Carlisle. L’anima di un vampiro.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo che va da un polo
all’altro,
ringrazio tutti gli dei per la mia
anima indomabile.
Nella morsa delle circostanze,
non ho indietreggiato, né ho pianto.
Sotto i colpi d’ascia della sorte,
il mio capo sanguina, ma non si china.
Più in là, questo luogo di rabbia e
lacrime incombe,
ma l’orrore dell’ombra, e la minaccia
degli anni
non mi trova, e non mi troverà,
spaventato.
Non importa quanto sia stretta la
porta,
quanto piena di castighi la pergamena,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
“Invictus” di William Ernest Henley [1]
*****
Non ricordo molto
della mia vita mortale.
Conservo immagini
sporadiche e rade, quasi nebbiose, che sembrano legate ad un’ esistenza che non
mi appartiene, troppo breve rispetto ai miei 300 anni e più da immortale.
Sono nato a Londra,
probabilmente attorno all’anno 1640.
Mia madre morì
quando avevo circa sei anni, forse dando alla luce uno dei miei fratelli. Non
ricordo nessuna delle loro facce.
L’unica memoria che
ho di colei che mi ha messo al mondo, è un immagine simile a un dipinto di un
pittore fiammingo; una donna dolce e materna seduta alla finestra, con una
cuffietta candida a coprire i capelli lisci e biondi, intenta a rammendare,
investita dalla luce bianca e liquida di un mattino d’inverno.
Sono certo che la
mia compassione, se un vampiro può averne, sia qualcosa che proviene da lei
soltanto.
È una caratteristica
umana che non so come, ho conservato attraverso i secoli, nel mio cuore ormai
spento alla vita e certamente non l’ho ereditata da mio padre.
Lui era il pastore
anglicano della chiesa locale; era una persona dalla moralità rigida, rigorosa
ed eccessivamente severa.
Non rammento un solo
gesto affettuoso provenire da lui, verso me o i miei fratelli e neppure verso
mia madre.
Ho un ricordo
abbastanza preciso dei suoi sermoni, anatemi terribili che predicava la
domenica davanti a una folla di fedeli timorosi, in cui cercava di inculcare la
paura in un dio iracondo, pronto a condannare l’anima alle fiamme dell’inferno.
Avevo una sorta di
venerazione per lui, lo rispettavo profondamente per il suo rigore morale; era
un uomo incorruttibile e questa era senz’altro la sua più grande qualità, ma
non sempre ero disposto a condividere le sue idee che molte volte trovavo
eccessive.
Mi scontravo spesso
con lui per questo; il nostro era un rapporto conflittuale.
Conservo questa
sensazione molto chiaramente, ancora oggi dopo tre secoli.
Le nostre erano
discussioni infuocate, dove egli restava assolutamente fermo nelle sue
convinzioni, e intanto mi guardava come se avesse potuto incenerirmi con lo
sguardo. Non ho mai scorto la pietà nei suoi occhi.
Probabilmente in
quei momenti mi giudicava un eretico imperdonabile.
Chissà, forse aveva
ragione lui… forse i miei pensieri sono eresie ancora oggi. Eppure continuo a credervi
fermamente.
“Voi non parlate mai
di perdono, padre! Mai una volta che abbiate parlato del perdono divino. Siete
così sicuro che Dio non possa perdonare anche le azioni più turpi, se l’uomo si
pente sinceramente? Se diventa consapevole dei suoi errori e decide di cambiare
strada?”
“Quando il cuore
umano viene toccato dal male, non c’è salvezza alcuna, perché è già troppo
tardi; se un anima si lascia sedurre dal maligno vuol dire che non è degna del
perdono di Dio! Ci sono anime destinate alla dannazione eterna. Questa è una
verità incontestabile!”
Erano discussioni
definitive e per me, assai dolorose; il rigoroso pastore non ammetteva repliche
e io di solito, abbassavo la testa e rinunciavo allo scontro. Ma non riuscivo
ad essere d’accordo con lui.
Sapevo perfettamente
che era come sprecare il fiato; non avrebbe mai cambiato le sue idee in materia
di fede.
