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Autore: Rorat    07/06/2005    20 recensioni
La donna guardò gli uomini armati, i cadaveri che ingombravano la sala, senza che una contrazione di terrore, di orrore o di oscurità, si disegnasse sul suo viso.
Ryo le si avvicinò e rimase come impietrito, turbato, incapace di scostare lo sguardo da quegli occhi, che adesso poteva vedere da vicino, per la prima volta da quando si erano incontrati.
Aveva imparato a leggere le parole senza voce, a guardare le persone dal di dentro, senza quell’ingannevole velo che le avvolge quando si nascondono dietro le apparenze, quando celano i loro sentimenti, le loro paure al mondo. Ma in quegli occhi di ghiaccio Ryo non vide nulla, non trasmettevano nessuna emozione. Compassione, dolore, tristezza, odio, felicità erano sentimenti che sembravano non fossero mai appartenuti a quella donna. Erano occhi senz’anima quelli che aveva di fronte, occhi senza voce, senza lacrime da versare.
Genere: Azione, Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Black out

 

Quando quella notte la corrente elettrica venne a mancare, Kaori si trovava nella sua stanza, sdraiata sul letto, intenta a leggere un giallo che, pagina dopo pagina, diventava sempre più interessante.

“Verso le nove del mattino, il detective Malone si svegliò. Si alzò cautamente per non svegliare Diana, che gli dormiva accanto, e andò a guardare Elisabeth. Nel suo letto la bambina non c’era, in bagno neanche. Era scappata, come aveva temuto. Ma come diavolo aveva fatto, se la porta era chiusa a chiave e la serratura ancora bloccata? Allora si mise a guardare in tutti i posti in cui avrebbe potuto nascondersi. Niente, svanita. Doveva svegliare Diana e dirle che…” 

Kaori non poté terminare la lettura della frase che all’improvviso la lampada non emise più luce e la stanza piombò in un buio pesto.

Si stupì, si lamentò, imprecò, ma non per questo la luce ritornò, così decise di alzarsi e, avanzando a tentoni, cercò di orientarsi verso la porta. Raggiunse il corridoio, per un soffio evitò di cozzare contro lo spigolo di una scarpiera e finalmente arrivò in cucina. Frugò nei cassetti e trovò il suo santo graal: la torcia a pile. L’accese.

Percorse tranquillamente la sala da pranzo. Uscì in balcone.

Erano numerose le persone affacciate alle finestre dei palazzi, che circondavano quello in cui abitava insieme a Ryo, uno sweeper di fama internazionale, di cui, lei, era l’assistente.

Anche fuori si era circondati dalle tenebre.

Osservando l’orizzonte, Kaori poté constatare che, esclusa la parte del quartiere di Shinjuku colpita dal black out, Tokyo continuava  a sfavillare in lontananza.

All’incessante canto delle cicale si unì il brusio e il parlottio dei vicini. Un insieme di vari tipi di voci: femminili, maschili, cristalline, nasali, adirate, annoiate, lamentose, si mescolarono insieme creando un coro fastidioso e stridulo.

Molte di loro informavano di aver telefonato alla compagnia elettrica: avevano risposto che stavano lavorando alle centraline e che tra circa un paio d’ore avrebbero ripristinato la tensione.

Era estate, un caldissimo agosto, l’umidità era alle stelle, l’aria era ferma e densa. Con climatizzatori e ventilatori fuori uso, pareva impossibile pensare di rimettersi a letto, ma la resa fu inevitabile. Stufi di mormorare, i vicini preferirono rientrare in casa. Il bisbiglio cessò, persino il frinire delle cicale ebbe fine. A rompere il silenzio rimase solo il rombo di qualche motore in lontananza. Kaori si abbandonò all’idea di provare a dormire e con la torcia accesa fra le mani, si avviò in cucina. Il caldo appiccicoso le aveva messo sete.

Aprì il frigo. Sarebbe rimasta volentieri lì davanti a godersi la salvifica frescura, ma, afferrata una bottiglia d’acqua, richiuse subito lo sportello per non disperdere il freddo. Pensò che da qualche parte ci dovevano essere delle candele. Avrebbe potuto cercarle, accenderle e facendosi luce con quelle aspettare il ritorno di Ryo. Quello scansafatiche, come al solito, non era in casa, sicuramente indifferente al fatto che, quasi tutta la zona in cui era collocato l’appartamento in cui viveva, fosse al buio.

“Sono certa,” pensò Kaori, “che quel porco è in qualche postaccio a divertirsi, a ubriacarsi, a far baldoria… Perché cavolo  dovrei preoccuparmi per lui?”

Ritornò in camera sua di malumore, tuttavia, nonostante la temperatura sfiorasse i 40° C, prese miracolosamente sonno poco dopo aver appoggiato la testa sul cuscino.

