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Autore: Illidan    21/11/2009    10 recensioni
Di come il principe Legolas fosse la disperazione di suo padre e come conobbe Aragorn, Gimli, Eomer, Faramir e Boromir dopo essere stato costretto ad andare a scuola da Elrond, e quel che ne seguì.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capri espiatori

Capri espiatori

 

Il titolo di questo capitolo è un termine abbastanza in uso che significa ‘persona o gruppo di persone incolpate per la tradizione popolare, per antiche questioni o per pura sfortuna di crimini o di disgrazie che non hanno commesso o che non potevano causare’.

Spesso la folla, incapace di dare una spiegazione logica agli eventi, cerca di punire il primo probabile sospetto che le capita a tiro. Infatti, nel capitolo precedente, i pontelagolunghesi hanno subito scelto come capro espiatorio Alcarin, perché era vestito strano e non lo avevano mai visto prima. Se invece avessero voluto ragionare, avrebbero capito che allo stregone non importava affatto distruggere il carretto, che lo aveva fatto solo perché era stato spintonato e aveva sbagliato incantesimo e che a lui interessava solamente catturare Legolas e costringerlo a pagargli le 6000 monete d’oro, logicamente più gli interessi, pattuite per il teletrasporto con il quale il nove dicembre aveva rimandato a Gran Burrone lui e i suoi cinque compagni. Naturalmente questo avrebbe comportato anche il racconto di come aveva conosciuto il figlio di Thranduil e di chi era lui in particolare, ma per una simile narrazione non sarebbero bastate meno di dieci ore. E ovviamente la folla inferocita non avrebbe mai aspettato così tanto tempo, ansiosa com’era di ammazzare qualcuno.

Altre volte è invece l’autorità che, per non perdere prestigio ammettendo che la causa del male è la propria negligenza, indica uno straniero o un ‘diverso’ in generale come colpevole di tutto ciò che è accaduto.

In questo caso, però, il governante deve assicurarsi che il malcapitato non sia nessuno di importante, anzi deve essere sicuro che sia proprio una nullità, perché sennò i suoi amici o parenti potrebbero protestare.

Ma ora torniamo alla nostra storia.

Eomer raggiunse subito Faramir e Boromir che correvano tirando i muli per potersi allontanare più in fretta possibile dopo quello che aveva detto il giovane cavaliere.

“Credo di aver capito perché ci sono state guerre tra voi e i dunlandiani: li offendete ed è chiaro che loro vogliano vendicarsi!” disse Faramir.

“Ma... insomma... era facile sbagliarsi...” borbottò Eomer.

“Ha ragione: quelle tre pecore non sembravano certo uomini!” esclamò Boromir con voce assente.

“Visto? Lo dice anche tuo fratello!”

“Dato il suo stato confusionale, io non riterrei motivo di vanto il fatto che lui condivida le tue idee.” ribattè Faramir.

“Cosa??? Non ho capito un tubo!”

“Insomma, ho detto che hai le stesse opinioni di un drogato!”

“Come ti permetti?!? Ti sfido a duello!” esclamò Eomer colpendo Faramir con un guanto.

“Che bello! Voglio fare l’arbitro!” gridò Boromir.

“Senti Eomer, non faremo nessun duello! Siamo ancora in Dunland e quei tre pecorai potrebbero raggiungerci!” ribattè l’unico fra i tre uomini che avesse un minimo senso della ragione “Quindi sbrighiamoci ad andarcene e BASTA!!!”

Gli altri due si zittirono all’istante e il viaggio continuò senza problemi.

Intanto Gandalf, il famosissimo stregone conosciuto in tutta la Terra di Mezzo per le sue imprese e nella Contea per i suoi fuochi d’artificio, stava camminando proprio nella loro stessa posizione del Dunland. Aveva una missione importante: doveva incontrare un suo informatore fra i dunlandiani per accertarsi che non stessero preparando un’altra guerra contro Rohan. Poi, già che c’era, si sarebbe comprato una bella pelle di pecora perché gli anni pesavano anche a lui e le ossa gli dolevano parecchio durante l’inverno.

“Radagast mi ha detto che il nostro amico doveva dirmi queste parole d’ordine:-Vedi una pecora?- e io dovevo rispondere -Sì, anche bella grossa. Ci faremo un sacco di lana con la tosatura.- Ha anche cercato di riferirmi come si chiamasse e che faccia avesse, ma poi l’ha sentito un pettirosso ed è dovuto scappare... Io proprio non capisco in cosa consista il suo grande potere, essere perseguitato dagli uccelli non mi sembra ‘sto gran che...” pensava Gandalf mentre osservava l’orizzonte sperando di scorgere una qualche presenza di vita.

Dopo un po’ di tempo, arrivò in cima a una collina e vide alcuni dunlandiani con una mandria di pecore in fondo al colle. Si diresse subito verso di loro, sperando di poter trovare l’informatore.

