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Autore: CowgirlSara    09/10/2009    4 recensioni
Era tanto che non tornavano a Loitche. Non che ne avesse sentito il bisogno...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All the way home - Contest


Queste One Shot è stata scritta per partecipare al primo contest del Forum delle Adulte Malate di Tokiohotellite (al quale mi fregio di essere iscritta). Non ha vinto, però ha ricevuto una menzione speciale per la caratterizzazione dei personaggi (cosa che mi fa tantissimo piacere, perché voi sapete quanto ci tengo a questo aspetto!). Il tema del contest era "il ricordo", questo è ciò che sono stata capace di cavarne. Adesso la pubblico anche qui, nel mio principale bacino di utenza, nella speranza di farmi perdonare l'imperdonabile ritardo nella pubblicazione dell'altra storia... Siate clementi, è solo un esperimento!

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.

I Tokio Hotel non mi appartengono, così come la canzone che ho usato.


- ALL THE WAY HOME -

I could smell the same deep green of summer
Above me the same night sky was glowin'
In the distance I could see the town where I was born
(Long walk home – Bruce Springsteen)

Era tanto che non tornavano a Loitsche. Non che ne avesse sentito il bisogno. La sua vita era talmente piena d’impegni, di successo, di denaro e di musica che la nostalgia per il paesello dell’infanzia era certamente il suo ultimo pensiero. E poi aveva sempre odiato quel posto, fin dal primo giorno. Il buco del culo del mondo, lo chiamava da ragazzino. E Loitsche non era davvero cambiata molto da quei tempi…
Rabbrividiva al pensiero di quanto quel posto fosse rimasto uguale, nonostante gli anni passati.
Lui era una persona che aveva la necessità di cambiare, di evolvere, di scoprire e sperimentare cose nuove.
Lì, sembrava che il tempo si fosse fermato, nella staticità di quel pomeriggio autunnale, nel cielo per lo più sereno, ma macchiato da nuvole grigiastre, nell’asfalto sbrecciato delle strade.

Oh, la pensilina dove lui e Tom prendevano l’autobus per andare a scuola!

Cazzo, era ancora la stessa…

Era probabile che ci fossero sempre sopra le scritte fatte da lui e suo fratello ai tempi della scuola.

“Tomi, cosa scrivi?”
“«Viva la fica».”
“Mi fai un favore?”
“Hn?”
“Scrivi per me «Udo Brummer è uno stronzo»?”
“Rotto in culo?”
“Ci siamo capiti.”

Santo cielo! Perché erano tornati in quel posto di merda?!

Sì, lo sapeva. La mamma stava ristrutturando la vecchia casa e voleva che loro vedessero i lavori.
Sì, Tom era stato contento di fare questo viaggio.
Ma, Dio, che palle!

Sbuffò e lanciò uno sguardo obliquo a suo fratello. Tom guidava tranquillo: le mani salde sul volante e il cambio, il finestrino leggermente aperto. Non ci fu bisogno di dirgli niente, perché si girasse a ricambiare il suo sguardo.
“Non sei contento di tornare a casa?” Gli chiese con espressione interrogativa.
Bill sbuffò di nuovo, voltandosi avanti e mettendosi a frugare nella borsa ai suoi piedi.
“Questa non è casa, Tomi.” Rispose infine, retorico, prima d’infilarsi una sigaretta in bocca e accenderla.
Stavolta fu Tom a sbuffare, ma c’era poco da dire: non si erano mai sentiti a proprio agio in quel paese, ma sempre alieni, fuori posto.

Ecco, stavano entrando nel vialetto della vecchia casa. Non ricordava fosse così lontano dalla fermata del bus… beh, tanto, ormai, non doveva più prenderlo!
Una delle due costruzioni in fondo alla stradina quasi sterrata, era circondata da impalcature e teli arancioni. La macchina della mamma era parcheggiata fuori dalla staccionata cadente.
Fuori dall’altra casa, una donna robusta, alla vista della loro auto, alzò una mano e cominciò a sventolarla in segno di saluto.

