“Ho pianto fin troppe lacrime. Le albe sono strazianti, ogni luna è atroce ed ogni sole amaro.”
Arthur Rimbaud (1854 – 1891)
Debole. La sua anima, debole.
Si aggrappa alle mie carni, come un infante. Sperduto, piangente. Nel suo corpo
alimenta la dissolutezza d’un demonio, arso dal fuoco del vivere fin nelle ossa,
nei reni. Odore di lenta e fumosa decadenza, in quest’estate che a me nulla
pare, più di una stagione. È disperato, distrutto. La rivoltella carica luccica
come una farfalla morente, sul legno graffiato del tavolo. So che non si
ucciderà, ora che sono qui. So che mi brama, mi desidera, accecato dalla
bellezza d’uno spirito che non riesce a imbrigliare. Lo spirito mio, che non è
in grado d’afferrare e far suo. Sciocco, è, a volte, questo mio povero poeta
cultore d’assenzio.
“Vi abbandono, mio caro Verlaine. Non saprei dirvelo in altro modo”.
Comprende, malgrado i suoi occhi siano appannati, il suo sguardo lento. Mi
diverte, tormentarlo così. Mi rende Padrone. Seviziarlo, punirlo, dannarlo. Fino
a portarlo oltre la soglia dell’umana ragione. Fino a renderlo pazzo, folle
d’ira, violento d’una violenza che ci ha portato spesso ai coltelli, al sangue
versato, alle ferite nel corpo e nell’anima che ci alimentano l’estro. Siamo
fatti di pulsioni e peccati fin troppo simili. Io ricerco nella sua carnalità
una sapienza che mi renderà genio. Lui non sa resistere a nulla, e si pente di
tutto.
Mio perverso, delicato Verlaine. Ci odiano per quello che siamo. Ci odiamo anche
noi, più di chiunque altro. Ma questo sentiero deve essere percorso da poche
anime scelte, non è vero, mio deviato Verlaine? Raggiungeremo, insieme,
l’eternità.
“Non ricattatemi, Arthur! Vi ucciderò, parola mia. Non vi permetterò
d’abbandonarmi”.
Il mio sorriso gli scortica il volto. Geme, piange come un uomo massacrato, il
mio amato Verlaine. Le sue mani mi afferrano, mi scuotono, stringono i miei
capelli, la mia camicia. Tremanti, indugiano sul mio petto. Debole. Di una
debolezza straziante e patetica, che mi induce al disgusto e al desiderio
morboso. Repulsione per la sua forma, travolgente necessità di estrema
possessione. Unica, possessione.
“Voi dite di amarmi, Verlaine. Ebbene, non tornate da vostra moglie.
Abbandonatela, per sempre. Venite con me. Fuggiremo altrove, lontano da questi
gretti individui che vi perseguitano. Vivremo di ciò che vogliamo, avremo ciò
che vogliamo”.
Le sue eleganti mani scavano solchi nelle pieghe della mia camicia, fino a
scoprire la pelle candida, morbida, giovane. Il mio cuore trema, per un breve
istante. Memore di quell’ardore avido che ha albergato nelle mie vene, nella
mia gola, soffocando ogni impulso vitale, ogni respiro, fino a scoppiare brutale
nei baci, negli amplessi incontrollati, scosto rudemente le sue dita bianche.
Una furia improvvisa mi infiamma le membra. Non sono più uomo ma bestia,
animale.
“Rispondete. Ora!”.
Ringhio. Afferro il mio adorato Verlaine per la blusa e lo costringo a guardarmi
negli occhi. Non tollera di contemplarmi troppo a lungo, e si rifugia dietro le
ciglia bagnate, chinando il capo, sconfitto.
“Non posso” biascica, tormentato.
Datemi un marito, io vi darò un bugiardo.
Questa bettola risuona di un silenzio insopportabile.
“La vostra codardia mi da la nausea. Vi biasimo, vi condanno. Rigetto bile sulla
vostra viltà e sulle vostre pavide lacrime. Vi disprezzo. Vi rifiuto”.
Quanti addii, mio timoroso Verlaine. Quante mie vesti zuppe dei nostri gemiti e
della nostra corruzione. Quanti roghi mai estinti e quanti scritti bruciati in
essi. Quante turpi inclinazioni e quanto talento scellerato.
Legati da fili indissolubili, i nostri passi si perdono, intraprendendo cammini
a noi sconosciuti.
Vi sto per lasciare, qui, e voi non sapete che dire, nel vostro bieco dolore.
Il rumore dello sparo mi appare come il rintocco di una campana.
Altro sangue versato, altro sangue miserabile e tristo.
Ma l’eternità è ritrovata, mio sperduto Verlaine. L’eternità. Il mare,
unito al sole.
*
Note by GWTG
Dunque, è un tributo storpio, azzoppato, vergognosamente pessimo, ad Arthur Rimbaud e Paul Verlaine. Il tentativo è ritrarre il momento in cui i due poeti (amanti) si dividono definitivamente. Verlaine spara a Rimbaud con la sua rivoltella, ferendolo al polso.
E stop. Se vi interessa il resto, c’è sempre google.
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