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Autore: Tetide    22/10/2009    5 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO L’ALBA DI UN NUOVO GIORNO

Tavernier ed Edith si erano immediatamente lanciati su per le scale, seguiti dal pope; con una croce in mano, Patrice era più che mai determinato a farla finita con quel mostro in sembianze umane.
Teneva la mano della fidanzata con la propria mano libera; e dentro di sé, giurava a sé stesso che mai e poi mai avrebbe permesso che il mostro facesse a lei quello che aveva fatto a Jeudi.
In cima alle scale, regnavano il buio ed il silenzio più assoluti; i corridoi che si dipartivano da lì erano deserti, chiuse le porte; ma loro sentivano che presenze misteriose li stavano osservando, nascoste nel buio.
Imboccarono il corridoio di sinistra, che come ricordavano portava allo studio di Troncan; superata una fila di porte chiuse, qualcosa attirò la loro attenzione: quella che sembrava la coda di uno strascico di un lungo abito da donna d’altri tempi, che s’infilava velocemente dentro una porta aperta, sparendo.
“E’ là!”, gridò Patrice agli altri, e si diressero verso la stanza buia dove era entrata la strana visione.
Appena entrati, dapprincipio, non riuscirono a vedere nulla: il buio era troppo fitto; col tempo, però, i loro occhi si abituarono all’oscurità; e fu allora che riuscirono a scorgere un mucchio di vecchi mobili, disseminati qua e là, e coperti da pesanti lenzuoli ingialliti dal tempo.
Senza perder tempo,  Patrice si avvicinò ad uno di essi, la croce stretta nella mano destra, e con l’altra mano sollevò il lenzuolo; ma tutto ciò che trovò fu un tavolo vecchio e tarlato.
Allora, anche gli altri due iniziarono a fare lo stesso con gli altri mobili, ottenendo i medesimi risultati.
“Qui non c’è niente, accidenti!” gridava Patrice, esasperato,
“Ma dove può essere andata quella… cosa?” si domandava Edith,
“I vampiri tendono tranelli mortali: dobbiamo stare attenti, molto attenti!” diceva padre Rabonu.
All’angolo opposto della stanza rispetto a dove si trovava Patrice, iniziò a comparire una debole luminosità rossastra, che si faceva sempre più vivida; al suo interno, una indistinta sagoma dai contorni umani si andava facendo nitida.
Apparve una donna, i lineamenti contratti per il dolore, grosse lacrime che scendevano lungo le guance, i capelli raccolti in una bassa coda.
La donna si rivolse a Tavernier “Perché, perché, Patrice? Guarda cosa mi hai fatto!”,
“Martha!!”, lui fece un passo indietro.
Il sacerdote gli afferrò una mano “E’ un’illusione ottica creata dal vampiro! Non la guardi a lungo, o ne rimarrà ipnotizzato, e cadrà in suo potere!”.
Il biondo professore distolse immediatamente lo sguardo.
L’immagine scomparve; una risata sinistra riecheggiò, alta e forte, per le altissime volte della stanza.
“Ma cosa credete di fare, vermi? Siete solo dei vermi! Io sono un grande signore!!!”.
Patrice si tese in avanti, la croce stretta in pugno “Dove sei, mostro? Fatti vedere, vigliacco!”.
A sentir quelle parole, il vampiro si materializzò; contemporaneamente, tutto intorno nella stanza si accesero numerose fiammelle, in fila, grigiastre e smorte, che tuttavia spandevano luce, una luce sinistra come il loro colore.
Troncan e Tavernier si trovarono faccia a faccia.
“Sapevo che sareste venuti!” sibilò il primo; Tavernier non rispose.
“E adesso vorreste uccidermi! Non è così?”,
“E’ così!!” tuonò Patrice.
“Voglio proprio vedere come ci riuscirete!”, disse Troncan, trasformandosi all’istante in un pipistrello; prese a svolazzare sopra di loro, descrivendo ampi cerchi.
Patrice cercava di toccarlo con la croce, sollevandosi sulle punte dei piedi, ma era inutile: il mostro era sempre più furbo e veloce di lui.
Poi, atterrò, seduto sulla sua scrivania.
“Allora, omuncolo? Eri così sicuro di avermi preso?” rise.
Patrice non ci vide più dalla rabbia: si slanciò verso di lui, gridando.
“Ora vedremo!!!”.
Ma il suo balzo in avanti finì nel vuoto, dato che il vampiro scomparve, per riapparire poco più in là.
Vide gli altri due, e tentò di avvicinarsi ad Edith, ma padre Rabonu gli mostrò la croce, e quello indietreggiò, sibilando.
Tornò a volgersi verso Patrice.
“Forza, omuncolo! Vediamo cosa sai fare!!”, si lanciò su di lui.
Il professore ed il vampiro iniziarono una lotta corpo a corpo: Troncan cercava di mordere il professore, Patrice cercava di schivare i denti del suo avversario e di colpirlo invece con la croce.
Durò solo pochi minuti, ma ad Edith parvero lunghi secoli.
“Amore…” mormorava, tremante.
Patrice sentiva ad ogni istante di star per perdere la lucidità: i movimenti del vampiro erano velocissimi, somigliavano a quelli di un pipistrello in volo, ed inoltre doveva stare ben attento ad evitare il suo sguardo ipnotico.
Per un istante, i canini aguzzi del mostro sfiorarono il suo viso; poi, Troncan lo afferrò per un polso.”E’ finita, omuncolo!” gridò.
A quel punto, Edith non si trattenne più: sfuggì via dalle mani del sacerdote che cercava di tenerla ferma e distante dal vampiro, e gli si buttò quasi addosso, gridandogli:
“Prendi me! Lascialo! Prendi me!”.
Troncan si distrasse un attimo; quell’attimo che fu sufficiente a Tavernier per rimettersi in equilibrio e ruotare il braccio con la mano che reggeva la croce; in meno di un secondo, prima che il vampiro potesse accorgersene, aveva alzato la mano e l’aveva toccato con il piede della croce sulla pelle viscida del suo orecchio.
Subito, quello prese a bruciare.
Lasciò andare Patrice, e si tirò all’indietro, girando su sé stesso; emetteva urla orribili.
“Ahhh…. O… mun… co… li… mi avete sconfitto! Come avete potuto!?!”,
“Non puoi nulla contro il Bene Supremo, né contro la ragione umana e l’amore! Torna nel regno ancestrale da cui sei venuto!” Patrice ancora tremava.
Si piegò sulle ginocchia, stringendo a sé Edith che era scoppiata a piangere.
Il vampiro bruciò del tutto, come il suo simile; ancora tenendo alta la croce, Patrice aveva reclinato la testa, sfinito, con Edith appesa al suo collo; il buon sacerdote si avvicinò e gliela sfilò delicatamente tra le dita.
“Nulla può fermare o distruggere l’amore” disse sommessamente, impartendo una benedizione ai due.