“Oddio! La signora Woss! Speravo fosse morta!” Esclamò Bill, scivolando più in basso nel sedile.
“Guarda che non è così vecchia, Bill…” Commentò consapevole il fratello, mentre parcheggiava.
“A me sembrava che avesse duecento anni quando l’abbiamo conosciuta!” Sbottò l’altro, con tono allarmato. Tom ridacchiò. “Ma te le ricordi le sue torte di mele?!”
“Come dimenticare…” Soggiunse tristemente il gemello, scrollando il capo.
“Fortuna che sono allergico!”
“Io no…” Mormorò Tom socchiudendo gli occhi con aria abbattuta.
“Ti avverto…” Minacciò Bill alzando una mano. “…se mi strizza le guance, la predo a borsate!”

Gli strizzò le guance. Ma Bill non ebbe cuore di colpirla con la borsa. Soprattutto per rispetto verso la sua amatissima Gucci borchiata.
La donna, nonostante le loro facce non proprio convinte, li salutò comunque con calore. E loro fecero, falsamente, altrettanto. Quante cose s’imparavano nello show biz! Fare buon viso a cattivo gioco era una delle prime.
Entrambi i gemelli, ad ogni modo, ricordavano perfettamente il giorno in cui avevano conosciuto la loro ingombrante vicina.

Erano in quella casa da meno di ventiquattro ore e già la odiavano. Avevano sette anni e stavano litigando furiosamente in giardino. Volavano parolacce come se piovesse. Erano sempre stati molto fantasiosi negli insulti che si rivolgevano. La signora Woss si era affacciata dal muretto divisorio con un gran sorriso sul volto rubicondo (che adesso, alla luce di una nuova consapevolezza, Bill riteneva falso).

“Ciao, bel bambino! Come ti chiami? Mi presenti anche la tua sorellina?” Aveva detto la donna.

Deve morire! Fu la prima cosa che pensò Bill, dopo quelle parole e ancor prima di aver visto e annusato una delle sue immangiabili torte di mele.

La mamma, però, aveva sempre continuato ad accettare quei dolci, nonostante le facce schifate dei suoi bambini e l’opinione del piccolo Bill, secondo il quale doveva dire alla Woss, chiaramente, che facevano vomitare.
Lui, del resto, non era mai stato granché diplomatico, anche davanti a circostanze in cui un tantino di diplomazia avrebbe certamente giovato.

“Ciao Camilla, come butta?”
“Vaffanculo, Udo.”
“Ho capito, vuoi le botte anche oggi.”

Quelle facce evocate dalla memoria scomparvero velocemente, per fortuna, quando i cani uscirono dalla porta di casa finalmente aperta. Gli corsero incontro abbaiando contenti, con le code impazzite. Tom e Bill li salutarono con molta più partecipazione di quella riservata alla signora Woss. Poi uscirono dalla casa anche Simone e Gordon.
I saluti furono affettuosi anche per madre e patrigno e si dilungarono più del dovuto; del resto, non si vedevano da un po’. Tutta la famiglia, quindi, entrò nell’abitazione.

Ricordi ben più piacevoli, o almeno, meno dolorosi, tornarono alla mente dei gemelli.
Ma i due ragazzi non potevano dimenticare la prima impressione che avevano avuto di quel posto…

“Allora, vi piace la casa nuova?”
“Non è nuova.”
“Billi…”
“È una catapecchia.”
“Tomi…”
“Non è che cade mentre ci siamo dentro?”
“Oddio, Bill, no! E poi… Beh, abituatevi, perché è l’unica casa che ci possiamo permettere!”

