Cap. 4: Vandalic Act of Love
Sorreggili,
aiutali,
ti prego non lasciarli cadere.
Esili, fragili,
non negargli un po' del tuo amore...
Stelle che ora tacciono,
ma daranno un senso a quel cielo.
Gli uomini non brillano,
se non sono stelle anche loro.
Hinata
stava per sentirsi male.
E questa
volta Naruto non c’entrava proprio nulla.
Appoggiò la
mano sinistra allo stipite della porta, posò la destra
contro la schiena
dolorante, una smorfia sul viso.
Quando si
metteva d’impegno, Sakura si trasformava in un mostro.
Lei e Ino
avevano dovuto fare per almeno venti volte la strada
dall’ufficio dell’Hokage
al fioraio Yamanaka.
Trasportando
delle inaspettatamente pesantissime scatole zeppe di fiori.
Sebbene
Ma si era
resa conto che sarebbe stata una cattiveria imperdonabile.
Sbuffò
lievemente: dannazione, l’anno seguente avrebbe fatto di
tutto per non finire
di nuovo sotto le grinfie dell’Haruno.
Questo era
certo.
Un
singhiozzo la riportò alla realtà: qualcuno stava
piangendo.
Hinata si
precipitò in cucina, dove trovò
un’Hanabi in lacrime. Davanti a lei, una tazza
di latte ormai congelato.
Era in
quella posizione da almeno cinque ore, e non aveva intenzione di
schiodarsi da
lì.
“Hanabi…”,
mormorò la sorella, avvicinandosi alla dodicenne e
abbracciandola.
La minore
di casa Hyuga non riusciva a formulare una frase di senso compiuto
nemmeno a
pagarla. Continuava a ripetere le stesse parole in continuazione.
“Konohamaru…compleanno…nonno…fionda…regalo…fionda…”
“Hanabi,
shh…calmati, piccola…” Hinata le
carezzava la testa, senza sapere cosa fare.
Si alzò e
si diresse verso i fornelli, dove iniziò a preparare un the.
Hanabi in
tutta sincerità odiava il the, ma lasciò fare:
non aveva la forza di reagire.
Si sentiva
una traditrice. Per tutti quegli anni aveva ignorato senza volerlo
l’anniversario
della morte del terzo Hokage.
La morte
del nonno di Konohamaru. E forse questo era ancora più grave.
Perché
anche se non si frequentavano, anche se Hanabi era in un team diverso,
loro due
erano amici.
Dopo quella
domenica di marzo non si erano più parlati, ma ogniqualvolta
si incrociavano,
sui loro visi appariva un sorriso carico di ricordi e malinconia.
Un bel
sorriso che piaceva ad entrambi.
Eppure
adesso lei non sapeva come farsi perdonare.
“Tieni,
Hanabi.”
Una zaffata
di vapore colpì in viso la dodicenne, che storse il naso tra
i singhiozzi.
Hinata si
sedette davanti a lei, non senza qualche smorfia e molti gemiti di
dolore, dovuti al lavoro incessante della mattina.
Quanto
aveva lavorato lei, per onorare la
memoria di quell’uomo?
Nemmeno un
secondo.
Una lacrima
finì dritta nel liquido ambrato, facendo sbuffare Hinata.
“Ecco, ora
è imbevibile.”, borbottò, spostandolo
su un’altra parte del tavolo.
“S-scusami…”,
mormorò Hanabi, senza smettere di piangere.
“Ehi.”
Hinata la fissava sorridendo. “D’altronde, le
sorelle minori vengono al mondo
solo per rovinare i piani delle sorelle maggiori, no?”
Hanabi
ridacchiò. Poi sollevò lo sguardo ancora umido
verso Hinata, e fu come
specchiarsi in uno specchio.
Occhi uguali
ai suoi la fissavano. Le imploravano di confidarsi, di svelare il
motivo di
quel pianto disperato.
Prese un
profondo respiro, poi iniziò a parlare, senza che la
maggiore chiedesse
qualcosa.
