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Autore: CheshireClown    18/10/2009    2 recensioni
'Watanuki sorrideva, triste, ripetendosi che la solitudine era la sua miglior compagna. E in quei momenti pareva proprio di vederla, Yuuko, stesa sul divano alle sue spalle, mormorare qualche commento apparentemente disinteressato fra una nuvola di fumo e l’altra. “Uno dei peggiori difetti dell’uomo è non saper ammettere la verità.”'
Sequel di 'Prenderò un altro bicchiere del suo odio, signor Watanuki'.Ambientata fra il capitolo 185 e il capitolo 186.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kimihiro Watanuki , Shizuka Dômeki
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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desidera altro signor Doumeki Desidera altro, signor Doumeki?

Magre volute di fumo si sollevavano incerte verso il terso cielo.
Qualche colpo di tosse interrompeva di tanto in tanto quel lento fluire di fumo, riecheggiando nel silenzioso giardino.
Lo sguardo si perdeva nella danza dei timidi petali sollecitati dal vento a volteggiare a pochi centimetri dal suolo.
Era facile abbandonarsi a quello spettacolo, rilassare la mente e illudersi di essere pervasi dalla calma che quel luogo apparentemente trasmetteva.
Quella tranquillità tanto desiderata la percepiva, nel gioco di grigie volute e bianchi petali, la osservava da lontano, consapevole di essere incapace di assaporarla.
Come una fredda e oggettiva telecamera seguiva i movimenti della natura che lo circondava, ormai spettatore indifferente di uno spettacolo che si sarebbe ripetuto anche il giorno seguente e quello dopo ancora, ospite perenne di quello strano teatro.
Tutto ciò che si trovava entro i confini del negozio era immobile, nonostante gli apparenti movimenti.
Le volute di fumo si sarebbero per sempre attorcigliate su loro stesse, i petali avrebbero per sempre danzato a pochi centimetri dal suolo, il suo corpo sarebbe per sempre rimasto abbandonato su quel pavimento di legno. Ogni cosa, nella sua mobilità, era ferma.
E così lo era la sua vita.    
Quel giorno qualcosa si era rotto, un vecchio orologio aveva ormai smesso di funzionare, ma l’unica persona capace di aggiustarlo si era sgretolata davanti ai suoi occhi, scivolando via nel buio in cenere.
Watanuki si era fermato quel giorno.
Aveva messo in pausa la sua vita, abbandonandola per accettare la richiesta d’aiuto del negozio. La sua decisione era di rimanere a guardia di quel luogo fino al momento in cui Yuuko sarebbe riapparsa. In cuor suo la certezza che un tale miracolo fosse impossibile lo tormentava, ma niente lo avrebbe smosso dalla decisione presa. Avrebbe protetto il negozio, continuando ciò che la strega aveva iniziato e portato avanti.
Ora toccava a lui esaudire i desideri altrui, tralasciando i propri.
Concentrato sul suo nuovo incarico non si era preoccupato della sua sparizione nel mondo reale, né di ciò che le persone a lui care potessero aver pensato.
Si era allontanato inconsapevolmente da loro e di rimando la sua vita all’infuori del negozio era piano piano scivolata via.
Nessuno si era curato di fargli visita, neppure Doumeki, l’unico a conoscenza della sua decisione.
Ogni tanto la solitudine lo assaliva, gli pareva di sentire la voce dei suoi amici, il vociare degli studenti nel cortile della scuola, addirittura qualche ordine assurdo da parte di Yuko.
E subito dopo si accorgeva che era tutta un’illusione, uno strano scherzo del suo sadico inconscio.
Un sorriso triste appariva così sul suo volto, un sorriso che avrebbe voluto celare i suoi veri sentimenti, dimostrando indifferenza.
Un sorriso che appariva sempre più di frequente, in seguito alla consapevolezza di non dover pensare ai locali in cui andare con Himawari o di non dover preparare il pranzo a Doumeki.
Watanuki sorrideva, triste, ripetendosi che la solitudine era la sua miglior compagna.
E in quei momenti pareva proprio di vederla, Yuuko, stesa sul divano alle sue spalle, mormorare qualche commento apparentemente disinteressato fra una nuvola di fumo e l’altra.
