Che dire..?
Questa storia mi appartiene, è entrata dentro e la sento mia, come non ho mai sentito nessun'altra mia storia.
La scrivo con il cuore, ci sono ormai affezionata. C'è tutta la mia vita là dentro, scritta in modo diverso e ampliata ma c'è, ve l'assicuro.
I personaggi sono miei, completamente inventati con un pizzico di verità. I luoghi sono interamente miei, così come le vicende. Questa volta non ho preso ispirazione da nessuno, lo giuro.
Ovviamente ci sono le cose ovvie: ci sono i buoni e ci sono i cattivi. C'è il bello della situazione e ci sono gli sfigati. Ci sono i prof quelli che ti fanno venir voglia di spaccare il banco e ci sono quelli che vorresti avere come genitori.
Ci sono i migliori amici, ci sono i peggior nemici. C'è tutto.
Ogni mio personaggio presenta delle caratteristiche che ho rubato a persone che esistono realmente. Diciamo che sono imperfetti e mi piacciono così.^^
Non mi importa se recensite o meno (anche se ovviamente le recensioni le accetto con il cuore aperto) io la continuerò perchè ci sono dentro ormai.
Non aggiorno mai periodicamente, anche se me lo impongo sempre. Scusate, ma scrivo solo quando ho l'ispirazione quindi non aspettatevi aggiornamenti flash xD
Ok... vi lascio alla lettura di questo primo capitolo.
Se volete, ditemi come vi sembra, ne sarei ben contenta!^^
P.S: i versi all'inizio appertengono agli Escape The Fate, tradotti in italiano.
Lo
so, ami resistere
e ci
vuole solo un bacio
semplicemente
ami odiarmi
lo sai,
ami le bugie
non fare
finta di essere sorpresa
che
semplicemente amo odiarti.
Situations;
This Love.
1.
Quel caffé alla quinta ora.
Se quel giorno, quel
primo giorno di scuola, non avessi perso l’equilibrio
macchiandogli la camicia
bianca sarebbe stato il solito noioso e insignificante anno. Con i
soliti prof,
le solite facce depresse dei miei compagni e, naturalmente, le tre
gemelle,
come le chiamavamo noi.
Le tre gemelle? Clarisse,
Marie e Missi. Le tre più in
della
scuola e le tre più stupide
del
mondo, a mio parere.
Non sono realmente
gemelle. Sono solo uguali, decisamente, fatte a machinetta. Identiche.
Tutte
rosa, con fiocchetti rosa, scarpe rosa, vestitini rosa, rossetto rosa,
matita
sotto gli occhi rosa, smalto rosa. ROSA, insomma. Rosa fino alla
nausea, da vomitare.
Quando Christinne le
vedeva arrivare cominciava a masticare nervosamente la cicca, che non
mancava
mai, e batteva il pugno sul banco.
“Cazzo. Guarda le
gemelle, Jade. Le vedi?”
“Sì, le vedo, Chri. Però
calmati ti prego!” scherzavo io, ricordando perchè
le odiava così tanto. Anzi,
perchè odiava così tanto in particolar modo Marie.
“Se Marie non si fosse
intromessa quel giorno..”
“..Ora tu e Marco starete
insieme e stareste la coppia più bella del mondo.”
Continuavo io ridendo e
facendole il verso. Sempre la stessa storia, la stessa scena, gli
stessi
ricordi.
Marie e le altre due
entravano in classe, si sedevano ai soliti posti e iniziavano a
chiacchierare
per tutta l’ora.
Anche quel primo giorno,
alla prima ora, si ripetè la stessa scena.
Mi preparai a separare
Christinne e Marie dal prendersi per i capelli, mentre Marco se la
godeva da
lontano.
Marco?
Ossì. Marco. Quel Marco.
Sta arrivando Marco!
Marco? Marco il figlio del preside?
Sìì! È proprio lui.
Marco? Il figo da paura che è impegnato nella love story
più lunga della sua vita con Marie Jeffer, la figlia
dell’uomo più ricco di
DreamCity?
Yes. Sì. Oui.
Avete capito più
o meno?