Eppure avrei voluto
con tutto me stesso un confronto aperto e più elastico che potesse aprirci e
avvicinarci spiritualmente, accostare le nostre anime distanti e lontane; io
non riuscivo a vedere Dio come lo vedeva lui.
In cuor mio
desideravo credere che la verità delle sacre scritture fosse diversa.
Che Dio stesso fosse
diverso; desideravo credere in un essere misericordioso, non in un despota inflessibile
pronto a colpire senza riserve.
Desideravo credere
in un Dio di libertà e tolleranza. O forse ero io che interpretavo tutto in
maniera personale.
È sempre stato così.
Attraverso 300 anni il
mio pensiero si è plasmato in una sostanza diversa e come quello dell’uomo è
cambiato; io stesso ho potuto entrare in contatto con filosofie diverse, con
teorie sull’origine del mondo che prendono le distanze dalla Bibbia, dai miti e
dalle leggende che riguardano anche le creature come me.
Invece, il pensiero
di mio padre era fissato, chiuso e irremovibile su certi punti; era l’ideologia
della sua epoca.
Egli oltre a
perseguitare i cattolici e gli appartenenti alle altre religioni, dava la
caccia a tutte quelle creature che lui riteneva incarnazioni del male; streghe,
demoni e naturalmente i vampiri.
Erano esseri da
perseguitare e possibilmente ricacciare nel baratro dell’inferno, eliminare
dalla faccia della terra.
All’epoca la
superstizione era molto diffusa e certe convinzioni erano radicate negli animi;
si credeva fermamente nell’esistenza di queste creature molto più di oggi, che
sono diventati personaggi della letteratura o di filmetti dell’orrore.
Esistevano dei veri e propri tribunali ecclesiastici che avevano il compito di
giudicare e condannare tutte quelle persone ritenute colpevoli di essere una di
queste cose, eppure chi si ergeva a giudice, molte volte non conosceva affatto
la reale natura degli esseri che era chiamato a giudicare.
Mio padre aveva
fatto di questa lotta la missione della sua vita, ma anche lui di fatto
ignorava la verità.
Io stesso la
ignoravo.
Per onorare questo
suo compito, tante volte aveva colpito degli innocenti, condannando a morte sul
rogo persone che non avevano fatto nulla, se non preparare intrugli curativi
con un po’ di erbe. Vederlo macchiarsi di quelle colpe era doloroso e scatenava
nel mio animo una rabbia che non sempre riuscivo a contenere.
“Siete accecato dal
vostro furore, padre!! Vi ergete a giudice e vi sostituite a Dio!” lo accusavo.
“Questa è la volontà
di Dio, ed è mio dovere compierla, e tu che sei mio figlio, un giorno seguirai
le mie orme. Per questo non dovresti mettere in dubbio gli insegnamenti divini
e la necessità assoluta di colpire i nemici del Signore. Il tuo atteggiamento è
molto pericoloso… stai rischiando la tua stessa anima.”
E non poteva
sospettare quanto in realtà avesse ragione, neppure io sapevo, ancora.
Ma di lì a breve lo
avrei scoperto.
Arrivò anche per me
il momento di prendere il mio posto nel mondo ed era ovvio che fosse il ruolo
che per tanto tempo aveva ricoperto lui; ormai anziano e allo stremo delle
forze, mi affidò il ruolo di guida spirituale della comunità e cacciatore delle
forze del male.
Io ero deciso a
lavorare al meglio, ma volevo anche essere giusto e non lasciarmi accecare dal
fanatismo.
Non sarei stato
disposto a vedere il male dove non c’era e non volevo mandare sul rogo persone
innocenti.
E naturalmente,
questo mio atteggiamento più tollerante non incontrò il suo favore; furono
altri scontri.
“Sei troppo
permissivo e non sei abbastanza pronto nel condannare!”
“Padre, io non
intendo mandare al rogo per stregoneria una persona innocente; quella donna non
ha fatto nulla di male. Ha cercato solo di curare il padre malato.”
“Non ti sei chiesto
come abbia fatto a procurarsi simili rimedi? È opera del maligno e lei è una
delle sue serve!”
