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Autore: crimsontriforce    05/11/2009    1 recensioni
Wander ha scelto di partire per una Cerca. Pertanto, una Selva si frappone fra lui e la meta, e nella Selva dimora una Strega. Così vanno le storie, lo sanno tutti e in fondo anche lui.
Genere: Malinconico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vecchia di un anno, per le Streghe (e i Vampiri e i Lupi Mannari, ma pfffffft, viva le streghe) dell'Anonima Autori. è rimasta nel cassetto da allora perché il finale mi schifava anzichenò. Shame on me, l'ho rivisto solo oggi.
Amo la mia Unara e spero ancora che venga illustrata dal destinatario, prima o poi.

Inciso del filmato iniziale, quando Wander sta scarrozzando la sua mortarella verso la fine del mondo per farla risorgere in barba a tabù, saggi consigli et quant'altro. Per chi se lo stesse chiedendo [SPOILER DI PULCINELLA] sì, finirà in tragedia [/SPOILER].
L'idea che non fosse così complesso cacciare una strega in un'Era e continuare così allegramente il filone Myst, allora ai suoi beati inizi, mi ha colpita una frazione dopo questa trama che, maledetta lei, m'è pure piaciuta. Tanto. Così...





Wander e la strega





Sempre al mio Wander. La via prosegue senza fine...

La strega si contrappone alla fiamma del dovere, all'attimo presente nella totalità del tempo,
trattiene il viaggiatore lontano dalla patria, stende su di lui l'oblio.
(Simone de Beauvoir, Le Deuxième Sexe,
spudoratamente presa di peso e fuori contesto)




La linea scura del bosco tagliava il mondo in due. Sotto, la terra gialla e incolta in cui una rete di sentieri si snodava invisibile. Sopra, un cielo spento, giallo e piatto, gelato dal vento dell'autunno.
Wander la stava inseguendo da ore, unico punto di riferimento all'orizzonte, accompagnato solo dallo zoccolare ritmico di Agro col suo passo ormai familiarmente scomodo. Notò avvicinandosi che gli alberi seguivano una linea precisa, il limitare di una strada, quasi fossero stati piantati a bella posta da un gigantesco giardiniere stanco della monotonia delle sue terre. Era un'idea nuova nel mezzo della desolazione e, a modo suo, simpatica: Wander la accolse con piacere, come aveva e avrebbe fatto per altre distrazioni, sufficientemente piccole da non sviarlo dalla meta, sufficientemente forti da sorreggerlo.

Solo un vecchio tronco ricoperto di muschio rompeva le righe, segnando un quadrivio. La via stretta percorsa da Wander si perdeva nel bosco; quella che la incrociava, confine degli alberi, portava ancora i segni di un tempo in cui quelle terre vicine al confine del mondo erano popolate. La seguì con lo sguardo verso sud, fino all'orizzonte.
Vicino al crocevia Agro sbuffò, portò indietro le orecchie e si fermò di colpo, sbilanciando il suo cavaliere. Quando le loro opinioni differivano, tentare di imporsi sull'enorme morello era una lotta senza speranza e Wander ne era da tempo cosciente: per scrupolo, scese di sella e controllò gli zoccoli e il sottopancia, senza capire cosa avesse irritato il compagno. Lo fissò sconsolato e venne ricambiato da un nitrito sommesso.

“Salute, viaggiatore.”
Wander portò la mano vicino all'elsa della spada. Quello che da lontano poteva sembrare un tronco era in realtà una donna china, avvolta in un mantello pesante dall'aspetto di muschio. Si era voltata per salutarlo, rivelandosi alta, con la pelle scura e grinzosa come il legno, gli occhi marroni, sottili e attenti. Una corona di rami intrecciati le tratteneva i capelli, castani e stopposi, così che era difficile dire dove finisse l'una e iniziassero gli altri. Da sotto il mantello spiccava un tabarro, lungo fino ai piedi secondo un uso che presso la gente di Wander si era perso da generazioni. C'era molto nero nei suoi simboli, più di quanto fosse accettabile per una donna, e gli intrecci si contorcevano in messaggi che il giovane viaggiatore non era in grado di decifrare.
“Salute”, rispose, la mano cautamente sul pomo.
“La strada è lunga e la sera si avvicina. Che anima audace si attarda sulla via?”
“Un viaggiatore.” Che sarebbe saltato in sella e ripartito, se solo Agro gliel'avesse permesso, perché la strada era davvero lunga e l'avvicinarsi della sera non aveva peso per un giovane temerario che aveva già dato addio all'ultimo tetto. Solo la meta contava, e il riposo necessario a sostenere il viaggio.