Purtroppo per lo stregone, quelli che aveva visto erano Pastorful, sua moglie, suo cognato che stavano discutendo animatamente con altri pastori che avevano appena incontrato.

“E quell’insolente di un ragazzino a cavallo mi ha risposto che comunque era la donna che ogni caprone avrebbe voluto! Ma vi rendete conto??? Mi ha dato del caprone puzzolente, oltre ad aver offeso mia moglie!!!” sbraitava il capr... ehm, Pastorful.

“Per mille pecore e capre! Questi uomini di Rohan sono proprio degli sfrontati! Forse dovremmo dargli una lezione...” disse uno dei dunlandiani appena arrivati.

“Purtroppo è impossibile! Come dice sempre Dartagimb: ‘chi di spada ferisce, ne piglia sempre una sacca’!” sentenziò un’altro.

“Ma i proverbi non dovrebbero fare rima?” chiese il cognato di Pastorful.

“Sì, è vero... Com’è che dovrebbe essere allora? ‘Chi ferisce una vacca, ne piglia sempre una sacca’?” domandò la moglie.

“No, aspetta, non mi suona... Forse era ‘Chi pesta una cacca, ne piglia una sacca’, no?” provò il primo dunlandiano.

“Oppure ‘chi tira una cacca, ne piglia una sacca’?” azzardò il secondo.

“Basta con questi proverbi! Quel che volevo dire era che questi uomini di Rohan non ci vedono proprio per niente! Insomma, vi sembra forse una pecora?” domandò Pastorful indicando sua moglie. Gli altri dunlandiani risposero insieme che non sembrava affatto una pecora e che aveva ragione.

“Già, ve lo dimostrerò: vedete quel tipo là che si sta avvicinando? Ora lo chiederò anche a lui!” disse indicando Gandalf che stava scendendo la collina.

“Salve a tutti!” disse lo stregone quando li raggiunse.

“Salve a te, straniero! Senti, vedi una pecora?” domandò Pastorful indicando verso sua moglie e guardandolo con fare significativo.

“Ah!” fece Gandalf ammiccando “Sì, anche bella grossa. Ci faremo un sacco di lana con la tosatura.”

“C-COSAAA???” gridò il dunlandiano deformando il viso per la rabbia.

“Che c’è, ho detto qualcosa che non va?” chiese Gandalf un po’ preoccupato per l’espressione furibonda di tutti.

“Lo domandi anche, brutto vecchiaccio???” urlò Pastorful tirandogli un pugno in pancia.

“Ouch! Ma che ho fatto?” domandò di nuovo Gandalf portandosi le mani sullo stomaco per il dolore.

“Vecchio idiota, te la do io la pecora!” gridò la moglie di Pastorful colpendolo con un gancio sinistro al mento. Lo stregone cadde a terra e il bastone gli scivolò via.

“Addosso!” gridò il cognato di Pastorful e tutti assalirono lo sventurato Gandalf. Gliene diedero di santa ragione, visto che non poteva difendersi usando il bastone. Dopo che lo ebbero maciullato per bene, decisero che poteva bastare e cominciarono ad andarsene. Pastorful fu l’ultimo ad allontanarsi, prima prese lo stregone per il bavero della veste insanguinata e, guardandolo fisso negli occhi, gli disse:“Non ti azzardare a far rivedere la tua brutta faccia in questa terra! Tu e quel tuo stupido amico di Rohan che vi divertite ad offendere mia moglie sarete fatti a pezzi a colpi d’ascia se oserete ritornare qua! Come dice Dartagimb: ‘uomo avvisato, mezzo non tagliato’.”

Detto questo, lasciò cadere Gandalf e raggiunse gli altri dunlandiani.

Lo stregone rantolò disteso a terra e strisciò fino al suo bastone. Con le sue arti magiche e la sua conoscenza delle erbe si medicò alla meno peggio, fermando almeno le varie emorragie. Quando ebbe finito, decise che era meglio ritornare a Gran Burrone di corsa per evitare di finire davvero male. Mentre cercava di alzarsi in piedi nonostante le numerosissime contusioni e fratture multiple, pensò di essere stato vittima di un cattivo scherzo da parte di Radagast e perciò cominciò a pianificare la sua vendetta. Invece avrebbe dovuto pensare che quello che gli era successo era stato solo colpa della sua sfortuna e che era stato il capro espiatorio di altri caproni... ehm, di persone già infuriate per i fatti loro.

Purtroppo per Radagast, Gandalf non pensò assolutamente queste cose, ma aspettò di incontrarlo nuovamente per dargli pan per focaccia.

