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Autore: Naomily    08/10/2009    9 recensioni
[...] "Il punto è che Andrea è nel suo letto."
"Se è nel suo letto." Precisò Allegra.
"E' nel mio letto!" esclamai io, offesa perchè non mi credeva.
"E com'è?" chiese Christinne, tutta curiosa.
"Ubriaco."
"Fico!" esclamò lei.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, bella gente.
Che dire..?
Questa storia mi appartiene, è entrata dentro e la sento mia, come non ho mai sentito nessun'altra mia storia.
La scrivo con il cuore, ci sono ormai affezionata. C'è tutta la mia vita là dentro, scritta in modo diverso e ampliata ma c'è, ve l'assicuro.
I personaggi sono miei, completamente inventati con un pizzico di verità. I luoghi sono interamente miei, così come le vicende. Questa volta non ho preso ispirazione da nessuno, lo giuro.
Ovviamente ci sono le cose ovvie: ci sono i buoni e ci sono i cattivi. C'è il bello della situazione e ci sono gli sfigati. Ci sono i prof quelli che ti fanno venir voglia di spaccare il banco e ci sono quelli che vorresti avere come genitori.
Ci sono i migliori amici, ci sono i peggior nemici. C'è tutto.
Ogni mio personaggio presenta delle caratteristiche che ho rubato a persone che esistono realmente. Diciamo che sono imperfetti e mi piacciono così.^^
Non mi importa se recensite o meno (anche se ovviamente le recensioni le accetto con il cuore aperto) io la continuerò perchè ci sono dentro ormai.
Non aggiorno mai periodicamente, anche se me lo impongo sempre. Scusate, ma scrivo solo quando ho l'ispirazione quindi non aspettatevi aggiornamenti flash xD
Ok... vi lascio alla lettura di questo primo capitolo.

Se volete, ditemi come vi sembra, ne sarei ben contenta!^^

P.S:  i versi all'inizio appertengono agli Escape The Fate, tradotti in italiano.



Lo so, ami resistere
e ci vuole solo un bacio
semplicemente ami odiarmi
lo sai, ami le bugie
non fare finta di essere sorpresa
che semplicemente amo odiarti.

Situations; This Love. 

Situations;
This Love.

 

1.
Quel caffé alla quinta ora.

 

 
Non avrei mai pensato che sarebbe stato l’anno scolastico più eletrizzante della mia vita. Non avrei mai pensato di poter stare così al centro dell’attenzione.
Se quel giorno, quel primo giorno di scuola, non avessi perso l’equilibrio macchiandogli la camicia bianca sarebbe stato il solito noioso e insignificante anno. Con i soliti prof, le solite facce depresse dei miei compagni e, naturalmente, le tre gemelle, come le chiamavamo noi.
Le tre gemelle? Clarisse, Marie e Missi. Le tre più in della scuola e le tre più stupide del mondo, a mio parere.
Non sono realmente gemelle. Sono solo uguali, decisamente, fatte a machinetta. Identiche. Tutte rosa, con fiocchetti rosa, scarpe rosa, vestitini rosa, rossetto rosa, matita sotto gli occhi rosa, smalto rosa. ROSA, insomma. Rosa fino alla nausea, da vomitare.
Quando Christinne le vedeva arrivare cominciava a masticare nervosamente la cicca, che non mancava mai, e batteva il pugno sul banco.
“Cazzo. Guarda le gemelle, Jade. Le vedi?”
“Sì, le vedo, Chri. Però calmati ti prego!” scherzavo io, ricordando perchè le odiava così tanto. Anzi, perchè odiava così tanto in particolar modo Marie.
“Se Marie non si fosse intromessa quel giorno..”
“..Ora tu e Marco starete insieme e stareste la coppia più bella del mondo.” Continuavo io ridendo e facendole il verso. Sempre la stessa storia, la stessa scena, gli stessi ricordi.
Marie e le altre due entravano in classe, si sedevano ai soliti posti e iniziavano a chiacchierare per tutta l’ora.
Anche quel primo giorno, alla prima ora, si ripetè la stessa scena.
Mi preparai a separare Christinne e Marie dal prendersi per i capelli, mentre Marco se la godeva da lontano.