La donna lo osservava, in attesa. Fece un passo in avanti, l'unico movimento che le avesse visto compiere da quando si era alzata: la stoffa rigida che la ricopriva nascondeva braccia e gambe e le dava l'aria di aver messo radici nel terreno.

“Hai una stalla e un giaciglio da offrirci?”, si sentì dire d'un tratto e tutto quello che importava era la stanchezza del tanto cavalcare. Braccia e gambe dolevano e lo stomaco reclamava un pasto caldo che mancava da troppi giorni.
Lei annuì con un sorriso soddisfatto e si incamminò; Agro non si oppose. Per Wander, sul momento la cosa più sensata da fare sembrò seguirli, non a sinistra dove avrebbe dovuto svoltare ma dritto, in mezzo alla fitta vegetazione, e prima che il suo istinto si ribellasse erano ben addentro al bosco, seguendo un sentiero tenue come quelli della pianura reso più ingannevole dal susseguirsi identico degli alberi.
Camminare dietro a loro era rassicurante, piacevole, facile.

“Mi chiamano Unara del Castagno.”
“Chi ti chiama?”, chiese, perché non riusciva a immaginare quei boschi abitati da altri che non fossero spettri.
Lei tacque.
“Il mio nome è Wander.”
“Sei ardito a rivelarlo così.”
“Non mi appartiene più: vi ho giurato.”
“Allora sei cortese.”
Tacque lui.

“Gli alberi.”
“Cos'hanno?”
“Quelli fuori”, precisò esitando. Gli sembrava di essere entrato in un altro mondo. “Chi li ha ordinati?”
“Loro stessi”, rispose lei ridendo piano, un suono dolce che contrastava con la sua aspra parlata del Sud. “Non amano la strada, temono i pericoli che essa porta con sé.”
“Pensavo fosse il contrario.”
“Fidati del giudizio di un albero, giovane Wander. Di rado ne troverai uno più assennato.”

Nel silenzio prolungato che seguì, Wander si sentì sul punto di risvegliarsi da un sogno verde. La magia che l'aveva legato si stava allentando e poteva nuovamente pensare – abbastanza, almeno, da essere certo che quella che aveva guidato la sua voce e i suoi passi fosse magia e la strana donna che lo guidava, che conosceva il volere degli alberi e i pericoli di un nome, una strega. Sarebbe dovuto fuggire. Ma una parte di quell'incanto si era annidata nel suo cuore e tratteneva con forza l'idea del riposo.
“Cosa mi hai fatto?”
“Ho parlato alla tua stanchezza ed essa ha parlato per te. Non ho il potere di trattenere un uomo”, gli rispose, “resterai solo per stanotte, a meno che tu non desideri altrimenti.”
Wander si girò verso l'involto che Agro portava in sella e gli rivolse uno sguardo di scusa.
“Va bene.”
Solo un giorno, Mono, pregò. Puoi aspettare un giorno di più?

“Siamo arrivati”, annunciò Unara guadando un ruscello.
L'acqua fredda riscosse Wander dai pensieri cui si era abbandonato, di cui la sua guida era invariabilmente protagonista. D'istinto gli piaceva quella donna, coi suoi silenzi e i suoi gesti invisibili: gli ricordava sua madre, se solo sua madre fosse stata un albero. E non gli aveva proprio detto, molti passi addietro, di fidarsi delle piante? Certo sembrava un consiglio sensato, aveva riflettuto rabbuiandosi, quando tutto quello che gli uomini sembrano saper fare è parlare di maledizioni e destini segnati.
La sua magia, però, lo spaventava. Un potere diverso da quello con cui era cresciuto, che era fatto di formule e preghiere familiari: Unara aveva smosso un ciottolo per provocare una valanga e tutto, in quelle terre, era connesso e parte di un grande incantesimo, un mondo di simboli cui Wander non aveva mai aperto gli occhi. Le storie insegnavano a temere le streghe. Restò in guardia.
Con questo pensiero ancora fresco in mente vide, ma non comprese, la radura che si stendeva di fronte a loro. Il prato era punteggiato di grosse pietre spezzate, più di una dozzina, poggiate su un terriccio ancora fresco. Gli ricordò un luogo di sepoltura. All'altro estremo la casa, la loro meta. L'edera la ricopriva tutta tranne che per una chiazza di tetto dalle tegole imbrunite e due finestrelle buie. Al suo fianco, una stalla che non avrebbe potuto ospitare più di due o tre animali.

