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Autore: Ninfea Blu    30/11/2009    6 recensioni
Salve a tutte. E' la prima volta che scrivo in questa sezione, ma sono affascinata dal personaggio del dottor Cullen, che trovo complesso e interessante, quindi ho voluto provare. Attraverso questa ff, affronto una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo raccontando la sua esistenza e le sue esperienze.
2° cap - "Mio padre: mi era capitato di pensare a lui... mi chiedevo come avesse reagito alla mia scomparsa, se mi avesse fatto cercare."
5° cap - "Heidi mi inquietava; era un misto di grazia ultraterrena unita a una fisicità fatta di carne e sangue. Sentivo nei suoi confronti una specie di repulsione che si mischiava all'attrazione."
9° cap - "Il mio incontro col destino avvenne una fredda mattina di febbraio, con la luce chiara che entrava attraverso la finestra del mio studio e illuminava il volto delicato di un'umana, una donna che all'epoca era la moglie di un altro uomo."
Non so se la dicitura spoiler sia corretta, di fatto non è una if. Accetto consigli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Heidi, Tanya, Un po' tutti | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
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Carlisle

Carlisle. L’anima di un vampiro.

 

 

Dal profondo della notte che mi avvolge,

buia come il pozzo che va da un polo all’altro,

ringrazio tutti gli dei per la mia anima indomabile.

 

Nella morsa delle circostanze,

non ho indietreggiato, né ho pianto.

Sotto i colpi d’ascia della sorte,

il mio capo sanguina, ma non si china.

 

Più in là, questo luogo di rabbia e lacrime incombe,

ma l’orrore dell’ombra, e la minaccia degli anni

non mi trova, e non mi troverà, spaventato.

 

Non importa quanto sia stretta la porta,

quanto piena di castighi la pergamena,

Io sono il padrone del mio destino:

Io sono il capitano della mia anima.

 

“Invictus” di William Ernest Henley  [1]

 

 

*****

 

 

Non ricordo molto della mia vita mortale.

Conservo immagini sporadiche e rade, quasi nebbiose, che sembrano legate ad un’ esistenza che non mi appartiene, troppo breve rispetto ai miei 300 anni e più da immortale.

Sono nato a Londra, probabilmente attorno all’anno 1640.

Mia madre morì quando avevo circa sei anni, forse dando alla luce uno dei miei fratelli. Non ricordo nessuna delle loro facce.

L’unica memoria che ho di colei che mi ha messo al mondo, è un immagine simile a un dipinto di un pittore fiammingo; una donna dolce e materna seduta alla finestra, con una cuffietta candida a coprire i capelli lisci e biondi, intenta a rammendare, investita dalla luce bianca e liquida di un mattino d’inverno.

Sono certo che la mia compassione, se un vampiro può averne, sia qualcosa che proviene da lei soltanto.

È una caratteristica umana che non so come, ho conservato attraverso i secoli, nel mio cuore ormai spento alla vita e certamente non l’ho ereditata da mio padre.

Lui era il pastore anglicano della chiesa locale; era una persona dalla moralità rigida, rigorosa ed eccessivamente severa.

Non rammento un solo gesto affettuoso provenire da lui, verso me o i miei fratelli e neppure verso mia madre.

Ho un ricordo abbastanza preciso dei suoi sermoni, anatemi terribili che predicava la domenica davanti a una folla di fedeli timorosi, in cui cercava di inculcare la paura in un dio iracondo, pronto a condannare l’anima alle fiamme dell’inferno.

Avevo una sorta di venerazione per lui, lo rispettavo profondamente per il suo rigore morale; era un uomo incorruttibile e questa era senz’altro la sua più grande qualità, ma non sempre ero disposto a condividere le sue idee che molte volte trovavo eccessive.

Mi scontravo spesso con lui per questo; il nostro era un rapporto conflittuale.

Conservo questa sensazione molto chiaramente, ancora oggi dopo tre secoli.

Le nostre erano discussioni infuocate, dove egli restava assolutamente fermo nelle sue convinzioni, e intanto mi guardava come se avesse potuto incenerirmi con lo sguardo. Non ho mai scorto la pietà nei suoi occhi.

Probabilmente in quei momenti mi giudicava un eretico imperdonabile.

Chissà, forse aveva ragione lui… forse i miei pensieri sono eresie ancora oggi. Eppure continuo a credervi fermamente.