Marco? Ossì. Marco. Quel Marco.
Sta arrivando Marco!
Marco? Marco il figlio del preside? 
Sìì! È proprio lui.
Marco? Il figo da paura che è impegnato nella love story più lunga della sua vita con Marie Jeffer, la figlia dell’uomo più ricco di
DreamCity?
Yes. Sì. Oui.

Avete capito più o meno? No? Allora ve lo spiego meglio, gente.
Marco era il solito figone della scuola. Quello che se le passava tutte, che rideva e scherzava sempre. Aveva sempre e dico sempre, la risposta pronta. E, non so dirvi grazie a quale miracolo di Dio, andava che era una meraviglia a scuola; in tutte le materie.
Ma Marco era anche famoso. era il cantante dei LondonBoyzYa. Famoso è esagerato. Era, diciamo, il cantante di un gruppo rock-metal emergente della nostra città. Avevano abbastanza fortuna, ma stavano ancora aspettando la grande opportunità, come la chiamava lui. Stavano aspettando che qualcuno li lanciasse nel mondo della musica. Devo ammettere che io ero la loro fan numero 2, perchè la fan numero 1 era, ovviamente, Christinne.
“Dai cazzo, che nome orribile!” mi diceva sempre Christinne, sputando. Quella ragazza era l’amica quasi perfetta; quasi perchè aveva un unico e insignificante diffetto: era un maschiaccio. E quando dico maschiaccio intendo proprio maschiaccio. Ruttava, sputava, le parolacce non le mancavano mai, urlava, prendeva in giro e chi ne ha più ne metta. Aah.. vestiva esattamente come un maschiaccio. Pantaloni rigorosamente stretti, neri, magliette lunghe e borghie a go go. Trucco pesante e unghie nere o blu e qualche volta gialle. ( se erano gialle era davvero un brutto presentimento). Era quella la mia Christinne. Ma era perfetta così.
I LondonBoyzYa nacquero due anni prima che succedesse tutto, per volere del bassista. Fecero "fortuna" (mettiamo fortuna tra parentesi perchè non è proprio fortuna, intendiamoci. Mancava tanto a quei quattro pazzi per arrivare a suonare in televisione) con un pezzo che Marco affermava fosse dedicato alla sua ragazza. Io non ci credevo; non era possibile che quella canzone così schifosamente dolce fosse dedicata proprio a Marie, quella schifosa oca del quarto anno. Come il mio.
Non c’erano parole più dolci al mondo. Christinne mi aveva raccontanto che quando si stavano frequentavano, cioè esattamente un anno otto mesi tre settimane due giorni 23 ore 3 minuti e 12 secondi prima di tutto (Christinne teneva il conto e mi aggiornava sempre. Era a dir poco.. ossessionata.), lo aveva sorpreso mentre scriveva proprio quella canzone.  Quindi, aveva ipotizzato lei, non poteva essere dedicata di certo a Marie.
Ma questo era sempre rimasto un mistero.
Comunque, quel giorno la prof entrò in classe e si sedette. Sbatté il registro sulla cattedra e, abbassandosi gli occhiali rotondi, ci
guardò uno per uno.
“Non siete cambiati di una virgola, mocciosetti miei.” Nessuno fiatava. La Mirilli era la prof più spregevole e odiata dell’istituto. Era quella che più odiava fare il suo lavoro di insegnate, quella che tutti avrebbero voltuto sparisse dalla faccia della terra.
Io personalmente la odiavo a morte. Avevo rischiato la bocciatura per colpa sua.