Seguirono docilmente Unara fino alla stalla, che si rivelò ordinata e accogliente. Wander fu sopraffatto da un odore di fieno che gli ricordava casa; sotto lo sguardo della strega liberò Agro dal suo carico e poi da sella e finimenti, soffermandosi dolcemente sul primo per tutto il tempo che poté concedersi senza sembrare sospetto. Salutò Mono in silenzio, come aveva imparato; con Agro poté essere più libero. Dopo una necessaria strigliata, si alzò in punta di piedi per grattare le orecchie del suo compagno di viaggio, allo stesso tempo ringraziandolo e incolpandolo per il susseguirsi di eventi che li aveva portati fin lì. Con un'ultima occhiata a entrambi, fu pronto ad uscire.

“Non con quella”, lo ammonì Unara, che era rimasta immobile sull'uscio. “La morte non ti seguirà nella mia casa.”
Wander la guardò torvo. Aveva temuto per tutto il tempo domande sul suo bagaglio ed era trasalito a quell'affermazione; solo poi si era reso conto che l'oggetto del divieto – il simbolo più ovvio – era la sua spada e abbandonarla lo faceva sentire ugualmente insicuro. Cercò di rispondere, ma si trovò presto ad allentare il fodero e riporlo a fianco di Mono.
“Non hai di che temere”, lo rassicurò, circondandolo di parole calme e vincendo con quelle le sue paure. “Vieni.”

Di nuovo Unara si fermò sulla soglia, mentre Wander entrava in casa e si stupiva di trovarla buia e fredda, ai suoi occhi più morta della lama da cui si era separato.
“Non mi segui?”
“Riposa, viaggiatore. Ti seguirò. Ora, altri richiedono la mia presenza.”
“Altri?”
“Giovani alberi che non resisteranno al gelo, frutti caduti su terreno arido. Concedo loro il riposo”, rispose con un sorriso enigmatico, e non c'era dubbio che quel dono fosse eterno. Se ne andò, con lo strascico della veste che raccoglieva paglia e foglie secche.
Wander la osservò mentre si allontanava nel bosco, confondendosi con la vegetazione. Fu tentato di tornare da Agro, sellarlo e fuggire. Restò immobile.
Solo per un giorno, Mono.

La luce filtrata dalle finestre toccava gli oggetti della sala dando loro contorni indistinti, che sotto lo sguardo di Wander si ricombinavano in figure spettrali.
“Va bene”, aveva detto. Le sue parole pesavano come catene.

Aveva freddo e Unara non tornava.
Vide un camino pulito, degli sterpi e un ceppo nuovo – accese il fuoco. Il tepore gli entrò nelle ossa assieme alla memoria di giorni più lieti: se ci fosse stata Mono al suo fianco, se avessero davvero viaggiato insieme fino a quei luoghi sperduti, si sarebbero potuti fermare più a lungo di un giorno, se la saggezza della sua compagna l'avesse ritenuto appropriato. Forse avrebbe detto che potevano fidarsi della strega. Allora avrebbero tenuto vivo il suo fuoco e condiviso i suoi silenzi. Rimpianse di essere giunto lì per un viaggio infausto e comunque di essere troppo incolto (e incauto, e altre parole che non conosceva) per comprendere la situazione, restando teso fra il giuramento che lo guidava, il naturale timore e una fiducia istintiva che poteva essere o non essere suggerita da una malia. Mono avrebbe capito. L'avrebbe guidato.
Combatté le lacrime. Ricordarla, immaginarla lì era l'unico modo che aveva per tenerla in vita.
Ancora per poco.

