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Autore: francy91    24/10/2009    5 recensioni
Light era morto. Carne umidiccia e flaccida inchiodata precaria-mente a qualche gruccia d’avorio – ossa flosce –, unghie opache, pelle grassa e oleosa, vescica svuotata, cosce bagnate e fetide, bocca asciutta e accartocciata. Come tutti, insomma.
Genere: Generale, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri personaggi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Senza nome 1

Salve. Avrei fatto volentieri a meno di metacomunicazione - introduzioni e commenti dispersivi – ma, in questo caso, mi sembra strettamente necessario per un semplice motivo, che noterete sicuramente durante la lettura di questo capitolo e dei seguenti. Il protagonista di questa storia parla in prima persona e, dunque, molti pensieri che chiunque tacerebbe per rispetto altrui sono espressi in modo forse violento, brutale e, a volte, anche offensivo e, soprattutto, che riguardano tutti voi che leggete. Vorrei specificare che io e il mio personaggio condividiamo alcune idee, ma il suo pensiero è un’estrmizzazione distopistica, forse, delle mie concezioni. Dunque, dopo la lettura – se la completerete – non mi aspetto che voi scriviate commenti offensivi contro di me a causa di ciò che ho espresso in queste righe, perché io NON penso ciò che crede il mio personaggio, anche perché sarebbe una feroce e cattiva autocritica. Spero che abbiate capito, vi auguro una buona lettura.

 

 

1.                      Cesare Beccaria

 

 

Spensi la TV prima che un cantilenante jingle pubblicitario rovinasse quel silenzio.

Uno scatto: una scintilla rossa alla base del televisore tramontò.

Quel silenzio. Quel silenzio fatto di piatti sbattuti e porte serrate, passi strascicati in strada, filastrocche infernali, girotondi sull’asfalto, fra clacson e abbaglianti.

“Sincempompli, pololì, pololà…”

Silenzio.

Mattonelle grigie, pareti bianche.

Silenzio, nella mia stanza.

“…Sincempompli, pololììì, pololààà…”

Unf-unf-unf-unf…

Il basso di un’autoradio ansimava sotto casa, proprio accanto al cassonetto.

“…Accademi sol fa mi, sol fa mi…”

I vetri vibravano, scevri di consistenza.

Muggiva la finestra al ritmo ispanico di Pitbull.

“I know you want me, you know I want ya...”

Ma perchè non abbassava il volume di quello schifo di canzone?

“Pliff!”

Graffiai il copriletto per la rabbia e i fili sporgenti mi si impigliarono fra le unghie, come siringhe nella pelle.

“Pluff!”

Non riuscivo a pensare ad altro o, meglio, non riuscivo a pensare. L’automobile che percuoteva i vetri ripartì a volume ancora maggiore e violò con un fischio nasale la stretta barriera delle bambine che recitavano la filastrocca.

Manca il “plaff!”. Sì, hanno dimenticato di dire “plaff!”, perché è così che finisce.

Silenzio, di nuovo.

Era possibile che, in un momento del genere, il primo pensiero sensato che mi frusciasse di sinapsi in sinapsi fosse quello?

Light.

Oh, be’, almeno era il mio secondo pensiero, non c’era da lamentarsi.

Light era morto. Carne umidiccia e flaccida inchiodata precariamente a qualche gruccia d’avorio – ossa flosce –, unghie opache, pelle grassa e oleosa, vescica svuotata, cosce bagnate e fetide, bocca asciutta e accartocciata. Come tutti, insomma.

In una frazione di istante compresi cosa volesse dire Platone con il gioco di parole sema/soma – l’avevo sentito giocando a Age of Mythology e non ci avevo fatto molto caso –: il corpo era una tomba, ma non nel senso in cui la intendeva il filosofo greco. Su un cuscino rivestito di seta rossa, in una bara di carne gonfia o secca, a seconda dei vermi che vi dimoravano, giacevano cadaveri di ideali, valori, ipotesi e sogni, maestosi parassiti che pendevano come fili scuciti da un grembiule lacerato, costretti alla vita e alla morte.

Perché Dio, pur essendolo, può morire.