No? Allora ve lo spiego meglio, gente.
Marco era il solito
figone della scuola. Quello che se le passava tutte, che rideva e
scherzava
sempre. Aveva sempre e dico sempre, la risposta pronta. E, non so dirvi
grazie
a quale miracolo di Dio, andava che era una meraviglia a scuola; in
tutte le
materie.
Ma Marco era anche
famoso. era il cantante dei LondonBoyzYa.
Famoso è esagerato. Era, diciamo, il cantante di un gruppo
rock-metal emergente della nostra città. Avevano abbastanza
fortuna, ma stavano ancora aspettando la grande opportunità,
come la chiamava lui. Stavano aspettando che qualcuno li lanciasse nel
mondo della musica. Devo ammettere che io ero la loro fan numero 2,
perchè la fan numero 1 era, ovviamente, Christinne.
“Dai cazzo, che nome
orribile!” mi diceva sempre Christinne, sputando. Quella
ragazza era l’amica
quasi perfetta; quasi perchè aveva un unico e insignificante
diffetto: era un maschiaccio. E
quando dico maschiaccio
intendo proprio maschiaccio.
Ruttava,
sputava, le parolacce non le mancavano mai, urlava, prendeva in giro e
chi ne
ha più ne metta. Aah.. vestiva esattamente come un
maschiaccio. Pantaloni rigorosamente stretti, neri, magliette lunghe e
borghie a go go. Trucco pesante e unghie
nere o blu
e qualche volta gialle. ( se erano gialle era davvero un brutto
presentimento).
Era quella la mia Christinne. Ma era perfetta così.
I LondonBoyzYa nacquero
due anni prima che succedesse tutto, per volere del bassista. Fecero
"fortuna" (mettiamo fortuna tra parentesi perchè non
è proprio fortuna, intendiamoci. Mancava tanto a quei
quattro pazzi per arrivare a suonare in televisione)
con un pezzo che Marco affermava fosse dedicato alla sua ragazza. Io
non ci credevo;
non era possibile che quella canzone così schifosamente
dolce fosse dedicata
proprio a Marie, quella schifosa oca del quarto anno. Come il mio.
Non c’erano parole più
dolci al mondo. Christinne mi aveva raccontanto che quando si stavano
frequentavano, cioè esattamente un anno otto mesi tre
settimane due giorni 23
ore 3 minuti e 12 secondi prima di tutto (Christinne teneva il conto e
mi
aggiornava sempre. Era a dir poco.. ossessionata.), lo aveva sorpreso
mentre
scriveva proprio quella canzone. Quindi,
aveva ipotizzato lei, non poteva essere dedicata di certo a Marie.
Ma questo era sempre
rimasto un mistero.
Comunque, quel giorno la
prof entrò in classe e si sedette. Sbatté il
registro sulla cattedra e,
abbassandosi gli occhiali rotondi, ci
guardò uno per uno.
“Non siete cambiati di
una virgola, mocciosetti miei.” Nessuno fiatava. La Mirilli
era la prof più
spregevole e odiata dell’istituto. Era quella che
più odiava fare il suo lavoro
di insegnate, quella che tutti avrebbero voltuto sparisse dalla faccia
della
terra.
Io personalmente la
odiavo a morte. Avevo rischiato la bocciatura per colpa sua.
“Iniziamo subito. Test a
sorpresa.” Annunciò trionfante, vedendo la maggior
parte delle facce presenti
nell’aula sbiancare di colpo.
Io fui tra quelle. Presi
un foglio e mi preparai a scrivere le sue domande a trabochetto. Non ne
azzeccavo mai una giusta. D'altronde.. la matematica non era mai stata
la mia
materia preferita.
La Mirilli si sedette e
prese il libro in mano, benché non le servisse a niente.
Iniziò a dettare le
domande.
Tutte incomprensibili a
mio parere, infatti il primo voto nella sua materia fu un tre secco.
Bel modo
di iniziare l’anno.
Quel giorno, alla quinta
ora c’era educazione fisica. Il prof Multa (sì
tutti lo prendevano in giro per
il cognome estremamente ridicolo) decise di farci fare la lezione
all’aria
aperta, così da darci la possibilità di dare
più ossigeno al nostro cervello.