Mentre arrancava zoppicando sui sentieri sassosi, un dunlandiano lo scorse da lontano. Questi altri non era che il suo informatore e subito gli corse incontro. Quando Gandalf lo vide, temendo che fosse uno che voleva dargli un altro sacco di legnate, subito gli puntò contro il bastone e gli gridò:“Fermo dove sei o ti incenerisco!”

Il dunlandiano fu piuttosto perplesso per questo suo comportamento e, rimanendo a due metri di distanza da lui, disse:“Va bene, mi fermo qua. Non ti preoccupare, non voglio farti del male. Devo solo domandarti una cosa: vedi una pecora?”

A quel punto, lo stregone perse completamente la ragione: sul suo viso comparve un’espressione di rabbia incontenibile e divenne rosso, i suoi occhi si iniettarono di sangue e la sua mano destra strinse il bastone fino a che le nocche diventarono bianche.

“Ti sei messo d’accordo con Radagast per questo, vero?” chiese con voce ancora abbastanza calma.

“Sì, certo. Ma che ti succede? Perché sei tutto rosso?” domandò l’informatore spaventato.

“Ah, tu e Radagast avete organizzato questo scherzo, eh? Beh, devo dirti due cose: la prima è che avete un pessimo senso dell’umorismo, se vi fa ridere che uno venga riempito di legnate, e la seconda è che ve la farò pagare amaramente!!! Non appena troverò Radagast, avrà quel che si merita; ma per ora mi accontenterò di te! Muori!!!” gridò Gandalf saltando addosso allo sbalordito dunlandiano. Incurante del dolore per le botte prese prima, lo stregone colpì con violenza inaudita il dunlandiano per un bel po’ usando il suo bastone. Poi si rialzò e gli disse:“Non conosco proverbi come quel vostro Dartagimb, ma ti posso dire che mi sono sfogato e che ti devi ritenere fortunato se non ti ho ammazzato! Radagast non avrà la tua fortuna!”

Lasciandosi alle sue spalle il povero dunlandiano che si domandava ancora perchè fosse diventato il capro espiatorio della rabbia di quello stregone pazzo, Gandalf si allontanò zoppicando in direzione della Casa di Elrond.

Alcuni giorni dopo, Faramir, Boromir ed Eomer arrivarono nei pressi di Edoras. La città si stagliava sopra una collina, costruita quasi interamente di legno ad eccezione del grande palazzo d’oro di Meduseld.

“Beh, io sono arrivato. È stato un piacere viaggiare con voi.” disse il giovane cavaliere.

“Sì, insultare le pecore e i caproni è stato davvero divertente!” ridacchiò Boromir non ancora del tutto lucido.

“Già, ma spero che troverai il modo di scusarti, sennò ci sarà difficile passare ancora per quelle terre a gennaio.” fece notare Faramir.

“Uffa, sono dunlandiani, se ne saranno già scordati! Non hanno la memoria lunga, a meno che non gli si ricordi l’insulto e non credo che ci sia qualcuno che darà della pecora a quella signora sovrappeso e con molto pelo superfluo. Addio e buon viaggio! Ci rivedremo a gennaio.” Dopo essersi salutati, Eomer si diresse verso Edoras, mentre i due fratelli proseguirono per la loro strada, che li portò infine a raggiungere Minas Tirith il venti dicembre. Ovviamente tutti sapete com’era fatta la meravigliosa Città Bianca, perciò io non perderò tempo a scriverlo.

Faramir e Boromir, una volta fattisi riconoscere al portone, vennero accompagnati dalle guardie fino alla cittadella, dove si trovava il palazzo regale e sede dei Sovrintendenti.

Loro padre, Denethor figlio di Ecthelion, un uomo sulla cinquantina dagli occhi scuri e i capelli neri con qualche ciocca grigia, li aspettava seduto sul suo scranno di pietra nera disadorno in fondo alla sala del trono. Non appena entrarono, si alzò felice e corse ad abbracciarli. Anzi, per la precisione corse ad abbracciare Boromir, ignorando bellamente il suo secondogenito, che un po’ ne soffrì, anche se ormai era abituato a quel trattamento.

“Oh, finalmente sei tornato, Boromir, figlio mio adorato, mio degno erede!” esclamò Denethor e si profuse per un bel po’ in lodi sperticate di Boromir continuando ad abbracciarlo. Poi infine sembrò accorgersi anche della presenza di Faramir. “Ah, e hai riportato anche il tuo fratellino. Bravo, lui da solo non ce la farebbe mai!” Il ragazzo sospirò: questo non era proprio quel che si dice un caldo benvenuto, ma perlomeno non lo aveva ancora accusato di cose che non poteva aver fatto, usandolo come capro espiatorio.

“Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, mio erede preferito! Andiamo a pranzare!” disse il Sovrintendente al figlio maggiore, il quale però indicò il fratello con un movimento degli occhi. Denethor sbuffò e aggiunse:“Vieni anche tu, Faramir.”