“Voi non parlate mai di perdono, padre! Mai una volta che abbiate parlato del perdono divino. Siete così sicuro che Dio non possa perdonare anche le azioni più turpi, se l’uomo si pente sinceramente? Se diventa consapevole dei suoi errori e decide di cambiare strada?”

“Quando il cuore umano viene toccato dal male, non c’è salvezza alcuna, perché è già troppo tardi; se un anima si lascia sedurre dal maligno vuol dire che non è degna del perdono di Dio! Ci sono anime destinate alla dannazione eterna. Questa è una verità incontestabile!”

Erano discussioni definitive e per me, assai dolorose; il rigoroso pastore non ammetteva repliche e io di solito, abbassavo la testa e rinunciavo allo scontro. Ma non riuscivo ad essere d’accordo con lui.

Sapevo perfettamente che era come sprecare il fiato; non avrebbe mai cambiato le sue idee in materia di fede.

Eppure avrei voluto con tutto me stesso un confronto aperto e più elastico che potesse aprirci e avvicinarci spiritualmente, accostare le nostre anime distanti e lontane; io non riuscivo a vedere Dio come lo vedeva lui.

In cuor mio desideravo credere che la verità delle sacre scritture fosse diversa.

Che Dio stesso fosse diverso; desideravo credere in un essere misericordioso, non in un despota inflessibile pronto a colpire senza riserve.

Desideravo credere in un Dio di libertà e tolleranza. O forse ero io che interpretavo tutto in maniera personale.

È sempre stato così.

Attraverso 300 anni il mio pensiero si è plasmato in una sostanza diversa e come quello dell’uomo è cambiato; io stesso ho potuto entrare in contatto con filosofie diverse, con teorie sull’origine del mondo che prendono le distanze dalla Bibbia, dai miti e dalle leggende che riguardano anche le creature come me.

Invece, il pensiero di mio padre era fissato, chiuso e irremovibile su certi punti; era l’ideologia della sua epoca.

Egli oltre a perseguitare i cattolici e gli appartenenti alle altre religioni, dava la caccia a tutte quelle creature che lui riteneva incarnazioni del male; streghe, demoni e naturalmente i vampiri.

Erano esseri da perseguitare e possibilmente ricacciare nel baratro dell’inferno, eliminare dalla faccia della terra.

All’epoca la superstizione era molto diffusa e certe convinzioni erano radicate negli animi; si credeva fermamente nell’esistenza di queste creature molto più di oggi, che sono diventati personaggi della letteratura o di filmetti dell’orrore. Esistevano dei veri e propri tribunali ecclesiastici che avevano il compito di giudicare e condannare tutte quelle persone ritenute colpevoli di essere una di queste cose, eppure chi si ergeva a giudice, molte volte non conosceva affatto la reale natura degli esseri che era chiamato a giudicare.

Mio padre aveva fatto di questa lotta la missione della sua vita, ma anche lui di fatto ignorava la verità.

Io stesso la ignoravo.

Per onorare questo suo compito, tante volte aveva colpito degli innocenti, condannando a morte sul rogo persone che non avevano fatto nulla, se non preparare intrugli curativi con un po’ di erbe. Vederlo macchiarsi di quelle colpe era doloroso e scatenava nel mio animo una rabbia che non sempre riuscivo a contenere.

“Siete accecato dal vostro furore, padre!! Vi ergete a giudice e vi sostituite a Dio!” lo accusavo.

“Questa è la volontà di Dio, ed è mio dovere compierla, e tu che sei mio figlio, un giorno seguirai le mie orme. Per questo non dovresti mettere in dubbio gli insegnamenti divini e la necessità assoluta di colpire i nemici del Signore. Il tuo atteggiamento è molto pericoloso… stai rischiando la tua stessa anima.”

E non poteva sospettare quanto in realtà avesse ragione, neppure io sapevo, ancora.

Ma di lì a breve lo avrei scoperto.

 

Arrivò anche per me il momento di prendere il mio posto nel mondo ed era ovvio che fosse il ruolo che per tanto tempo aveva ricoperto lui; ormai anziano e allo stremo delle forze, mi affidò il ruolo di guida spirituale della comunità e cacciatore delle forze del male.

Io ero deciso a lavorare al meglio, ma volevo anche essere giusto e non lasciarmi accecare dal fanatismo.

