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Autore: Caesar    09/11/2009    2 recensioni
Ma lei –lei!- continuava a guardarlo, maliziosa, e il vento sussurrava nella pioggia leggera.
Lucius Malfoy e Lily Evans. Una storia d’amore? Forse.
Una storia di passioni e peccati, piaceri e sbagli. Una storia di Vizi.
[Perché lei –lei, Lily Evans- adesso era intoccabile. Almeno per lui].
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Lucius Malfoy
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nota importante: questa breve one-shot è nata dopo aver letto la bellissima drabble di Fleacartasi (nome tutt'altro che oscuro su EFP), una delle mie autrici preferite, che  mi ha ispirato  a tal punto da  far  nascere  questa  storia. La drabble, che possiamo trovare all'inizio della splendida raccolta "A Drop of Liliac", è semplicemente perfetta e consiglio a tutti di leggerla.

Naturalmente, prima di pubblicare ho chiesto il permesso di Fleacartasi. 

Ultimissima cosa: il rapporto che ho voluto descrivere, quello tra Lucius e Lily, è secondo me il più affascinante insieme a quello fra Sirius e Bella. Un rapporto strano, a tratti malsano, a tratti così assoluto da renderlo puro. Un rapporto complesso, intricato, che nella saga non esiste e che perciò noi fanwriter possiamo gestire e manipolare come vogliamo. Un rapporto che mi sono divertito molto a descrivere, e che spero di aver reso al meglio. Concedetemi la piccola licenza poetica riguardo all'età di Lucius: se secondo la Rowling era ben più vecchio dei malandrini, in questa one-shot frequenta il loro stesso anno.

Ah... e ditemi cosa ne pensate della mia dolce, dolcissima Lily! XD

Untouchable

 

***

 

L’aveva sempre vista camminare per i corridoi, bellissima e altera, fiera e orgogliosa come il suo cuore d’oro fiammeggiante. L’aveva seguita con lo sguardo, da lontano, in un’accavallarsi d’immagini e ricordi che ormai avevano perso importanza, sfumando impercettibilmente sempre più in un’unica scena. Un unico momento intriso di passione, e di una pioggia beffarda che, se solo sulle sue labbra fosse stata salata… avrebbe potuto ricordargli delle lacrime.

 

*

 

Il vento sussurrava al suo orecchio, raccontandogli una storia che aveva già sentito.

Ma non ricordava da chi, né quando.

Spostò lo sguardo grigio e implacabile verso il lago nero, là dove il sole affogava in quelle onde spumeggianti e scure, prima di riportarlo verso il parco, su quel libro che lei stava leggendo.

Un raggio di sole accecante lacerò le nubi scure, colpì obliquo i suoi occhi chiari –occhi di ghiaccio, ma che bruciavano come fuoco sulla pelle- così lui dovette fare un passo indietro, prima di socchiudere le palpebre e portarsi una mano all’altezza del volto d’alabastro, perfetto quasi alla pari con la costosa camicia che indossava, per ripararsi da quella luce improvvisa e violenta, palpitante di vita.

I boccoli rossi le scendevano sulle spalle come lingue infuocate, incorniciando quel viso dalla bellezza crudele, sfiorando quelle labbra piene, fatte per essere assaggiate, morse, baciate.

Quegli occhi che scorrevano famelici sul libro, come se la loro ragione d’esistere iniziasse e finisse tra quelle pagine ingiallite e stropicciate, perdendosi all’inseguimento infinito di una parola illeggibile, di una sillaba mancante – si accorgeva di quanto fosse desiderabile?

Le labbra, oh quelle labbra!, che si piegavano in un broncio appena accennato per la concentrazione, lo sguardo di smeraldo acceso e vivo, a tratti oscurato da ombre rapide e ingannevoli, così sfuggevoli da far dubitare di averle scorte veramente.

Occhi di giada, crudeli e splendidi nella loro beffarda consapevolezza.

[Di essere intoccabili, intoccabile.

Almeno per lui].

Lui che si scostò una ciocca dei capelli biondi come schegge d’oro pallido dalla fronte, mentre si appoggiava a una delle colonne che si affacciavano, timide e bianche, sul parco incendiato dall’ultimo bagliore del crepuscolo. Lo stesso bruciante, vivido riverbero che le infiammava i boccoli, le guance piene, lo sguardo sprezzante.

Il vento continuava a soffiare, sussurrando, ma quella storia non aveva senso – era una storia d’amore? Forse. Una storia di passioni e peccati, piaceri e sbagli. Vizi.

Lui piegò la linea delle labbra in un ghigno storto, che forse sarebbe potuto essere un sorriso d’amara ironia, mentre si aggiustava la camicia bianca; si saggiò il labbro inferiore con la lingua, ben sapendo quanto quelle labbra serrate e sporche avessero spezzato la superba, fulgida alterigia che aveva sempre indossato come una corona d’alloro.

[E allora dov’era il mantello scarlatto e il viso dipinto di rosso?

Ma in fondo… il suo non era certo un trionfo].

