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Autore: Moon_Glade    28/11/2009    5 recensioni
Un omaggio al mio videogioco preferito. "...Piego il braccio, cercando di deviare la mia traiettoria di lato, compiendo un arco. Il maglio sprizza scintille come se stesse bruciando. Al suo passaggio lascia profondi segni rossastri sulla pietra scavata, mentre polvere e piccoli frammenti di roccia piovono sulla mia testa. Mancano davvero pochi metri..."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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É solo un altro salto


Il sole brilla di fronte a me.

Dalla cima di una collina rocciosa osservo la sterminata valle che si stende sotto di me.

Picchi rocciosi si innalzano da ogni parte, profonde spaccature convergono verso il basso.

Crepacci si aprono all'improvviso nel vuoto.

La nuda e fredda roccia mi circonda.

Dall'orlo del baratro che si apre a nemmeno un respiro da me, accovacciato proprio sul bordo, fisso l'orizzonte sconfinato.

Il vento spazza la vetta su cui mi trovo, creando mulinelli di sabbia che via via si infrangono sul mio corpo.

Mi scompiglia i capelli mandandomeli sugli occhi.

La sciarpa che mi copre il viso sventola come uno stendardo, leggera nella brezza.

Mi faccio scudo con un braccio per poter continuare a guardare il paesaggio.

Per un attimo i raggi di luce si riflettono sul maglio (1) alla mia mano sinistra, lasciandomi abbacinato per qualche secondo.

Scuoto la testa, poi torno a guardare.

Il tempo non è stato benevolo con quelle montagne: le ha erose, modificate, plasmate a suo piacimento. Ha creato gallerie, enormi sentieri nella fredda materia priva di vita, battuti solo dal vento, dal sole e dalle intemperie.

Le creste, i costoni, le cime più alte della catena si sono piegate al suo volere, e mano a mano sono diventate solo una piccola parte del tutto.

Le nude pareti bruciate dal sole sono divenute piatte, prive di qualsiasi appiglio, levigate da qualcosa di più forte della loro determinata e solida immobilità.

La sabbia è diventata la loro ruggine: minuscoli frammenti di quello che un tempo erano picchi, maestose montagne, continuano ora e ormai da secoli la loro lenta azione degenerativa, trasportati dalla volontà dei venti e delle tempeste.

Per miglia a miglia vedo solo sabbia e roccia.

Non un filo d'erba, non un albero in lontananza e fino a che l'occhio non si perde nella linea dell'orizzonte.

Sospiro.

Alcune nuvole si muovono nel cielo, debole e vana speranza di una pioggia purtroppo lontana.


Questo luogo battuto solo dai venti... dal sole... dalle intemperie...”


Un sorriso mi increspa le labbra, rese secche dall'arsura del deserto.


...e battuto dai vagabondi... come me”.


Sorrido ancora.

Mi alzo in piedi, liberando le ossa e i muscoli dall'intorpidimento.

Ho bisogno di sgranchirmi un po'...”


Muovo il collo fino a che non sento un leggero schiocco.

Pronto.

Con lo sguardo deciso, fisso prima il lungo spadone Toledo (2) appeso al mio fianco e poi ancora il paesaggio roccioso del canyon.

Sorrido.

Do la schiena allo strapiombo.

Faccio un passo oltre il baratro.

E mi butto nel vuoto.


L'aria fresca scorre, vibra attorno a me.

La sciarpa blu oltremare e rosso fuoco sventola dietro di me come la coda di un variopinto volatile esotico.

Vedo sfilare davanti ai miei occhi la scoscesa parete di pietra illuminata dal sole. È talmente vicina che mi basterebbe allungare un braccio e la toccherei.

Non ancora, penso.

Non è ancora il momento.

Il suolo si avvicina ad una velocità pazzesca.

Riesco ad alzare lo sguardo: lassù in cima, molto più in su, la punta dove poco prima stavo ad osservare l'enorme labirinto di pietra.

Quanti metri ho già percorso cadendo?

Abbasso gli occhi appena in tempo: un' aguzza sporgenza spunta nel mezzo della mia traiettoria, ad un centinaio di metri in caduta libera.

Se non faccio qualcosa finirò infilzato!

Con un ampio movimento avvicino il braccio sinistro alla parete.

Fletto le spalle.

Il mio guanto metallico si conficca con forza nella roccia.