Non sarei stato disposto a vedere il male dove non c’era e non volevo mandare sul rogo persone innocenti.

E naturalmente, questo mio atteggiamento più tollerante non incontrò il suo favore; furono altri scontri.

“Sei troppo permissivo e non sei abbastanza pronto nel condannare!”

“Padre, io non intendo mandare al rogo per stregoneria una persona innocente; quella donna non ha fatto nulla di male. Ha cercato solo di curare il padre malato.”

“Non ti sei chiesto come abbia fatto a procurarsi simili rimedi? È opera del maligno e lei è una delle sue serve!”

Troppe volte ero costretto a scontrarmi con lui per tentare di difendere le mie scelte e le mie decisioni che puntualmente egli non approvava; la sua inflessibilità lo rendeva cieco e stolto, incapace di essere obiettivo.

A volte mi sembrava un mostro proprio lui che i mostri pretendeva di combatterli.

 

Un giorno, venne da me un uomo in possesso di informazioni davvero bizzarre e inquietanti: diceva di aver scoperto il nascondiglio di veri vampiri.  Volli accertare l’esattezza delle sue informazioni e feci alcune indagini su di lui; verificai che non avesse dei nemici o conti in sospeso con qualcuno; erano troppe le denunce a persone che solo per vendetta finivano per essere arrestate per semplici sospetti o calunnie, processate e poi condannate al carcere o peggio, torturate e lasciate morire in qualche oscura segreta.

Quest’uomo sosteneva che nella cripta di una piccola chiesetta sconsacrata si nascondesse un piccolo gruppo di vampiri; questi uscivano solo di notte per assalire qualche sporadico viandante o vagabondo che attraversava la città.

Era stato testimone involontario di una di queste aggressioni notturne ed era spaventato a morte; il racconto che mi aveva fatto era stato raccapricciante e a tratti mi era parso inverosimile. Parlava di creature fortissime e molto veloci che apparivano e sparivano nel nulla. Sembrava davvero il racconto delirante di un pazzo visionario. Decisi comunque di prestargli fede e verificare.

Trovai la chiesetta, la cripta e tracce piuttosto vaghe per la verità, del passaggio di qualcuno.

Radunai un folto gruppo di uomini e una notte illuminata dalle nostre torce, armati di pistole e inutili crocifissi, ci apprestammo ad attendere che i vampiri uscissero per cacciare come aveva detto il testimone.

Fu quella notte che la mia vita cambiò per sempre.

Sarebbe più giusto dire che finì quella che io conoscevo.

Quella notte entrai nell’eternità. Non soltanto in senso metaforico.

E conobbi qualcosa che neppure mio padre conosceva nonostante tutta la sua esperienza. Conobbi l’orrore e la paura quella stessa notte; la paura per qualcosa di oscuro e incomprensibile alla limitata mente umana.

La paura dell’ignoto, dell’indicibile. Appresi cosa fosse la paura di perdere la propria anima e come fosse facile e senza ritorno. Senza speranza.

Una paura con cui ho convissuto lungamente, una paura terribile e quasi devastante.

Quella notte scoprii sulla mia pelle cosa fossero davvero i vampiri e come siano lontani dall’immaginario costruito dagli uomini attraverso i secoli. Volevo combattere ciò che io credevo il male e non sapevo neppure contro cosa stavo lottando.

All’epoca non esisteva arma umana che avrebbe potuto distruggere un vampiro. E certamente non sarebbe bastato un crocifisso o un paletto di frassino. Ma quelle erano le credenze che mi erano state trasmesse, e io come gli altri vi prestavo fede, non avendo ragione di dubitarne.

Tutte le mie certezze crollarono velocemente quando vidi una di quelle creature uscire dal suo nascondiglio; era in avanscoperta e chiamò i compagni quando fu sicura che non ci fossero pericoli.

Non si muoveva come un essere umano. La sentii parlare latino e fu un’altra cosa che mi sorprese e mi fece capire di trovarmi di fronte ad un essere molto antico. Millenario forse.

Se in passato avevo avuto dubbi sull’esistenza di quegli esseri, in quel preciso momento compresi che erano una realtà e paradossalmente, forse nello stesso istante dubitai dell’esistenza di Dio, così come io lo conoscevo.