Mentre camminavano verso la sala da pranzo, l’uomo anziano si toccò con una mano una costola come se gli dolesse.

“Stamattina svegliandomi sono caduto dal letto.” spiegò rivolto ai figli una volta che furono entrati nella sala sobria dove si trovava un tavolone apparecchiato per quattro.

“Oh... Mi spiace!” rispose Faramir, sinceramente dispiaciuto.

“Certo che ti dispiace! Ipocrita, è colpa tua!”

“Ma come può essere colpa mia??? Io non c’ero!” ribatté Faramir, mentre pensava:“Ho gioito troppo presto...”

“Certo, sempre scuse patetiche. E poi è vero: tu non ci sei mai ad aiutare il tuo anziano padre, a sostenerlo, a fargli compagnia!”

“Ma papà, sei stato tu che ci hai mandato via e...”

“Ecco, dai sempre la colpa a tuo padre! Inoltre stamattina il cibo a colazione era pessimo, ed era colpa tua!”

“Ma...”

“Zitto!”

“Insomma papà, lui non c’era, era con me, non può averti rovinato la colazione!” esclamò Boromir con la faccia di uno che dice una cosa talmente ovvia che tutti la dovrebbero capire, visto che l’ha compresa perfino lui.

“Ah, che spirito nobile, Boromir! Difendi sempre quell’immeritevole di tuo fratello! E lui non ti ringrazia mai, anzi! Fa di tutto per farti andare male a scuola! Non mi inganni, Faramir: nonostante nella lettera che mi è arrivata ci fosse scritto il contrario, ho capito benissimo che è tutta una congiura per farti sembrare più intelligente e più dotato di Boromir, quando invece è chiaramente lui il migliore!”

“Non è vero, io...” provò a ribattere Faramir, ma Denethor lo zittì con un gesto.

“Basta! Questo è troppo. Addio!” Detto questo, prese una torcia dalle pareti della sala da pranzo e salì su una catasta di legna accumulata lì per accendere il fuoco nel camino. “È la fine, non cercate di fermarmi!” Ma un attimo prima che buttasse giù la torcia una mano gentile gliela strappò via.

“Ancora queste scene, Denethor? La vuoi finire una buona volta con queste manie da piromane suicida?” lo rimproverò la moglie Finduilas usando la torcia per accendere il fuoco nel camino. Era una donna dagli occhi chiari molto bella e giovane rispetto al marito, non aveva infatti più di trent’anni. Il suo viso era quasi pallido e contornato da capelli ramati.

“Manie?? Non è vero, donna! Non l’ho mai fatto!” ribatté Denethor furioso.

“Ma se è già la quinta volta dall’inizio del mese!”

A questo punto il Sovrintendente, preso in contropiede, non seppe cosa rispondere, ma dopo un attimo gli venne un’idea. La moglie tuttavia lo precedette:“E non ti provare a dare ancora la colpa a Faramir! Non ce la faccio più: ogni cosa che ti succede dai sempre la colpa a Faramir. Di questo passo arriverai a dire che è colpa sua se stanotte sei caduto dal letto! O l’hai già fatto?” domandò inquisitoria.

Dal silenzio capì che ciò era effettivamente appena successo.

“Denethor, non la smetterai mai di prendertela con Faramir per ogni cosa? Non capisci che in questo modo ti comporti ingiustamente con tuo figlio, favorendo troppo suo fratello invece?” lo rimproverò la moglie sospirando.

“Ma sta’ zitta, donna fantasma! Va’ via! Vattene a ululare da un’altra parte!” sbottò stizzito Denethor sedendosi a tavola. Finduilas sospirò con rassegnazione e andò ad abbracciare i figli.

“Papà è ancora convinto che tu sia morta otto anni fa, mamma?” le domandò poi Faramir. La madre sospirò ancora.

“Sì, ma ormai ci hanno fatto tutti l’abitudine, così come con le sue altre piccole follie.” rispose guardandolo con compassione. Infatti otto anni prima, Denethor si era svegliato una mattina con la ferma convinzione che la moglie fosse morta. Poco gli importava che Finduilas gli ripetesse che non solo era viva, ma anche in perfetta salute. Lo aveva annunciato al maggiordomo e ai camerieri, i quali avevano guardato stupiti la presunta morta che si vestiva, faceva preparare la colazione e svegliava i figli. Poi anche loro furono informati della morte di loro madre dal padre in lacrime. Boromir e Faramir fissarono loro padre allibiti, dato che Finduilas era seduta di fronte a loro e li stava rimproverando per il modo in cui tenevano le forchette. Nella corte tutti cercarono in ogni modo di far ragionare il Sovrintendente, facendogli vedere che sua moglie era viva e vegeta, ma Denethor non volle cambiare idea, ripetendo testardamente che era così perché “me l’ha detto la pietra rotonda”. A quel punto si cominciò a sospettare che fosse un po’ tocco e perciò si pensò che fosse meglio assecondarlo. Si tennero i finti funerali di Finduilas e tutti piansero per la sua morte in così giovane età. La corte e tutta Minas Tirith furono a lutto per un anno. Anche la stessa Finduilas portò il lutto, dicendo che piangeva “la morte di quel poco di intelligenza che aveva mio marito”. Poi la vita tornò alla normalità: nessuno parlò mai più al Sovrintendente di sua moglie, la quale continuò a vivere con lui e a badare ai suoi figli. Denethor tuttavia, anziché rendersi conto, come una qualunque persona dotata di senno, che la moglie era viva, poiché continuava a vederla, affermò che era il suo fantasma che non voleva lasciarlo. Perciò da sette anni Finduilas conviveva con un uomo che la credeva un fantasma e non le parlava mai, se non per chiederle notizie sull’Aldilà.