“Cazzo quanto odio questa
materia.” Sbuffai andando a sedermi vicino a Christinne,
sull’erba.
“Ehm.. io vado a giocare
a calcio.” Si giustificò sorridendomi come per
scusarsi.
Sbuffai ancora e le feci
segno di andare.
Vederla giocare a calcio,
in mezzo a tutti quegli elementi sudati e puzzolenti, mi faceva amare
anche se
poco quello sport. Era così leggiadra e superiore
in confronto a quelli.
Mi faceva ridacchiare
sempre quella sua espressione concentrata mentre organizzava un piano
d’attacco. Prendeva tutto così sul serio!
Mentre parlava tutti
l’ascoltavano rapiti, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
L’ho sempre invidiata per
questa sua particolare qualità. Aveva la forza di catturare
tutti. Era così
unica che tutti volevano conoscerla e ammirarla. Tranne le ragazze, che
sia
chiaro questo. Quelle la odiavano e basta. La trovavano poco femminile
e
trovavano quella sua amicizia con i maschi come un tradimento. I
ragazzi invece
la adoravano, letteralmente.
“Tutte cavolate, scema.
Sei tu che mi stai idealizzando!” aveva scherzato una sera
mentre avevo dato
voce ai miei pensieri.
Io non la pensavo come
lei. Ma si sapeva: lei aveva occhi solo per Marco, il ragazzo dagli
occhi scuri.
“hey Jade” mi svegliai
dai miei sogni ad occhi aperti per ritrovarmi davanti Alex.
“Siediti” gli dissi
sorridendo leggermente.
E così fece. Il
ragazzo si sedette
accanto a me.
“Peccato che non si rende conto di quanto è
particolare.” mi disse guardando
nella mia stessa direzione, cioè Christinne.
Io sorrisi ancora. Mi
faceva uno strano effetto, però, parlare di Christinne con
un ragazzo. Ero
quasi gelosa. Christinne era sempre stata mia. In un certo senso era
sempre
stata il mio unico punto stabile. Non volevo che un inutile e
insignificante
ragazzo me la portasse via. Ne tantomeno Alex, il mio cugino-amico.
Alex era
perfetto. Era bello, simpatico e, perchè no, anche guardato
dalle ragazze. Non eccessivamente, però. Ma lui era da
sempre
innamorato di
Christinne; me lo aveva confessato una volta, quando si era fermato a
dormire a
casa mia.
Gli avevo solennemente
giurato di cucirmi la bocca su questo argomento.
“Jade corri a prendermi
un caffè.” Sbuffai quando il prof mi
ordinò di andare. Avevo seriamente sperato
(e pregato) che Multa quel anno scegliesse un’altra serva.
“Agli ordini.”
Bisbigliai, alzandomi controvoglia.
“Vuoi che ti accompagno,
scricciolo?” mi domandò Alex immitandomi.
Scricciolo. Dio, quanto odiavo quel nomignolo
idiota. Ma era suo, l’aveva inventato
lui e non aveva ammesso lamentele. Era dalla terza elementare che me lo
portavo
dietro.
E in fondo, ma proprio in
fondo in fondo, avevo imparato ad amarlo.
“No no” sorrisi “ce la
farò ad attraversare la terribile giungla piena di alunni
feroci e portare a
termine la difficile missione di portare il caffè al grande
capo Multa.”
Esagerai con voce seria e accompagnando il tutto con gesti della mano.
Alex rise scuotendo la
testa. Aveva una risata strana. Quasi effeminata. Qualche volta lo
prendevo in giro, ma con amore.
Me ne andai. Dovetti
attraversare il lungo cortile della scuola.
Non c’era nessuno a
quell’ora, erano tutti chiusi nelle classi a fare lezione.
Meglio
così,
mi dissi mentalmente.
Entrai nel corridoio.
Come fuori, non c’era quasi nessuno. A parte le bidelle
ovviamente. Quelle non facevano mai un cavolo. Stavano tutto il giorno
a chiacchierare.
