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Autore: formerly_known_as_A    22/11/2009    3 recensioni
Non conosco modo per avvicinarmi alle persone. Tremo, balbetto e, in definitiva, preferisco non rivolgere la parola a nessuno. Io faccio il mio lavoro, mi rendo utile. Tutto qui. Allora non ho nulla da perdere a parte i ricordi. Intimamente prego che siano spazzati via, intimamente prego di diventare una persona nuova, una persona diversa dall'inutilità che rappresento.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kefka Palazzo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non saprei dirvi perché abbia accettato. Questa era una proposta interessante, una proposta che mi avrebbe forse permesso di essere più forte, di affrontare lo sguardo degli altri. E poi, perché no? Non ho nulla da perdere. Non ho ricordi della mia famiglia. Ricordo quella Casa, ma non so se voglio ricordare.

Non conosco modo per avvicinarmi alle persone. Tremo, balbetto e, in definitiva, preferisco non rivolgere la parola a nessuno. Io faccio il mio lavoro, mi rendo utile. Tutto qui. Allora non ho nulla da perdere a parte i ricordi. Intimamente prego che siano spazzati via, intimamente prego di diventare una persona nuova, una persona diversa dall'inutilità che rappresento.

Mentre il medico mi afferra il braccio, ho un sussulto. Non amo essere toccato. Mi ripugna essere sfiorato. Non è proprio il sentimento migliore da provare quando si cercano persone a cui affezionarsi. La sensazione di bruciore è intensa e mi attraversa il corpo, ma stringo i denti. Sono un esempio. Sono il Cancelliere, secondo solo all'Imperatore. E di questi seguo ciecamente i desideri. Sono il braccio destro dell'Imperatore e come tale devo comportarmi.

Come se a qualcuno veramente importasse. Complimenti vuoti ed insensati mi vengono rivolti continuamente, ma nessuno mai chiede. Nessuno mai chiede chi sono. Chi esiste sotto la maschera. In Accademia non ero visto di buon occhio e la situazione ora non è di certo cambiata. Sono uno scherzo della natura, un uomo troppo solo per meritare attenzione. La mia stessa solitudine mi rende solo.


Non so da quanto tempo fisso questa bambola, ma mi irrita profondamente. I tratti perfetti, la durezza e, nel contempo, la superficie liscia di porcellana, gli abiti raffinati e preziosi... Nulla riesce a smuovere il minimo sentimento in me. Preso dalla rabbia, aumento la pressione sui suoi occhi di zaffiro e stringo i denti per la rabbia. Odio questa inutile odiosa bambola. Deve morire, morire, morire.

Quando finalmente sento la porcellana rompersi sotto le mie dita, il mio corpo si rilassa all'improvviso e mi sento svuotato. Mi sento... bene. Tra le mie mani vi sono frammenti di bambola. Tra le mie dita, i suoi occhi mi guardano. Il suo sguardo mi accusa di cose innominabili. E' uno sguardo che ho già visto migliaia di volte. Per conto dell'Imperatore ho conquistato una parte di questo inutile e patetico mondo. Ma perché accontentarsi di conquistarlo? Perché non...?

-Kefka?-

Alzo lo sguardo verso la porta e il mio sguardo si posa casualmente su ciò che riflette lo specchio che vi sta accanto: un uomo, un adulto, seduto a terra, con uno sguardo folle, i capelli scompigliati, che regge tra le mani frammenti di bambola. Che cosa stavo facendo? Come sono capitato qui?

Dita fredde si posano sulla mia fronte. Chiudo gli occhi. E' un contatto che non mi disgusta, che, al contrario, calma il mio respiro, rallenta il battito del mio cuore impazzito. Che cosa stavo facendo, Celes?

-Hai la febbre.- sussurra, con voce calma. Celes non va mai nel panico. E' forte. Nasconde bene i propri sentimenti. Sono stato un buon maestro. Mi trascina fino al letto e mi rimbocca le coperte. Non è imbarazzante. Ho fatto lo stesso con lei molte volte. E il suo tocco è leggero. E non mi disturba.