Raccontò di
Konohamaru, della fionda, di suo nonno, del compleanno.
Parlò senza quasi
prendere fiato. Ogni parola fuoriusciva dalle sue labbra
automaticamente, come
se fosse sempre stata lì pronta ad essere svelata.
Quando
terminò, si accorse che il sorriso di Hinata era immutato.
Cadde un
lungo silenzio, durante il quale la dodicenne si chiese se sua sorella
aveva
davvero ascoltato tutto o la stava solo prendendo in giro.
“Hanabi…”,
disse in un soffio Hinata.
No, aveva
sentito tutto.
“…comprendo
il tuo rimorso. È naturale che tu ti senta in colpa nei
confronti del tuo…amico,
chiamiamolo così.”
Hanabi
credette di vedere un lampo di malizia in quegli occhi sempre buoni e
gentili,
ma non ne tenne conto: la cosa che la preoccupò invece fu
quello sgradevole
rossore che le avvolse completamente il viso.
La
sedicenne davanti a lei sembrava trovare molto divertente quel fatto,
come se
le parti per una volta si fossero scambiate.
“Tuttavia,
Hanabi”, riprese Hinata, “non hai motivo di
piangere, perché tu sei sempre
stata accanto a Konohamaru.”
“Esatto.
Non pensi che ogni anno, in questo giorno, lui non ripensi a tutti i
bei
momenti passati con suo nonno? Beh, in uno di questi ci sei anche tu. E
a
quanto pare, lui se ne ricorda ancora. Altrimenti non ti sorriderebbe
in quel
modo ogni volta che lo incrociamo.”
Hanabi
sentì le guance esplodere: si era accorta anche di quello.
La maggiore
aveva teso una mano, e l’aveva posata sul braccio della
minore. Un sorriso
dolcissimo le si spalancò in viso.
“Non devi
preoccuparti”, disse. “Lui non ti odia, se
è questo che pensi.”
“Ma no, non
è per quello che piangevo!”, esclamò
Hanabi, ritrovando la voce. “Io stavo male
perché…”
“…non hai
avuto modo di consolarlo in questi anni?”
La
dodicenne rimase di sasso: ma come cavolo faceva quella ragazza a
sapere tutto
di lei?
Poi ci
arrivò: Naruto.
Hinata si
era alzata nel frattempo e le era venuta accanto. “In questo
caso, ho solo una
cosa da chiederti.”
Si
inginocchiò e sussurrò all’orecchio di
Hanabi: “Cosa ci fai ancora qui?”
Hanabi
spalancò gli occhi e la bocca nello stesso momento.
Nella sua
testa apparve un solo unico pensiero, che la fece sorridere.
Hinata se
ne accorse, perché le domandò: “Ehi,
cos’è quel sorrisino?”
“Niente,
niente!”, ridacchiò la sorella, alzandosi in piedi
come una furia. “Penso che
ora…”
“…uscirai,
certo.”, concluse Hinata, rizzandosi dolorosamente.
“Purtroppo finchè non mi
dirai cosa ti ha fatto sorridere, te lo scordi, piccola.”
In risposta
la dodicenne diede un bacio sulla guancia alla sorella e si diresse a
grandi
passi verso l’uscita.
Poco prima
di oltrepassare la soglia, si girò. Hinata la stava fissando
interrogativa.
“…pensavo
che Naruto sia proprio uno stupido a non capire quanto sei mitica,
sorellona.”
Detto ciò,
sparì, lasciando Hinata in mezzo alla stanza stupita, a
bocca aperta e
completamente bordeaux in viso.
Mani che ora tremano,
perché
il vento soffia più forte...
non lasciarli
adesso no,
che non li
sorprenda la morte.
Da quanto
tempo era lì?
Dovevano
essere passate ore, eppure gli sembrava di essere lì da
pochissimo tempo.
Konohamaru
sollevò lo sguardo: davanti ai suoi occhi, i nomi di suo
padre e di sua madre.
Due eroi di
Konoha.
Ma suo
nonno non c’era.