L’avevano guardata di nuovo e, scambiandosi un solo sguardo, avevano unanimemente deciso di odiarla. Era vecchia, sporca, cadente, aveva la muffa sui muri e sui pavimenti girava qualche piattola nera e lucente.
Avevano urlato, protestato, battuto i piedi, ma tutto ciò che erano riusciti ad ottenere era la mamma che gli ordinava urlando di farsela piacere, perché all’altra casa, con papà, non avrebbero potuto tornarci. Mai più.
Era finita che Bill aveva pianto, la mamma aveva pianto e Tom era rimasto nel mezzo, a fare l’uomo di casa. Ben prima di sapere cosa volesse dire essere un uomo.

Bill e Tom si scambiarono un’occhiata, ancora fermi sulla soglia. Tom sorrise appena, rassicurante. Sembrava dire: “Non è più la casa di allora, non siamo più quelli di allora.”
E Bill si attaccò a quel sorriso come ad un salvagente e mise di nuovo piede nella vecchia casa della bisnonna a Loitsche.

La mamma gli mostrò tutti i lavori che stavano facendo nella casa, compresa la nuova camera realizzata sopra il garage. I gemelli se ne compiacquero.
La famiglia cenò presto, in allegria e quando venne il momento di andare a dormire, Bill si preparò a raggiungere la casa della nonna, in paese.
“No, Bill, voi dormite qui!” Rispose allegra Simone. “Vi ho preparato la vecchia cameretta!”
Il cantante non prese la notizia esattamente con piacere.

“Santo cielo, è un buco!” Si lamentò Bill, appena posata la borsa sul letto. “Era così piccola anche prima?” Aggiunse, mentre si guardava intorno.
“Noi eravamo più piccoli, Bill.” Rispose serafico il gemello, che si era già buttato sul materasso.
“Appunto.” Soggiunse l’altro. “Sei sicuro che ci entriamo, in questi… lettucci?”
“Se ci sto io…” Fece Tom, allargando le braccia per mostrare al fratello che la sua pur notevole stazza rientrava perfettamente nelle misure del letto singolo. “E poi non fare tante storie! Se per una volta non hai un letto quadruplo della superficie approssimativa della Svizzera, credo che potrai dormire lo stesso!”
“Vaffanculo, Tom.” Soffiò soave Bill, sedendosi sul bordo del proprio materasso.

Ma il gemello non lo ascoltava più. Si era voltato verso la finestra proprio sopra il suo letto, che era attaccato alla parete, ed aveva riscoperto la cosa che più amava di quella camera.

Dentro il rettangolo della grande finestra, la cui tenda blu era ancora scostata, Tom poteva vedere un angolo di cielo stellato ed un brillante quarto di luna. Sorrise, ripensando a quante volte si era addormentato, dopo ore di chiacchiere con Bill, guardando quel panorama.

“Tomi, che fai?” Gli domandò Bill.
“Ah… Guardo la luna…” Rispose lui distratto.
“Si vede ancora?” Chiese stupito il fratello.
“Certo, scemottolo! Mica si è spostata!” Esclamò l’altro ridendo. “Vieni a vedere.” Lo invitò poi, spostandosi un po’ e battendo la mano sulle coperte.
Bill sorrise e andò a sistemarsi accanto al gemello; entrambi guardarono fuori. La luna era alta e brillante. In città non si vedevano stelle così.
Poco dopo, Bill si alzò per andare in bagno, ma prima guardò Tom e gli fece un sorriso dolce.
“In fondo, non è poi così male, questa camera.” Affermò, prima di andarsene.
Tom sorrise soddisfatto, concordando dentro di se, poi tornò a guardare il cielo. Non era così tremendo se tutto questo gli era un po’ mancato, no?