“Uno dei peggiori difetti dell’uomo è non saper ammettere la verità.”

Aveva ottenuto una risposta.
Quel giorno Watanuki aveva risposto al suo quesito, così pensava Doumeki.
Non aveva dovuto ricorrere a strani cibi né a regali dal significato sottinteso. Gli era bastato dichiarare la sua decisione, decidere di volersi allontanare da tutto e da tutti pur di proteggere il negozio, e rincontrare lei.
In seguito Doumeki aveva passato i giorni chiedendosi se era opportuno andare a far visita a quel testone o raccontare la verità a Himawari e incitarla ad andare al suo posto.
Aveva finito per non concludere nulla se non circondarsi dei suoi dubbi.
Era come alzare la testa e in ogni direzione trovare una domanda a cui rispondere, una decisione da prendere e una conseguenza su cui riflettere.
Non si era mai trovato in una situazione simile, non sapeva certo come agire.
Si ostinava a credere che la decisione di Watanuki fosse la risposta che tanto aveva atteso, però…
Però sapeva che non bisognava fidarsi di quello stupido, sarebbe stato capace di compiere qualsiasi sciocchezza.
Poggiò la fronte sulla superficie liscia del banco, sospirando sonoramente.
Attorno a lui il vociare dei ragazzi si spostava come uno sciame d’api in corridoio.
Tempo prima si sarebbe anche lui alzato dal suo posto e diretto verso qualche posticino deserto in cui stare in santa pace, o più semplicemente avrebbe raggiunto Watanuki.
Ora invece il suo corpo non ne voleva sapere di alzarsi. Tutto il peso pareva essersi concentrato nella sua testa, rendendo sempre più densi i suoi pensieri.
Chiuse gli occhi nel tentativo di riposarsi.
Lo sapeva che era inutile, erano notti che non dormiva per colpa del carosello di dubbi e incertezze che vorticava nella sua mente.
In tutta la sua vita le notti passate in bianco si potevano contare sulle dita di una mano, ma era curioso sapere che metà di quelle notti insonni erano causate da Watanuki e dalle preoccupazioni che gli procurava.
-Tutto bene, Doumeki? –
Il ragazzo aprì gli occhi e sollevò la testa non appena sentì la voce di Himawari.
- C’è qualcosa che non va? -
Chiese nuovamente la ragazza in piedi di fronte al suo banco, inclinando di poco la testa da un lato.
- No, non è niente, solo un po’ di stanchezza… - Doumeki si stropicciò gli occhi per enfatizzare quella piccola bugia.
Himawari sorrise poco convinta.
- Se lo dici tu… -
Rimasero in silenzio, come spesso accadeva in quei giorni.
L’assenza di Watanuki si sentiva, e anche tanto.
La ragazza si guardò attorno, accarezzando la classe con il suo sguardo triste.
- Neanche oggi Watanuki è venuto a scuola… -
I suoi occhi erano fissi su un banco vuoto, il suo banco.
Doumeki si limitò a sospirare in risposta.
Per quanto avrebbe dovuto rassicurare Himawari dicendo che quel testone era solo malato?
Poteva raccontarle la verità, ma qualcosa glielo impediva, invisibili catene che tenevano strette quelle informazioni in un angolo oscuro del suo animo.
Magari era quello il momento giusto per sputare il rospo, ma Doumeki sapeva che se lo sarebbe lasciato sfuggire come era successo il giorno prima e quello prima ancora.
- Non pensi che dovremmo andare a fargli visita? -
Continuando a fissare il banco, Himawari sussurrò quella proposta, lasciandola volteggiare leggera e fragile nel silenzio della classe.
Doumeki la guardò, sicuro che lei sapesse già la sua risposta.
- Quando uno è malato è costretto a stare a letto, solo in casa… Watanuki soffre la solitudine, non vorrei che… -
La frase rimase in sospeso.
Nessuno dei due voleva continuarla.
Entrambi sapevano come sarebbe terminata e al contempo lo ignoravano.
- …Pensi gli farebbe veramente piacere? – chiese distrattamente Doumeki.
“Nonostante le sue decisioni?” avrebbe voluto aggiungere.