Non pensavo che Light fosse Dio; tutto sommato, Near aveva ragione: era solo un assassino psicopatico che si credeva padrone del mondo. Ma Dio… il Dio creatore, intendevo, poteva morire per mano del creato, come quegli enzimi che contribuivano a produrre gli inibitori che frenavano la loro attività.

Quello che mi preoccupava davvero e mi induceva a tacere era…

“Marti’, te l’ho detto l’altro giorno: quando fai le tue porcherie in bagno, almeno pulisci!”

La figura bassa e tozza di mia madre sorse e calò quasi nello stesso momento da uno stipite all’altro della porta della mia camera, sfrecciando nel corridoio via dal bagno.

Avrei dovuto dirle che avevo sentito attraverso la porta chiusa Hey hey, ningen sucker, ah ningen ningen fucker e avevo dovuto interrompere l’operazione per stendermi di fianco sul letto e assistere alle ultime tre puntate di Death Note?

Ma no, non era una giustificazione valida, per lei; anzi, avrebbe ronzato e borbottato schegge taglienti di pregiudizio contro gli anime (“Ancora quella robaccia? Marti’, devi crescere! Prenditi le tue responsabilità, ma insomma!”). Un giorno mi avrebbe spiegato la relazione esistente fra seguire una serie animata e caricarsi di responsabilità.

Tacqui e lei bofonchiò qualche parola sconcertata e offesa.

Stupido megalomane. In realtà, la rovina di Light non dipendeva unicamente dall’eccessivo zelo di Mikami – o disobbedienza? –, bensì da molti altri fattori: innanzi tutto, era stato tradito dal suo sporco e criminale desiderio di diventare un padrone, un dio. Stupido megalomane. Ma che cazzo fai? Padrone di un nuovo mondo? Chi, tu? E perché, poi? Perché l’hai creato tu, sacrificando te stesso? Allora tu non cerchi la pace, il benessere comune, l’utopia. Il potere, ecco cosa bramava. Potere pulito, giustificato da un’onesta causa, proprio come un tiranno.

Accesi il monitor con un movimento sicuro.

Tu non ti accontenti di ciò che fai, pretendi di meritare qualcosa. Se proprio esistesse un dio, non sarebbe certamente come te. Patti, compromessi taciuti… La popolazione mondiale aveva bisogno di modelli, di minacce e di libertà, non di rispettare un sovrano assoluto, seppur latore di giustizia.

Cliccai due volte sull’icona a forma di testa di asino accanto all’orario, in basso a destra, sulla barra delle applicazioni: il downloading di alcuni file era quasi completo. Ridussi a icona e aprii una pagina di Mozilla Firefox.

Proteggere una persona è un atto volontario, di cui si devono accettare le conseguenze e di cui non ci si deve vantare, altrimenti si cade nell’opportunismo; a maggior ragione, lo è proteggere sei miliardi di anime. In effetti, era proprio questo il difetto più evidente – e controproducente – di Light: la vanità.

Digitai “f” e dal browser scivolò un elenco di suggerimenti. Scelsi “www.facebook.com/home.php” e attesi che la pagina si caricasse, sollevando e abbassando con il medio gli occhiali sul dorso del naso.

Desideri solo l’adorazione, alla fine persino Mikami sembra più interessato di te alla realizzazione di un mondo privo di mele marce. Per la prima volta, Light mi fece seriamente schifo.

La pagina iniziale era affollata di messaggi firmati Mariagrazia Cozzaglia e Susanna Faretra.

 

SuSaNnA fArEtRa liiiiiiiiiiiiiiiiiiiiight! U.U il mio light… l’hanno ucciso… V.V bastardi… è_é …grrr… >:(

Mariagrazia Cozzaglia Ahahah, fatto bene! È una degna fine per l’assassino di L… Il mio piccolo, povero L… MORTE AGLI ASSASSINI, MWUAHAHAH! XD

SuSaNnA fArEtRa zitta, infedele! di’ grazie che light è morto, altrimenti ora ti rimarrebbero solo 40 secondi…

Mariagrazia Cozzaglia Tsk, come se quel bidone di Light mi facesse paura… XD

SuSaNnA fArEtRa domani a scuola ti massacro… preparati!!! lol

 

Non che la vanità non tentasse. Hai cancellato le guerre e la criminalità, il che è certamente un gran merito, ma niente è più ingannevole di una ricompensa: in primis, non è mai quella che ci si aspetta e, inoltre, pare quasi che siano i compensi a pretendere le gesta.