“Iniziamo subito. Test a sorpresa.” Annunciò trionfante, vedendo la maggior parte delle facce presenti nell’aula sbiancare di colpo.
Io fui tra quelle. Presi un foglio e mi preparai a scrivere le sue domande a trabochetto. Non ne azzeccavo mai una giusta. D'altronde.. la matematica non era mai stata la mia materia preferita.
La Mirilli si sedette e prese il libro in mano, benché non le servisse a niente.
Iniziò a dettare le domande.
Tutte incomprensibili a mio parere, infatti il primo voto nella sua materia fu un tre secco. Bel modo di iniziare l’anno.
Quel giorno, alla quinta ora c’era educazione fisica. Il prof Multa (sì tutti lo prendevano in giro per il cognome estremamente ridicolo) decise di farci fare la lezione all’aria aperta, così da darci la possibilità di dare più ossigeno al nostro cervello.
“Cazzo quanto odio questa materia.” Sbuffai andando a sedermi vicino a Christinne, sull’erba.
“Ehm.. io vado a giocare a calcio.” Si giustificò sorridendomi come per scusarsi.
Sbuffai ancora e le feci segno di andare.
Vederla giocare a calcio, in mezzo a tutti quegli elementi sudati e puzzolenti, mi faceva amare anche se poco quello sport. Era così leggiadra e superiore in confronto a quelli.
Mi faceva ridacchiare sempre quella sua espressione concentrata mentre organizzava un piano d’attacco. Prendeva tutto così sul serio!
Mentre parlava tutti l’ascoltavano rapiti, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
L’ho sempre invidiata per questa sua particolare qualità. Aveva la forza di catturare tutti. Era così unica che tutti volevano conoscerla e ammirarla. Tranne le ragazze, che sia chiaro questo. Quelle la odiavano e basta. La trovavano poco femminile e trovavano quella sua amicizia con i maschi come un tradimento. I ragazzi invece la adoravano, letteralmente.
“Tutte cavolate, scema. Sei tu che mi stai idealizzando!” aveva scherzato una sera mentre avevo dato voce ai miei pensieri.
Io non la pensavo come lei. Ma si sapeva: lei aveva occhi solo per Marco, il ragazzo dagli occhi scuri.
“hey Jade” mi svegliai dai miei sogni ad occhi aperti per ritrovarmi davanti Alex.
“Siediti” gli dissi sorridendo leggermente.
E così fece. Il ragazzo  si sedette accanto a me. “Peccato che non si rende conto di quanto è particolare.” mi disse guardando nella mia stessa direzione, cioè Christinne.
Io sorrisi ancora. Mi faceva uno strano effetto, però, parlare di Christinne con un ragazzo. Ero quasi gelosa. Christinne era sempre stata mia. In un certo senso era sempre stata il mio unico punto stabile. Non volevo che un inutile e insignificante ragazzo me la portasse via. Ne tantomeno Alex, il mio cugino-amico. Alex era perfetto. Era bello, simpatico e, perchè no, anche guardato dalle ragazze. Non eccessivamente, però. Ma lui era da sempre innamorato di Christinne; me lo aveva confessato una volta, quando si era fermato a dormire a casa mia.
Gli avevo solennemente giurato di cucirmi la bocca su questo argomento.
“Jade corri a prendermi un caffè.” Sbuffai quando il prof mi ordinò di andare. Avevo seriamente sperato (e pregato) che Multa quel anno scegliesse un’altra serva.
“Agli ordini.” Bisbigliai, alzandomi controvoglia.
“Vuoi che ti accompagno, scricciolo?” mi domandò Alex immitandomi.