Himawari parve riflettervi, oppure si perse nuovamente in quel pesante vuoto in mezzo alla classe.
- …Penso di sì. _
Si scambiarono un’ultima occhiata, un silenzioso accordo stipulato nel vuoto dei loro sguardi.
- Domani dimmi come si sente Watanuki. -
Himawari si costrinse a sorridere, un sorriso debole e poco convinto. Girò sui tacchi e come un’ombra scivolò via dalla classe. Doumeki rimase a guardarla, sentendo che in qualche modo lei lo aveva incastrato.
Sbatté le mani sul banco e, con un sonoro sbuffo, si alzò dalla sedia.

Il timido suono del campanellino appeso alla porta d’ingresso ruppe il silenzio calato nel negozio.
Watanuki si ridestò dal suo sonno ad occhi aperti e si diresse verso l’atrio. In piedi sull’uscio vi era la fragile figura di una ragazzina adolescente. Si torturava le mani, guardandosi intorno spaventata.
Sorrise, Watanuki, intenerito da quella visione. In un qualche modo gli ricordava se stesso, tempo prima, quando aveva messo piede per la prima volta in quel negozio e Yuuko lo aveva accolto in maniera bizzarra…
- Cosa desidera? –
La ragazzina sobbalzò all’improvvisa domanda, notando per la prima volta la presenza di un ragazzo davanti a lei.
- Ah, uhm, no, ecco… Io sono capitata qui per caso…-
Watanuki sorrise, sentendosi per la prima volta il padrone di quel negozio.
- Il caso non esiste, esiste solo l’inevitabile. -
La ragazzina sgranò gli occhi, fissando stupita quel ragazzo come se fosse qualche creatura strana.
- Prego, accomodati. -
Con un gesto del braccio Watanuki enfatizzò la sua proposta, invitandola a sedersi ad un tavolino rotondo posto al centro della stanza accanto. Titubante, la ragazzina accettò l’invito, inginocchiandosi lentamente senza mai smettere di guardarsi freneticamente intorno. Il ragazzo rimase ad osservarla, tentando nel frattempo di ricordare ogni singola azione che Yuuko compieva quando accoglieva un nuovo cliente.
- Cosa desideri? – le chiese, sperando di aver scelto bene la prima domanda da porre. Yuuko avrebbe posto lo stesso quesito?
Lo guardò di sottecchi, prima di arrossire imbarazzata.
- Ecco, ci sarebbero tante cose che desidero… -
Ridacchiò piano.
- Se sei giunta fin qui vuol dire che desideri qualcosa di importante. -
Yuuko avrebbe continuato così il discorso, pensò Watanuki. La sua mente era concentrata sullo schema da seguire, lo stesso schema che la strega era solita usare.
- Beh, qualcosa ci sarebbe, ma è praticamente impossibile che si realizzi…-
- Io potrei fare in modo che si realizzi. -
La ragazzina alzò di scatto il capo, fissandolo stupita.
- Può davvero farlo?-
Poteva davvero farlo?
- Certamente, ma dovrai pagare un prezzo in cambio. -
- Ma io non ho molti soldi! E poi…-
La interruppe con un gesto della mano.
- Non desidero soldi, bensì…-
Cosa doveva richiedere come prezzo?
- …lo richiederò a lavoro finito. -
Watanuki avrebbe voluto sprofondare dopo aver notato lo sguardo scettico della ragazzina.
Bella figura che aveva fatto, aveva esitato proprio in una delle fasi più importanti del rapporto con un cliente. Si schiarì la voce, sperando che cambiando discorso il suo piccolo errore venisse dimenticato. Ora cosa avrebbe chiesto Yuuko?
- Allora, qual è il tuo desiderio? -
La giovane cliente rimase a guardare il suo volto apparentemente imperturbabile. Aveva aggrottato le sopracciglia e pareva decisa a non spifferare più del dovuto a quella persona così strana seduta dinanzi a lei. Watanuki sostenne il suo sguardo, sperando di riuscire a convincerla a parlare.
Dopo secondi che parvero ore, la ragazzina parlò.
