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Autore: Adelhait    11/10/2009    5 recensioni
Cinque lire.
L’ultima moneta che le rimaneva e poi niente. Tutto sarebbe svanito, come quelle piccole nuvole all’orizzonte del Golfo della sua amata città.
Ora era seduta sul gradino della scala di una palazzina, un po’ deteriorata dal tempo, situata in un quartiere popolare napoletano dove la gente povera come lei viveva.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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_Win for Life_



Napoli 1 ottobre 1956.

Cinque lire.
L’ultima moneta che le rimaneva e poi niente. Tutto sarebbe svanito, come quelle piccole nuvole all’orizzonte del Golfo della sua amata città.
Ora era seduta sul gradino della scala di una palazzina, un po’ deteriorata dal tempo, situata in un quartiere popolare napoletano dove la gente povera come lei viveva.
Era lì e faceva roteare tra le mani quella moneta con la speranza che si moltiplicasse, ma era impossibile. Era una stupida fantasia di una bimba.
Ma lei non era più una bambina, era una donna. Anche se il suo corpo acerbo diceva il contrario. Era ragazza cresciuta troppo in fretta, e non aveva goduto la gioia di vivere a pieno la sua infanzia.
Aveva da poco compiuto sedici anni, eppure questo non la rendeva di certo felice, anzi la faceva in qualche modo infuriare.
“La povertà e la fame non rendono di certo felici. Vorrei non essere così povera”.
Si disse tristemente, mentre una leggera brezza smuoveva la sua chioma corvina. Strinse forte il suo ultimo sostentamento tra le mani. Lo strinse così forte tanto sembrare che entrasse nelle carni. Era suo e di nessun altro. Abbassò il viso e guardò le sue scarpe color marrone, logore e vecchie.
Erano usurate come i suoi vestiti, una gonna grigia, con l’orlo rammentato in più parti. Una camicetta bianca, con sopra un maglioncino aperto nero che apparteneva sua madre, morta da qualche tempo. Era un suo unico ricordo.
“Mamma”.
Sospirò, mentre accarezzava la manica sinistra. Avrebbe voluto piangere, ma non aveva più lacrime. Era troppo stanca per farlo.
Era stanca di quella vita. Di lottare.
Di combattere per un tozzo di pane. Per poche lire.
Sospirò socchiudendo gli occhi, alzò il viso al cielo e li riaprì. I suoi occhi color della terra ammiravano il cielo azzurro. Il colore della vita.
Una vita che lei detestava, ma che accettava. Sembra un vero contro senso, eppure lei era come un parassita che continuava a vivere.
Ispirò l’aria carica di profumi. Di carciofi arrostiti. Di pesce fresco. Di mare.
Intanto sentiva attorno a sé le urla dei venditori ambulanti, come anche quella dei bimbi che si rincorrevano, o delle loro madri che urlavano a squarcia gola. Le voci della vita popolare quotidiana.
Le voci della sua gente.
Sospirò di nuovo e tornò a guardare quella monetina, ora umida di sudore.
“E ora che faccio?”.
Si domandò amaramente, mentre scrollava le spalle avvilita, quando d’un tratto la voce di una persona la fece voltare.
“Comprate il biglietto! Comprate la felicità che io vi offro! Solo pochi spiccioli per la fortuna!”.
Era un anziano signore con qualche capello in testa, occhi sporgenti, malamente vestito e che portava legata con uno spago, una cassetta di cartone un po’ macchiato di unto. Sopra di esso vi era un foro e da dove, estraeva il bussolotto della vincita.
Lei un po’ curiosa lo fissava, mentre giungeva ballonzolante verso di lei, intanto continuava a urlare questa frase:
“Comprate il biglietto! Comprate la felicità che io vi offro! Solo pochi spiccioli per la fortuna!”.
La ragazza si trovò a sorridere. Era un tipo piuttosto bizzarro.
“Chi sarà mai?”.
Si domandò, mentre lo vedeva vendere un bigliettino di carta a una donna corpulenta che, teneva sotto il braccio un paniere ricolmo di verdura.
