicurante le diede il coraggio per continuare.

"Q-quella donna era così bella... e io sono una... balena! E' ovvio che lui... preferisce quella... ma vederlo... non doveva farlo... e adesso..." biascicò senza controllo, lasciandosi andare allo sfogo senza più remore.

Colpito da tutte quelle parole, Justin fece fatica a capire cosa stesse succedendo. Il discorso venne interrotto anche dall'arrivo della sua fidanzata Lisa Turpin, che dall'altra stanza aveva sentito la voce di Hannah.

Lei, non appena l'aveva vista, aveva cercato goffamente di alzarsi in piedi e aveva mormorato di non voler disturbare e che non avrebbe dovuto fare tutto quel caos, ma l'imposizione severa di Justin, la frenò e la costrinse nuovamente a rilassarsi sui cuscini.

"Adesso stai buona qui e mi spieghi cos'è successo. E piuttosto, dov'è Ernie?"

Senza sapere di aver toccato l'argomento più scottante, si ritrovò in un attimo Hannah, a piangere tra le sue braccia. Non gli ci volle molto, a quel punto, per capire chi doveva essere il motivo per cui la donna era in quelle condizioni.

Lasciò che piangesse ancora, prima di scostarsi un po' da lei e di guardarla rassicurante negli occhi. Non servirono parole per indurre Hannah a spiegargli cosa era accaduto.

Quando ebbe concluso, Justin aveva un'espressione a dir poco sconvolta. Non poteva credere che Ernie, innamorato perso di Hannah da una vita, avesse potuto frequentare un'altra donna. Era inconcepibile. 

E fu con questa inclinazione che le parlò accarezzandole la chioma bionda. "Sono convinto che c'è un malinteso, Hannah... vedrai che se parliamo con lui forse..."

Si interruppe quando lei scosse la testa. "No... adesso no... non riuscirei ad incontrarlo..." gli spiegò con voce piatta.

L'uomo sospirò, passandole un'altra volta le dita tra i capelli. "D'accordo... ora è meglio che vada a riposarti un po'. Sei stravolta e hai persino usato la Materializzazione nel tuo stato..."

La aiutò ad alzarsi in piedi con una certa premura, mentre Lisa si avvicinava gentilmente, prendendole la mano.

"Vieni con me, Hannah." le disse con un sorriso.

Lei si guardò un attimo intorno spaesata. "Oh... n-non voglio disturbare... magari ora torno a casa..." ma le parole le morirono in gola, al pensiero di chi avrebbe potuto incontrare così facendo.

"Non preoccuparti, non sei di nessun disturbo." si affrettò ad accertarle Lisa, convincendola quindi a seguirla nella stanza per gli ospiti.

Justin seguì le due donne allontanarsi, sbuffando a passandosi una mano tra i capelli. Non era possibile che fosse accaduta una cosa del genere, assolutamente. Ernie non era tipo da tradire Hannah, non lui che amava così tanto sua moglie e la considerava la cosa più preziosa che avesse.

Non trascorsero che pochi minuti, da quando il campanello squillò di nuovo, questa volta con più insistenza. Justin si affrettò ad aprire la porta e quale sorpresa, quando si ritrovò davanti proprio Ernie, che con fare agitato e un terribile fiatone, gli sciorinò addosso un fiume agitato di parole.

"Ehi, ehi calma!" esclamò l'amico interrompendolo, mentre usciva sul pianerottolo e socchiudeva la porta alle sue spalle. "Si può sapere cosa diavolo hai combinato?!" gli domandò poi, leggermente nervoso.

Ernie si arrestò un secondo, colpito da quelle parole. "Allora hai visto Hannah! Hannah è qui adesso?" chiese a sua volta, agitandosi nuovamente.

Justin pose le mani in avanti, prevenendo ogni possibile idea dell'amico. "Alt. Frena. Sì, è qui, ma ora non vuole vederti. Ti spiacerebbe spiegare a me, cosa hai combinato con quella donna?" si sforzò di far apparire il suo tono quieto.