Aveva lasciato la porta della camera socchiusa, in modo da poter sentire l’arrivo di Ryo, che, da animale notturno qual’era, aveva l’abitudine di rincasare all’alba, canticchiando motivetti spensierati a bocca chiusa.

Non erano ancora le due di notte quando un rumore sordo, proveniente dal piano inferiore, la svegliò di colpo. Allungò una mano verso la lampada che teneva sopra il comodino, ma al click tutto rimase avvolto dal buio più totale: la luce non era ancora tornata.

Impugnò la torcia e scese al piano inferiore certa di trovarvi Ryo.

Cercò, illuminando la sala da pranzo, di scorgere la sagoma dello sweeper, ma non sembrava esserci anima viva in quella casa, a parte lei.

“Ryo,” chiamò a voce alta, “sei tu?” domandò.

Silenzio, nessuno rispose.

Kaori, ne era più che certa, quel rumore lo aveva sentito benissimo, non lo aveva sognato. Qualcuno doveva per forza essere lì. Si convinse che Ryo stesse approfittando della mancanza di luce, per sgattaiolare inosservato nella sua camera evitando di incontrarla o, magari, per comparire all’improvviso e farle prendere uno spavento.

“Avanti, non fare il cretino, esci fuori,” intimò Kaori. “E’ inutile che tu rimanga nascosto, ti ho sentito entrare. Forza, esci.”

Anche questa volta nessuno aprì bocca.

Nel tentativo di individuare il collega, esplorò la stanza spostando il sottile fascio di luce ovunque. Fu accurata, scrutò ogni mobile, divano, tavolo, dentro, dietro, sotto il quale Ryo si sarebbe potuto nascondere. Niente.

“Possibile che lo abbia solo immaginato?” si domandò.

Era del tutto inutile rimanere lì, probabilmente non c’era davvero nessuno, era stato solo uno scherzo della sua mente. Decise di ritornarsene a letto, tanto più che in quel silenzio abissale, Kaori riusciva persino a sentire i battiti del proprio cuore. Anche fuori tutto sembrava essere immobile.

Risalì le scale, si era appena lasciata alle spalle il quarto gradino, quando la luce della torcia s’illanguidì a poco a poco, per poi morirle tra le mani.

“Maledizione,” si lamentò, “ci mancava solo questa.” Tentò di rianimare l’apparecchio sferrandogli qualche colpo con il palmo della mano. Un ultimo debole bagliore si diffuse agonizzante davanti a lei, prima di estinguersi del tutto.

“Stramaledette batterie!”

Stava ancora brontolando quando l’impressione che qualcuno fosse con lei in casa divenne certezza fisica. Avvertì un odore estraneo, un’ombra scivolare lungo i margini ciechi del suo campo visivo, una presenza quasi invisibile avvicinarsi a lei. Non ebbe il tempo di voltarsi, perché si sentì afferrare alle spalle da braccia robuste. Una mano inguantata stretta alla bocca le impediva di gridare.

La torcia elettrica le scivolò dalle mani, cadde sul pavimento e si riaccese. Un debole cono di luce le permise di intravedere il suo aggressore.

Portava abiti scuri e, nonostante il caldo, indossava un passamontagna; rimanevano scoperti due occhi azzurri, freddi e taglienti come lame di ghiaccio. Era lampante il fatto che non volesse farsi riconoscere. Era più basso di Ryo di una decina di centimetri, muscoloso, ma allo stesso tempo agile e veloce nei movimenti.

Chi diavolo era quello? Cosa voleva da lei? Era forse un ladro? Se veramente lo era, doveva essere proprio sfortunato: in quell’appartamento non c’era niente da rubare. Gli elettrodomestici non erano dei più nuovi, di gioielli manco l’ombra e i soldi dell’ultimo incarico erano serviti per pagare le bollette, riempire il frigorifero, comprare qualche vestito nuovo…

Kaori era rabbiosa, ogni tentativo di liberarsi dalla presa di quell’uomo pareva inutile. Le forti braccia dell’oscuro individuo la tenevano stretta in una micidiale morsa. Si sentiva come una preda presa in trappola e a nulla le valse divincolarsi, neanche quando l’intruso si servì di una delle mani per estrarre qualcosa dalla tasca dei propri pantaloni.

Lo sconosciuto le spinse sulla bocca un bavaglio di stoffa imbevuto di cloroformio, la city hunter sentì l’odore dolciastro dell’anestetico attraversarle le narici,  penetrarle la gola, espandersi nel petto. Divenne debole, le gambe cedettero, gli occhi pesanti si chiusero e le parve di scivolare a terra lentamente mentre perdeva conoscenza. Prima che potesse raggiungere il pavimento, l’uomo però l’aveva risollevata da terra e, caricandosela sulle spalle, si era diretto fuori dall’appartamento.