“Quale letto vuoi, Billi, a destra o a sinistra?”
“Io sotto la finestra non ci dormo! E se entra qualcuno?”
“Quando è chiusa…”
“Ma non si chiude bene! E se passa la pioggia?!”
“Ok, sotto la finestra ci dormo io…”

La mattina dopo, Tom fu il primo a scendere in cucina. Simone stava preparando la colazione e c’era un buon odore di caffè.
“Giorno, mamma.” Salutò il ragazzo avvicinandosi.
“Buongiorno, topo.” Rispose lei, prima di dargli un bacio sulla guancia.
“Cosa c’è per colazione?” S’informò quindi Tom.
“La signora Woss ti ha mandato la torta di mele…” Le rispose solo uno sguardo inorridito del figlio; lei rise. “Ti faccio un toast.”
“Grazie…” Esalò Tom sollevato, mentre si sedeva a tavola.
“Bill dorme ancora?” Domandò la madre, intenta nella preparazione del panino.
“No, si sta preparando, vuole andare a fare un giro…” Spiegò Tom, che sembrava ancora stupito dalla richiesta del gemello.
“Un giro? E dove?” Chiese curiosa la madre, girandosi verso di lui.
“Mah, non lo so…” Rispose perplesso il ragazzo. “So soltanto che lo dovrò scarrozzare.”
“Prendete la mia macchina, vi farete notare meno che con la tua.” Suggerì allora la donna, con la praticità che le era tipica.

Bene, anche a Loitsche qualche cosa, dopotutto, cambiava.
Avevano rifatto le facciate alla loro scuola. Ora il tutto aveva un aspetto più curato e moderno, rispetto al grigio palazzone dove avevano trascorso le lunghe e noiose giornate scolastiche.
Tom non aveva nostalgia della vecchia scuola ed era sicuro che non l’avesse nemmeno Bill, dato che ci si era trovato, se possibile, perfino peggio di lui.
Ma allora perché suo fratello stava guardando con aria delusa quel muro?! Non si ricordava cosa c’era stato scritto?!

“CAMILLA LA CHECCA BALLERINA VA IN TV”

Solo il ricordo di quella scritta gli faceva salire la rabbia, ma sembrava che Bill, invece, fosse quasi rammaricato che il murales non c’era più.
“Hey, non ti dispiacerà che abbiano cancellato quella frase idiota?!” Domandò Tom al fratello, quasi gridando, perché erano lontani di qualche metro.
“Beh…” Fece Bill, continuando a fissare il muro, poi si girò verso l’altro. “…era la mia scritta.”
“Odiavi quella roba.” Sentenziò Tom, dopo essersi avvicinato al fratello.
“Sì.” Ammise serio Bill. “Ma sai una cosa?” Aggiunse, voltandosi completamente. “Anche sapendo tutto quello che è successo dopo, non rinuncerei all’esperienza in tv.”
Tom lo guardò negli occhi e sorrise. Sapeva che Bill avrebbe detto una cosa del genere. Lo conosceva meglio di come conosceva se stesso. Era un animale da palcoscenico e, per quanto questa frase fosse banale, niente avrebbe mai cambiato la realtà.

“Ti abbiamo vista, in tv, Camilla.”
“Sì, eri proprio carina, con quella gonnellina! Eheheh!”
“Hai proprio una vocetta da checca! Ahahah!”
“Non hai nemmeno vinto, che pippa!”
“Sono arrivato in finale!”
“Sai che sega!”
“Lasciatelo in pace!”
“Oh, stamattina parla anche il fratellino demente!”
“Gonfiamolo!!!”

Mentre tornavano a casa li chiamò la madre: la nonna li stava aspettando e gli aveva fatto i biscotti.
Bill cominciò a battere le mani e saltellare sul sedile come una foca monaca e Tom, più che altro per evitarne la precipitosa estinzione, deviò verso casa della nonna.
Dopo aver debitamente salutato, con profusione di baci e abbracci, Bill, saputo che i biscotti non erano ancora cotti, si precipitò in cortile, pretendendo che il fratello lo seguisse.
Il piccolo giardino era sempre uguale. Bill corse quasi fino in fondo, raggiungendo il breve scalino di cemento davanti allo sgabuzzino.
“Oh, Tomi! Te lo ricordi?!” Esclamò allegro Bill, saltandoci sopra. “Il nostro primo palco! Il palco dei Black Questionmark!”
Tom non poté fare a meno di scuotere la testa e sorridere, mentre il gemello cominciava a fare le sue ormai famose pose da esibizione con un’espressione felice.
“Mi mancano un po’, i Black Questionmark.” Affermò una voce femminile alle loro spalle; i gemelli si voltarono praticamente in contemporanea.