“Questo biglietto, non tema mia bella signora, è vincente!”.
Cantilenò l’anziano, mentre poneva la sua mano ossuta su quella donna.
La ragazza si sporse ancora di più. Era davvero curiosa, quell’uomo bizzarro la stuzzicava, come anche quella sorta di gioco. Infatti, l’anziano si rese conto che una persona l’osservava con insistenza.
Si voltò e mostrando un sorriso sdentato, si diresse verso di lei.
“Oh, mia bella fanciulla acquista il biglietto della fortuna”.
Lei si alzò dal gradino di fronte a quella proposta. Indietreggiò con il capo, mentre osservava il foglietto di carta, leggermente stropicciato, che l’uomo le offriva.
“Veramente io…”.
Sussurrò, mentre deglutiva.
“Veramente che cosa? Suvvia costa solo poche lire”.
Disse l’anziano, sempre cantilenando, mostrando il biglietto alla ragazza. Lei osservava quel cedolino, mentre sentiva dentro di sé una vocina che le diceva:
“Attenta Kagome è una truffa non ci cascare”.
Però un’altra contrastante le diceva:
“Prendilo Kagome! Prendilo!”.
Senza rendersene conto la sua mano destra si mosse, come spinta da qualcosa, mentre i suoi occhi erano rapiti da quel foglio.
L’uomo si rese conto che la ragazza stava per cedere, e anche senza alcuno sforzo. Veloce come un lampo afferrò la monetina che, lei teneva in mano e sogghignando le disse.
“Affare concluso”.
Le consegnò il biglietto e con un goffo inchino se ne andò, lasciando la ragazza basita da tutto ciò. Lei osservò quel foglietto con il numerino scritto, con una calligrafia malferma. Il numero assegnatele era il tredici.
“I morti”.
Disse storcendo le labbra. Era un numero che non portava molta fortuna, ma purtroppo l’affare era concluso e non poteva di certo tornare indietro. Scrollò le spalle e tornò a sedersi. Voltò il capo e osservò la signora di prima ferma a parlare con un’altra donna.
“Speriamo che il vecchio Totosai faccia subito l’estrazione. Sai mi andrebbero comode qualche lira in più in casa”.
Lei ascoltò la conversazione rapita.
“Qualche lira?”.
Sussurrò, intanto un barlume di speranza cresceva in lei.
“Chissà? Forse estrae il mio numero”.
Continuò, mentre cominciava a fantasticare. Intanto il vecchio Totosai aveva terminato la sua vendita e urlando disse.
“Ora estraggo! Ora estraggo! Ora estraggo la fortuna! Chi sarà il fortunato di oggi?”.
Alzò al cielo il braccio destro mostrando la mano aperta. La ragazza si alzò, socchiuse gli occhi e tenendo stretta al petto il foglietto, cominciò a pregare.
Oh, Madonna Benedetta fa che sia il mio numero. Te ne prego fa la grazia”.
Totosai abbassò il braccio e mise la mano nella cassetta. Cominciò a roteare la mano nel suo interno. Mescolava i bussolotti. Intanto la gente si era fermata di colpo.
Attendeva. Aspettava l’estrazione dei numeri fortunati. D’un tratto il vecchietto di fermò e sorridendo tirò fuori un numero.
“Il numero fortunato è…”.
Si fermò, mentre la gente tratteneva il fiato, come anche lei.
“…è…”.
“Fa che sia il tredici. Fa che sia il tredici”.
Si ripeteva, come una sorta di litania.
“E’ il dodici!”.
Gridò vittorioso. Lei aprì di colpo gli occhi, non poteva crederci aveva perso. Era abilita. Sconcertata.
Si sentì tradita, mentre osservava la donna di prima correre verso il vecchio.
“Ho perso”.
Sussurrò, intanto osservava la scena.
“Ho perso la mia moneta”.
Si disse, mentre la rabbia cominciava a crescere dentro di lei.
“Ho perso!”.
Si ripeté. Digrignò i denti, appallottolò il foglietto e lo buttò di lato. Si sentiva offesa. Credeva che il miracolo sarebbe accaduto e invece niente. Ora non aveva davvero nulla.
“Ehi! Guarda dove butti le cose!”.
Sentendo una voce, lievemente alterata, accanto a sé si voltò di colpo e vide che a parlare era stato un ragazzo. Un bel giovane, leggermente abbronzato, con capelli color dei giochi di luce sulle onde del mare. Occhi di un colore bizzarro, dorato, e vestito da pescatore squattrinato. Senza una lira come lei.