- Nella mia scuola hanno indetto un concorso di poesia. Io e la mia amica abbiamo deciso di iscriverci, abbiamo scritto ognuna il proprio componimento e lo abbiamo consegnato. -
Si fermò qualche istante, attimi in cui nella sua testa Watanuki le urlava di continuare, di dirgli tutto.
- Poco prima della consegna la mia amica ha proposto di leggere la mia poesia e io la sua. Era veramente bella, di quelle che meritano il primo posto. Però…-
Studia le sue parole, cerca i significati, si ripeteva Watanuki nella sua mente.
Così faceva Yuuko, no?
- …però pochi giorni fa abbiamo ricevuto una brutta notizia dalle persone che avevano indetto il concorso: il componimento della mia amica era sparito dal giorno alla notte e non riuscivano più a trovarlo. Così…-
C’era qualche segreto nascosto fra quelle righe, ne era sicuro. Si concentrò ancora di più, richiamando alla mente tutti i metodi della strega che aveva visto essere messi in atto.
- …la mia amica ci è rimasta molto male, ci teneva molto a quella poesia…-
Studiò la ragazzina seduta dinanzi a lui, nel vano tentativo di trovare un dettaglio, un particolare che la tradisse.
- …per cui mi piacerebbe molto riuscire a ritrovare il suo componimento…-
Era il suo momento, doveva dire qualcosa, darle l’aiuto che tanto desiderava.
Eppure la sua bocca rimase ben chiusa, la mente così affollata di pensieri da sembrare vuota.
Yuuko, cosa avrebbe fatto lei?
Watanuki aprì la bocca, per poi richiuderla.
No, non lo sapeva.
Non sapeva cosa dire.
Non sapeva cosa fare.
Come sfuggire a quella scomoda sensazione?
Lo sguardo della giovane cliente si fece nuovamente scettico.
Si scoprì nervoso, teso, a disagio.
Doveva fare qualcosa.
- Dunque…-
Poteva chiedere altri dettagli, ma sembrava che quel racconto bastasse.
Inspirò a fondo.
- Rifletterò su ciò che mi hai appena detto, quando sarò giunto a una conclusione ti riferirò il responso. -
Delusa.
Scettica.
Arrabbiata.
La ragazzina lo fissò per pochi attimi, piccole lente eternità.
Watanuki provò il forte desiderio di alzarsi e correre in camera, buttarsi sul letto e affondare per bene il viso nel cuscino.
Si impose di mantenere la calma, cercando di ignorare almeno per cinque minuti quelle imbarazzanti emozioni che gli laceravano il petto.
Accompagnò la ragazzina fino alla porta d’ingresso, si congedarono con timidi saluti e lei sparì dalla sua vista.
Con uno strano sorriso tornò nella stanza dove prima erano seduti, mantenendo il controllo ancora quei pochi minuti.
E crollò.
Cadde in ginocchio, il volto nascosto fra le mani.
Si raggomitolò sul pavimento, reprimendo urla di imbarazzo e frustrazione.
Aveva fallito.
Aveva davvero fallito.
Si sentiva uno sciocco, un inetto.
Aveva ereditato il negozio e non sapeva gestire un cliente così semplice!
Yuuko non avrebbe certamente sbagliato, perché non riusciva a essere come lei?
Strinse i pugni, digrignò i denti.
Avrebbe voluto rincorrere quella maledetta ragazzina e cancellare i ricordi del loro incontro dalla sua mente, far sparire quell’orrenda macchia che puzzava di fallimento e incapacità.
Urla represse premevano contro le sue labbra, gemiti soffocati che vibravano strazianti nel silenzio.
Perché, si domandava, perché ho fallito?
Si perse in quell’attimo, non riusciva più a capire nulla.
Non sentì nemmeno il lieve e dolce suono del campanellino, né quello soffice e ritmato dei passi in corridoio.
Gli unici suoni che sentiva erano le risate di quella maledetta ragazzina che con tutta probabilità ora si stava prendendo gioco di lui con le sue amiche.
Affondò le mani nei capelli, artigliandosi il capo quasi con l’intenzione di strapparsi una a una le povere ciocche imprigionate fra le sue dita.
- Cosa…?-
Sgranò gli occhi per la sorpresa, Watanuki.