Una miriade di scintille mi investe, mentre uno stridente rumore di metallo mi risuona nelle orecchie.

Le mie dita rivestite d'argento (3) cercano un appiglio, una presa su quella superficie piatta e liscia.

Serro la mascella.

Forza!

Forza!

Porto il mio corpo verso il basso; unica cosa a sorreggermi, la mano guantata.

Le mie gambe si piegano in un movimento quasi armonico, mentre i piedi, tentando di stabilizzare e rallentare la mia caduta, scivolano contro la pietra.

Avanti...

Avanti!

La sporgenza è sempre più vicina.

Piego il braccio, cercando di deviare la mia traiettoria di lato, compiendo un arco.

Il maglio sprizza scintille come se stesse bruciando.

Al suo passaggio lascia profondi segni rossastri sulla pietra scavata, mentre polvere e piccoli frammenti di roccia piovono sulla mia testa.

Mancano davvero pochi metri...

Do uno strattone di lato.

Io, tutto il mio corpo scarta verso sinistra.

Un attimo e la pericolosa cresta mi sfreccia al fianco, mentre proseguo nella discesa.

Un gioioso urlo liberatorio mi esce dai polmoni.

Ma non è finita ancora.

La parete su cui sto scivolando comincia a restringersi, formando una specie di gola con l'altra lastra rocciosa di fronte.

Di nuovo nessun appiglio, se non quello forzato offerto dal mio guanto, né sulla mia parete né su quella davanti a me e che va sempre più avvicinandosi.

Nemmeno una fenditura o una frattura nella pietra.

Sorrido ancora.

So esattamente cosa fare.

Aspetto il momento buono.

Aspetta... aspetta...

ci siamo quasi...


E salto.

Puntellandomi sulla parete stacco il maglio dalla roccia e mi spingo nel vuoto dell'abisso.

Per qualche secondo volo solamente, assaporando qualche attimo di libertà totale.

Libero da ogni vincolo.

Forse è così che si sentono le aquile quando sorvolano le vette più alte...

libere...

quando solo l'aria le sorregge e i venti ne guidano la rotta, come le navi...


Infine atterro sull'arenaria (4) davanti a me.

L'altra è ormai alle spalle.

Con un piccolo scatto risalgo la pietra, per trovare un nuovo appiglio, poi riprendo a scivolare.

È così che devo procedere d'ora in poi.

Salto. Scivolata. Salto.

Salto. Scivolata. Salto.

È come un mantra.

Ma mi dà una tale sensazione di libertà...

è come se potessi sentire davvero quella roccia senza vita.

Anzi: è come se per me quella roccia avesse acquistato improvvisamente vita.

Non tutti gli uomini possono dire di aver sentito battere il cuore di una montagna o di un deserto...

Lo sento pulsare sotto questa dura crosta bruciata dal sole e levigata dal passare del tempo.

Lo sento vibrare nel vento che mi fischia nelle orecchie.

E mi trasmette un'euforia che non ha eguali.


Continuo a scivolare, saltare e scivolare ancora, passando da una parete all'altra, finché la mia caduta non si arresta su di una sporgenza che sembra quasi spuntata dal nulla.

Atterro piegando le ginocchia, con i palmi a terra.

Osservo il guanto.

Le estremità delle mie dita, coperte da metallo, sono leggermente arrossate, come se l'intera copertura fosse stata portata ad incandescenza.

In un attimo sono di nuovo in piedi.

Le pareti dalle quali sono disceso proseguono verso il basso, perdendosi nel buio del canyon.

Un'alta guglia lontana, una delle poche rimaste, infatti oscura la zona dove sono, impedendo alla luce del sole di giungere sino a me. Devo proseguire dove posso vedere.

Osservo la nuova situazione che mi si profila.

Le due pareti proseguono alla stessa distanza l'una dall'altra ancora per qualche metro.

Oltre, la prima, quella dalla quale mi sono buttato, compie una curva, sparendo alla vista; l'altra, continua, apparentemente all'infinito.

Posso vedere il canyon aprirsi in lontananza.

Non c'è nessun'altra via. Ancora nessun appiglio.

Bene.” mormoro


Misuro la piatta sporgenza su cui mi trovo.

Perfetto.


Prendo lo slancio.

Una mano sullo spadone, l'altra sul muro.

Il guanto tocca ancora la pietra.