Aveva fame e Unara non tornava.
Il fuoco aveva tinto la stanza di altra vita: pentole, erbe e rami erano appesi alle pareti, dipinte con numerosi simboli. Gli stessi motivi si ripetevano sul pavimento in legno, mentre mensole e tavoli traboccavano di oggetti che avevano forse nella sacralità la loro unica base comune: vasi, maschere, pugnali, sacchetti di semi colorati, oli, stoffe ricamate, piume. Dei tasselli di legno inciso erano sparsi su un pagliericcio in un angolo.
Al centro della sala spiccava una tavola imbandita e apparecchiata per due. Wander si sedette, studiando le ciotole di spezie e i recipienti ineguali che contenevano minestre fredde, formaggi e frutta secca. Una forma di pane scuro e profumato troneggiava su quell'abbondanza, adagiata in un letto della sua stessa farina. Wander sentì una morsa allo stomaco.
Prese il pane e lo spezzò in due, servendosi della metà più piccola come cortesia comandava e riponendo il resto.

“Mi aspettavi?”, chiese quando la vide rientrare, china e tirata, avvolta nel mantello.
“No. Preparo ogni giorno, sperando in un ospite.” Si sedette al tavolo e servì entrambi di una birra chiara. “Sono Unara del Castagno. Così onoro l'origine del mio nome, che offre nutrimento ai viandanti in inverno.”
“È anche un frutto di morte, offerta ai defunti. Le storie insegnano a temere chi tratta con l'aldilà.”
“Sei bene istruito, per essere un cacciatore”, rispose piccata. E le storie esigono rispetto, ma sarebbero state parole inutili: lo sapevano entrambi.
“Ho avuto una buona maestra.”

“E tu menti”, ribatté poi, calmo. “Lo sapevi, dato che sei una strega.”
“Sì.”
“Perché?”
“Gli uomini non mi volevano. Un giorno ho deciso che non li volevo neanch'io.” Prese una manciata di castagne da una ciotola e se le rigirò in mano, pensierosa, come cercando parole adatte.
Penso di capire, stava per rispondere Wander.
“Sono uscita da un destino maledetto”, lo precedette lei guardandolo negli occhi.
La risposta gli morì in gola.

Non si ribellò quando, prima di alzarsi, gli chiuse il palmo attorno a quelle stesse castagne. Né le impedì di segnargli la fronte con un olio nero e maleodorante.
“Per protezione”, disse. “Sangue contro il sangue.”
“Sangue...?”
Non ricevette risposta.

Unara gli mostrò una scala a pioli che portava in soffitta e non si sorprese di trovarvi il suo giaciglio già pronto, incastrato in uno spazio rubato a stoffe, legna e altri oggetti che al buio non riconobbe.
Con addosso la stanchezza di giorni di viaggio nelle terre selvagge, ci si gettò senza eleganza. Era però troppo inquieto per abbandonarsi al sonno: mentre lasciava che la stanchezza defluisse e si imprimeva a fuoco ogni sensazione di calore e protezione, con l'udito cercava qualunque indizio sui movimenti della strega.
Sangue contro il sangue.
La sentì parlare, ma non riconobbe la lingua. Rumore d'ossa. Qualcosa bolliva. Era pronto a scattare se appena avesse sentito un gradino cigolare o la porta aprirsi, ma Unara non sembrava interessata a lui né alla stalla coi suoi preziosi occupanti. Wander chiuse gli occhi.

Si trovò nel mezzo di un'ampia vallata, in un cerchio di ombre. Quelle si accalcavano su di una superficie invisibile, non riuscendo ad oltrepassarne il perimetro, mentre Wander le osservava sgomento dal suo interno. Lo cercavano.
Iniziarono ad arrampicarsi l'una sull'altra nel tentativo di raggiungerlo, ma ancora la sua protezione resisteva, anche se sembrava fatta solo di aria fina. La vista della valle fu presto coperta dal muro d'ombra che cresceva, ingoiando i boschi, le vette, il cielo, soffocandolo in una cupola perfetta... poi il legno scacciò le ombre, o le ombre divennero legno, divennero rami e non era più notte. Dal nuovo groviglio filtrava un sole caldo.
Wander sentì distintamente un ciottolo smuoversi dentro di sé.
Si arrampicò con tutte le sue forze verso l'ultima apertura, stretta, sempre più stretta...