Pochi minuti dopo, tutti e tre erano usciti in corridoio. Sfiniti, ma in pace. Soddisfatti.
Edith era a dir poco stravolta; più di una volta si appoggiò al muro, sempre sostenuta da Patrice.
“Amore… sei stanca… forse è meglio se ti siedi e ci aspetti qui… tanto, non c’è più pericolo, ormai… questo è solo un vecchio castello vuoto. Hai avuto troppe emozioni”,
“No” rispose lei “non ce n’è bisogno, stà tranquillo” lo accarezzò sulla fronte. Lui si accorse che la mano di lei tremava; gliela prese a mezz’aria.
“Edith! Ma che hai? Sembra che tu abbia i brividi della febbre!”,
“Oh no, amore! Non è febbre! E’ paura: prima, quando quel mostro ti stava puntando, quando ho rischiato di perderti, io… avrei voluto morire, avrei fatto qualunque cosa per salvarti! Perché non posso fare a meno di te: io ti amo, Patrice! Ti amo davvero! E non voglio mai più correre il rischio di perderti. La vita è così fragile… potrebbe accadere qualunque cosa… non possiamo essere sicuri del futuro…”.
Durante tutto il tempo, padre Rabonu se ne era rimasto discosto dalla coppia, leggendo un breviario, mentre ogni tanto si voltava verso l’angolo del corridoio e vedeva i due che confabulavano; ad un tratto, vide che si stavano guardando negli occhi, sorridendo; poi, subito dopo, Patrice si staccò ed andò verso di lui.
“Abbiamo un favore da chiederle, padre. Se a lei non dispiace, naturalmente”,
“Certo!” l’uomo chiuse il breviario “Dite pure”,
“Ecco… sarebbe libero domani pomeriggio?”.