Sbirciai un rettangolino rosso in basso a destra contenente il numero 3 in bianco e vi posi la freccia, che subito si tramutò in una manina (un messaggio subliminale a favore del suicidio, secondo me).

A ben pensarci, Light ha tanti buoni propositi, certo, ma non sa un granché di politica. Come la maggior parte della popolazione, era convinto che la guerra fosse un male, la causa principale di milioni di morti, ma non capiva che rappresentava anche il più efficiente sostenitore di equilibrio fra gli Stati?

Lessi, disinteressato, le notifiche: un invito a Pet Society, una nuova attività di LivingSocial e 1 dei vostri amici hanno compleanni imminenti, compreso Ilaria Lumara, in italiano più che improbabile. Sbuffai. Mi ero ripromesso di non scrivere più alcun commento o post su Facebook, giacché era diventato ormai più frivolo di un festino di Capodanno organizzato da tredicenni isteriche in calore. Il mio principio era quello cantato dai Sonata Arctica:

 

I promise you: I won’t write again

‘til the sun sets behind you grave

 

Sono di certo il primo che dedica una canzone a Facebook, borbottai con orrore senza un filo di voce.

Chiusi gli occhi per fuggire il bianco cangiante dello schermo e cercai di ricordare a cosa stessi pensando. Quando li riaprii, ormai rassegnato a quell’oblio fastidioso e aggressivo, il mio sguardo fu risucchiato dall’ombra cartacea e piatta del sorriso sbieco di Light sul muro, lucido e plastificato. I am justice, recitava appena sotto quel mento appuntito e quei denti bestiali.

La guerra, rammentai sobbalzando. Già, stavo pensando alla guerra, alle sue capacità risolutive e livellatrici: tutto ciò che eccede e avanza viene investito nei conflitti, in modo da equilibrare le entrate e le uscite, il guadagno e la spesa di ogni cittadino e dello Stato, eliminando le barriere divisorie fra una classe e l’altra, le pareti economico-sociali che rendono a un proletario più auspicabile soverchiare l’imprenditore che lo soggioga. Era una questione meramente teorica che pochissimi comprendevano, tantomeno i giovani che vedevano nel ’68 un modello di cultura e comportamento: pace e amore, come no. La guerra è pace, o almeno questo avevo appreso da 1984: in fondo, il conflitto incrementava il sentimento d’amor patrio che induceva i popoli a inorgoglirsi per la vittoria e a non abbattersi per la sconfitta, acuiva la produzione agricola e industriale e la solidarietà fra i cittadini. È risaputo: le emergenze uniscono, come le disgrazie e molto più di una statica floridezza, terreno fertile per la criminalità.

Sorrisi: adoravo sentirmi capace di pensare in modo diverso e indipendente dagli altri, come gettarsi da una finestra e precipitare in cielo, morire soffocato dalle nuvole, annegato nella pioggia, carbonizzato dall’atmosfera. Mi beavo di quella solitaria personalità e dei miei ragionamenti incomprensibili; per questi stessi motivi, combattevo strenuamente affinchè rimanessero lisci e inascoltati – non che la battaglia fosse così ardua: l’istinto era di tacere.

Aprii ancora una volta l’icona a forma di testa d’asino e notai che il livello di scaricamento di cinque file era fermo al 100,0 %: si trattava di  alcuni brani di Yngwie Malmsteen, un Pay Per View della WWE di cui avevo letto su www.welovewrestling.com e il calendario di Belen Rodriguez.