Troppe volte ero
costretto a scontrarmi con lui per tentare di difendere le mie scelte e le mie
decisioni che puntualmente egli non approvava; la sua inflessibilità lo rendeva
cieco e stolto, incapace di essere obiettivo.
A volte mi sembrava
un mostro proprio lui che i mostri pretendeva di combatterli.
Un giorno, venne da
me un uomo in possesso di informazioni davvero bizzarre e inquietanti: diceva
di aver scoperto il nascondiglio di veri vampiri. Volli accertare l’esattezza delle sue informazioni e feci alcune
indagini su di lui; verificai che non avesse dei nemici o conti in sospeso con
qualcuno; erano troppe le denunce a persone che solo per vendetta finivano per
essere arrestate per semplici sospetti o calunnie, processate e poi condannate
al carcere o peggio, torturate e lasciate morire in qualche oscura segreta.
Quest’uomo sosteneva
che nella cripta di una piccola chiesetta sconsacrata si nascondesse un piccolo
gruppo di vampiri; questi uscivano solo di notte per assalire qualche sporadico
viandante o vagabondo che attraversava la città.
Era stato testimone
involontario di una di queste aggressioni notturne ed era spaventato a morte; il
racconto che mi aveva fatto era stato raccapricciante e a tratti mi era parso
inverosimile. Parlava di creature fortissime e molto veloci che apparivano e
sparivano nel nulla. Sembrava davvero il racconto delirante di un pazzo
visionario. Decisi comunque di prestargli fede e verificare.
Trovai la chiesetta,
la cripta e tracce piuttosto vaghe per la verità, del passaggio di qualcuno.
Radunai un folto
gruppo di uomini e una notte illuminata dalle nostre torce, armati di pistole e
inutili crocifissi, ci apprestammo ad attendere che i vampiri uscissero per
cacciare come aveva detto il testimone.
Fu quella notte che
la mia vita cambiò per sempre.
Sarebbe più giusto
dire che finì quella che io conoscevo.
Quella notte entrai nell’eternità.
Non soltanto in senso metaforico.
E conobbi qualcosa
che neppure mio padre conosceva nonostante tutta la sua esperienza. Conobbi
l’orrore e la paura quella stessa notte; la paura per qualcosa di oscuro e
incomprensibile alla limitata mente umana.
La paura
dell’ignoto, dell’indicibile. Appresi cosa fosse la paura di perdere la propria
anima e come fosse facile e senza ritorno. Senza speranza.
Una paura con cui ho
convissuto lungamente, una paura terribile e quasi devastante.
Quella notte scoprii
sulla mia pelle cosa fossero davvero i vampiri e come siano lontani
dall’immaginario costruito dagli uomini attraverso i secoli. Volevo combattere
ciò che io credevo il male e non sapevo neppure contro cosa stavo lottando.
All’epoca non
esisteva arma umana che avrebbe potuto distruggere un vampiro. E certamente non
sarebbe bastato un crocifisso o un paletto di frassino. Ma quelle erano le
credenze che mi erano state trasmesse, e io come gli altri vi prestavo fede,
non avendo ragione di dubitarne.
Tutte le mie
certezze crollarono velocemente quando vidi una di quelle creature uscire dal
suo nascondiglio; era in avanscoperta e chiamò i compagni quando fu sicura che
non ci fossero pericoli.
Non si muoveva come
un essere umano. La sentii parlare latino e fu un’altra cosa che mi sorprese e
mi fece capire di trovarmi di fronte ad un essere molto antico. Millenario
forse.
Se in passato avevo
avuto dubbi sull’esistenza di quegli esseri, in quel preciso momento compresi
che erano una realtà e paradossalmente, forse nello stesso istante dubitai
dell’esistenza di Dio, così come io lo conoscevo.
Quando anche gli
altri uscirono allo scoperto, decidemmo di attaccarli. Il fuoco delle nostre
torce lì spaventò, l’unica cosa che davvero potesse far loro del male, ma erano
troppo veloci. Quasi i nostri occhi umani non riuscivano a percepirli e
l’oscurità non aiutava. Non avevo mai visto nulla di simile.
I loro occhi rossi
nei volti diafani brillavano sinistri alla luce delle fiamme.