La machinetta del caffè
era vicino alla 5° C, ovvero la classe di Marco, di conseguenza
la classe di
mio fratello e più specificamente la classe di Adrea.
Andrea= l’essere più
insulso, idiota, insignificante e cretino che esista al mondo. Affetto
da una
malattia che si chiama ‘sessodipendenza’, non
resiste un giorno senza
passarsene almeno due nel bagno delle ragazze.
Okok, ho esagerato un
po’, ma cazzo! Era davvero così. L’avevo
capito quando in prima era uscito con
Melissa, un’amica della cugina della sorella di Christinne,
ovvero la mia
compagna di banco.
Alla fine della serata le
aveva detto che non ci sarebbe stato niente tra di loro
perchè ci era uscito
solo per aver perso una scommessa con gli amici.
La povera Melissa pianse
per giorni e giorni. Povera ragazza.
Mio fratello, anzi meglio
precisare: fratellastro. (Mia madre era sposata con il padre di Mattia.
Quindi mi
vedevo costretta a vivere con quell’essere che avevo imparato
ad adorare.) era
appoggiato al muro e mi guardava divertito.
“Oh come mai da queste
parti?” domandò, venendomi incontro. Mi
schioccò un bacio sulla guancia.
“Il grande capo Multa
desidera il caffè.” Risposi ridendo.
Tirai fuori una moneta da
cinquanta.
“Piuttosto.. come sono
andate queste prime ore, fratello?” gli chiesi io aspettando
che il bicchiere
si riempisse di caffè.
“Bene, sorella.” Rispose
semplicemente mettendisi la mano nei capelli.
Brutto segno quello.
“Due in storia. Quella
brutta pelata mi ha interrogato.” Confessò
sospirando abbattuto.
“Ti copro io a casa.
Falsificalo in qualche modo.”
I suoi occhi si
illuminarono. “Ti devo un favore, cazzo!”
esaltò ridendo. Risi con lui.
“Io vado. Ci vediamo
magari all’intervallo?” lo salutai con la mano
libera, mentre nell’altra tenevo
il caffè, attenta a non rovesciarlo.
“Va bene.” Mi scompigliò
i capelli e sparì anche lui in classe.
Lo adoravo. Era il
fratellastro migliore che esistesse al mondo. Con me era semplicemente
dolce.
Era protettivo,
estremamente protettivo. Ma mi piaceva così; sapere che
avevo una persona che mi
avrebbe aiutata in qualsiasi circostanza mi rendeva sicura di me. Era
anche grazi a lui che avevo acquastato una certa fama a scuola, dovevo
ammetterlo. A quei tempi tutti facevano a gara per entrare nella top
ten dei più popolari della scuola. Inutile dire che al primo
posto c'era Andrea. Per secondo troviamo Mattia e terzo Marco. Al
quarto c'era Marie e poi io al quinto posto. Lei me lo faceva notare
ogni qualvolta ne aveva l'opportunità. Tra di noi c'era
sempre stata una specie di guerra, che, tristemente, vinceva sempre
lei. Il perchè è ovvio. Lei stava insieme a Marco.
Mi girai velocemente
ricordando che il prof aspettava il caffè.
Pardon. Ricominciamo: mi girai troppo
velocemente. Tanto velocemente da non vedere nemmeno chi mi camminava
davanti.
Quella persona mi finì
addosso, facendomi rovesciare il caffè sulla maglietta.
Dopo che mi ripresi dalla
botta mi rialzai velocemente.
“Guarda dove cammini!” mi
urlò in faccia quello.
Quello? Non poteva essere quello!
Non quello, per favore.
Girava tutto. Intorno a
me girava tutto, cazzo.
Andrea era lì davanti,
incazzato nero. Scusate il termine, ma sono le uniche parole che mi
vengono in mente per descriverlo in quel momento.
Gli avevo rovesciato il
caffè sulla camicia bianca. Bianca!
Bene, mi dissi
mentalmente, perfetto Jade.
“S-Scusa!” balbettai
cercando di riprendermi. Andrea non mi faceva di certo bene. Era
così bello e
terribilmente affascinante con la camicia mezza sbotonata.