Sfiorò compiaciuto, con le dita lunghe e nervose, i polsini che si stringevano sui polsi eleganti, le maniche ampie, i pantaloni scuri, neri come le nubi che si rincorrevano minacciose nel concavo blu del cielo estivo.

Riportò lo sguardo su di lei, preghiera e bestemmia in quel mondo d’alterigia e superbia; lo lasciò scivolare, rovente e sempre più cupo, sulla pelle bianca, sulla camicetta blu attillata, i jeans aderenti.

Poi lo risollevò verso il viso d’acquarello, solo per incrociare quello di lei, seduta all’ombra di un albero antico.

Uno sguardo beffardo, uno sguardo crudele. Uno sguardo di passione che diceva tutto e niente, niente e tutto – o erano quelle ombre, così sfuggevoli, a parlare – a sussurrare?

Fu trafitto –ucciso- da quegli occhi, ma c’erano apparenze da salvare a costo della vita e lui lo sapeva fin troppo bene, così non abbassò lo sguardo implacabile, né lasciò che qualcosa trapelasse dal volto marmoreo, in un istante di colpevole debolezza.

 

Ormai anche l’ultimo bagliore di luce era declinato oltre la sottile linea dell’orizzonte, dietro le creste innevate dei monti lontani, e una pioggia leggera e fresca aveva cominciato a cadere.

Una pioggia dalla bellezza crudele, come tutto il resto di quella scena, che sembrò dilatare un istante all’infinito, il semplice incrociarsi -incontrarsi, scontrarsi- di due sguardi diversi, eppure così simili.

In breve quei boccoli furono fiamme cremisi, lingue di fuoco scuro su una camicetta che aderì in modo insopportabile al corpo sinuoso – lei si mordicchiò il labbro inferiore, sensuale e pericolosa.

Lui fece un passo in avanti, abbandonando la piacevole sicurezza del coperto, dell’oscurità, e la pioggia cominciò a scorrergli sul viso, sulle iridi grigie e implacabili simile a serpenti di vetro - che, se solo sulle sue labbra fossero stati salati, sarebbero potuti essere lacrime.

[Vuoi giocare, Lucius?]

Glielo dicevano quegli occhi, splendidi e bellissimi come schegge di giada sotto la pioggia scrosciante, e lui sapeva di aver già accettato, non si ricordava neppure più quando, quella tacita promessa di piaceri squisiti e squisiti peccati – aveva già posseduto quel corpo d’avorio e oro, aveva già tracciato con le mani quelle linee perfette, perdendosi nel vortice della lussuria, baciando e morsicando quelle labbra sensuali.

Non era servito – aveva preso ciò che voleva, in un’ultima speranza di salvezza, ma non era servito.

E se la vanità –oh, la vanità!- l’aveva condotto laggiù, era stato l’orgoglio a farlo precipitare del tutto.

[Vuoi giocare?]

L’ossessione che gli era sorta sottopelle non sembrava poter essere placata, neppure urlando, gridando al cielo tempestoso tutto ciò che sentiva dentro, in un eccesso di risa folli che lo avrebbero squassato nel profondo.

Era un cancro, una malattia che opprimeva i polmoni e schiacciava il cuore, crescendo sempre più, sempre più ogni giorno. Era un vuoto, immenso e terribile, che si spalancava come un abisso senza fine in mezzo al petto e gli strappava il respiro; aveva lo stessa amara, infida dolcezza di un veleno letale, che gli scorreva bruciante nelle vene mischiato al sangue – e che nascondeva un segreto da bisbigliare solo nel silenzio più assordante, un’oscenità dettata da pulsioni e passioni che non potevano essere comprese appieno, neppure da lui. L’osceno segreto del bisogno.

[Vuoi…

Il bisogno di averla, sempre e comunque, sua e solo sua.

Un bisogno così rovente da divampare nella violenza, nel gelido furore lordo di menzogne e apparenze, in una lucida follia che legava a sé la torbida gelosia, l’invidia più aspra, la feroce vanità, l’orgoglio più cieco.

…giocare…

Ma lei –lei!- continuava a guardarlo, maliziosa, e il vento sussurrava nella pioggia leggera.

Lui ghignò, e non avrebbe saputo dire a chi fosse rivolto il bruciante disprezzo che si poteva scorgere, a tratti, in fondo ai suoi occhi.

…Lucius?]

L’incendio che quello sguardo gli aveva acceso dentro sembrava divorarlo ogni istante di più, implacabile e devastante, e scoccando un’occhiata al cielo burrascoso Lucius Malfoy si accorse che presto la luna, dietro quelle nubi scure e minacciose, sarebbe sorta fulgida e lucente, sorridendo beffarda, così ammiccò nella pioggia, prima di voltarsi e andarsene.

Ma non senza aver sentito ancora quella storia di vizi e passioni, peccati e piaceri, sbagli; non senza aver visto un’altra volta quegli occhi di giada, crudeli e splendidi nella loro sprezzante ironia.

[Perché lei –lei, Lily Evans- adesso era intoccabile.

Almeno per lui].

 

   
 
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