Non sono i criminali le mele marce, perché, in fondo, hanno sempre un motivo per rubare, uccidere, massacrare, stuprare e questo motivo è sempre maledettamente valido e inconfutabile. Povertà, frustrazione, rabbia, maltrattamenti, legittima difesa, licenziamento, pazzia. Gli stupidi, i calunniatori, i crudeli, gli insipidi, gli insensibili, i giudici senza toga e senza martelletto, i vuoti, gli ingordi… devono essere eliminati. Ecco chi doveva essere annientato. Ripetei quel pensiero ancora nella mia mente e me ne spaventai. Mi affrettai a imbottirmi la testa di bolle scoppiate, corde cigolanti ed echi urlati: Yngwie Malmsteen – Evil Eye.

Domani il sito di EFP si riempirà di stupide fan fiction sconclusionate: i pensieri di Light prima della morte, migliaia di storie tutte uguali… E Misa! Chissà quante schifose poltiglie patetiche si accumuleranno su quelle già esistenti? Per non parlare di Mikami, e ancora il solito paragone con la Bibbia: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E come potrebbero mancare le Matt/Near/Mello? Altri mènages à trois ridicoli e perversi alimentati dalla morte del più inutile e del più sessualmente ambiguo dei tre. Takada sarà così pietosa da sfiorare l’isteria di una vedova siciliana nella mente di quelle fan writer coglione.

Nonostante la chitarra di Malmsteen fosse sempre risultata letale per i miei ragionamenti, l’istinto omicida, sottoforma di mano artigliata, salì dal basso intestino attraverso lo stomaco e l’esofago, fino a diramare le sue dita nel cervello, innestarle rigidamente e con un certo compiacimento in quella fanghiglia cinerea e fertile.

Alzai gli occhi al soffitto alto: due impulsi feroci nell’arco di pochi minuti, quello sì che era un record. Di solito non me ne permettevo due in un giorno solo. Sbuffai e selezionai EFP :: Il tuo sito di fan fiction! nell’elenco dei preferiti.

In fondo, quelle ragazzine frustrate e complessate mi incuriosivano. Sì, come quei bonobo che scopano dietro la rete protettiva dello zoo di Rigantello, osservai; ed era vero, perché leggevo i loro profili falsamente autoironici e presuntuosi fino a sfiorare l’esasperazione, le storie insulse e scialbe, le recensioni acritiche e inespressive, le perversioni che qualsiasi individuo rispettoso avrebbe serbato fra le proprie intime fantasie sessuali, invece di dar loro titoli completi di stelline e cuoricini, introduzioni ipocrite, personaggi improbabili e commenti maliziosi.

Ma sì, quelle ragazze – e quei ragazzi, addirittura – catturavano la mia attenzione, come Alessandro; quel viso stanco, cianotico, spento e abbagliante nello stesso momento, non mi aveva ancora suggerito come si potessero organizzare e coordinare i propri tratti facciali ogni singolo secondo in maniera così artificiosa e precisa: occhi bassi, sguardo perso, sopracciglia contratte in una posa plastica e sofferente, labbra sporgenti, angoli della bocca nettamente tendenti verso il basso, piega fra bocca e mento ombrosa e pronunciata.

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Truccarsi ogni mattina, poi. Ci vuole molta forza di volontà anche per essere ciò che si vuole. Era il minimo.

Mi divertiva da pazzi guardare mio fratello spalmarsi le guance, il mento, il collo e l’unico minuscolo spicchio di fronte immune dalla frangia con una spugnetta rosa impregnata del fondotinta Vichy di nostra madre, calcare il profilo delle palpebre con una matita nera dall’impronta spessa e corposa e, con lo stesso strumento, marcare il profilo delle labbra, come un clown disgraziato, quelli delle maschere veneziane. Il rimmel abbondante e il rossetto viola erano facoltativi: la loro presenza variava a seconda del ciclo. O, almeno, così bollavo fra me e me i periodi più negativi e disperati in cui incorreva sempre più spesso Alessandro. Ridacchiai con un grugnito.

Controllai se l’unica storia che seguivo fosse stata aggiornata. Anime & Manga… Vediamo… Dove cazzo è Death Note? Ah, eccolo.