Volse lentamente il capo in direzione della porta della stanza.
- Cosa diamine stai facendo? -
Non guardare Doumeki, avrebbe voluto urlare.
Non guardare il mio fallimento!
Rimase immobile a fissarlo, a sostenere quello sguardo incredulo.
Le mani lentamente scivolarono via dalla testa.
Con immensa fatica si rialzò, sistemandosi le vesti.
Non doveva apparire così, non davanti a Doumeki.
Si schiarì la voce e sorrise a fatica.
- Cosa desideri, Doumeki? -
Fu un attimo, non si accorse nemmeno di quello che stava succedendo.
Watanuki si ritrovò con la guancia in fiamme e il volto rivolto verso la sua spalla destra.
- Mi stai prendendo in giro? Mi piacerebbe sapere qual è il tuo problema piuttosto! -
Era furioso.
E spaventato.
Non aveva mai visto Watanuki in quelle condizioni, ancora stentava a crederci.
Altroché solitudine, aveva ben altri problemi a quanto pareva!
E si ostinava a mentire!
Strinse i denti, Doumeki, continuando a fissare Watanuki.
- Non era niente, passerà. -
- Non raccontare bugie! -
Deglutì Watanuki. Per l’ennesima volta non sapeva cosa fare.
- Allora? Cosa diamine ti è successo? -
Si soffermò sulla fronte aggrottata del ragazzo. Era veramente arrabbiato. E preoccupato?
Non sapeva se sputare il rospo, raccontargli ciò che era appena successo.
Eppure qualcosa lo fermava…
Doumeki lo sorprese, afferrandogli il braccio e costringendolo a guardarlo negli occhi.
- Non lo ripeterò ancora una volta: parla. -
Un sorriso triste come risposta.
- A quanto pare non sono molto adatto per il ruolo che ho scelto…-
Cercò di sfuggire a quello sguardo penetrante, a quelle dolorose domande.
- Perché? -
No, non era proprio adatto. Aveva fallito al primo tentativo, si era piegato al senso d’impotenza che l’aveva pervaso… Che diritto aveva per dichiararsi padrone di quel negozio?
Doumeki era sul punto di ripetere con maggiore enfasi la sua domanda, quando Watanuki parlò.
- Forse ho sbagliato, quel giorno… Non sono come Yuuko, non sono riuscito a capire quale era il vero problema di quella cliente…Eppure lei mi aveva raccontato quanti mi bastava per capire… Ma non ci riuscivo, nonostante cercassi risposte nei miei ricordi, prendendo esempio dai momenti trascorsi in compagnia di Yuuko… Non ci sono riuscito…Non ci sono riuscito…-
Un movimento brusco, goffo.
Watanuki si ritrovò col viso premuto contro la nera stoffa della divisa di Doumeki.
Lo stava abbracciando.
- Sei un perfetto imbecille! – lo rimproverò.
Sorrise, arrendendosi.
- Lo so. -
- Non sei Yuuko! -
- Lo so. -
- Sei tu il padrone di questo dannatissimo negozio, ora sei tu a gestire il tuo lavoro a modo tuo. Yuuko non c’entra più niente. -
Rimase in silenzio Watanuki.
Provava uno strano senso di conforto.
C’era del vero nelle parole di Doumeki, una verità che Watanuki si era dimenticato di considerare.
- Non credo tu debba risolvere i casi che ti vengono proposti con i metodi di quella donna. Non hai i suoi poteri, hai i tuoi e devi usare quelli. -
- Qual è il motivo di tutta quest’improvvisa saggezza? -
Scoprì di allontanarsi da quel caldo petto di malavoglia.
Sul volto di Doumeki apparve una buffa smorfia.
- Andrà meglio la prossima volta, giusto? – chiese, fissando il pavimento, temendo forse che guardando il viso di Doumeki avrebbe trovato una spiacevole risposta.
- Già. -
Sorrise, sentendo le forze piano piano tornare.
La tempesta si era placata.
Si era rialzato, aggrappandosi alla mano che Doumeki gli aveva teso.
Se non fosse arrivato tempestivamente cosa sarebbe successo?