Scricciolo. Dio, quanto odiavo quel nomignolo idiota. Ma era suo, l’aveva inventato lui e non aveva ammesso lamentele. Era dalla terza elementare che me lo portavo dietro.
E in fondo, ma proprio in fondo in fondo, avevo imparato ad amarlo.
“No no” sorrisi “ce la farò ad attraversare la terribile giungla piena di alunni feroci e portare a termine la difficile missione di portare il caffè al grande capo Multa.” Esagerai con voce seria e accompagnando il tutto con gesti della mano.
Alex rise scuotendo la testa. Aveva una risata strana. Quasi effeminata. Qualche volta lo prendevo in giro, ma con amore.
Me ne andai. Dovetti attraversare il lungo cortile della scuola.
Non c’era nessuno a quell’ora, erano tutti chiusi nelle classi a fare lezione.

Meglio così, mi dissi mentalmente.
Entrai nel corridoio. Come fuori, non c’era quasi nessuno. A parte le bidelle ovviamente. Quelle non facevano mai un cavolo. Stavano tutto il giorno a chiacchierare.
La machinetta del caffè era vicino alla 5° C, ovvero la classe di Marco, di conseguenza la classe di mio fratello e più specificamente la classe di Adrea.
Andrea= l’essere più insulso, idiota, insignificante e cretino che esista al mondo. Affetto da una malattia che si chiama ‘sessodipendenza’, non resiste un giorno senza passarsene almeno due nel bagno delle ragazze.
Okok, ho esagerato un po’, ma cazzo! Era davvero così. L’avevo capito quando in prima era uscito con Melissa, un’amica della cugina della sorella di Christinne, ovvero la mia compagna di banco.
Alla fine della serata le aveva detto che non ci sarebbe stato niente tra di loro perchè ci era uscito solo per aver perso una scommessa con gli amici.
La povera Melissa pianse per giorni e giorni. Povera ragazza.
Mio fratello, anzi meglio precisare: fratellastro. (Mia madre era sposata con il padre di Mattia. Quindi mi vedevo costretta a vivere con quell’essere che avevo imparato ad adorare.) era appoggiato al muro e mi guardava divertito.
“Oh come mai da queste parti?” domandò, venendomi incontro. Mi schioccò un bacio sulla guancia.
“Il grande capo Multa desidera il caffè.” Risposi ridendo.
Tirai fuori una moneta da cinquanta.
“Piuttosto.. come sono andate queste prime ore, fratello?” gli chiesi io aspettando che il bicchiere si riempisse di caffè.
“Bene, sorella.” Rispose semplicemente mettendisi la mano nei capelli.
Brutto segno quello.
“Due in storia. Quella brutta pelata mi ha interrogato.” Confessò sospirando abbattuto.
“Ti copro io a casa. Falsificalo in qualche modo.”
I suoi occhi si illuminarono. “Ti devo un favore, cazzo!” esaltò ridendo. Risi con lui.
“Io vado. Ci vediamo magari all’intervallo?” lo salutai con la mano libera, mentre nell’altra tenevo il caffè, attenta a non rovesciarlo.
“Va bene.” Mi scompigliò i capelli e sparì anche lui in classe.
Lo adoravo. Era il fratellastro migliore che esistesse al mondo. Con me era semplicemente dolce.
Era protettivo, estremamente protettivo. Ma mi piaceva così; sapere che avevo una persona che mi avrebbe aiutata in qualsiasi circostanza mi rendeva sicura di me. Era anche grazi a lui che avevo acquastato una certa fama a scuola, dovevo ammetterlo. A quei tempi tutti facevano a gara per entrare nella top ten dei più popolari della scuola. Inutile dire che al primo posto c'era Andrea. Per secondo troviamo Mattia e terzo Marco. Al quarto c'era Marie e poi io al quinto posto. Lei me lo faceva notare ogni qualvolta ne aveva l'opportunità. Tra di noi c'era sempre stata una specie di guerra, che, tristemente, vinceva sempre lei. Il perchè è ovvio. Lei stava insieme a Marco.
Mi girai velocemente ricordando che il prof aspettava il caffè.

Pardon. Ricominciamo: mi girai troppo velocemente. Tanto velocemente da non vedere nemmeno chi mi camminava davanti.
Quella persona mi finì addosso, facendomi rovesciare il caffè sulla maglietta.
Dopo che mi ripresi dalla botta mi rialzai velocemente.
“Guarda dove cammini!” mi urlò in faccia quello.

Quello? Non poteva essere quello! Non quello, per favore.
Girava tutto. Intorno a me girava tutto, cazzo.
Andrea era lì davanti, incazzato nero. Scusate il termine, ma sono le uniche parole che mi vengono in mente per descriverlo in quel momento.
Gli avevo rovesciato il caffè sulla camicia bianca. Bianca!