Wander aprì gli occhi. Era a letto. Gambe e braccia pesavano come dopo un giorno di fatiche e non riusciva a pensare con chiarezza, perso in un turbinare di ombre e legno. Da qualche parte al piano di sotto, Unara cantilenava nella sua strana lingua. Non aveva forze per combattere e ritrovare se stesso in quella confusione, così ebbe l'impressione di cadere a pezzi e confondersi nel buio.
Resterai solo per stanotte, a meno che tu non desideri altrimenti.
Cosa desiderava?

Strizzò gli occhi, li riaprì e immaginò di vedere una figura bianca abbagliante ai suoi piedi: il suo desiderio. Se avesse permesso alla magia di sopraffarlo era certo che non l'avrebbe più rivista. Non era però un incantatore e poteva contrastarla solo col suo corpo: lentamente, un muscolo alla volta, lottando contro un'enorme pressione si alzò.

Si trascinò a forza nella casa vuota, giù dalle scale e fino alla soglia, compiendo ogni passo come se fosse lo sforzo supremo. La sala era tornata buia e spettrale, ora riempita dai fantasmi cui stava sfuggendo: una fila di spettri benigni, perché non c'era del male in quella casa, solo radici troppo profonde. Ombre di possibilità che lo vedevano dimentico del suo giuramento, privo della sua volontà più profonda, al sicuro e in pace sotto la protezione della strega del Castagno.
Seguì il suo ricordo bianco. Per Wander, l'unica serenità era al suo fianco.

Ringraziò il Passaggio che la porta incarnava e che in un momento di lucidità riconobbe come un simbolo antico e potente di rottura, una protezione affine all'acqua corrente del ruscello. Fuori da essa, il legame era debole. Corse verso la stalla e respirò veramente solo dopo essersi accertato che Mono era ancora lì, come l'aveva lasciata, al sicuro avvolta nella stoffa grigia e assieme a lei il suo nome, le sue speranze, tutto il suo futuro. Per Wander, l'unica vita era al suo fianco.

Impugnò infine la spada sacra, la tenne alta sopra la testa e ci si specchiò, in cerca di chiarezza. L'incanto gli cadde di dosso come un mantello. Libero di agire e senza cedere alla paura né perdersi in riflessioni, sellò in tutta fretta Agro e gli buttò in groppa i suoi pochi averi prima di fuggire verso il bosco a un trotto sostenuto.
Non si voltò indietro. Superò le rocce spaccate con un'angoscia che aveva poco a che fare col pericolo cui era appena scampato, ma nell'impeto del momento non li distinse. La fronte gli pulsava. Aumentò l'andatura e si chiuse a ogni pensiero salvo uno: Mono. Quell'unico che lo accompagnò fino alla fine.


***



“Era mio ed era salvo. Senza la protezione dell'ospitalità, legato alla casa dal ceppo nuovo acceso, legato a me dal pane spezzato. L'ho condotto sulla mia strada e sui miei simboli. Eppure ho combattuto contro un semplice giuramento e ho perso.” Dispersa la rabbia fra le fronde, Unara era cupa e appassita di fronte alla sconfitta del suo gesto gentile.

“Avrei dovuto imparare dalle storie. Ma ho tentato ugualmente di scacciare l'ombra di pietra che grava su di lui. Sono stata sciocca? Non avrei dovuto tentare?” Gli alberi fremettero.
Lei si appoggiò ad un pioppo.“No, non era solo un giuramento. C'era il Giovane, la Dama, la Strega. Avrei dovuto imparare dalle storie, avrei... la verità è che ho combattuto contro il più puro Amore e ho perso, vero? E non c'è mai stata battaglia più futile. A cosa gli è servito cavalcare una storia che nemmeno conosce?”, lamentò sottovoce, mentre una foglia impigliata sui suoi rami proseguiva il suo volo verso terra. “La strega è battuta, l'ordine ristablito. Ma ho già scorto il loro destino. Il mondo degli uomini venera una condanna.”

Gli alberi la chiamavano Unara del Castagno, la Madre del Bosco. Passeggiò a lungo finché la stanchezza non la trattenne, offrendo loro il suo freddo amore fedele di strega che non conosceva sacrifici.


***



Indicò la strada a sei viaggiatori, cercavano un fuggitivo su un cavallo nero. Passarono i giorni e li vide tornare, ed erano ancora sei, e la sua tristezza si perse nel fruscio delle foglie d'autunno.
“Parlami di lui”, chiese alla loro guida e restarono in silenzio, dolenti, fino al calare del sole.


   
 
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