Allora il
ragazzo afferrò un kunai e iniziò a incidere
sulla grande lapide commemorativa.
Fece parecchia
fatica: l’arma non era affilata e la roccia sembrava acciaio.
Nel
frattempo il sole era giunto allo zenit: era mezzogiorno, eppure non
aveva
fame. Che cosa strana.
Il caldo
era atroce. La sua fronte e il suo viso erano imperlati da minuscole
gocce di
sudore, ma non se ne curò.
Era
talmente occupato dal suo lavoro da vandalo/scalpellatore che non prese
nemmeno
in considerazione il fatto di poter avere un collasso.
Infatti è
proprio quello che gli venne.
Mentre
concludeva l’ultima n di
Hiruzen,
sentì mancare la terra sotto i piedi, tutto
iniziò a girargli intorno e la
vista gli si oscurò.
Era
contento, però. Ora suo nonno era tra gli eroi di Konoha.
Siamo
noi gli inabili,
che pur avendo a volte non diamo.
La prima
cosa che sentì quando rinvenne fu una gradevole brezza
fresca che gli
accarezzava il viso.
Avrebbe
tanto voluto afferrarla e tenerla stretta a sé, per non
tornare al caldo
sahariano di poco prima.
Sollevò una
mano e a tentoni tastò quel venticello che colpiva in
particolare la sua
guancia sinistra.
Soltanto
quando afferrò qualcosa capì che quello non era
il vento.
Spalancò
gli occhi, stupefatto. Davanti a lui, lei.
O forse è
meglio dire sopra di lui.
Il viso di
Konohamaru raggiunse una tonalità di rosso indescrivibile.
Quella che
credeva fosse brezza e che aveva afferrato era la mano di Hanabi,
talmente
delicata e fresca da essere scambiata con il vento.
Il ragazzo
tentò di tirarsi su a sedere, immediatamente bloccato dalla
dodicenne.
“Che
diavolo fai, Sarutobi? Hai appena avuto un collasso, stai sdraiato per
qualche
minuto ancora!”
Da quanto
non sentiva la sua voce? Sei anni, sette?
“…v-va
bene, Hyuga. Ai suoi ordini.”, rispose lui, un ghigno
serafico stampato in
viso.
Hanabi lo
fulminò con lo sguardo. Poi distolse lo sguardo da lui, e lo
puntò su qualcosa
che sembrava molto lontano.
“Che stavi
facendo?”, mormorò poi.
“Scusa?”
La ragazza
alzò gli occhi al cielo. “Che stavi facendo prima
di collassare sotto il sole
cocente di mezzogiorno?”
“Ah…ecco,
io…”
Konohamaru
distolse lo sguardo, vergognandosi come un cane.
In fin dei
conti, quello che aveva fatto era un semplice atto di vandalismo.
Spiegarlo a
lei però sarebbe stato alquanto difficile.
“Hai
scritto il nome di tuo nonno sulla lapide.”
Per poco il
ragazzino non si strozzò con la sua stessa saliva.
Iniziò a tossire come un
disperato, mentre Hanabi lo sollevava e gli teneva la schiena con una
leggerissima mano.
“C-come fai
a…”, tossì Konohamaru.
Hanabi
sorrise. “Ho guardato, scemo. Solo tu potevi tentare
un’impresa quasi
impossibile come quella.”
Konohamaru
non rispose. Rimase incantato da quel sorriso: era lo stesso che gli
rivolgeva
ad ogni loro incontro.
Però…stavolta
c’era qualcosa in più.
Un qualcosa
che lui non conosceva.
“…in più è
un atto vandalico puro, lo sai?”, lo rimproverò
Hanabi, picchiettandogli il
naso.
Konohamaru
scoppiò a ridere. “Lo so, Hanabi, lo so. Dovevo
farlo, tutto qui.”
Hanabi
tacque, senza nemmeno chiedere il motivo che l’aveva spinto a
farlo.
Il ragazzo
la fissò per qualche secondo, senza nemmeno accorgersene.