Perché?”.
Sibilò.
“E mi chiedi anche il perché? Ah queste mocciose d’oggi”.
Disse il ragazzo di modo melodrammatico, mentre osservava il viso furente della ragazza.
“Secondo te io sono un secchio per la spazzatura?”.
Lei non rispose, si limitò a fare una smorfia di stizza. Lui la guardò, si sentì offeso da quell’atteggiamento infantile.
“Mocciosa”.
Pensò, ma poi prese il foglietto, lo aprì e vide il numero. Era il tredici. Lì per lì non mostrò nulla, ma poi scoppiò a ridere.
“Credevi di vincere non è vero?”.
Disse tra le risa. La ragazza abbassò il viso imbarazzata, mentre sentiva la gola stringerle. Avvertiva le lacrime negli occhi. Stava per piangere.
“Sì”.
Biascicò, intanto una lacrima scendeva prepotente sul suo viso.
Il ragazzo si accorse di ciò, e con il dito indice della mano destra la raccolse.
“Ehi, non c’è ragione per piangere. È solo un gioco. Uno stupido gioco”.
Lei furente rialzò il viso e tra i singhiozzi disse.
“Era la mia ultima moneta. Non ho più niente! Ho fame. Come camperò adesso?”.
Il ragazzo si scusò, intanto la ragazza continuava piangere. A disperarsi per la sua sorte avversa.
“Mannaggia adesso che faccio?”.
Pensò, mentre si grattava il capo imbarazzato. Quando un’idea gli balenò.
“Tu aspetta qua”.
“Eh?”.
Il ragazzo si voltò e si diresse verso la bancarella della fruttivendola, intanto la ragazza continuava a osservarlo senza comprendere. Intanto aveva smesso di piangere. Lo vide parlottare con la donna. Perché?
Lo vide tornare da lei sorridendo. Era sempre più confusa, quando le lanciò una bella mela rossa. L’afferrò.
“Mangiala è buona”.
Le disse, mentre dava un poderoso morso al frutto. Lei l’osservava, ma poi abbassò il viso al frutto. Aveva fame, ma poi un dubbio l’assalì.
“E’ rubata vero?”.
Lui si fermò e sorridendo le disse.
“E con questo? Tu hai fame e poi ti hanno fregata, no?”.
“Sì, ma questo non si fa!”.
Disse, ma la fame era davvero tanta e senza rendersene conto diede un morso al frutto. Era buona e succosa, ma era consapevole che quello che stava facendo era un reato.
“Mi dannerò”.
Si disse, mentre masticava.
“No. Ci danneremo”.
Puntualizzò lui, mentre le faceva l’occhiolino. Lei sorrise. Un sorriso dolce e materno, cosa che piacque al giovane.
“Qual è il tuo nome?”.
Le domandò.
“Kagome e il tuo?”.
“Inu Yasha detto: il Ladruncolo”.
Lei rise di fronte a questo appellativo.
“Mi sembra un nomignolo azzeccato”.
Ridacchiò. Kagome fece un leggero inchino e continuò.
“Il mio nome completo messere è: Kagome la morta di fame”.
Fini la frase dando un morso enorme al frutto. Inu Yasha cominciò a ridere. Quella ragazza così strana le piaceva. Sorrise e la afferrò per mano.
“Allora mi cara signora Kagome detta la morta di fame che, ne dice di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia?”.
Kagome lo guardò, buttò dietro di sé il torsolo della mela e disse.
“E perché no? Andiamo”.
E lentamente camminarono tra la gente. La gente povera come loro.




Fine.




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Storiella nata da un racconto di un mio cliente del lotto, partenopeo, che mi ha davvero incuriosito.
Esisteva davvero un personaggio così. Nato nel periodo di fame, ma che ridava la speranza alla popolazione ^^. Il titolo di sicuro l’avrete già sentito. Ebbene deriva appunto di un giochino del lotto…mi correggo del superenalotto Vinci per la vita.
Ah, dimenticavo! Il tredici nella smorfia napoletana rappresenta davvero “I Morti”. Che iattura -.-‘
Non sono neanche certa se sia di vostro gradimento. Pazienza XD. Il danno è fatto ^^.
Un bacio a tutti quelli che la leggeranno.

   
 
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