Quando si dice che il cadavere riemerge sempre… Pensò Tom, quando riconobbe la proprietaria della voce.

“Karin!” Esclamò Bill, sorpreso e contento, scendendo con un balzello dallo scalino. “Ciao! Entra, dammi un bacio!”
La ragazza, minuta, bionda e carina, dopo quell’invito, attraversò il cancelletto di legno che separava le due proprietà e si avvicinò a Bill sorridendo. Tom rimase debitamente a distanza.
Il cantante, nel frattempo, si piegava per arrivare a baciarle la guancia. I due cominciarono a parlare, a farsi domande, ridendo. Il chitarrista si teneva ostinatamente in disparte, finché lei non si sporse oltre Bill e lo guardò negli occhi.
“Vabbene che sei un misantropo, ma… non si salutano nemmeno i vecchi amici?” Gli fece, morbida.

Vecchi amici… Questa sì che era una frase dai molteplici significati…

“Ciao, Karin.” Salutò infine Tom.
“Ciao, Tom.” Rispose lei con uno sguardo languido. “È sempre un piacere rivederti.”
Loro si guardavano ancora negli occhi, quando la nonna annunciò che i biscotti erano pronti. Bill, con un saltello entusiasta, si girò verso la casa, gridando: “Arrivo!”
“Scusate, ragazzi.” Aggiunse poi, rivolgendosi agli altri due. “La mia nonnina mi aspetta, vi lascio ad un’imbarazzante conversazione tra ex! Divertiteviiii!!”
E detto questo, balzellando, s’incamminò verso la cucina, lasciando Tom e Karin a fissarlo un po’ perplessi.
“Non cambierà mai, eh?” Fece quindi la ragazza.
“Ti dirò… spero proprio di no.” Rispose Tom. Lei rise brevemente, poi guardò di nuovo il chitarrista negli occhi.
“Allora, che si dice dalle parti di Tom Kaulitz, flirt americani a parte…”
“Ne sai più di me…”
“Dubito che qualcuno possa saperne più di te in certi argomenti.”
“Beh, sai com’è, dato che hai cominciato piuttosto presto anche tu, pensavo…”

Rimasero a fissarsi per qualche secondo. Lei con un sorrisino furbo e malizioso. Lui vagamente imbarazzato, distolse gli occhi per primo.

“Sei sempre il solito, Tom Kaulitz.” Sentenziò infine Karin divertita.
“Dovresti saperlo, hai avuto l’onore di essere la prima.” Ribatté Tom, ritrovando il suo sorrisetto irriverente. “E non solo con me…” Aggiunse, con un cenno verso la casa.
“Oh, non credevo ti rodesse ancora!” Sbottò lei ridendo. “Tuo fratello l’ho solo baciato, in fondo.”
“Già, perché accontentarsi di un Kaulitz, quando puoi averne due…” Commentò lui, vagamente acido. Lei alzò le sopracciglia, retorica.
“Ho sempre saputo fare bene i miei calcoli.” Replicò poi. Si guardarono un attimo, divertiti, poi scoppiarono a ridere.