E corro.

Corro.

Corro sul muro (5), lo strapiombo al mio fianco.


Di nuovo la feroce sensazione di libertà assoluta mi colma.

Il guanto sfrega contro l'arenaria, lasciando dietro la mia corsa una scia di rosse scintille splendenti.

E ancora salto.

Facendo forza sulle gambe mi spingo ancora sull'altra parete.

Senza soluzione di continuità riprendo a correre, stavolta aiutandomi con l'altra mano, priva di maglio.

Salto ancora una volta.

Corro.

E salto.

Corro. Salto. Corro.

Corro. Salto. Corro.

La curva della parete si avvicina.


Raccolgo tutte le forze nell'ultima corsa, consapevole del fatto di non poterne fare un'altra perché cadrei nel vuoto.

Il guanto sfrega un'ultima volta.

Si stacca dalla roccia.

E salto.

È come se tutto improvvisamente accadesse a rallentatore: io salto e raggiungo l'altra parete, ad un secondo dalla curva della prima. Al salto ne segue un secondo, immediato, nella direzione in cui la prima roccia curva.

Devo trovare un'altra sporgenza.

E so che ce n'è una da quella parte.

L'ho vista poco prima dalla cima del canyon.

Deve esserci.

C'è, mi dico.

Deve esserci. Io l'ho vista.

Chiudo gli occhi.


Il mio corpo atterra pesantemente sulla pietra dura e calcarea.

La polvere si alza.

Tossisco un paio di volte, spolverandomi i vestiti.

Riavvolgo la sciarpa attorno al mio collo, il mio portafortuna, mentre guardo dove mi trovo.

La luce del sole mi illumina di nuovo.

Sono sulla sporgenza.

Quella che avevo visto. O che forse credevo di aver visto... ma non ha più importanza ormai.


Ah!” grido “Lo sapevo!”

Sistemo lo spadone alla cintura.

Controllo che il maglio non abbia danni.

Niente. Perfetto.

Sotto di me, brilla illuminata dai raggi solari una lontana, sottile striscia argentea.

Un fiume.

Intorno a me, si innalzano verso il cielo pareti e pareti del canyon, guglie e punte.

Davanti a me, sporgenze che si susseguono a sporgenze.

Appigli.

Fenditure.

Possibilità pressoché illimitate.


Oh, bé.” sospiro ancora aggiustandomi la casacca in pelle sul petto “ In fondo... è solo un altro salto...”


Già.

È solo un altro salto.


Moon_Glade XD


Note:


1: il maglio è un guanto di ferro;

2: lo spadone Toledo è un particolare tipo di spada dal caratteristico filo abbastanza lungo, quindi di dimensioni abbastanza notevoli rispetto alle spade e sciabole ordinarie; veniva usato dai saraceni, persiani,ecc. (per dirla semplice è una spada lunga e basta);

3: fa riferimento al fatto che in quella mano ha il guanto (ma non è che il guanto è d'argento...);

4: l'arenaria è di solito la roccia costituente le formazioni rocciose come i canyon;

5: non pretendo che solo chi conosce Prince Of Persia legga la mia fict, per cui spiego: per chi non lo sa il principe corre sui muri (lo so che è pazzesco...). Per farvi un'idea immaginatevi un muro e qualcuno che vi corre sopra per la sua lunghezza (non verso l'alto);


ciao a tutti quanti! Questa volta ho deciso di rendere omaggio (lasciatemi il parolone) al mio gioco preferito, Prince Of Persia, e in particolare all'ultimo episodio, anche se mi sono cari anche i tre giochi precedenti della trilogia. Per l'ambiente mi sono ispirata a quello desertico dell'inizio gioco e così anche per i movimenti e mosse “speciali” del principe. Per leggere la fict senza fraintendimenti vi dico solo che quando parla, i dialoghi del principe sono in corsivo ma con le virgolette (“), quando pensa invece i dialoghi sono solamente in corsivo.

Grazie a quelli che leggeranno e commenteranno.

...man and wolf together to the end...”


per chi volesse leggerla con la musica consiglio “Owl city- Fireflies” perché è con questa canzone che l'ho scritta. Esistono comunque miliardi di canzoni con cui è possibile leggerla, a mio parere. Ognuno ascolti (se vuole, certo!) la canzone che ritiene più appropriata. XD










  
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