“Povera mamma!” dissero in coro i due figli.

“Oh, non preoccupatevi,” rispose lei “io ho promesso di rimanere qui solo finché voi non sarete diventati adulti, poi farò le valigie e me ne andrò via da questa gabbia di matti! E ora venite, mangiamo qualcosa e raccontatemi di Gran Burrone.”

“Smettetela di parlare con un fantasma o vi prenderanno tutti per matti!!!” tuonò Denethor da capotavola.

“Sì, papà.” risposero in coro i figli.

“No, Faramir, tu continua pure, tanto sei irrecuperabile. Invece tu, Boromir, mio eroe, parlami di come hai superato in abilità e forza tutti gli elfi di quel postaccio dove il fantasma mi ha convinto a mandarvi tormentandomi con i suoi orribili gemiti.”

Mentre Faramir e Boromir erano alle prese con il loro pranzo di famiglia, Aragorn veniva posto di fronte a una scelta terribile: o sposare una delle figlie di Surdabanipal XXVII o perdere la testa in senso letterale a opera dell’ascia del boia. Per capirci però qualcosa di più dobbiamo tornare indietro al quattordici dicembre a Pontelagolungo, dove abbiamo lasciato il ramingo svenuto e coperto dalle macerie della Locanda del Totano Ciucco nella Piazza dei Mercanti Avvinazzati.

Subito dopo il crollo di quel che rimaneva della locanda i soldati e il governatore, al sicuro nelle retrovie, avanzarono oltre la barricata per vedere cosa fosse successo. Osservato il disastro, il governatore diede immediatamente ordine di cercare fra le macerie i feriti e di portargli il figlio di Thranduil e il suo amico vivi o morti. Contemporaneamente Legolas, fingendo di essere un fantomatico nuovo comandante elfico, mandava alla carica i soldati che presidiavano l’altra barricata a nord che così si ritrovarono tutti nella piazza insieme agli altri.

“Ma che è successo qua? Dov’è il mostro?” domandarono i soldati appena arrivati.

“Cosa ci fate qui? Vi avevo ordinato di non muovervi dalla barricata!!” gridò il governatore “Sergente, perché hai disubbidito??”

“Ma cosa dice, signor governatore? È lei che ci ha ordinato di caricare!” ribatté il sergente a capo del manipolo.

“Sei uscito di senno??? Io non ho dato nessun ordine!!!” sbraitò l’uomo furioso.

“Senta, è vero che lei in persona non ci ha dato nessun ordine, ma è stato il suo nuovo comandante elfico, Turgon, mi pare, insieme al suo vice che ci ha detto di andare all’attacco. Noi abbiamo solo obbedito!” spiegò il sergente.

“Nuovo comandante elfico??? Ma io non... Aspetta un attimo. Sergente, l’elfo per caso aveva i capelli biondi perfettamente in ordine, neanche una goccia di sudore nonostante avesse corso e mantello e stivali all’ultima moda?” domandò con una strana luce negli occhi.

“Ora che mi ci fa pensare, sì. In effetti era molto simile a...” e si interruppe fissando impaurito il governatore. Deglutì e finì la frase:“Ehm, era molto simile a Legolas...”

“Ah, davvero? BRUTTO IDIOTA!!! Certo che era simile a Legolas, era Legolas!!! E scommetto che il suo compare era Imlelil! Deficienti, ve li siete fatti scappare!!!” ululò il governatore fuori di sé.

Nel frattempo i soldati avevano tirato fuori da sotto le macerie quasi tutti, compresi Aragorn e Bausciòn. Quest’ultimo, appena rinvenuto, era subito corso dal governatore, distogliendo così la sua attenzione dal sergente che venne salvato dalla sua terribile punizione.

“Governatore, dov’è finito quel maledetto elfo donnaiolo?”

