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Autore: Cleo    21/10/2009    0 recensioni
Addio, mio quasi amante. So che non posso fare a pezzi le pietre nere della disperazione perpetua dentro ad i tuoi occhi, la tristezza che te li scurisce e te li appanna, né posso sperare di vederli illuminarsi al solo passaggio della mia ombra, ma ci avrei provato, mio caro quasi amante, ci avrei voluto provare.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Addio, mio quasi amante.

So che non posso fare a pezzi le pietre nere della disperazione perpetua dentro ad i tuoi occhi, la tristezza che te li scurisce e te li appanna, né posso sperare di vederli illuminarsi al solo passaggio della mia ombra, ma ci avrei provato, mio caro quasi amante, ci avrei voluto provare. 

Ti avrei amato con una dolcezza che ad altri è sempre stata negata e ti avrei sfiorato la pelle come il più prezioso dei tesori, ma mi hai rifiutato sempre questo permesso, per paura che io potessi vedere una bruttura che non ho mai nemmeno intravisto; le forme del tuo viso erano quasi invisibili a confronto dei tuoi occhi neri che mi veneravano la carne come se fosse nuda, anche se in tua presenza i miei veli erano più spessi che mai.

Ti avrei sfiorato le mani in una carezza leggera come una piuma e così pregna di promesse, mio quasi amante, ma le hai sempre ritratte, come se scottassi, come se pungessi. Erano mille aghi le mie dita, erano milioni di spilli le mie unghie? Sarebbero state seta e conforto contro la tua pelle stanca e tesa; ti avrei chiuso le palpebre come un preludio al sonno e le avrei accarezzate con baci umidi d’amore inespresso.

Mi hai rifiutato, mio caro quasi amante, ed hai rifiutato te stesso, hai rifiutato il tuo cuore, l’hai gettato giù per il dirupo infinito della tua anima buia, e forse nessuno sarà mai in grado di recuperarlo e risanarlo. Affermi che l’amore è per gli stolti, mio quasi amante, e rifiuti anche questo, ma non vedi la forza che si cela dietro ad esso? Non vedi la sfrontatezza nel mio sorriso e la durezza nei miei occhi, quando affronto la gente e combatto per quest’amore di cui mi ergo a indegna paladina? Ascolta il tuo polso, e capirai che non è per questo che vivi.

Potrai pensare che sono una stupida, una sentimentale, che vivo per emozioni futili e prive di significato, ma, mio quasi amante, io almeno vivo; sento l’aria entrarmi nelle membra e il calore stringermi lo stomaco, il mio sorriso nasce per un altro sorriso e le mie mani stringono altre mani, in una stretta che è insieme legame, patto e promessa. Tu puoi invece abbracciare i tuoi pensieri tetri di speranza perduta?

Non ti avrei costretto ad amarmi. Non ti avrei legato a me con catene invisibili di rabbia e costrizione, ma ti avrei mostrato ciò che perdi ogni giorno, ciò che ci rende quel che siamo. Ti avrei insegnato ciò che credi di aver già imparato, ti avrei sussurrato all’orecchio parole di tenerezza a cui non ti concedi, ti avrei…ti avrei fatto e detto e rivelato mille e milioni di cose, di sensazioni, di segreti, nascosti dietro alla semplicità dell’animo umano. Avrei avuto la pretesa di tenderti la speranza su un palmo aperto, scacciando la paura che ti blocca.

Tutto fa un po’ male, mio caro quasi amante, anche il respiro e le parole e le cicatrici a volte tirano e straziano vecchie ferite; neanche la tua cappa di vetro di finta indifferenza può impedire al dolore di agire. Non hai ancora imparato che il dolore ti raggiunge per primo solamente perché esso è il preludio alla sfilata delle emozioni che ti squarciano l’animo e lo spingono ad intonare un canto di gloria ad un cielo in cui non si crede mai del tutto. Non hai ancora imparato, e mai imparerai: sei troppo sordo, troppo cieco, troppo freddo. Sei morto dentro, mio quasi amante, e non mi è dato risvegliare i morti, e nemmeno basterebbe infondere il mio respiro sulle tue labbra secche.

Mi arrendo, mio caro quasi amante, e ti guardo da lontano, come si guarda un dio iroso.

Ma non sei un dio, e la tua ira colpisce solo te stesso.

  
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