Era cambiata tanto
dalla bambina che aveva rifiutato la sua fionda, tanti anni fa. Era
diventata
più snella, più slanciata, più
bella…
Puntò lo
sguardo al cielo, imbarazzato. Come poteva pensare robe del genere su
una
femmina?!
“Tu non hai
mai fatto niente di così…rischioso,
Hanabi?”
La
dodicenne fissò l’altro, sorpresa da quella
domanda a bruciapelo. Poi sorrise.
“Sì,
Konohamaru. L’ho fatto.”
Il genin
abbassò lo sguardo su di lei, mentre ripercorreva quello che
aveva fatto nella
mente.
“…posso
sapere cosa?”
Hanabi in
risposta si alzò in piedi e gli tese una mano. Konohamaru
fissò prima la mano,
poi Hanabi, poi di nuovo la mano.
“Andiamo,
Sarutobi! Ti faccio vedere cos’ho fatto!”,
sbottò lei, stizzita.
Un poco
insicuro, il ragazzo afferrò la mano bianca davanti a lui.
Si sentì subito
meglio.
Stava
tenendo una ragazza per mano. Udon sarebbe certamente morto di invidia.
Dimentica,
c'è chi dimentica,
distrattamente un fiore una domenica
“Pensi
di
essere spiritosa, Hyuga?”
Konohamaru
era stizzito, irritato e anche un bel po’ furioso. La
kunoichi l’aveva portato
esattamente davanti alla lapide commemorativa.
Hanabi lo
fulminò con lo sguardo, poi si chinò sulla
pietra. Ignorò la borsa, poggiata lì
a sua insaputa proprio dal ragazzo alle sue spalle, e iniziò
a sfiorare con il
dito i nomi di tutti gli eroici abitanti della Foglia, fin quando non
si fermò.
“Guarda un
po’ qui, Sarutobi.”, disse poi, fissandolo con aria
di sfida.
Konohamaru
sbuffò e si inginocchiò, proprio come tanti anni
fa. Puntò lo sguardo sul nome
che Hanabi indicava, e rimase allibito.
Baisotei Misako
in Hyuga.
Quella
doveva essere per forza…
“Quello che
stai leggendo proprio ora è il nome di mia mamma.
È morta mettendomi al mondo.”
Konohamaru
si voltò di scatto verso Hanabi, che gli sorrideva.
“Se guardi bene,
vedrai che ho compiuto il tuo stesso atto vandalico. Ero una bambina
quando
l’ho fatto, però è quasi
perfetto.”
Il
ragazzino passò un dito sulla scritta: era scavata, si
sentiva bene. Spiccava
da tutte le altre, in rilievo.
“Sai una
cosa?”, bisbigliò Hanabi, carezzando la pietra.
“Questo era il mio piccolo
segreto. Nessuno lo sa, oltre a me…e a te, ora.”
Konohamaru
era senza fiato, fiero per tutta quella fiducia immeritata. Quando
ritrovò la
voce, fece una domanda orrendamente stupida.
“Scusami,
ma perché l’hai fatto?”
Quando
percepì il peso del pugno sulla sua testa, ormai era troppo
tardi.
“Ahia!
Hyuga, dannazione!”, esclamò, portandosi entrambe
le mani alla testa.
“Così
impari a rispettare gli altri, brutta scimmia*!”, rispose la
dodicenne,
incrociando le braccia.
Konohamaru
sbuffò: ora capiva perché sia lui che Naruto non
avevano successo con le
ragazze…
“Lo vuoi
davvero sapere?”
La domanda
di Hanabi lo pietrificò: la ragazza lo stava fissando
interrogativa, in attesa
di una risposta.
Il genin
annuì. L’altra allora prese un lungo respiro, come
ogni volta che doveva
introdurre un discorso lungo.
“Misako,
mia madre, era una bravissima donna. Era buona con tutti, amava mio
padre e
Hinata con tutto il cuore. Quando ha saputo di essere di nuovo incinta,
il suo
cuore scoppiò di gioia. Mia sorella mi ha raccontato che
andava in giro per
casa saltellando come una bambina.”