- A proposito, cosa ci fai qui? -
Watanuki non ci aveva fatto caso, ma ora si domandava curioso il motivo di quella visita inaspettata.
Sbuffò Doumeki, sembrava imbarazzato.
- Beh, io e Himawari pensavamo ti sentissi solo e così sono venuto qua a vedere come stavi…-
Sorrise, Watanuki. Sentiva che quelle parole celavano altre preoccupazioni cui Doumeki pareva non voler dar voce.
- Non le hai ancora detto niente? -
Il ragazzo lo guardò di sottecchi, senza rispondere.
- Non dirle nemmeno di oggi, non voglio che si preoccupi. -
Gli parve di vedere un lampo di rabbia illuminare gli occhi di Doumeki.
- Va bene. -
Indugiò per pochi secondi, indeciso sul da farsi, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta.
- Vado. -
Watanuki osservò la sua schiena rimanere ferma su quella porta.
Stava pensando a chissà cosa.
Aprì la bocca Doumeki, incapace di tirare fuori le parole.
Doveva dirlo?
- Cosa desidera, signor Doumeki? -
Volse il capo verso Watanuki, sorpreso.
Parve riflettere ancora qualche istante, prima di rispondere.
- Vorrei che mi preparassi il pranzo. -
- Mi hai preso per la tua cameriera? – gli urlò Watanuki, ma poteva giurare di sentire un tono divertito nascosto dietro quelle grida.
- Mettici anche qualche dolcetto, lo verrò a prendere domattina. –
E se ne andò.
Lasciando Watanuki solo in quella stanza. A sorridere.
In qualche modo, in qualche strano modo, gli pareva di essersi riappropriato di un frammento della sua vecchia quotidianità.

Doumeki aveva ottenuto la sua risposta.
Non da Watanuki, ma dal suo cuore.
Che quel testone provasse qualcosa o meno, poco importava.
Doveva stargli vicino, questa era la risposta che aveva trovato.
Tolse la carta che avvolgeva il bento e aprì la confezione.
Un raffinato quadro di cibarie si mostrò in tutta la sua bellezza agli occhi di Doumeki.
Non esitò ad impugnare le bacchette e gettarsi sul cibo.
Forse non avrebbe mai saputo quante ore Watanuki aveva speso la sera prima a pensare a cosa preparargli.
Forse non avrebbe mai saputo dell’espressione felice e sollevata che aveva sfoggiato Watanuki mentre s’impegnava a cucinare il suo bento.
Forse non avrebbe mai saputo questi piccoli, importanti particolari.
Gli bastava permettere a quel dolce sapore carico d’affetto di diffondersi nel suo corpo e nella sua anima.
Desiderava mangiare tutti i giorni pasti preparati da Watanuki.
Desiderava rimanergli accanto per aiutarlo, per fargli capire che non era solo.
Desiderava solo essere certo che fosse felice.


***

Continuo di 'Prenderò un altro bicchiere del suo odio, signor Watanuki'.
Ambientato fra il capitolo 185 e il capitolo 186. Scritta poco dopo l'uscita del capitolo 185, ho deciso di pubblicarla solo ora.
Molto probabilmente scriverò un continuo anche di questa fic.
Non mi ritengo pienamente soddisfatta del risultato finale, c'è un punto della storia che non mi convince molto e in cui ho paura di essere caduta lievemente nell'OOC. Mi riferisco al 'punto di rottura', al momento in cui tutto crolla e Doumeki aiuta Watanuki a rialzarsi. In quella parte, dovendo descrivere una situazione che nel manga si presenta raramente e in toni molto più lievi, ho paura di non aver reso pienamente i caratteri di entrambi.
Comunque ho sempre pensato che quel 'punto di rottura' possa essere avvenuto nel manga nel lasso di tempo fra i due capitoli in cui tutto viene lasciato all'immaginazione. Il motivo? Watanuki non è Yuuko, non ha i suoi poteri, deve trovare il suo metodo di lavoro e cominciare a 'camminare sulle proprie gambe'.
Riguardo al caso della ragazzina spero di aver fatto capire la risposta, ovvero che ella stessa aveva nascosto il componimento per invidia.

That's all folks.
  
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