Quando anche gli altri uscirono allo scoperto, decidemmo di attaccarli. Il fuoco delle nostre torce lì spaventò, l’unica cosa che davvero potesse far loro del male, ma erano troppo veloci. Quasi i nostri occhi umani non riuscivano a percepirli e l’oscurità non aiutava. Non avevo mai visto nulla di simile.

I loro occhi rossi nei volti diafani brillavano sinistri alla luce delle fiamme.

Alcuni scapparono, ma uno di loro spinto forse dalla sete ci attaccò, uccise un paio di uomini spezzandoli come fossero stati dei fuscelli e ne rapì un terzo. Mi morse quando tentai di difendere i miei compagni.

Come potevo sapere quanto i miei sforzi fossero vani? Non saprei immaginare un dolore più terribile.

La battaglia finì molto in fretta, i vampiri scomparvero nella notte dopo aver ucciso alcuni di noi e io ero rimasto ferito. Capii immediatamente cosa mi sarebbe successo; gli uomini superstiti, terrorizzati, erano scappati abbandonandomi al mio destino.

Il veleno del vampiro era entrato in circolo nel mio sangue ed era peggio del fuoco dell’inferno, si propagava lento e inesorabile dal braccio e raggiungeva e distruggeva ogni fibra e anfratto del mio corpo umano. Riuscii a nascondermi in una cantina e lì restai per tutto il tempo della trasformazione; tre giorni di agonia terribile, silenziosa ed estrema in cui sperai ogni secondo di morire per essere liberato da quella sofferenza spaventosa e intollerabile. E ancora più terribile era la consapevolezza di quello che stavo diventando: un mostro assetato di sangue, un essere privo di anima. Avevo orrore di quello che mi stava accadendo, di quello che sarei diventato; in mezzo a tutto quel dolore pregavo Dio di togliermi la vita. Perché mi stava accadendo tutto questo?

Quale orrenda colpa avevo commesso, per subire una simile condanna eterna?

Pensai ai miei compagni uccisi e invidiai la loro sorte.

Era sorprendente che avessi ancora dei pensieri lucidi in mezzo a tutto quel lancinante tormento. Pensai a mio padre; non potevo tornare da lui, non perché mi avrebbe ucciso, ma perché io avrei potuto uccidere lui.

Eppure qualcosa dentro di me si ostinava a urlare, a lottare per non morire, a non arrendersi al destino ineluttabile, qualcosa nel profondo di me stesso non voleva soccombere.

Ma non sapevo quanto il mio spirito avrebbe potuto resistere. Si sarebbe dissolto, bruciato da quel fuoco che mi stava devastando dentro?

Avrei dimenticato tutto della mia vita umana? Avrei davvero perso la mia anima? Durante la trasformazione sentivo che stavo diventando più forte, anche se il fuoco continuava a bruciare e propagarsi. Temevo che potesse bruciare anche i miei ricordi e la mia coscienza; decisi che se avessi tentato di pensare al bene della mia vita, all’amore per gli altri anche in mezzo a tutto quel dolore, il veleno non avrebbe fatto effetto completamente e non avrei perso me stesso. Forse fu un pensiero folle e assurdo, non lo so, forse era solo un modo per restare ancorato alla mia umanità. Avrei scoperto cosa fossi diventato a trasformazione avvenuta.

Quando il dolore cessò, tutto ormai si era compiuto e il processo è irreversibile.

Ero diventato un vampiro.

Una creatura della notte assetata di sangue.

Non ero ancora il vampiro Carlisle Cullen, il dottore che oggi riesce senza la sofferenza della sua sete ad aiutare gli uomini, il vampiro che attraverso il suo lavoro ha trovato una sorta di pace e felicità dell’anima.

Il vampiro con una famiglia e dei figli di cui va orgoglioso.

Ero solo all’inizio della mia nuova vita.

 

 

Continua…

 

 

È la prima volta che scrivo in questa sezione, ma il personaggio di Carlisle mi ha sempre affascinato per la sua complessità e senza pretese, ho voluto provare a scrivere qualcosa su di lui, perché potevo così affrontare una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo attraverso quel poco che ci dice la Meyer, spero di esserci riuscita. Naturalmente accetto consigli e suggerimenti dalle tante fans di Twilight che sono più esperte di me. Un saluto e grazie in anticipo.

 

 



[1] Ho deciso di inserire questa poesia che apre il mio racconto e che ritroverete più avanti se proseguirete la lettura, perché credo che rappresenti benissimo la personalità di Carlisle.

   
 
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