-Kefka, che cosa sta succedendo?- chiede, sedendosi sul duro materasso ed abbassandolo di alcuni centimetri soltanto. Ha lo sguardo serio, ma so che è preoccupata. Non dovrebbe. Non dovrei interessare a nessuno, eppure... -Lo sai che...-

M'interrompe con un gesto della mano e scuote la testa: -Se è per raccontarmi una storia, non iniziare neppure. So che stai male spesso, ma... Non in questo modo.- ribatte, serrando gli occhi. Fa alcuni movimenti confusi uno dietro l'altro. Mi sfiora i capelli, si ritrae, mi sfiora la fronte... Poi si alza e si risistema la divisa. Ha la pelle pallida, come quella di una bambola. -Spero che tu non mi dia altri problemi.- sbuffa, con un gesto scocciato. Fa qualche passo verso la porta, poi sembra cambiare idea e si volta. -Cerca di stare bene.- bofonchia, prima di uscire dalla stanza con passo elegante.


Non provo magicamente quasi nulla. Non so più apprezzare la bellezza dell'arte, la bellezza di una donna. La Magia rimane la mia unica ragione di vita. Lei sa farmi rabbrividire di delizia, lei mi rende vivo. La Magia ruba le mie sensazioni ad una ad una, ma mi scorre nelle vene e batte nel mio petto. Vivo nella Magia e per la Magia. Devo diventare più potente per lei. Più potere riceverò, più mi sentirò vivo. Scivolo nel nulla, con essa. Scivolo in un nulla senza dolore, in cui i ricordi scivolano ad uno ad uno. So che è lei a privarmi della dolce sensazione del calore della mano di Celes nella mia.


Celes aveva otto anni quando la vidi per la prima volta. Seppi, nell'esatto momento in cui mi tese la sua bambola nel buio di una pinacoteca, che eravamo simili. Per questo insistetti affinché subisse i miei stessi esperimenti. E forse perché quel gesto mi fece sentire meno solo. La bambola era molto bella, era bionda come lei e come lei aveva occhi azzurri profondi e misteriosi. Aveva otto anni, ma non sapevo cosa nascondesse dietro quello sguardo. Il suo gesto mi fece comprendere a che punto fossimo destinati ad essere insieme per sempre.

Non amo Celes. E' come una figlia. Una sorella. Ma mai un'amante. Sarebbe imbarazzante, nonché fuori luogo. Sono il suo maestro e, in un certo senso distorto, ne sono fiero. Amo Celes perché mi fa sentire meno solo. Amo il suo tocco leggero e letale. Amo il fatto che sia una guerriera. Amo il fatto che possa essere fragile e fatale allo stesso tempo. Ma non la amo. Celes è un'amica. Celes è la mia unica amica.

Come ha potuto, dunque? Come ha potuto, disgustosa piccola lurida sgualdrina farmi questo? Abbandonarmi al silenzio della nostra torre per unirsi a feste e trionfi e banchetti. E io solo, solo, solo in questa torre vuota. Devo vomitare. Mago di Corte! Mago. Di Corte. Io, il Cancelliere di Gestahl. Come ha potuto, quella faccia da cane, quel Bassethound da strapazzo con un cubo di Rubik in testa! Io lo odio.

Devo vomitare, vomitare, vomitare. Bambole. Bambole ovunque, che mi fissano, mi disprezzano... Sparite! Disgustose repliche di Madame Adultera! Bruciate tra le fiamme dell'Inferno! Basta sguardi! Basta! Devo mascherare tutto questo. Nascondere. Non sono degno, non sono degno, non sono... Degno?

Chi non è degno? Chi?! Loro non sono degni di osservare il mio potere! Ma devo. Cambiare. Faccia. Vogliono un sorriso. Kefka è triste. Ma Kefka è morto, mi sentite? Quel patetico. Patetico. Patetico. Umano è morto! Brucia nel ghiaccio eterno dell'Antenora! Traditore di sé stesso e della propria patria. Diamo colore a questo viso deceduto, doniamo a Kefka il sorriso.

-Kefka? Che cosa stai facendo?-

Mi volto, consapevole di ciò che vedrà: un buffone di corte, una maschera. E riderà. Si prenderà gioco di me. Invece si avvicina e sfila un fazzoletto candido dalla tasca della nuova divisa. Credo sia l'unica donna al mondo a cui possa stare bene il giallo. S'inginocchia davanti a me mentre afferra una brocca e v'immerge il pezzo di stoffa. -Fratello, sei un uomo adulto.-

Le sue parole mi feriscono più di quanto l'avrebbe fatto il suo disprezzo. Mi tratta come un bambino. Mi tratta come un bambino mentre mi pulisce il volto dal trucco. Non sono più una bambola. Sono di nuovo Kefka. Sono di nuovo un patetico fallimento. Sono un essere umano che ha freddo e nausea. Ho i brividi e sento l'acido risalire nell'esofago. Ma non posso alzarmi. Lei mi sta ancora struccando. E ci sono lacrime sulle sue guance.