Alcuni scapparono,
ma uno di loro spinto forse dalla sete ci attaccò, uccise un paio di uomini
spezzandoli come fossero stati dei fuscelli e ne rapì un terzo. Mi morse quando
tentai di difendere i miei compagni.
Come potevo sapere
quanto i miei sforzi fossero vani? Non saprei immaginare un dolore più
terribile.
La battaglia finì
molto in fretta, i vampiri scomparvero nella notte dopo aver ucciso alcuni di
noi e io ero rimasto ferito. Capii immediatamente cosa mi sarebbe successo; gli
uomini superstiti, terrorizzati, erano scappati abbandonandomi al mio destino.
Il veleno del
vampiro era entrato in circolo nel mio sangue ed era peggio del fuoco
dell’inferno, si propagava lento e inesorabile dal braccio e raggiungeva e
distruggeva ogni fibra e anfratto del mio corpo umano. Riuscii a nascondermi in
una cantina e lì restai per tutto il tempo della trasformazione; tre giorni di
agonia terribile, silenziosa ed estrema in cui sperai ogni secondo di morire
per essere liberato da quella sofferenza spaventosa e intollerabile. E ancora
più terribile era la consapevolezza di quello che stavo diventando: un mostro
assetato di sangue, un essere privo di anima. Avevo orrore di quello che mi
stava accadendo, di quello che sarei diventato; in mezzo a tutto quel dolore
pregavo Dio di togliermi la vita. Perché mi stava accadendo tutto questo?
Quale orrenda colpa
avevo commesso, per subire una simile condanna eterna?
Pensai ai miei
compagni uccisi e invidiai la loro sorte.
Era sorprendente che
avessi ancora dei pensieri lucidi in mezzo a tutto quel lancinante tormento.
Pensai a mio padre; non potevo tornare da lui, non perché mi avrebbe ucciso, ma
perché io avrei potuto uccidere lui.
Eppure qualcosa
dentro di me si ostinava a urlare, a lottare per non morire, a non arrendersi
al destino ineluttabile, qualcosa nel profondo di me stesso non voleva
soccombere.
Ma non sapevo quanto
il mio spirito avrebbe potuto resistere. Si sarebbe dissolto, bruciato da quel
fuoco che mi stava devastando dentro?
Avrei dimenticato
tutto della mia vita umana? Avrei davvero perso la mia anima? Durante la
trasformazione sentivo che stavo diventando più forte, anche se il fuoco
continuava a bruciare e propagarsi. Temevo che potesse bruciare anche i miei
ricordi e la mia coscienza; decisi che se avessi tentato di pensare al bene
della mia vita, all’amore per gli altri anche in mezzo a tutto quel dolore, il
veleno non avrebbe fatto effetto completamente e non avrei perso me stesso.
Forse fu un pensiero folle e assurdo, non lo so, forse era solo un modo per
restare ancorato alla mia umanità. Avrei scoperto cosa fossi diventato a
trasformazione avvenuta.
Quando il dolore
cessò, tutto ormai si era compiuto e il processo è irreversibile.
Ero diventato un
vampiro.
Una creatura della
notte assetata di sangue.
Non ero ancora il
vampiro Carlisle Cullen, il dottore che oggi riesce senza la sofferenza della
sua sete ad aiutare gli uomini, il vampiro che attraverso il suo lavoro ha
trovato una sorta di pace e felicità dell’anima.
Il vampiro con una
famiglia e dei figli di cui va orgoglioso.
Ero solo all’inizio della mia nuova vita.
Continua…
È
la prima volta che scrivo in questa sezione, ma il personaggio di Carlisle mi
ha sempre affascinato per la sua complessità e senza pretese, ho voluto provare
a scrivere qualcosa su di lui, perché potevo così affrontare una tematica che
mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo
attraverso quel poco che ci dice la Meyer, spero di esserci riuscita. Naturalmente
accetto consigli e suggerimenti dalle tante fans di Twilight che sono più
esperte di me. Un saluto e grazie in anticipo.
[1] Ho deciso di inserire
questa poesia che apre il mio racconto e che ritroverete più avanti se
proseguirete la lettura, perché credo che rappresenti benissimo la personalità
di Carlisle.