"Niente!" esclamò disperato Ernie. "M-mi ha baciato senza che io volessi e quando l'ho allontanata ho visto Hannah lì impalata e... oddio, Justin, è un casino!"

L'amico prese fiato, osservandolo. "Ok, ho capito... immaginavo che tu non c'entrassi niente, non sei tipo da fare queste cose..." iniziò con fare pensieroso, passandosi una mano dietro il collo e poi sulla guancia. Portò poi lo stesso braccio sulla spalla dell'uomo, cercando di rassicurarlo. 

"Ascolta, adesso Hannah è parecchio stanca... ha avuto una giornata terribile e si è sforzata molto-"

"Che le è successo?! Sta male?!" lo interruppe bruscamente Ernie, fissandolo preoccupato.

Justin scosse vigorosamente le testa. "No no, tranquillo, è solo scossa. Lasciale una notte di tempo per riposare, vedrai che domani sarà lei stessa a cercarti per parlare." concluse con un sorriso incoraggiante.

Ernie non parve molto convinto. Chinò per un attimo lo sguardo triste, come per varare la proposta. Poi sospirò.

"D'accordo. Verrò... verrò domattina... prima di andare al Ministero..."

"Potresti anche non andare al Ministero per una volta." replicò indispettito Justin. Quando Ernie sollevò lo sguardo, notò le sopracciglia arcuate dell'amico e l'aria contrariata.

"Se Hannah era lì, oggi, è stato solo perché voleva vederti. Sei sempre occupato con il tuo lavoro, ci credo che si stanchi a star da sola per tutto il giorno."

Mentre parlava, Ernie si rese conto di quanto avesse ragione. Era stato uno stupido e invece di fare il bene di sua moglie, aveva rischiato di distruggere tutto quello che avevano instaurato assieme in quegli anni.

Si posò una mano sulla fronte annuendo col capo. Arretrò di un passo. "D-devo andare ora... a domani."

Justin restò alcuni istanti sulla porta, prima di rientrare nel suo appartamento. Come al solito quei due avevano bisogno di aiuto... incredibile quanto fosse in grado di incasinarsi la vita senza volerlo...

Hannah dormì per poche ore, quella notte. Quando si svegliò non era ancora sorto il sole, ma sentiva di aver riposato abbastanza, così si era alzata a fatica dal letto e si era seduta davanti alla finestra, per osservare il panorama della Londra di primo mattino, che sapeva quanto fosse affascinante.

Aveva letto molte poesie a riguardo, ma non le era mai capitato di osservarla realmente con i suoi occhi. In periferia, dove vivevano lei ed Ernie c'era solo la campagna a circondarla. Non gli alti palazzi illuminati dai primi raggi di sole e le strade ancora deserte.

Ernie... voleva rivederlo. Tutto quello che era accaduto appena un giorno prima le sembrava così lontano, eppure le pesava ancora sul cuore. Ma adesso c'era la consapevolezza di un chiarimento. Voleva sentire dalle sue labbra, quello che era veramente accaduto con quella donna.

Restò in quella posizione per molto tempo ancora, e decise di uscire dalla stanza, solo quando le strade iniziarono a riempirsi di gente e di auto rumorose.

Si vestì e poi raggiunse i suoi amici in sala da pranzo, da cui aveva iniziato a sentire un buon profumo di colazione.

Sorrise quando salutò Justin e Lisa, e si avvicinò alla cucina, dove era impegnata la donna. Si offrì di darle una mano, ma aveva appena preso in mano un cucchiaio di legno, quando avvertì qualcosa dentro di sè.

Sgranò gli occhi, lasciando cadere l'utensile per terra e attirando così l'attenzione degli altri due. Scosse la testa, quando Justin le si avvicinò preoccupato.

"Le acque. Si sono rotte le acque."

Ernie dormiva ancora quando sentì il telefono muggle che avevano in casa, squillare fastidiosamente. Quando la sera prima era tornato nella sua abitazione, aveva vagato fremente per diverse ore, e solo a notte fonda, aveva trovato sollievo sul divano del salotto. Si era addormentato tutto vestito e quando aveva preso in mano la cornetta per chiedere chi fosse a disturbarlo a quell'ora del mattino, aveva un aspetto a dir poco indecente.

