II
~ Depressione
Stupore.
Una
densa, lampante sensazione di stupore gli si riversò sinuosa addosso,
sciogliendo i muscoli e inebriando ogni membra del suo corpo immortale di una
nuova insana follia. Abbacinata dalla sua eterea bellezza, i suoi ingenui occhi
da umana non riuscivano a cogliere nient’altro che la patina riposta in
superficie e non si sforzavano, scioccamente, di scendere appena un pochino più
giù, sotto quegli occhi di un nero infinito. E poteva sentire il ritmo
frenetico del suo fragile cuore oltre la scorsa di pelle e ossa... Poteva
avvertire la potenza con cui il sangue continuava a fluire, inabissando le
guance di una deliziosa – invitante –
tonalità rossastra. Poteva vedere in quegli occhi sbiaditi la voglia, il
desiderio di poterlo sfiorare, anche solo per accertarsi che lui fosse reale e
fosse lì con lei, senza sapere che sarebbe stato tanto meglio per lei pregare
per il contrario, per non averlo mai incontrato.
Era
così meravigliata della sua visione, da non accorgersi del pericolo che le
stava arrivando incontro sottoforma di angelo.
Povera
sciocca ingenua umana...
Era
così facile, così semplice, così naturale
per lui...
Allungò
un passo nella sua direzione e per reazione sentì lo stupore aumentare,
avvolgerlo completamente. Sogghignò. La storia si ripeteva ancora, e ancora, e
già sapeva come sarebbe andata avanti, memore di tutti quegli anni trascorsi a
giocare al gatto col topo, alla preda e al predatore, alla vittima e al suo
carnefice...
Stupore
stordimento agitazione paura orrore.
Un’escalation
di emozioni contrastanti, tanto profonde quanto solo la sua sete di sangue
sapeva esserlo. Ma più aumentavano d’intensità, più la sua sete cresceva e
assieme ad essa la brama irresistibile, cavernosa di uccidere, di affondare i
denti nella pelle morbida del collo, di stringere, di succhiare quella linfa
vitale, di bere ogni goccia di sangue con infinita ferocia prima di abbandonare
la sua ennesima vittima nello squallore di una strada isolata. Poteva sentire
già il sapore di quel caldo liquido amaranto nella sua bocca, pregustarne la
dolce consistenza, bearsi della sensazione di essere pieno e allo stesso tempo
di non averne mai effettivamente abbastanza.
Un
altro passo, un sorriso malevolo e lo stupore divenne stordimento, poi
agitazione quando con la lingua tracciò le linee perfette delle sue labbra,
provocante e ostile insieme.
Aveva
paura adesso? Saggiò con perizia ogni sfumatura di quel groviglio informe di
percezioni, setacciandole ad una ad una con una calma estrema, disarmante e
totalmente fuori luogo. Poi, mentre l’ombra di un sorriso stonato si stendeva
cattivo sulla bocca, si rispose che sì,
il buonsenso stava davvero iniziando a sopraffare la meraviglia, a suggerirle
ciò che la sua vigliaccheria non sarebbe mai stato in grado di dirle.
Per
un istante un senso opprimente di potere
lo sommerse, pietrificandolo sul posto nelle sembianze intatte di un’antica
divinità greca. Poteva sentire l’effimera vita di quella ragazza nel palmo
della sua mano e sapeva – oh, ne era maledettamente cosciente – che sarebbe
bastato stringere un poco le dita, rafforzare appena la presa, per
schiacciarla, calpestarla come fosse stata un altro inutile insetto sul suo
cammino. Un solo, dolcissimo, languido morso e avrebbe avuto quella vita tutta
per sé, per sempre.
E
lui la voleva, voleva quella vita, voleva poterla sacrificare per la sua sete
di sangue, voleva annientarla e cullarsi nella facilità con cui c’era riuscito,
e allo stesso tempo voleva mettere a tacere quella paura, quell’orrore che
intanto si apriva negli occhi della sua vittima e, con lei, arrivava
direttamente anche a lui.
Allungò
una mano e la vide, la sentì
irrigidirsi, terrorizzata.
Il
suo corpo le diceva adesso ciò che la sua mente aveva inopportunamente
scartato, ma neanche i suoi piedi riuscivano a gridarle di mettersi in salvo,
prima che fosse stato tutto troppo tardi.