Un sorriso
malinconico apparve sul viso di Hanabi.
“Poi ha
scoperto di essere malata. Si è subito impaurita, non
perché avrebbe potuto perdere
la propria vita, ma perché rischiava di perdere me. I medici l’hanno costretta
ad una scelta: la sua vita o la mia.
Già sai cosa ha scelto.”
Konohamaru
trattenne il respiro: gli occhi della ragazza si erano fatti lucidi.
“Ha scelto
lei il mio nome: il clan Hyuga aveva deciso di festeggiarla con un
grande
spettacolo pirotecnico**. Ha sorriso, ha sussurrato Hanabi ed
è…”
Cadde un
profondo silenzio. Hanabi tentava di ricacciare indietro le lacrime,
mentre
Konohamaru non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe
dovuto fare in quel
momento.
Avrebbe
tanto voluto abbracciarla, consolarla come faceva il nonno.
Ma forse
lei non avrebbe gradito.
Preferì
allora afferrarle la mano e stringerla lievemente, come per infonderle
coraggio.
La kunoichi
se ne accorse e sorrise. Riacquistò la sua aria altezzosa e
disse: “Ora
capisci? Per me lei è al pari di tuo nonno.”
Un altro
lungo silenzio cadde dopo quelle parole. Le loro mani rimasero unite,
si
infondevano calore a vicenda.
All’improvviso,
Hanabi incominciò a ridacchiare, prima lievemente, a bassa
voce, fino poi ad
arrivare a ridere di gusto.
Il ragazzo
la fissò stralunato: perché ora rideva?
“Scusami,
Konohamaru…”, disse lei, cercando di sembrare
seria. “Mi è solo tornato in
mente il passato.”
“Tu lo
trovi tanto divertente, il passato?”, sbottò lui,
con un’involontaria nota
astiosa nella voce.
La ragazza
smise di ridere, ma un sorriso rimase sulle sue labbra. “No,
hai ragione. Il
mio passato è pieno di dolore e tristezza.”
Hanabi
sollevò lo sguardo, fissandolo negli occhi neri del ragazzo.
“Io in
realtà”, mormorò sorridendo,
“stavo pensando al mio passato…con te.”
Konohamaru
avrebbe desiderato enormemente tirarsi un pugno nei denti.
Non poteva
arrossire, semplicemente non poteva.
“Forse non
te ne ricordi nemmeno più”, continuò
Hanabi, “ma io ho ancora quella fionda che
mi regalasti, il giorno del mio settimo complean...”
La
ragazzina smise di parlare: la faccia sbalordita e attonita di
Konohamaru
smorzò il suo discorso.
“C-come?!
Ma se l’hai rifiutata, al negozio di giocattoli!”,
esclamò, sbalordito.
Hanabi,
altrettanto esterrefatta, scosse la testa. “No, scemo!
L’ho trovata in un
pacchetto davanti a casa mia!”
“Hanabi…”,
mormorò Konohamaru, lo sguardo perso nel vuoto.
“…io non so nemmeno dove
abiti.”
Cadde un
silenzio tombale. I due genin si fissarono a lungo negli occhi,
cercando la
risposta uno negli occhi dell’altra. Il bianco dentro il
nero, il nero dentro
il bianco.
Il ragazzo,
quasi involontariamente, sollevò la mano libera e
carezzò il nome di suo nonno,
sulla roccia.
Sarutobi
Hiruzen.
In quel
momento entrambi capirono.
e
poi... silenzi.
“Buongiorno,
come posso…oh, signor Hokage!
Di nuovo
lei?”
Il commesso
si rialzò in piedi, causando un sorriso ironico sul volto
del vecchio.
“Gliel’ho
già detto prima: si sieda. Mi scusi se la disturbo ancora,
ma…per caso ha una
fionda?”
Il commesso
lo guardò stupito. “Un’altra? Per caso
suo nipote l’ha già rotta?”