Bene, mi dissi mentalmente, perfetto Jade.
“S-Scusa!” balbettai cercando di riprendermi. Andrea non mi faceva di certo bene. Era così bello e terribilmente affascinante con la camicia mezza sbotonata.
Cosa?!
Stop. Non andava bene. Per niente, cavolo. Gli avevo rovesciato il caffè sulla camicia. Mi odiava, lo capivo dai suoi sguardi.
Stava urlando qualcosa, ma io non sentivo. Io vedevo. Vedevo i suoi occhi azzurro-grigi. Li vedevo farsi sempre più grandi e scurirsi. Non mi importava niente delle sue accuse.
Lì, immersa nel suo azzurro del cielo e grigio delle nuvole stavo bene.
Mi facevo pena, ma era così.
Andrea era il migliore amico di mio fratello Mattia e di Marco. Capitava spesso che casa mia si riempisse del suo profumo. Quando Mattia li invitava per studiare o per fare chissà quale cosa che solo i maschi sanno (come diceva sempre Christinne) io me ne stavo chiusa in camera mia e tremavo. Sì, tremavo.
Perchè ogni volta che lo vedevo crollavo. Tutte le mie difese crollavano.
Lo odiavo sì, perchè era presuntuoso e stupido. Ma allo stesso tempo lo desideravo.
Andrea aveva iniziato a piacermi in prima superiore quando mio fratello lo aveva portato a casa nostra. Si sarebbe fermato da noi anche per cena.
All’epoca avevo quattordici anni portati abbastanza male: apparecchio, occhiali da vista e parecchio brutta.
Lui mi aveva guardata per un po’ e poi si era presentato.
“Assomigli ad Ugly Betty, sai?” mi aveva detto ridendo. Mio fratello gli aveva dato ragione.
Io lo guarai male e me ne andai in camera mia. Piansi per ore e ore capendo che non sarei mai pututa essere la sua ragazza ideale, brutta come ero.
Dai, portate pazienza. Ero piccola e indifesa, non conoscevo ancora il mondo fuori.
“Oh ma ci sei?” mi domandò, passandomi più volte la mano davanti agli occhi.
“Cosa?” domandai, rendendomi conto della figura strepitosa appena fatta.
“Ti ho detto che fa niente, ma ora come la tolgo questa macchia?” ripeté esasperato, indicando l’enorme macchia marrone sulla camicia.
“E io che ne so?” domandai, realizzando che quello che avevo davanti era Andrea, il ragazzo affetto dalla sessodipendenza. Non l’avevo ancora perdonato per quella battuta di tanti anni fa, nonostante in fondo Ugly Betty non avesse niente a che fare con me.
Mi guardò male, molto male.
“Sai che ti dico? Lasciamo stare, ok?” sbuffò e fece per andarsene.
“Se vuoi te la posso lavare io.” Dissi, fermandolo a merà strada, stupendolo, e stupendomi.
Cazzo avevo appena detto? Se vuoi te la posso lavare io? Ma dai. Perchè il mio lato gentile veniva fuori nei casi peggiori? E poi come facevo a togliere via una macchia del genere?
I suoi occhi diventarono due fessure e vidi due rughe formarsi sulla sua fronte.
Si riavvicinò a me.
“Non è che hai intenzione di infettarla di germi o robe del genere?”
Rimasi a bocca aperta. Era pazzo. Era l’unica speigazione plausibile che il mio cervello era in grado di elaborare.
“Tieni.” Mi mise tra le mani la camicia.
Cercai di dimenticare che era davanti a me mezzo svestito. Guardai da un’altra parte.
Deglutì e la strinsi a me. Tentai di fargli notare che era mezzo nudo e se il la preside lo avesse visto lo avrebbe, come minimo, sospeso.
“Mattia ha sempre una maglia di cambio. Gli chiederò di prestarmela.” Disse vedendo la mia faccia sconvolta.
Se ne andò sbuffando e blaterando qualcosa di incomprensibile a me.
Se ne andò lasciandomi lì, in mezzo al corridoio con il suo profumo tra le mani.

Il miglior profumo del mondo.

   
 
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