-Sai, fratello, avrei voluto che ti complimentassi con me. Per una volta, avrei voluto vederti sorridere per qualcosa che facevo. Ma sai cosa? A te non importa di nulla. Sono stata promossa Ammiraglio ed è il mio compleanno e... Avrei solo...- l'Ammiraglio quindicenne davanti a me scoppia a piangere sommessamente, con un fazzoletto macchiato di rosso e viola tra le mani. Vorrei fare qualcosa, ma sono stanco. Come riuscirò ad alzarmi domani mattina e compiere il mio dovere? Mago di Corte. Mago. Di Corte. Buffone. Quale dovere, ormai, è il mio? Ridere e far ridere?

-Dì qualcosa! Dì qualcosa, dannazione!- grida, afferrandomi per il colletto della divisa. Mi scrolla ma non sento nulla, più nulla. Chiudere gli occhi e dormire, tale è il mio destino. Dormire. Sono stanco. Vi prego, qualcuno cancelli la mia inutile esistenza, qualcuno rimuova dalla mente di Celes ogni ricordo che attesti che ho vissuto. Mia sorella... Mia sorella piange per me.


-Sei un mostro?- chiede la vocetta candida di un compagno di scuola. Alzo la testa, tentando di ignorare il peso che grava sul mio petto. Perché tanta crudeltà? Perché ancora questo ricordo, tra tanti? -Dicono che tu sia un mostro. Non vuoi che nessuno ti tocca perché poi ti sciogli.-

Ignoro le ciglia umide, torno a fissare le formiche che camminano avanti ed indietro in file ordinate. Avanti. Indietro. Avanti. Un piede ne schiaccia alcune, ma quelle continuano a compiere la loro missione. Altre cadono sotto il piede crudele, ma loro sembrano non curarsene. Chissà cosa provano...

Il bruciore allo stomaco si fa sentire a sorpresa, senza altri insulti. Avrei apprezzato un avvertimento qualsiasi e, invece... Il pugno mi mozza il fiato e crollo sulle ginocchia. -Mostro!- sento gridare, poi riesco a percepire rumori ovattati e il dolore che aumenta ed aumenta, finché non sputo sangue, finché non sento che sto per morire. E allora, nel mio ricordo... -Figli di un subacqueo! Prendetevela con qualcuno alla vostra altezza!- grida una voce femminile. E' l'ultima cosa che ricordo.


-Mi chiamo Maria.- sussurra la ragazzina, tendendomi la mano. Maria è una ragazzina bruna dagli occhi castani. Normale, senza nessuna particolarità speciale. Non è neppure carina. E' normale. Ma non la ricordo. Davanti a me c'è Celes. Fa una smorfia e si pulisce le ginocchia dalla ghiaia. Che cos'ha fatto per essere così impolverata? Maria. Ma questa è Celes. -Kefka.- rispondo, ignorando la mano. Non mi piace toccare le persone. Ed ho una mano rotta. E' un motivo in più per non usarla. -Lo so!- esclama lei, congiungendo le mani con un forte rumore. Sorride e io mi accorgo che le mancano dei denti. -Tutti ti conoscono qui! Sei il bambino più interessante, sai? E il più carino. Voglio essere tua amica!- annuncia, alzando il braccio in segno di vittoria.


Non vedo i bei momenti trascorsi insieme, non vedo i sorrisi, le giornate trascorse a disegnare o ammirare la natura. Non vedo nulla di tutto ciò che mi ha mantenuto in vita per tanti anni in quella Casa. Vedo semplicemente un corpo abbandonato in modo scomposto sulle rocce. Il corpo di una ragazzina dai lunghi capelli biondi e lo sguardo azzurro fisso, immobile.


Un nastro tra i capelli, un abito ornato di pizzi. La mia bambola mi restituisce lo sguardo quasi celato dalle folte ciglia ed arrossisce. La tinta scarlatta delle sue guance risalta sulla pelle straordinariamente pallida. La luce della luna piena le illumina il volto per un breve istante, proprio nel momento in cui dubbio e timore attraversano il suo sguardo azzurro.