L’Hokage
sorrise, quasi scusandosi. “No, non è per
quello…è solo per una sua amica,
tutto qui.”
E
poi... silenzi.
Hanabi
trattenne il fiato, gli occhi iniziarono a bruciarle.
Konohamaru
invece piangeva senza ritegno.
Siienzi...
“Konohamaru!
Si può sapere dove sei stato?”
L’uomo
assunse un finto atteggiamento arrabbiato. Il nipotino lo fissava,
imbarazzato.
“Scusami,
nonno…”, disse, passandosi una mano dietro la
nuca. “Sono andato a trovare un
mio compagno dell’Accademia, Udon. Ha la febbre,
poverino.”
“Ah,
capisco…”, rispose il vecchio, sorridendo.
“E dov’è finita la tua fionda?”
Il bambino
arrossì, e chinò il capo.
“Nonno,
io…gliel’ho regalata. Scusami, lo so che non
dovevo perché era un regalo tuo,
ma…”
Sentì una
mano passargli tra i capelli. Sollevò lo sguardo: il nonno
gli sorrideva
felice.
“Tranquillo,
Konohamaru. Hai fatto molto bene.”
Il nipotino
in risposta abbracciò l’uomo, che prese a
carezzargli il capo.
“Nonno…”
“Sì,
dimmi.”
“Tu cos’hai
fatto tutto il pomeriggio?”
Il nonno
aprì la bocca, poi la richiuse. Infine sorrise.
“Ho
compiuto una buona azione, Konohamaru. Una buona azione, tutto
qui.”
**=Hanabi in
giapponese significa “fuoco d’artificio”
NdA
E finisce qui 'A good deed', una delle storie che amo di più al mondo.
Perchè?
Perchè mi ha fatto scoprire la KonoHana. E ora ho deciso che riempirò EFP di KonoHana.
Perchè è stata la mia prima Long seria (no, 'La missione' non è da considerare seria).
Perchè Hiruzen non doveva morire. Questo è un tributo alla sua memoria.
Perchè amo i personaggi secondari, forse più di quelli primari.
Perchè ho usato 'Nei giardini che nessuno sa', una canzone che ascolterei in eterno e che mi piacerebbe portare su un palco, un giorno.
Perchè amo Hanabi.
Perchè amo Konohamaru.
Perchè adoro Hinata in veste di sorella maggiore.
Perchè fare apparire Moegi una vipera mi fa morire dalle risate.
Perchè era nata senza pairings.
Perchè non ha una fine.
Perchè è forse la migliore SongFic che ho mai scritto - e diamo un calcio alla modestia.
Perchè ha vinto il primo posto in un concorso, ma sono dettagli.
Perchè è il mio Marchio di Fabbrica.
Perchè 'A good deed' vuole dire 'una buona azione'.
Perchè sì.
Grazie di aver letto. Spero di avervi fatto capire perchè questa storia avrà sempre un ruolo speciale nel mio cuore. <3
Grazie alla mia Beta cara, Laly (lo so che ti piace, lo so xD salteranno fuori tante altre KonoHana, promesso!). a Rina-chan, che non è una persona normale, ma una grande scrittrice (hai ragione, è strano che Moegi e Udon non riconoscano l'Hokage. Non ci avevo pensato, grazie per avermelo fatto notare ^^' Mi dispiace per la tua perdita, grazie per le tue graditissime recensioni <3), alla Nee, AngelEcate, che ha classificato questa storia come 'il mio Marchio di Fabbrica' e che l'ha messa tra i Preferiti. <3
Grazie alla Nee, a Laly, a LupoGrigio, a Mamo_chan, a ninasakura e a Syra44 che hanno messo la storia tra le Seguite.
E grazie a voi, che in questo momento state leggendo. E se volete fare piacere a una scrittrice mediocre sull'orlo delle lacrime che si ascolta 'Il cerchio della vita', lasciate un commento.
Grazie ancora a tutti. Auguro ad ognuno di voi di trovare una fionda davanti a casa.
E insieme ad essa, la felicità. <3
Vale