“Ma che ne so! Quegli idioti sull’altra barricata l’hanno fatto fuggire e... Ma aspetta, tu che ci fai qui? Non eri fra quelli che avevano tentato i primi attacchi contro il mostro.” domandò il governatore, che conosceva molto bene Bausciòn, dato che si presentava spessissimo nel suo palazzo chiedendo il permesso di istituire una ronda per sorvegliare la sua casa e impedire così che Legolas andasse a trovare sua figlia.

“Io ho inseguito Legolas per i miei motivi che lei conosce bene e sono salito dal lago.” spiegò indicando l’acqua alla loro destra.

“Allora tu forse puoi anche spiegarmi chi ha fatto crollare definitivamente la locanda.” disse il governatore “Perché sarà lui a pagare il conto al proprietario, quando si sveglierà.” Al sentire queste parole Bausciòn cominciò a sudare freddo. Doveva assolutamente dare una spiegazione convincente di ciò che era accaduto senza dire la verità, perché non era certo in possesso di una somma simile a quella necessaria per ripagare l’oste della sua locanda distrutta. Doveva trovare qualcun altro a cui dare la colpa, qualcuno a cui tanto nessuno avrebbe creduto o che si sarebbe preso la briga di ascoltare, uno sconosciuto, uno straniero, magari pure sporco e malconcio. Insomma, doveva trovare un capro espiatorio. In quel momento Aragorn, disteso a terra poco lontano, tossì e borbottò qualcosa riguardo alle budella di Legolas appese a un palo. Bausciòn lo osservò con interesse. Era senza dubbio uno straniero e, da quel che gli suggerivano le sue narici, pure parecchio sporco. Sì, era perfetto!

“Adesso le spiegherò tutto, caro governatore. Vede quell’uomo là a terra, sporco e puzzolente? Ecco, è tutta colpa sua! È stato lui che, volendo uccidere Legolas, mi ha strappato la lancia di mano, gliel’ha lanciata contro, ma lo ha mancato e ha centrato invece la locanda facendola crollare.” affermò Bausciòn.

“Molto bene, Bausciòn. Ho ascoltato la tua versione della storia, ma, per equità, devo fare qualche domanda anche a quello straniero, prima di dichiararlo colpevole e costringerlo a risarcire l’oste.” disse il governatore, felice che Bausciòn gli avesse offerto un così bel capro espiatorio sul piatto d’argento. Ordinò ai soldati di gettare un secchio d’acqua in faccia ad Aragorn per svegliarlo. Il ramingo aprì gli occhi di scatto e schivò abilmente la secchiata.

“Ma che modi sono? Cercare di lavare una persona mentre non può difendersi!” gridò furioso alzandosi in piedi. Il governatore avanzò verso di lui, mentre con dei cenni ordinava alle guardie di attorniarlo impedendogli di fuggire.

“Signore, io sono il governatore di Pontelagolungo e, come tale, devo farle alcune domande. Prima di tutto, che ci fa lei qui?”

“Stavo inseguendo quel lurido verme infame e diffamatore di Legolas per tagliargli la lingua e qualche altro attributo, in modo da lavare l’offesa fatta da costui alla purezza del mio amore.” spiegò Aragorn usando il linguaggio contorto che aveva ereditato dai suoi antenati.

“Dunque tu odi Legolas Verdefoglia e lo vorresti uccidere?” incalzò il governatore.

“Sì, per questo l’ho inseguito fin qui.” rispose Aragorn cominciando a insospettirsi.

“In base a questa tua confessione, ti dichiaro colpevole di aver abbattuto la Locanda del Totano Ciucco nel tentativo di uccidere Legolas, principe di Bosco Atro!” dichiarò il governatore.

“Cosa? No, aspettate un attimo...” si oppose Aragorn, ma venne ignorato.

“Guardie, portatelo via!” ordinò il governatore. Le guardie fecero per afferrare Aragorn, ma l’uomo si liberò dalla loro presa e corse verso il lago. Stese con un pugno Bausciòn che cercava di fermarlo, si tuffò in acqua e fuggì a nuoto.

“Cosa aspettate, idioti? Tirate le frecce, colpitelo!!” gridò il governatore saltando per la rabbia. Ma ormai Aragorn, nuotando velocissimo sia per il freddo sia per allontanarsi più velocemente possibile da quei matti, era già fuori tiro. “Maledetto Legolas! Aveva veramente ragione: gli orchi almeno mi avrebbero catturato senza darmi colpe assurde! Me la pagherà anche per questo!” pensò mentre nuotava a tutta birra verso settentrione.

Il governatore guardò con rabbia indicibile il suo capro espiatorio che fuggiva e poi osservò Bausciòn ancora stordito. “Beh, adesso sarà lui a pagare l’oste... poi punirò il sergente dandogli la colpa di aver fatto scappare Legolas e Imlelil. Sì, dovrei essere a posto, la folla non potrà avercela con me per non aver saputo gestire bene la situazione.” rifletté fra sé sorridendo furbescamente. Ma i suoi piani furono sconvolti ancora una volta. Infatti proprio in quel momento dal porto settentrionale arrivò la folla furibonda che stava inseguendo lo stregone Alcarin ed era stata resa ancora più furiosa dalla scomparsa del suo capro espiatorio.

