Il mio cervello va per conto suo, lo giuro.
Non avevo alcuna idea circa ciò che andrete a leggere, fino a questo
pomeriggio. Poi la lampadina si è accesa, e con essa le mie dita.
Chiedo perdono in anticipo per le colossali
baggianate che seguiranno.
Quattro capitoli,
non di più. Spero XD
Buona lettura.
Capitolo 1
“Joe,
me ne vado. Mi
licenzio.” Tolgo il grembiule e la bandana. Mi avvio alla porta di servizio,
lasciando il formaggio sulla griglia.
“Edward, dove pensi
di andare?”
“A
casa, Joe. Me ne torno a
casa,” rispondo, infilando le mie cose in uno zaino.
Joe, il quarantenne
grassoccio che mi ha assunto due settimane fa mi guarda come se gli stesse per
scoppiare la testa. Si avvicina, e mi appoggia una mano sul petto. “Non puoi
fare così, hai delle responsabilità.”
“L’unica
responsabilità che ho a questo mondo, Joe, mi aspetta a casa,”
gli dico, chiudendo lo zaino.
“E come pensi di
sfamarla quella possibilità, eh? Se non lavori, tuo
figlio non mangia.”
Punto nel vivo,
chiudo gli occhi e trattengo la voglia di dare un pugno all’armadietto.
Mio figlio. E’ per
lui che sto facendo tutto questo, è per lui che nell’ultimo anno sono arrivato
a fare di tutto, perfino il “cuoco” al fast food di Joe.
“Troverò
di meglio, Joe. Grazie
per l’opportunità che mi hai dato.. ma questo non è il
mio lavoro, non lo è mai stato. Lo sai bene: ho impiegato la prima settimana a
memorizzare gli ingredienti dei panini, e ho speso la seconda a bruciarne la
metà. Non è il mio lavoro,” ripeto, afferrando il
giubbotto dal chiodo appeso alla parete del magazzino.
“Ciao, Joe.”
“Ciao, Edward,” dice, borbottando qualcosa come “Ragazzo… Svogliato…
Fannullone…”
Mi chiudo la porta
alle spalle, e mi ritrovo in mezzo alla strada. Completamente.
Incluso il lavoro
da Joe, nell’ultimo anno ne ho cambiati nove.
Nove lavori: nove
opportunità andate a monte.
Perché, si chiederà
qualcuno, il Marketing Manager di un’importante società si ritrova a farcire
panini da Joe? Semplice: Recessione.
La mia società (o
meglio, ex società) è colata a picco un anno fa, trascinando con sé il
sottoscritto e altre centinaia di dipendenti. All’inizio, incassato il duro
colpo, mi sono rimboccato le maniche ed ho cercato lavoro presso altre aziende,
anche di più piccole dimensioni.
Un figlio ed una
moglie da mantenere, il mutuo di una casa da catalogo d’arredamento da pagare,
una nuova auto: avevo tutto questo sulle spalle, e non mi sono perso d’animo.
Ma si sa, la
recessione è un baratro troppo profondo, per cui mi sono dovuto adattare.
Dopo il primo mese
di colloqui e annunci andati a vuoto, ho accettato un lavoro presso un piccolo
studio di Seattle come contabile. Lavoro completamente diverso da quello del
manager, ma mia moglie e mio figlio contavano su di me. Daniel aveva solo tre
mesi quando ho perso il lavoro.
Dopo un mese e
mezzo sono stato licenziato. La crisi ha colpito anche il piccolo studio, e
ovviamente il nuovo arrivato è stato tagliato fuori dal libro paga.
Poco ha importato
la mia condizione familiare, poco hanno contato le mie suppliche nei confronti
del commercialista: licenziato.
I guai veri e
propri sono arrivati dopo un paio di settimane: quando non sono stato in grado
di far fronte alle spese del mutuo, e a quelle per la macchina. Io e Tanya
avevamo pochi risparmi da parte, e tutti i fondi e le azioni in cui avevamo
investito sono colati a picco assieme ai soldi di tanti americani.
I miei genitori e
quelli di Tanya ci hanno sostenuto, e sono certo che i miei lo farebbero ancora
se sapessero in quali condizioni mi trovo. Circa tre mesi fa – dopo l’ennesima
assunzione presso una sala da bowling, come addetto alle pulizie – ho detto
loro che le cose avevano iniziato a prendere una buona piega, e che in breve
tempo mi sarei rimesso in piedi. Erano entusiasti, e lo ero anch’io, per cui
non ho avuto il coraggio di dirgli la verità, quando non solo ho perso il
lavoro, ma anche la moglie.