The Electric Metempsychosis era ferma al terzo dei suoi brevi capitoli, incastonata fra una yaoi Light/L e una volgare “intervista” ai personaggi della serie. Era ancora presto per la cena, quindi rilessi uno dei passaggi più interessanti della fan fiction, appartenente al primo capitolo:

Coloro che chiedevano aiuto non venivano più assistiti, come durante il regno di Kira I, bensì abbandonati a sé stessi, ché i più forti sarebbero dovuti sopravvivere. I malati furono reclusi in distretti specializzati nel risolvere il problema del sovraffollamento, vere e proprie città fantasma, lazzaretti contaminati dalla carne sfilacciata che si staccava dalle ossa, dalle piaghe infiammate, dai suicidi disperati, dalle sedie a rotelle arruginite e dalle protesi corrose. In pochi decenni, ovverosia dall’ascesa di Kira III all’abdicazione di Kira V, la Terra abortì circa quattro miliardi e 800 milioni di individui, morti rivendicate dalla giustizia e dalla selezione artificiale; se le donne sopravvissero ai Grandi Giudizi del 2014, del 2023 e del 2039, nonché alla Purga Kiriana, ogni settimana, esse trovarono il proprio annientamento durante le deportazioni in tali città fantasma, essendo esse più cagionevoli di salute a causa dei parti, che, secondo la legge 485 comma D, promulgata da Kira IV, non dovevano essere meno di quattro ogni cinque anni, in modo da compensare lo spopolamento dovuto ai Grandi Giudizi e alle Deportazioni Lenitive.

Il terrore e il fanatismo non si affievolirono neanche quando MIsa VIII fece giustiziare il marito, Kira VI, a causa della sua relazione con il giovane Boia Karol Czesach. A quel punto, la regina assunse il potere assoluto di Dikaia, il Regno di Kira, e proclamò sua figlia Kiyoshiko Boia Regale, destinata all’uso del quaderno – che ai sovrani era proibito sin da Kira II, per far sì che essi amministrassero il Paradiso alla loro morte – per l’eliminazione dei neonati e dei bambini malati, malformazioni della razza umana e veri e propri parassiti della società. In seguito, si propose – e venne approvata – persino la Deportazione delle coppie responsabili della nascita di tali abomini.

La morte periva ogni giorno sotto i tratti di una penna, di una mano di un Boia nato per uccidere, nato per il vuoto. “Nulla in vita e nulla in morte”, avrebbe commentato Bukowski. E la nostra storia si inarcherà proprio sulle dita di una giovane Boia, madre di morte eppur sterile, la seconda del regno di Kira VIII: Dana Ørssen. Chi ha mai detto che il sangue raggrumato non può uccidere?

Come ogniqualvolta leggevo quel passo, mi inebriai della frizzantezza apocalittica di un seguito, di una degenerazione del già corrotto pensiero di Kira: era tutto così plausibile. Pareva quasi una fusione fra nazismo e Socing, il socialismo inglese di 1984, la sua ambigua duplicità e la sua brutalità osannata e giustificata.

Godetti di quella sensazione, come bollicine di una bevanda gassata versata sulla pelle. B-brividi… incontrollabili. Piacere perverso e puro.

“Marti’, per favore, fa’ uno squillo a tuo fratello. Sono le undici e mezza e ancora non si ritira, mamma ha cucinato, porco demonio!”, sbraitò mio padre dalla cucina.

Istinto omicida. Un’altra volta?! Ma era dettato dal fastidio, non c’era da preoccuparsi.

“Sììì.”, sospirai urlando.

E in quel momento, mentre selezionavo Alex-emo – avevo scoperto che essere preso in giro rimuoveva per un attimo la sua patina di apatia, il che era uno spasso totale – e premevo il pulsante verde giocherellando con gli occhiali, quello stesso ansimante istinto omicida mi contrasse fra le sue zampe artigliate e selvagge.

Light ha massacrato il mondo e il mondo ha massacrato Light.

Gli individui erano abbastanza potenti da resistere, proprio come le grandi congreghe.

Ma le piccole società?Quelle sono impotenti, ibride e fragili.

Dallo sguardo spietato di Light colava sangue.

Sembrava volermi concedere un nullaosta.

Pronti?

Partenza…

Via.


 

   
 
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