Per
un momento si stupì nel constatare che una parte di se stesso le stava
silenziosamente sbraitando di scappare, lontano da lui e dall’immane pericolo
che rappresentava. Una parte che aveva un nome ed un cognome, anche. Jasper Whitlock, l’ultimo mozzicone
restante della sua quasi del tutto perduta umanità.
Rivedeva
se stesso tanti anni addietro, la sua mente ripercorreva rapida il flusso degli
eventi e di nuovo era lì, quella sera, la notte dove tutto ebbe fine per il giovane
Jasper Whitlock e al contempo dove tutto iniziò per Jasper...Jasper e basta.
Lo
stupore che lei aveva provato dinanzi alla sua folgorate bellezza, era adesso
ciò che lui aveva vissuto e provato davanti a quella di Maria, di Nettie e di Lucy.
Stupore
stordimento agitazione paura orrore... Ecco ciò era stato Jasper Whitlock
mentre si spegneva, baciato da labbra peccaminose. Gli ultimi istanti della sua
vita, prima che l’odio prendesse il sopravvento e la posizione predominante, se
non l’unica, nella sua nuova non-vita.
Ma
lei non scappava – nessuno scappava mai, neanche lui l’aveva fatto dopotutto –
e la gola bruciava, la fame di sangue lo imprigionava in una spirale di
violenza. Sangue, sangue, voleva solo il suo sangue, sentire la sua vita morire
appiano appiano tra le sue mani, nella sua bocca, e
porre fine a quello strazio di dolore, di orrore, di paura che lei continuava a
regalargli in dosi massicce, andandolo a sommare alle stesse emozioni che aveva
provato a sua volta, un tempo.
Avanzò
di un passo, poi di un altro, e con la rapidità della sua specie le fu alla
gola, i denti stretti nella calda pelle del collo, là dove le pulsazioni del
sangue erano più forti.
La
sentì gemere e l’orrore che lei stava provando gli si scaricò spietato addosso,
soffocandolo.
Basta, basta, smettila!
Ma
dalla sua bocca non proveniva alcun suono, i suoi istinti da predatore tutti concentrati
sulla vita sempre più vacua della preda tra le sue mani.
Il
terrore era un fuoco, era forte, così intenso da fargli male – ma lui non
poteva farsi male, no? Perché era un vampiro, giusto? Allora perché era tutto
così insopportabile? – e lui voleva solo estinguerlo, farlo morire come moriva
la vittima del suo odio. Avrebbe voluto prenderlo a morsi, dilaniarlo con la
ferocia dei suoi denti, ma mentre la ragazza crollava tra le sue braccia,
dissanguata, si accorse che era solo se stesso che avrebbe voluto uccidere.
E
il pensiero lo uccise, ancora. E lo
avrebbe fatto un’altra volta, e un’altra, e un’altra, all’infinito. Senza mai
ucciderlo davvero.
Sono stanco. Non voglio uccidere...
Non voglio uccidere mai più.
Eppure
l’aveva fatto, di nuovo, e le sue labbra non si erano neanche staccate dal
collo senza vita della ragazza che stava già valutando la sua prossima vittima.
Era
diventato un mostro.
A/N
Un piccolo excursus sulla vita di Jasper prima di incontrare Alice. Ho riletto
molte volte il passaggio del libro Eclipse
in cui Jasper racconta la sua storia e ogni volta che descriveva le sue
emozioni, era come se riuscissi in qualche modo a percepirle. Il suo tormento,
la sua depressione...tutte emozioni così intense, così ben descritte che a mio
modo ho voluto dare una concretizzazione a quelle parole.
Il prossimo capitolo...non so di preciso, forse il loro
primo incontro. Suggerimenti? ^.-
Scusate se non mi fermo a rispondere come si deve alle
vostre graditissime recensioni, ma ahimè ho ancora un macello di cose da
studiare a così stretto giro che se ci penso mi sento male!
Perciò semplicemente grazie
a Kumiko_Chan_, Isangel, hale1843 e Alice Joy per le splendide parole che
mi hanno lasciato. E grazie anche a chi ha inserito la storia tra i preferiti,
chi l’ha messa tra i seguiti, a chi ha letto, a chi magari lo farà. È sempre un
piacere scoprire che non si è i soli ad amare questa splendida, splendida
coppia.
Bene, adesso come anticipato devo davvero scappare, prima
che mi scivoli del tutto via di dosso la voglia di studiare, già piuttosto
scarsa a dire il vero.
Alla prossima e spero ardentemente che mi lasciate il vostro
parere anche di questa breve one-shot.
Baci.
memi