Dieci minuti dopo all’incirca, tutti e tre si trovavano in cima alle scale, dove si erano lasciati con l’altra squadra; ridevano, stanchi ma felici.
Attendevano l’arrivo dell’altra squadra, come convenuto, alla fine della sua missione; non avevano ricevuto richieste di aiuto, quindi era chiaro che anche dall’altra parte era andato tutto bene; da un momento all’altro, quindi, si aspettavano di vederli ritornare.
Ed infatti li videro; ma non tutto era come prima.
Videro, infatti, Leonhard e Jeudi, in lacrime, reggere il corpo inanimato di Lundi, lui per le gambe e lei per la testa; accanto a Leonhard, camminava una spiritata Matilda dagli occhi vitrei e vuoti, ormai priva chiaramente di qualsiasi volontà.
La squadra di Tavernier vide e capì subito.
“Temo che domani l’attenda un doppio lavoro, padre” mormorò Patrice, con gli occhi bassi.
Il prete annuì.

Alcune ore dopo, in albergo, tutti erano rientrati.
Jeudi sedeva su di un divano, in lacrime; accanto a lei, angeli consolatori, Leòn, Edith e Liesel.
Johann parlava sommessamente con Patrice e Jean-Jacques.
“… Non posso crederci… eravamo appena diventati amici… povero Lundi!”,
“Padre Rabonu celebrerà i funerali domani mattina stesso” rispondeva Patrice,
“Chi sta peggio, adesso, è Jeudi” aggiunse Jean.
E quest’ultima, infatti, era preda del rimorso più atroce.
L’ho ucciso… l’ho ucciso io! Lundi… amico, fratello… per tanto tempo anche compagno… cosa ho fatto? Come ho potuto?
L’ho ucciso allontanandomi da lui, sbattendogli in faccia i suoi errori nei miei confronti… anche se era la verità, non avrei mai dovuto! In questo modo, l’ho spinto ad esporsi per riconquistare la mia fiducia, il mio affetto: e l’ho ucciso! UCCISO!
Lundi! Lundi! Cosa ho fatto?!?
Dovevo rimanere con lui, dovevo mentirgli! Forse, adesso, sarebbe ancora vivo!