“Dov’è sparito quel maledetto vecchiaccio???” gridò l’uomo a cui Alcarin aveva fatto esplodere il carretto del pesce e a cui Legolas e Imlelil avevano rubato la barca.

“Sembra scomparso nel nulla...” azzardò un ometto piccolo.

“Non dire stupidaggini!!!” gridò il donnone che era sua moglie tirandogli un pugnone in testa.

“Tipico degli evasori fiscali: scompaiono sempre nel nulla!” sentenziò il ramingo che portava ricamata sulla manica della giacca la sigla ATA.

“Peccato! Dovrò rinunciare alla mia carriera di romanziere!” si lamentò il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“Magari ha usato una delle sue magie per volatilizzarsi.” suggerì l’uomo con la canna da pesca.

“Già, dev’essere così.” concordò il giovanotto che lo aveva precedentemente derubato del portafogli.

“Ma cosa è successo qua?” domandò la donna con una cesta con tre pesci. Solo a quel punto la folla sembrò accorgersi delle macerie della Locanda del Totano Ciucco sparse qua e là nella Piazza dei Mercanti Avvinazzati.

“Ma chi può essere stato a fare questo disastro?” si chiese il tizio che camminava sulle mani.

“È stato il mostro.” gli rispose un soldato e gli raccontò quel che aveva capito della vicenda. In breve tra la folla circolava una gran moltitudine di diverse versioni dell’accaduto:

1)     un elfo furioso aveva distrutto la locanda senza motivo, era stato salvato da un suo amico, insieme avevano sbaragliato tutte le guardie ed erano fuggiti;

2)     l’elfo furioso in realtà era un beorniano magro e presto ne sarebbero arrivati altri con l’avanzare dell’inverno;

3)     a distruggere la taverna erano stati Legolas e un uomo infuriato con lui (probabilmente per una questione di donne);

4)     a distruggerla erano stati Legolas e Bausciòn (certamente a causa di Melania, come tutti sapevano);

5)     il nuovo comandante elfico Turgon aveva ordinato la carica nel momento sbagliato e quindi la locanda era crollata per la delusione data da un simile fallimento (questa in effetti era la versione ritenuta meno verosimile).

Subito l’ex proprietario della barca e del carretto si ricordò che i ladri che gli avevano rubato l’imbarcazione erano due elfi. Perciò fece due più due e capì che erano stati Legolas e un suo amico che avevano distrutto la locanda e rubato la sua barca. Ma anche lo stregone li aveva aiutati. Purtroppo, quel che era certo era che tutti e tre i colpevoli se l’erano data a gambe e, stando a quanto aveva sentito, pure lo straniero infuriato con Legolas. Quindi, non sapendo con chi prendersela, cominciò a inveire contro il governatore.

“Sapete di chi è veramente la colpa di quel che è successo oggi? Del governatore!” esordì mentre la folla si zittiva e anche i soldati e i feriti si avvicinavano per sentirlo “Non è forse lui che dovrebbe proteggerci da pericoli come questi? E invece guardate cosa mi è capitato! Ho perso ogni cosa! Il mio carretto, la mia barca e il mio posto dove ubriacarmi!” gridò indicando le macerie della locanda “E il governatore cos’ha fatto per impedirlo? Ve lo dico io: niente! E non solo non ha fatto niente, scommetto che se la sarà pure presa con chi fra voi ha commesso qualche piccolo errore, non è vero?”

“Hai ragione!” gridò il sergente. Il governatore, solo in un angolo della piazza, cominciò a preoccuparsi. Un brivido gli corse lungo la schiena e pensò freneticamente a un modo per evitare di essere linciato dalla folla.

“Ma io vi chiedo, o Pontelagolunghesi, noi non abbiamo forse un posto di guardia sulla riva per impedire che i pericolosi criminali patentati come il principe Legolas e i suoi compari entrino in città? Ebbene sì, lo abbiamo, peccato che vi sia un’unica guardia sottopagata al suo interno! E sapete perché? Perché il governatore si è intascato i soldi pubblici destinati a quella struttura!” A quel punto il governatore si sentì osservato da un centinaio di occhi furiosi e assetati di sangue.

“Io ho sentito anche dire che la guardia è narcolettica!” affermò un soldato.

“COOOSA??? Siamo protetti da uno che dorme di continuo???” gridò la folla.

“Sì, non c’è da stupirsi che faccia lui la guardia: era quello che si faceva pagare di meno.” spiegò il soldato.