La afferro per la gola e stringo. Come osa. Come osa giudicarmi?! Lei non è che un pezzo di ceramica vuoto. Un pezzo di ceramica che non deve osare commentare, un pezzo di ceramica senza valore di cui posso fare a meno. Soffoca, maledetta. Muori. Muori. Muori.

-Fra... tello.-

Torno in me e mi allontano in fretta. Cosa stavo facendo? Perché le mie mani erano sul suo collo? Il profumo delle rose mi stordisce. Devo uscire da questa stanza. Devo uscire dalla stanza di...

-Chi sei?- chiedo alla ragazza che mi sta di fronte. Perché è vestita come una bambola? Perché non ricordo? Perché le mie mani avanzano di nuovo, come se possedessero vita propria?

Lei le intercetta e le afferra tra le sue. -Fratello! Sono Celes! Celes!- esclama, inquieta. Celes. Una bambola di nome Celes. So che mi ha afferrato le mani, ma non lo percepisco. Perché? Cosa mi succede? Devo uscire da questa stanza. Troppe sono le rose. Troppo è ciò che potrei rompere. Le rose. Le rose si chiamano... Celes.

-Celes.- ripeto, ma non è solo il nome delle rose. La persona che mi sta di fronte, la bambola, si chiama Celes. Le ecchimosi che si stanno formando sul suo collo mi accusano silenziosamente. Poso nuovamente le mani su di esso e mormorò parole che non capisco ma che mi sono familiari da ormai troppo tempo. Chiudo gli occhi. La Magia che fluisce attraverso il mio corpo è una delle poche sensazioni piacevoli che riesco ancora a percepire.

-Celes.- ribadisco. Ma ora sono consapevole di ciò che sto dicendo. Ricordo la ragazzina in giallo che ancora mi guarda con i suoi grandi occhi azzurri spalancati. Non leggo paura nel suo sguardo. C'è pena nel suo sguardo, ma nessuna paura. Ho tentato di ucciderla. Ho tentato... Sento l'acido in bocca, ma mi trattengo.

Lei annuisce e sospira. O forse si ricorda finalmente di respirare. Il suo è un sospiro tremante, quasi un singhiozzo. -Meno male. Mi fai sempre preoccupare, fratello!- esclama, con un sorriso tirato. Distolgo lo sguardo dalla sua figura esile e quello incontra uno specchio. Un pagliaccio dall'aria triste ricambia l'occhiata. Mi porto le mani al volto. Cosa mi sta succedendo? Cos'è questo assurdo travestimento? Gemo. Sto impazzendo. Sto impazzendo. Sto... -Kefka.-

La bambola si siede accanto al pagliaccio ed appoggia la testa sul suo braccio. Apro la bocca per dire qualcosa, ma dimentico cosa. Nella mia testa ci sono immagini confuse. Maria. Celes. Due perfette bambole. Maria morta perché... Per colpa mia. Mia. -Kefka.- ripete la bambola dal nome di rosa, prendendomi la mano che scava nel mio braccio. Ho le unghie lunghe. Dipinte di rosso. Quando è successo? Gemo nuovamente. Voglio gridare.

-Resta con me.- sussurra Celes, osservandomi nello specchio. -Non importa come. Resta Kefka, non cambiare di nuovo.- mi implora, passando le dita sul dorso della mia mano. Non provo nulla. Rido senza motivo. La mia risata mi spaventa. -Un pagliaccio.- mormoro. Lei sorride, ma il suo corpo è teso.

-Non importa.-

Trovo il coraggio di distogliere lo sguardo dalla superficie riflettente e guardare Celes. Il suo abito nero e bianco accresce la sensazione di disperazione nei suoi occhi cerchiati di rosso e nero. Quanti anni ha? Sedici? Perché è qui? Perché è un militare? Perché... Perché non le importa?

Osservo le mie mani pallide. Da quanto tempo non esco dalla mia stanza? Vorrei vedere il sole, ancora una volta. Mi sembra di vedere delle ombre su queste mani. Ombre rosse di sangue raggrumato e putrido. Ombre di morte. Io esisto per dare la morte. Solo la vita che scivola via dal corpo di chi muore per mano mia mi riempe di piacere. Scuoto la testa ed arretro. Le rose. Devo allontanarmi dalle rose. Non pensa che trattenere qualcosa di così fragile tra le dita possa... Deve uscire, altrimenti... Andare via da lei.