La barba sfatta, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, la camicia bianca del giorno prima completamente sgualcita e i capelli tutti arruffati.

"Ernie, sveglia!" la voce di Justin lo destò un po', mentre di colpo tutto quello che era accaduto il giorno prima gli tornava a galla velocemente. Guardò l'orologio, credendo di essere in ritardo, ma si accorse che erano appena le otto.

"C-cosa c'è?" chiese leggermente confuso.

"Devi raggiungerci al S. Mungo! Hannah ha le doglie!"

Decisamente ogni traccia di sonno svanì all'istante, quando registrò quelle parole. Si alzò in piedi di scatto, esclamando di sorpresa.

"C-che significa che Hannah ha le doglie?" chiese stupidamente, prendendo a camminare nervosamente in su e in giù per la stanza.

"Che per Natale ti regalo un cervello nuovo. Sveglia Ernie! Tuo figlio sta per nascere!"

L'agitazione dell'uomo si intensificò, se possibile, ancora di più. "O-o-o-oddio... oddio... arrivo! Arrivo subito! Siete già lì?"

"No..." la voce dell'amico si fece più preoccupata. "Siamo imbottigliati nel traffico, Hannah ha perso la Passaporta e la stiamo portando in macchina. Vai avanti, comunque e avvisa che stiamo per arrivare."

"Ok! Ok! Vado! Vado..." chiuse la comunicazione senza neanche salutare, si fiondò nel bagno per sciacquarsi il viso prima di Materializzarsi al S. Mungo. Non poteva crederci... suo figlio stava per nascere. E lui non si era ancora chiarito con Hannah! 

Doveva farlo. Non c'era tempo da perdere.

Hannah arrivò in ospedale quando già le contrazioni erano diventate più frequenti. I Guaritori la portarono d'urgenza in sala parto, senza attendere un attimo, ma dovettero farei conti con qualcuno che si era avvicinato alla donna, con fare agitato. 

Solo quando Ernie spiegò di essere il marito della donna, lo presero di peso e lo trascinarono nella sala adiacente per fargli indossare un camice verde acido come il loro.

Appena aveva visto Hannah le era andato incontro, chiamandola per nome, ma poi non era riuscito a dirle altro, vista la rapidità con cui si erano svolti i fatti.

Quando si ritrovò improvvisamente nella sala parto e si accorse nuovamente di lei, le si avvicinò velocemente, afferrandole la mano.

"Ti prego Hannah scusa! Non volevo, cioè non sono stato io, quella donna ha fatto tutto sola, ma ti prego perdonami ugualmente, ti prometto che non accadrà mai più, ti amo troppo per farti soffrire così tanto, Han-"

Fu interrotto da un grido di dolore della moglie e solo allora si ricordò che Hannah stava per partorire. Gettò un'occhiata, dove i dottori erano affaccendati e per poco non sbiancò.

"O-oddio..." mormorò preoccupato, avvertendo un certo mancamento.

"E-Ernie..." la voce di Hannah riportò l'attenzione su di lei. Incrociò il suo sguardo affaticato e respirò a fondo. Giusto, non doveva pensare a se stesso, adesso era lei che aveva bisogno di lui. Strinse la sua mano con più forza e le accarezzò la fronte bagnata di sudore, dandole un bacio.

"Avanti, fatti forza." le disse con molta più calma di quella che aveva.

Poco dopo un vagito riempì l'aria e la voce del Guaritore fece le congratulazioni ad entrambi, spiegando loro di aver avuto una bella bambina.

Ernie abbracciò Hanna dalla testa, schioccandole un altro bacio in fronte e assicurandole di quanto fosse stata brava. E nel frattempo un'infermiera avvolse la piccola che non smetteva di piangere un secondo e la porse alla madre.