Due mesi fa, Tanya
è andata via di casa, lasciando non solo me, ma anche Daniel, il nostro bambino.
L’ha fatto subito dopo il suo primo compleanno, che abbiamo passato in
compagnia dei miei fratelli, Jasper ed Emmett, tagliando una piccola torta
pre-confezionata e bevendo soda da quattro soldi. Non potevamo permetterci
molto, e adesso non posso permettermi nulla.
Ho detto addio
tempo fa all’auto sportiva, alla casa da catalogo: adesso uso i mezzi pubblici
per spostarmi da un capo all’altro della città, e vivo in un piccolo
appartamento con due camere, cucina ed un piccolo bagno. Si trova in un
quartiere povero della città, ma non tanto povero: sono stato fortunato nella
ricerca grazie a Emmett, che vive in zona da qualche anno ed è riuscito non
solo a scovare un appartamento, ma anche a farmi pagare una bassa somma di
denaro per l’affitto.
Somma di denaro che
in questo momento è elevatissima, visto che mi sono appena licenziato.
Perché? si chiederà qualcuno. Hai una casa ed un figlio da
mantenere, hai delle responsabilità, come ha detto Joe.
E’ vero, ho delle
responsabilità, ma ho anche un peso enorme addosso, e non sono più certo di
riuscire a sorreggerlo.
Quando mi sono
laureato avevo grandi progetti per il mio futuro e parte di essi erano ormai
realizzati: una moglie bella e intelligente; una posizione lavorativa invidiata
e molto remunerativa. Avevo tutto.
Nel giro di sei
mesi ho perso tutto: lavoro, amici, conoscenze,
moglie, casa, macchina.
Mi è rimasto lui,
Daniel. Il mio ometto. Cammina, adesso. Ha mosso i primi passi con Jasper ed
Emmett, io non c’ero. Ero a tagliare l’erba nel giardino di una villa per 15
dollari l’ora. Un anno fa, guadagnavo 15 dollari non appena mi svegliavo, tanto
era elevato il mio stipendio.
Mi sento sconfitto,
deluso. Non ho più voglia di rimboccarmi le maniche, anche perché sono talmente
messo male che non ho più neppure quelle, le maniche.
I miei fratelli mi
aiutano quando e come possono, e i miei genitori sono ancora convinti che tutto
vada bene.
Potrei chiedere
aiuto a loro, sostegno economico, ma sono troppo orgoglioso per farlo.
Sono anche tanto
arrabbiato.
Mia moglie, Tanya,
mi ha lasciato. “Non ce
la faccio più. Non posso
continuare in questo modo.” Questo c’era nel biglietto che ha lasciato sul
tavolo la sera in cui è scappata. Nell’ultimo periodo, i litigi fra di noi erano frequenti. Ho imparato presto che pochi
soldi = molti litigi. Litigavamo per le cose importanti, ma in particolar modo
per quelle che erano e sono delle sciocchezze.
Io ero stanco, affranto
e sfiduciato per la mancanza di lavoro, lei lo era perché costretta in una casa
più piccola, in un quartiere in cui non conosceva più nessuno. Abbiamo sempre
cercato di non far mancare nulla a nostro figlio, ma nell’ultimo periodo Tanya
ed io litigavamo anche su quello.
Secondo lei, non
facevo abbastanza per guadagnare. Secondo lei, sarei
dovuto scendere a compromessi, avrei dovuto fare di tutto pur di portare a casa
più soldi.
Ciò che non sapeva,
o che forse non riusciva a capire, è che io facevo già di tutto.
In questi dodici
mesi ho fatto di tutto: per lei, per Daniel.
E sono arrabbiato
perché lei ha scelto la via semplice, la più comoda: è scappata. L’ho cercata
dai suoi, ho contattato i nostri vecchi amici, ma nessuno sa niente di lei: è
come svanita nel nulla.
A me cosa rimane? Un
figlio da crescere, una casa da portare avanti, e un vuoto interiore che
diventa sempre più grande, giorno dopo giorno.
Non avevo in mente
questo, quando pensavo al mio futuro.
Non avrei mai
creduto possibile di ritrovarmi, a 31 anni, in queste condizioni.
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*va a nascondersi in una tomba vuota e si
ricopre di terriccio umido* <-- Halloween è vicino XD