“Jeudi…”, una voce la fece voltare. Era Leonhard, che si era seduto accanto a lei.
Le prese le mani tremanti; lei abbassò lo sguardo.
“Oh, Leonhard… cosa abbiamo fatto… l’ho ucciso, lo abbiamo ucciso!”, e scoppiò di nuovo in lacrime.
Lui le accarezzò i capelli “No, Jeudi. Non è come credi”,
“Ah, no? E com’è, allora?”.
Leòn si sistemò meglio accanto a lei e la cinse con un braccio intorno alle spalle.
“Vedi, Jeudi… avevo promesso a Lundi di non dirti niente, ma a questo punto è giusto che tu lo sappia”,
“Sapere cosa?” la ragazza tirò su con il naso,
“Lundi… aveva già deciso di lasciarti, amore. Di lasciarti libera, dimodoché tu potessi scegliere chi amavi davvero”,
“Che???”, spalancò gli occhi; Leòn annuì con la testa.
“Proprio così. Lui aveva oramai capito di essere solo un caro amico per te, e proprio perché ti amava non voleva forzarti a fingere a te stessa un sentimento che non esisteva più: se ne sarebbe andato via da casa una volta rientrati a Ginevra: me lo rivelò la notte dopo la tua aggressione, quando eravamo rientrati in albergo. Aveva fatto questa scelta liberamente, e col cuore, quindi non avrebbe mai cercato di riaverti con un gesto estremo o, peggio, di vendicarsi per il tuo abbandono lasciandoti un rimorso a vita”.
La donna spalancò gli occhi.
“Quello che ha fatto, lo ha fatto solo perché lo sentiva: è stato il suo ultimo atto d’amore, ed è stato istintivo, per lui. Se lo volevi bene, devi apprezzarlo e ringraziarlo per quello che ha fatto e per tutto quello che ha saputo darti in questi anni; e devi salutarlo serenamente, domani, ai funerali”.
Jeudi aveva ascoltato tutto con grande attenzione, sentendo il suo cuore aprirsi di più ad ogni parola del suo amato; senza rendersene conto, le sue labbra si erano allargate in un bellissimo sorriso, un sorriso che sembrava ancora più bello perché illuminava un viso ancora rigato di lacrime.
Sapeva bene che Leòn non sapeva mentire, e che non era capace di azioni meschine.
Lo abbracciò.
“Grazie, grazie, amore mio!”.
Leòn la strinse, socchiudendo i suoi grandi occhi viola.


Il mattino successivo, in una piccola chiesa di Brasov, padre Rabonu celebrò i funerali di Lundi.
Anche se con gli occhi ancora pieni di lacrime, Jeudi salutò per sempre il suo ex-compagno, col cuore finalmente in pace. Leòn, seduto accanto a lei, le teneva la mano.
“Che intende fare, adesso, signora? Vuole seppellirlo qui?” le chiese padre Rabonu alla fine della cerimonia; lei scosse il capo.
“No, padre. Desidero che il mio caro Lundi venga seppellito nella nostra città: tornerà con noi a Ginevra”,
“E’ la decisione migliore, Jeudi” le disse Tavernier. Liesel e Johann le sorridevano amichevolmente.
Dopo aver sistemato temporaneamente la bara nella cripta, in attesa della partenza, uscirono dalla chiesa, alla volta dell’albergo.
Edith si avvicinò a Jeudi, mentre Patrice era dietro di lei.
“Jeudi…” le prese una mano,
“Cosa c’è, Edith?”,
“Ecco… io… noi vorremmo chiederti un favore”,
“Quale favore?”;
i due si guardarono “Vedi, Jeudi… io e Patrice abbiamo deciso… di sposarci!”.
Quella restò basita “Quando?” le domandò,
“Oggi pomeriggio, qui stesso: sarà padre Rabonu ad officiare la cerimonia. E… so bene che non è il momento adatto, ma… vorremmo che tu ci facessi da testimone! Vuoi? Ne saremmo molto lieti!”.
Jeudi era rimasta di sasso; si volse a guardare Patrice che mostrava un imbarazzato sorriso.
“Così… vi siete decisi, alla fin fine! Certo che sì, accetto!” rispose, abbracciando l’amica,
“Grazie, grazie Jeudi!”.