“Ciao, Bill…”
“Ciao, Karin!”
“Dimmi, Bill, è vero che i gemelli sono proprio uguali uguali?”
“Beh, ecco… non direi che lo siamo proprio…”
“Verifichiamo…”

“Tom, me lo daresti un bacio in memoria dei vecchi tempi?” Domandò la ragazza, una volta che ebbero smesso di ridere. “Sempre che la tua bionda americana non sia troppo gelosa, certo…” Aggiunse con uno sguardo birichino.
“Quale bionda? Ho un vuoto di memoria…” Rispose lui avvicinandosi.
Bill, seduto accanto alla finestra, con le labbra sporche di latte e biscotti, scosse la testa con un sorriso malizioso. Come diceva il detto: la prima volta non si scorda mai?

I gemelli passarono il resto del pomeriggio a casa della nonna, dopo che li ebbero raggiunti anche la madre e il patrigno. Quando, però, il sole cominciò a calare i due ragazzi salutarono la famiglia e si rimisero in viaggio per tornare ad Amburgo.

Erano sulla strada principale di Loitsche e Tom guidava con un lieve sorriso sulle labbra, contento di aver rivisto i propri cari, quando Bill si rivolse a lui.
“Ti fermi ad una tabaccheria, prima di uscire dal paese, devo comprare le sigarette.” Gli disse.
“Ci fermiamo in autostrada, ok?” Ribatté il fratello.
“No, dai, le ho finite, che ci vuole!” Sbottò Bill, sempre particolarmente suscettibile quando si parlava di sigarette. “Mi pare che c’è un minimarket in fondo a quella strada…”
Tom si rassegnò ad assecondare le richieste del gemello, come faceva sempre, e mise la freccia per svoltare quando il semaforo fosse diventato verde.

Bill entrò nel piccolo supermercato che recava anche l’insegna tabacchi. Occhiali da sole e borsa firmata sottobraccio, si avvicinò col suo passo danzante al banco, dietro al quale stava una ragazza di spalle.

“Buonasera.” Esordì educato. “Posso avere due pacchetti di…”

La ragazza si voltò. Bill assunse un’espressione sorpresa. Lei fece una faccia incredula e vagamente spaventata.

“Kristina Trauschke…” Mormorò il cantante, mentre si toglieva gli occhiali.
“Bill Kaulitz…” Esalò la ragazza, con gli occhi fissi in quelli truccati di lui.

Il ragazzino magrissimo e dai capelli troppo neri esce dalla porta di metallo scorrevole e s’incammina a piedi nudi nella neve. Indossa soltanto un paio di boxer bianchi un po’ larghi. Il corpo efebico e sottile è ricoperto di scritte ingiuriose vergate con la stessa matita nera che gli cerchia gli occhi e che lui non vuole coli giù, lungo il suo viso fin troppo delicato. Fa davvero freddo, ma lui cammina a testa alta, verso un mucchio di abiti ormai bagnati, gettati in mezzo al cortile. Tre ragazzine sono ferme sulla porta, ridono, mentre lo guardano.
“Adesso hai capito come vanno le cose, Camilla?!”
“Sì, hai imparato a tenere giù la cresta?!”
“E la tua matita ce la teniamo noi, tanto tu non dovresti truccarti!”
E ridono. E continuano a prenderlo in giro. Lui si ferma, si china a raccogliere la sua roba, poi si rialza e le fissa gelido, più della neve che gli pizzica i piedi. No, non darà mai a quelle tre la soddisfazione di vedergli versare una lacrima.

Bill si aggiustò la borsa sulla spalla, stampandosi sulle labbra un sorriso soddisfatto ma non malizioso.
“Vedo che ti ricordi di me, Kristina.” Disse poi alla ragazza. Lei chinò gli occhi, cercando qualcosa da guardare sul bancone.
“Beh, sei piuttosto famoso ormai…” Biascicò poi, sempre senza rivolgergli lo sguardo.
“Già.” Commentò soltanto lui.
“Cosa volevi?” Domanda rivolta sempre senza alzare il viso.