“E poi io credo sia anche un lontanto nipote del governatore!” disse il sergente rincarando la dose. Come se le cose non andassero già abbastanza male per il primo cittadino di Pontelagolungo, in quel momento l’oste, riavutosi completamente dalle botte subite, arrivò nella piazza e vide le macerie di ciò che una volta era stata la sua locanda.

“COS’È SUCCESSO ALLA MIA LOCANDA???” urlò infuriato come una belva.

“Legolas e il suo amico l’hanno distrutta, ma noi pensiamo che, in fondo, la colpa sia del governatore!” gli rispose l’ex proprietario del carretto e della barca.

“Ah, è così? E pensare che facevo sempre lo sconto a quell’ubriacone di suo figlio!”

“Governatore ladro! Governatore incompetente! Governatore nepotista!” rumoreggiò la folla avvicinandosi minacciosamente al poveruomo, pronta a dargli una bella (e in questo caso pure giusta) punizione. Tuttavia, si dice, la Fortuna è capricciosa: cambia continuamente, se un attimo prima ti avversa, l’attimo dopo ti favorisce. E infatti fu ciò che accadde. Mentre il governatore indietreggiava impaurito cercando di ribattere alle accuse, un nano dalla barba rossa ansimante e sfinito dopo una lunga corsa e un ancor più lungo digiuno fece il suo ingresso nella piazza.

“Anf! Scusi, -pant!- ha per caso visto -sbuff!- un uomo che inseguiva un elfo? Pant!” domandò Gimli al governatore tenendosi una mano sulla milza.

“Cosa?” chiese di rimando il governatore al nano voltandosi a guardarlo. Poi il suo volto si illuminò: era salvo! Senza rispondere a Gimli si rivolse alla folla:“Cittadini, statemi a sentire: so che siete giustamente infuriati per quello che è successo oggi e vi capisco. Fate bene a essere arrabbiati! Ma nella fretta di trovare il colpevole della sciagura abbattutasi su di noi avete commesso degli errori di valutazione. Tuttavia non dovete temere: vi spiegherò io come stanno veramente le cose. Ascoltatemi tutti bene: la colpa di tutto quello che di male vi è successo oggi è di questo nano!!!” E finì il discorso indicando Gimli con un gesto teatrale.

“EEEH?!? No, aspettate un attimo! Non posso aver fatto niente, sono arrivato adesso! Non so neanche che vi sia capitato di male!” gridò il nano disperato. Ma ormai la folla aveva deciso che sarebbe stato lui il suo capro espiatorio.

“Ah, lo sapevo che era tutta colpa di quel nano!” affermò l’ex proprietario della barca e del carretto.

“Già, dev’essere stato lui a distruggere la mia locanda!” disse l’oste, quando sapeva benissimo che era stato Imlelil, perché l’aveva visto e aveva ricevuto anche un sonoro ceffone da lui.

“Sono sicuro che è stato lui a rubarmi il portafogli, poco fa!” dichiarò l’uomo con la canna da pesca.

“Già, ha proprio la faccia da delinquente!” concordò il giovanotto che lo aveva borseggiato prima.

“Scommetto che è anche un evasore fiscale!” aggiunse il ramingo che portava ricamata sulla manica della giacca la sigla ATA.

“Non va neanche bene per trarne un romanzo!” si lamentò il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“Di certo è lui che ha ingannato me e gli altri soldati fingendosi un elfo!” concluse il sergente, senza rendersi conto dell’assurdità di ciò che aveva appena detto.

“UCCIDIAMOLO!!!” gridò la folla all’unisono sollevando bastoni, lance, spade e canne da pesca. Gimli, deciso a non farsi fare la pelle da quel branco di pazzi psicolabili, optò per la fuga e si tuffò anch’egli nel lago allontanandosi a nuoto mentre i cittadini gli lanciavano addosso tutto ciò che capitava.

 

 

Chi non muore si rivede, eh? So che non è una scusa, ma tra l’ultimo aggiornamento e questo me ne sono capitate così tante (sono pure diventato maggiorenne, si dice) che solo le disavventure dei miei personaggi sono di più!

 

Ringraziamenti:

 

@Suikotsu: Sono un po’ tutti tremendi!

 

@Rakyr il Solitario: Già, è un bel tipo.

 

@evening_star: In qualche maniera Aragorn si è salvato, no?

 

@stellysisley: Grazie mille!

 

@Chary: Confermo che ha preso dalla madre!

 

@Amaerize: Beh, anche questo capitolo è piuttosto lungo.

 

@Afaneia: In effetti, seguendo la tua logica ferrea, avrei dovuto scrivere i dialoghi in elfico o in lingua corrente e le parole di Gimli e dei suoi parenti in lingua nanica, e avevo anche pensato di farlo, ma poi chi mi avrebbe capito?... Scherzo! Complimenti per l’attenzione! Continua a seguirmi!

 

   
 
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