-Kefka, resta qui, non andartene.- lo implora, con gli occhi pieni di lacrime. Non deve darmi ordini! Come si permette? Stupidi occhi azzurri, bisogna distruggere gli occhi azzurri, distruggere quello sguardo, distruggere i suoi sentimenti. Annientare la rosa, farla nostra. Sorprendentemente, le sue labbra sanno di rosa. Buon per noi, sarà più piacevole.

-Kefka.- Una parola. Il mio nome. Cosa sto facendo? Sono un uomo adulto e lei è una ragazzina, dannazione! Lei ne approfitta per spingermi via e io reagisco senza pensare. La Magia fluisce oltre le mie dita e lei finisce lontano. C'è molto sangue. Sangue. Sangue. Non vediamo altro. Smettila. Smettila! L'incantesimo di cura la investe con una forza che non credevo di possedere, ma lei non apre gli occhi. Al contrario, il suo polso si fa debole. L'ho uccisa. Ho ucciso...

Grido.


-Oggi festeggiamo due importanti avvenimenti.- annuncia Gestahl, alzando il calice. Non stiamo sorridendo. Stiamo osservando la ragazza. Ha sangue invisibile sulle mani, come me. Grida silenziose di vittime bruciate vive. Miranda non la fa dormire e io so. So tutto quello che accade nella piccola testa piccina della bambolina. E se non vuole ricordare quel suono così dolce, se non vuole ricordare quel coro soave di mille vittime, glielo ricorderò io. Sì sì.

-Prima di tutto, la disfatta di Miranda. Generale Chere, congratulazioni per questa vittoria esemplare.- continua il Bassethound, con un sorriso. Stupido inutile dittatore. Ipocrita figlio di una cagna. Lascia ai tuoi Squali il compito di uccidere, continua a farlo, cane. Prima o poi ascolterò le tue grida di agonia. Ti farò soffrire a poco a poco. Non ti ucciderò subito. -Siete un esempio per tutti i nostri soldati.-

La bambolina non si muove, sembra che non le importi, ma in realtà sta pensando che forse doveva morire prima. Anche noi l'abbiamo pensato. Ma in realtà è meglio che tutti gli inutili esseri che abitano questo mondo muoiano. Lasciamoli implorare di risparmiarli. E poi con una risata risponderò: no!

-Un membro importante della nostra grande famiglia è tornato tra noi. Vorrei che voi tutti faceste un brindisi in suo onore.- aggiunge il cane, stupido vecchio, ecco il mio momento di gloria. Ho preparato un discorso che ti lascerà a bocca aperta. -Leo Christophe, bentornato.-

Sotto le mie dita, il bicchiere si frantuma. So che gran parte del vetro si conficca nella mia carne, ma non lo sento. LEO CHRISTOPHE?! Quell'inutile... Tutti gli sguardi finalmente si concentrano su me. E' il mio momento. -Chi è quel pagliaccio?- sento chiedere. Mi volto verso il Capitano Jason e sotto le mie dita, oltre al dolore, percepisco finalmente il gambo del calice, a cui è rimasto attaccato qualche frammento di vetro. Celes scuote la testa e gli risponde. Qualche istante dopo è investita da un getto di sangue. Le nostre mani si sono mosse da sole. Non sono stata io a tagliare la gola di quell'inutile uomo, non io gli ho spalancato la gola. Io sono innocente. Non siamo state noi. E' stata la bambolina. Lei e solo lei è responsabile. Lei e solo lei ci ha fatto del male. Lei ha risposto male. Lei non doveva dire che non ci conosce. Piccola ingrata!

Il mio viso a pochi centimetri dal suo. Il suo sguardo ancorato al mio esprime disprezzo. Odio nei suoi occhi. Che bello! Che bello! Odio odio odio! Non mi conosce?! Ma io la conosco, sì sì sì! Conosco ogni centimetro di lei e la potremmo uccidere anche ora, ma vogliamo che lei soffra di più. Deve piangere e inginocchiarsi davanti a me. Poi le strapperò gli occhi. E mangerò il suo cuore. I suoi occhi li voglio mettere in un barattolo, sono così belli. Odiami, Celes! Odiami!

Rido. Rido mentre tentano di allontanarmi da lei. Ma loro bruciano, bruciano, bruciano! Mi colpiscono, ma io rido. Grida, sangue, fumo e quell'odore dolciastro del grasso che si scioglie e sfrigola. Che suono melodioso ed eccitante. E io rido rido rido. Sono un pagliaccio, no?

La risata di Kefka è il primo grido della nostra rinascita.


   
 
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