Un furgone nero, con il motore acceso, lo attendeva nello spiazzo davanti la casa dello sweeper. Non appena fu dentro con la city hunter, l’autista schiacciò l’acceleratore e il veicolo sfrecciò a tutta velocità, eclissandosi nella notte.

 

La zona dei motel e dei locali notturni di Kabukicho, che Ryo era solito frequentare, non era stata colpita dal black out e le insegne luminose di pensioni, club e bar illuminavano a giorno le strade. Deliziose ragazze, in costumi  ultra sgambati da conigliette, cercavano di accattivarsi le simpatie dei passanti con moine maliziose.

Lo Stallone di Shinjuku, Ryo Saeba, si aggirava barcollando, mezzo ubriaco, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, proprio per una di quelle strade, ammiccando sorrisi da ebete alle procaci giovani in costume.

“Ryo, Ryo,” lo chiamò alle spalle un vocione sgraziato.

Saeba si voltò lentamente ritrovandosi di fronte un donnone alto, corpulento e muscoloso, vestito con un abito succinto e di colore rosso fuoco.

“Ryuccio, quando passerai un po’ di tempo con me?” domandò piagnucoloso il vocione di Erika, un trans che Ryo conosceva da anni e che era innamorato cotto di lui. 

“Hic, hic” singhiozzò lo sweeper. “Stasera niente, eh? Erika, hic, sono troppo ubriaco, hic, stavo giusto ritornando a casa, hic.”

“Dai Ryuccio,” insistette il donnone cercando di convincerlo. “e poi, ho saputo che nella zona in cui abiti la corrente manca da ore e non è ancora stata riallacciata. Ti annoieresti a morte a casa, su dai, vieni con me.”

“Dici sul serio, hic?”

“Ma certo, lo sai che non ti mentirei mai!” esclamò con voce mielosa portando le mani sui fianchi e facendo oscillare leggermente il busto.

“Mi dispiace Erika, hic,” si scusò Ryo spalancando la bocca in un enorme sbadiglio. “Sono a pezzi, credo proprio che andrò a dormire.”

“E va bene,” si arrese Erika, “ma sappi che ti lascio andare solo perché non vorrei che la stanchezza ti rovini quel bel visino.”

Gli mandò un bacio sulla punta delle dita e si diresse verso l’entrata del locale di cui era proprietaria. Ryo rabbrividì e con andatura oscillante riprese la via di casa.

Quando lo sweeper giunse nei pressi della sua abitazione, le luci dei lampioni erano accese, il black out era cessato e anche il sole si apprestava a fare capolino tra i palazzi e i grattacieli di Tokyo.

Non appena Erika lo aveva informato della mancanza di elettricità nella zona in cui abitava, i suoi pensieri si erano subito catapultati verso Kaori. Si era domandato cosa stesse facendo a quell’ora del mattino, se fosse sveglia o stesse dormendo, se stesse bene o avesse bisogno di qualche cosa.

Faticava ad ammetterlo, ma ormai aveva completamente perso la testa per quella ragazza, nonostante cercasse di frenare e mascherare i sentimenti per lei in qualunque modo. Non di rado capitava che invece di farle un complimento le sbraitasse contro ogni sorta di critica. Ma per quanto si impegnasse a dissimulare ciò che realmente provava, l’affetto che nutriva nei suoi confronti non svaniva.

Mise la chiave nella serratura canticchiando di avere un bisogno disperato di un letto.

 Aprì la porta, tastò il muro in cerca dell’interruttore, lo trovò e la luce illuminò la stanza. C’era un tale silenzio, la collega stava certamente dormendo.

Prima di andare nella sua camera, passò di fronte a quella di Kaori, la porta era aperta. Di solito, quando la mattina all’alba ritornava a casa o quando nel bel mezzo della notte si svegliava a causa di un incubo (non sempre sognava donnine sexy che gli concedevano mokkori), passando di fronte a quella porta, la trovava chiusa. Infatti, la sua assistente, essendo a conoscenza della sua natura pervertita, preferiva sigillarsi al suo interno, sia che ci fossero le clienti o meno.

Data l’eccezionalità dell’evento, lo sweeper non poté resistere dallo sbirciarvi all’interno. Sprofondò nella penombra e, come in una visione, apparve il corpo di Kaori abbandonato al sonno. Il lenzuolo sembrava un drappo lussurioso che la legava al letto, intrappolando la sua vita sottile, cingendo i fianchi sensuali, languendo sulle cosce nude, scoprendo un paio di gambe incredibilmente lunghe e snelle. Ryo non riusciva a distogliere gli occhi. Kaori si agitò nel sonno, si mosse e, cambiando posizione, il lenzuolo che l’avvolgeva si scostò. Era nuda. Vide il seno bianco, sodo, pieno. Una vallata avvolta dalle ombre in cui smarrirsi.