Cosa?!
Stop. Non andava bene.
Per niente, cavolo. Gli avevo rovesciato il caffè sulla
camicia. Mi odiava, lo
capivo dai suoi sguardi.
Stava urlando qualcosa,
ma io non sentivo. Io vedevo. Vedevo i suoi occhi azzurro-grigi. Li
vedevo
farsi sempre più grandi e scurirsi. Non mi importava niente
delle sue accuse.
Lì, immersa nel suo
azzurro del cielo e grigio delle nuvole stavo bene.
Mi facevo pena, ma era
così.
Andrea era il migliore
amico di mio fratello Mattia e di Marco. Capitava spesso che casa mia
si
riempisse del suo profumo. Quando Mattia li invitava per studiare o per
fare chissà quale cosa che solo i
maschi sanno
(come diceva sempre Christinne) io me ne stavo chiusa in camera mia e
tremavo.
Sì, tremavo.
Perchè ogni volta che lo
vedevo crollavo. Tutte le mie difese crollavano.
Lo odiavo sì, perchè era
presuntuoso e stupido. Ma allo stesso tempo lo desideravo.
Andrea aveva iniziato a
piacermi in prima superiore quando mio fratello lo aveva portato a casa
nostra.
Si sarebbe fermato da noi anche per cena.
All’epoca avevo quattordici
anni portati abbastanza male: apparecchio, occhiali da vista e
parecchio
brutta.
Lui mi aveva guardata per
un po’ e poi si era presentato.
“Assomigli ad Ugly
Betty, sai?” mi aveva detto ridendo. Mio fratello gli aveva
dato
ragione.
Io lo guarai male e me ne
andai in camera mia. Piansi per ore e ore capendo che non sarei mai
pututa
essere la sua ragazza ideale, brutta come ero.
Dai, portate pazienza.
Ero piccola e indifesa, non conoscevo ancora il mondo fuori.
“Oh ma ci sei?” mi
domandò, passandomi più volte la mano davanti
agli
occhi.
“Cosa?” domandai,
rendendomi conto della figura strepitosa appena fatta.
“Ti ho detto che fa
niente, ma ora come la tolgo questa macchia?”
ripeté esasperato, indicando
l’enorme macchia marrone sulla camicia.
“E io che ne so?”
domandai, realizzando che quello che avevo davanti era Andrea, il
ragazzo
affetto dalla sessodipendenza. Non
l’avevo ancora perdonato per quella battuta di tanti anni fa,
nonostante in
fondo Ugly Betty non avesse niente
a
che fare con me.
Mi guardò male, molto
male.
“Sai che ti dico?
Lasciamo stare, ok?” sbuffò e fece per andarsene.
“Se vuoi te la posso lavare
io.” Dissi, fermandolo a merà strada, stupendolo,
e
stupendomi.
Cazzo avevo appena detto?
Se vuoi te la posso lavare io? Ma
dai. Perchè il mio lato gentile veniva fuori nei casi
peggiori? E poi come
facevo a togliere via una macchia del genere?
I suoi occhi diventarono
due fessure e vidi due rughe formarsi sulla sua fronte.
Si riavvicinò a me.
“Non è che hai intenzione
di infettarla di germi o robe del genere?”
Rimasi a bocca aperta.
Era pazzo. Era l’unica speigazione plausibile che il mio
cervello era in grado
di elaborare.
“Tieni.” Mi mise tra le
mani la camicia.
Cercai di dimenticare che
era davanti a me mezzo svestito. Guardai da un’altra parte.
Deglutì e la strinsi a
me. Tentai di fargli notare che era mezzo nudo e se il la preside lo
avesse visto lo avrebbe, come minimo, sospeso.
“Mattia ha sempre una
maglia di cambio. Gli chiederò di prestarmela.”
Disse vedendo la mia faccia
sconvolta.
Se ne andò sbuffando e
blaterando qualcosa di incomprensibile a me.
Se ne andò lasciandomi
lì, in mezzo al corridoio con il suo profumo tra le mani.
Il miglior profumo del mondo.