Ma guarda, guarda… Evidentemente la coda di paglia non le era ancora bruciata tutta… Chissà se il suo accendino d’argento col Jolly Roger poteva aiutare…

“Come ti vanno le cose?” Domandò quindi affabile il cantante. Lei lo guardò stupita.
“Perché?” Replicò leggermente allarmata.
“Così…” Rispose vago Bill, con un gesto ampio della mano. “È tanto che non ci vediamo.”
“Immagino che tu abbia parecchio da fare…” Sbottò Kristina, in un tentativo di sarcasmo. Lui fece un sorrisetto beffardo.
“E le tue amiche come stanno? Sissi e… Come si chiamava la terza del trio delle zoccole?” Domandò poi, mentre ignorava deliberatamente il crescente imbarazzo della commessa, che lo guardava contrariata.
“Erika.”
“Sì, Erika.”
“Si è trasferita a Monaco.”
“E Sissi?”
“È una troia.”
“Oh, beh, questa penso sia una notizia riconosciuta in tutto il Land.” Soggiunse retorico Bill. “Sai, si è scopata anche Tom.”
“Lo so.”
“Capisco…” Fece lui falsamente dispiaciuto. “Sarà stato un bel colpo per la vostra «banda» scoprire che aveva fraternizzato col nemico…”
“Senti…”
“E Udo? Come sta Udo?” La interruppe Bill.

“Lo vuoi capire che non me ne importa niente dei tuoi insulti, delle prese in giro e delle botte?! Io ho un sogno e niente di quello che uno come te potrà fare o dire m’impedirà di realizzarlo!”
“Bill, ti prego…”
“No, Tom! No, deve ascoltarmi per una volta! Hai capito Udo Brummer, io un giorno diventerò qualcuno e tu invece resterai in questo posto pieno di perdenti a riempirti di birra scandente. Quando io sarò una stella, tu sarai sempre il solito stronzo!”
E ancora non s’è pentito del pugno che poi prese quel giorno.

“Udo…” Mormorò confusa la ragazza, poi si riprese con un respiro profondo. “Lavora nell’officina di suo zio.”
“Ah… nell’officina…” Commentò tranquillo Bill. “Salutamelo quando lo vedi.” Ma non c’era nulla di cordiale in quella richiesta.
“Si può sapere che cosa vuoi, Bill Kaulitz?!” Gli chiese allora Kristina esasperata, la pressione di quelle domande la stava innervosendo.
“Che cosa voglio?” Reagì lui sereno. “Due pacchetti di sigarette, voglio. Nient’altro.”

Bill pagò con una banconota da cinquanta e disse alla ragazza di tenersi il resto.

Quando uscì dal negozio il crepuscolo era viola e l’aria profumava vagamente d’erba. Guardò le prime stelle comparire nel cielo e si sentì profondamente contento. Quello che davvero voleva lo aveva ottenuto con le proprie forze, nonostante la povertà, i soprusi dei bulli e le difficoltà di qualsiasi vita. Non aveva finito di crescere e forse il peggio della vita non l’aveva ancora affrontato, ma quella sera si sentiva come se avesse finalmente messo via qualcosa di vecchio e brutto, per godersi tutto ciò che di bello restava.

Si girò. Tom lo guardava con un’espressione interrogativa sporgendosi verso il finestrino del passeggero. Bill gli sorrise raggiante.

“Ci hai messo tanto…” Mormorò il gemello.
“Eh, sì.” Fece il cantante salendo in macchina. “È stato un lungo cammino…” Aggiunse sibillino.
Tom lo guardò aggrottando perplesso le sopracciglia.
“Cosa…” Tentò.
“Andiamo a casa, adesso.” Affermò però il fratello, impedendogli di continuare. E Tom si accontentò del suo sorriso felice, rispondendo allo stesso modo, quindi mise in moto e si diresse verso l’autostrada.

FINE

 Aspetto i vostri commenti! E spero di poter tornare presto su altre pagine... Grazie già da ora, vi adoro!

   
 
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