Hannah rise stancamente, accarezzandole piano il braccino che spuntava dal fagotto, piangendo di commozione. E solo quando lasciò che suo marito la prendesse in braccio, si accorse che la figlia aveva finalmente smesso di piangere. Rivolse uno sguardo dolce al marito che rideva con aria ebete e ancora confusa, con il frugoletto tra le braccia tremanti e finalmente si rilassò sui cuscini, avvertendo una certa tranquillità nel cuore...

Ernie fu costretto ad uscire dalla sala parto, lasciando così Hannah e sua figlia alle cure dei medici.

Qualche ora dopo si fermò per un tempo indeterminato, davanti al nido, per osservare la deliziosa creatura che era sua figlia.

I suoi amici vennero a trovarlo e scherzarono con lui e fecero festa, ma solo quando i Guaritori lo avvisarono che Hannah poteva ricevere visite, tornò veramente in sé.

Si affrettò a raggiungere la sua stanza e tentennò un po', prima di entrare. Quello sguardo che si erano scambiati in sala parto, significava molte cose, ma sapeva che avrebbe comunque dovuto parlare con sua moglie.

Bussò lievemente la porta e sbirciò all'interno con aria titubante. Quando notò Hannah perfettamente sveglia e quasi sicuramente in attesa di lui, entrò del tutto, richiudendosela alle spalle.

Si sentiva a disagio. Ma non era lo stesso che aveva provato quando era con la Geraldy. Perché ora aveva paura. Aveva avuto paura per tutto quel tempo, di perdere sua moglie e ora che si trovava lì, davanti a lei, si sentiva terrorizzato.

Anche Hannah aveva paura. Paura di sentire quello che aveva da dirgli. Paura di perderlo. E paura che tutto finisse male. Quando aveva iniziato ad avere le doglie, il suo primo pensiero era stato che voleva Ernie al suo fianco. E solo quando lo aveva visto scapicollarsi verso di lei, aveva tirato un sospiro di sollievo.

Ma ora, il panico era tornato e negli istanti in cui si guardarono in un silenzio, carico di chiarimenti e di scuse, sentì di tremare.

Ma durò tutto pochi attimi. Nel momento in cui Ernie, con poche falcate le fu vicino e la abbracciò stringendola a sé, tutto svanì come fumo e nel cuore le rimase solo una sensazione di leggerezza.

"Perdonami ti prego... ti giuro che non permetterò più a nessuno di dividerci! E cambierò vita, non tornerò più così tardi te lo prometto!" biascicò Ernie, profondamente dispiaciuto, accarezzandole dolcemente la testa.

Hannah sorrise tra le lacrime, assaporando finalmente la sua vicinanza. "D'accordo... d'accordo..." mormorò anche lei, lasciandosi cullare da quell'abbraccio.

Si scostarono lievemente per scambiarsi un bacio lungo e intenso, finalmente consapevoli che ogni ostacolo era stato superato.

E così si conclude questa storia. Per anni ne ho fatto sempre tesoro e penso che un domani, se mai avrò una famiglia, mi ricorderò di come i miei genitori siano riusciti ad affrontare il loro primo problema coniugale.

Ah, non lo avevate ancora capito? Hannah ed Ernie sono i miei genitori e io ero quell'adorabile frugoletto che si è acquietato solo tra le braccia di papà!

Il mio nome è Sarah McMillan e ormai sono passati venticinque lunghi anni da quell'episodio. E posso tranquillamente affermare che mamma e papà si amano ancora come quel giorno. Son così carucci assieme! In tanti anni di matrimonio ne hanno superati tanti di ostacoli, ma sono sempre riusciti ad uscirne fuori come quella volta.

Ripensando a loro, mi torna in mente quella frase di Mauriac. E chissà se non aveva davvero ragione.

Fine.

Uh uh... allora piaciuta? Spero non sia risultata un po' banale, ma la frase e la coppia mi hanno ispirato questo episodio, perciò spero di avervi per lo meno fatto sorridere un po'. ^^

Un saluto a tutti! E un baciotto speciale a Saretta!:****

Ryta Holmes

   
 
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