Ryo lasciò correre lo sguardo su quella pelle lunare, deglutendo estasiato. 

Non avrebbe mai immaginato che Kaori potesse dormire nuda.

“Certo che… nella posizione che ha assunto… il suo seno… già il suo seno, sembra più abbondante” commentò serio, mentre i suoi più bassi istinti si risvegliavano. Senza neanche rendersi conto di quanto stava per fare, le si avvicinò. I suoi sensi la bramavano, le sue gambe erano attratte da quello spettacolo come da una calamita.

Gli sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarla, per toccare quelle forme che sapevano di perdizione, ma il sogno finì, perché Kaori si svegliò e si trovò di fronte lo sguardo famelico di Ryo.

Lo guardò scioccata, saltando in piedi sul letto. Fumava rabbia da ogni poro. Che diavolo ci faceva quel depravato nella sua stanza? Che diavolo voleva farle? E perché continuava a mantenere in volto un’espressione da maniaco sessuale, quando invece avrebbe dovuto assumere l’aspetto di un animale braccato a morte?

La risposta la ebbe non appena, abbassato lo sguardo verso il proprio petto, da cui Ryo non riusciva proprio a scollare gli occhi, con sua enorme vergogna, si accorse che a parte gli slip, non indossava nient’altro. Era nuda. La canottiera che pensava di indossare, chissà perché, non c’era e il suo seno era completamente scoperto.

Un rivolo di sudore le attraversò la tempia, sentì il sangue affluirle velocemente al cervello, le orecchie andarle in fiamme, diventò paonazza.

Kaori lanciò un urlo agghiacciante e mentre con una mano cercava di coprirsi, con l’altra lanciava a Ryo quel che le capitava a tiro. Lo sweeper sgattaiolò fuori dalla stanza a velocità record. Non provò neanche a inventare qualche scusa assurda o a spiegare che lei aveva frainteso tutto; in quel momento il suo istinto gli suggerì l’unica via di scampo: la fuga.

La sua socia era furiosa, se lo avesse preso, altro che martellate e nottate all’aria aperta avvolto in una coperta; lo avrebbe scorticato vivo a forza di konpetito sulla faccia.

Ed era vero, perché Kaori, ancora rossa per la vergogna, pensava solo ad una cosa: vendetta.

Tuttavia era successo tutto così velocemente che non ci aveva capito niente.

Quando mai Ryo aveva cercato di infilarsi nella sua stanza in mancanza di clienti? Ma soprattutto, possibile che quel porco fosse riuscito a sfilarle la canottiera senza che lei se ne accorgesse?

Va be’ che era un super esperto di sconcezze, ma da qui a spogliarla senza svegliarla era difficile. Difficile, ma non impossibile….

Ma ammettendo il caso che non fosse stato Ryo, perché non riusciva a ricordare di essersela tolta?

Colpa del black out? No, che c’entrava quello?  Forse per colpa del caldo? Si era spogliata dimenticandosi però di chiudere a chiave la porta della sua stanza, come faceva di solito?

Ma perché non lo ricordava?

Va bene che più di una volta Ryo l’aveva rimproverata di soffrire di sonnambulismo…

E poi quell’incubo… L’uomo incappucciato che la bloccava e poi tramortiva se lo ricordava e il resto no? Ricordava di aver bevuto prima di coricarsi, di non aver potuto finire il suo bel giallo…

E poi? Si era alzata sentendo dei rumori, no quello era l’inizio del suo sogno…

Impossibile, lei era troppo giovane per soffrire d’Alzheimer mentre Ryo era un depravato capace di tutto, anche a volerlo difendere era impossibile: a scassinare porte era abilissimo e, per un maniaco come lui, non doveva essere stato difficile neanche imparare a denudare le povere ragazze dormienti e indifese come lei.

E poi da quando in qua la sua testa si premurava di scagionare quel fannullone del socio da qualche colpa?

La sua faccia da maniaco sessuale era una chiara prova della sua colpevolezza. In fin dei conti, che importava se la porta fosse chiusa o meno, se lei si fosse tolta la canottiera per il caldo o fosse stato Ryo a sfilargliela? Sempre sul letto se lo era ritrovato e con quell’espressione da allupato dipinta sopra.

Ebbene sì, sentenziò infine il cervello di Kaori, Ryo era colpevole e, come tale, andava punito.

Intanto si erano già fatte le sette.

 

Primo capitolo revisionato.

Mi sembra doveroso apportare delle modifiche, dal momento che la storia risale a molti anni fa.

Cercherò di non attuare stravolgimenti consistenti.

Ringrazio tutti coloro che durante questi anni hanno continuato a leggere questa fanfiction, incentivandomi, con i loro commenti, a portarla a termine.

  
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