E quel pomeriggio, indossando un semplice completo già indossato la sera del veglione folcloristico nel “Castelul Dracula”, Edith sposò il suo amato Patrice, in smoking bianco, lo stesso indossato per quella fatale cena nel castello del vampiro.
A Jeudi brillavano gli occhi quasi più della sposa, mentre osservava la sua amica di sempre sorridere raggiante, tenendo per mano il suo uomo, finalmente felice, dopo anni di delusioni.
Patrice aveva chiesto a Leòn di essere il suo testimone, cosa che lui aveva accettato volentieri, ed ora anche lui guardava l’amico ex-capogruppo tremare impercettibilmente per l’emozione di quel momento.
I due si guardarono negli occhi da lontano, sorridendo.
Alla fine della cerimonia, Edith diede il suo mazzolino di azalee e fresie a Jeudi.
Patrice invece, ringraziato il buon sacerdote per tutto il suo aiuto in quei giorni difficili, non appena usciti dalla chiesa invitò tutti a casa sua.
“A Ginevra vi voglio come miei ospiti al banchetto del matrimonio, che si terrà lì: ci sarà una bella grigliata di cacciagione. Naturalmente, l’invito è rivolto anche a lei, padre!”,
“Oh no, la ringrazio ma non posso accettare davvero! Non posso lasciare la mia parrocchia! E poi” sorrise “ così eviterò di commettere un peccato di gola! Sapete, devo essere morigerato!”.
Tutti scoppiarono a ridere, più per il sollievo di essere usciti vivi da quell’avventura che per la battuta di spirito del pope.
Anche Jeudi sorrise; ma subito dopo, rivolse un’occhiata amara alla scala che conduceva alla cripta, dove giaceva ancora il corpo di Lundi.
“Un ultimo consiglio, signori” aggiunse il sacerdote “temo che il rito di fede Russo-ortodossa dalle vostre parti non valga, soprattutto legalmente; quindi, vi consiglio di informarvi, per evitare sorprese”,
“Naturalmente, padre. Ho un’amica che lavora all’anagrafe, non si preoccupi” fece Edith.
Il pope sorrise; poi si avvicinò a Jeudi.
“Sento profondamente il tuo dolore, figliola. Ma ricordati che non sei mai sola: i tuoi amici ci saranno sempre, e loro hanno dimostrato di amarti davvero, dato che ti hanno salvata la vita; e poi, mi sembra di capire che Dio ti abbia voluto mettere accanto qualcuno di speciale, per sostenerti nel tuo dolore: qualcuno che ti vuole bene”.
Circondata da una luminosità azzurrognola, la madre di Jeudi si materializzò accanto alla figlia.
“E’ proprio così” le disse, indicando Leòn.
Dopo un’ultima benedizione, li congedò.
Patrice diede una vigorosa stretta di mano a Jean-Jacques.
“Grazie di tutto, dottore. E faccia i nostri complimenti a sua moglie, è davvero un bravo medico!”,
“Non mancherò, professore. Buon ritorno a casa!”.

Il giorno successivo, poco prima dell’alba, dopo molte ore di volo, erano atterrati a Ginevra, dove c’era il dottor Gizan ad attenderli.
Scesero e si ritrovarono nella sala arrivi.
Il dottore si fece loro incontro, e strinse le mani di Patrice ed Edith “Ho saputo: congratulazioni!”.
Johann e Liesel gli si fecero vicino. Jeudi, invece, si avvicinò alla vetrata, per osservare la bara di Lundi che veniva scaricata dall’aereo.
Le scappò una lacrima; ma immediatamente, sentì una mano sulla propria spalla.
“Leòn…” disse,
“Sono qui, Jeudi. Ci sarò sempre”.
Lei si asciugò la lacrima, e guardò di nuovo verso la bara.
Addio, fratello dell’anima!
La voce di Leonhard la riportò alla realtà.
“Guarda!” le disse “Sta sorgendo l’alba!”,
“Sì” gli ripose “è l’alba di un nuovo giorno!”.

E con questo capitolo, la  fic è conclusa! Spero vivamente che vi sia piaciuta; ed ora, i messaggi personali:
Vitani: in questa fic, ho cercato di "salvare la faccia" al povero Lundi, che di solito, nelle mie storie fa una figura non molto bella; ho anche trasformato, per esigenze sceniche, il padre di Matilda in uno "zio";
Ninfea 306: ammetto di avere alcune conoscenze sulle leggende che riguardano i vampiri (poiché ho viaggiato molto all'Est), ma certe cose le ho inventate, come ad esempio quella del potere di creare allucinazioni: il vampiro è creduto avere uno sguardo ipnotico, ma nulla più.
Un grande GRAZIE anche a tutti coloro che hanno letto senza recensire: spero di avervi ancora come mio pubblico, in futuro.


 

   
 



 

  
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