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Autore: valehina    04/12/2009    1 recensioni
Cadde un silenzio tombale. I due genin si fissarono a lungo negli occhi, cercando la risposta uno negli occhi dell’altra. Il bianco dentro il nero, il nero dentro il bianco.
Il ragazzo, quasi involontariamente, sollevò la mano libera e carezzò il nome di suo nonno, sulla roccia.
Sarutobi Hiruzen.
In quel momento entrambi capirono.
[KonoHana, lievissimo accenno NaruHina]["Nei giardini che nessuno sa", Laura Pausini]
Prima classificata e vincitrice del Premio Originalità al contest "SongFic...Naruto e la Pausini!" indetto da Krikke
Genere: Triste, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Konohamaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A good deed 4

Cap. 4: Vandalic Act of Love

Sorreggili, aiutali,
ti prego non lasciarli cadere.
Esili, fragili,
non negargli un po' del tuo amore...
Stelle che ora tacciono,
ma daranno un senso a quel cielo.
Gli uomini non brillano,
se non sono stelle anche loro.


Hinata stava per sentirsi male.
E questa volta Naruto non c’entrava proprio nulla.
Appoggiò la mano sinistra allo stipite della porta, posò la destra contro la schiena dolorante, una smorfia sul viso.
Quando si metteva d’impegno, Sakura si trasformava in un mostro.
Lei e Ino avevano dovuto fare per almeno venti volte la strada dall’ufficio dell’Hokage al fioraio Yamanaka.
Trasportando delle inaspettatamente pesantissime scatole zeppe di fiori.
Sebbene la Hyuga li amasse alla follia, li avrebbe volentieri lasciati cadere. Per sbaglio, certo.
Ma si era resa conto che sarebbe stata una cattiveria imperdonabile.
Sbuffò lievemente: dannazione, l’anno seguente avrebbe fatto di tutto per non finire di nuovo sotto le grinfie dell’Haruno.
Questo era certo.
Un singhiozzo la riportò alla realtà: qualcuno stava piangendo.
Hinata si precipitò in cucina, dove trovò un’Hanabi in lacrime. Davanti a lei, una tazza di latte ormai congelato.
Era in quella posizione da almeno cinque ore, e non aveva intenzione di schiodarsi da lì.
“Hanabi…”, mormorò la sorella, avvicinandosi alla dodicenne e abbracciandola.
La minore di casa Hyuga non riusciva a formulare una frase di senso compiuto nemmeno a pagarla. Continuava a ripetere le stesse parole in continuazione.
“Konohamaru…compleanno…nonno…fionda…regalo…fionda…”
“Hanabi, shh…calmati, piccola…” Hinata le carezzava la testa, senza sapere cosa fare.
Si alzò e si diresse verso i fornelli, dove iniziò a preparare un the.
Hanabi in tutta sincerità odiava il the, ma lasciò fare: non aveva la forza di reagire.
Si sentiva una traditrice. Per tutti quegli anni aveva ignorato senza volerlo l’anniversario della morte del terzo Hokage.
La morte del nonno di Konohamaru. E forse questo era ancora più grave.
Perché anche se non si frequentavano, anche se Hanabi era in un team diverso, loro due erano amici.
Dopo quella domenica di marzo non si erano più parlati, ma ogniqualvolta si incrociavano, sui loro visi appariva un sorriso carico di ricordi e malinconia.
Un bel sorriso che piaceva ad entrambi.
Eppure adesso lei non sapeva come farsi perdonare.
“Tieni, Hanabi.”
Una zaffata di vapore colpì in viso la dodicenne, che storse il naso tra i singhiozzi.
Hinata si sedette davanti a lei, non senza qualche smorfia e molti gemiti di dolore, dovuti al lavoro incessante della mattina.
Quanto aveva lavorato lei, per onorare la memoria di quell’uomo?
Nemmeno un secondo.
Una lacrima finì dritta nel liquido ambrato, facendo sbuffare Hinata.
“Ecco, ora è imbevibile.”, borbottò, spostandolo su un’altra parte del tavolo.
“S-scusami…”, mormorò Hanabi, senza smettere di piangere.
“Ehi.” Hinata la fissava sorridendo. “D’altronde, le sorelle minori vengono al mondo solo per rovinare i piani delle sorelle maggiori, no?”
Hanabi ridacchiò. Poi sollevò lo sguardo ancora umido verso Hinata, e fu come specchiarsi in uno specchio.
Occhi uguali ai suoi la fissavano. Le imploravano di confidarsi, di svelare il motivo di quel pianto disperato.
Prese un profondo respiro, poi iniziò a parlare, senza che la maggiore chiedesse qualcosa.
Raccontò di Konohamaru, della fionda, di suo nonno, del compleanno. Parlò senza quasi prendere fiato. Ogni parola fuoriusciva dalle sue labbra automaticamente, come se fosse sempre stata lì pronta ad essere svelata.
Quando terminò, si accorse che il sorriso di Hinata era immutato.
Cadde un lungo silenzio, durante il quale la dodicenne si chiese se sua sorella aveva davvero ascoltato tutto o la stava solo prendendo in giro.
“Hanabi…”, disse in un soffio Hinata.
No, aveva sentito tutto.
“…comprendo il tuo rimorso. È naturale che tu ti senta in colpa nei confronti del tuo…amico, chiamiamolo così.”
Hanabi credette di vedere un lampo di malizia in quegli occhi sempre buoni e gentili, ma non ne tenne conto: la cosa che la preoccupò invece fu quello sgradevole rossore che le avvolse completamente il viso.
La sedicenne davanti a lei sembrava trovare molto divertente quel fatto, come se le parti per una volta si fossero scambiate.
“Tuttavia, Hanabi”, riprese Hinata, “non hai motivo di piangere, perché tu sei sempre stata accanto a Konohamaru.”
La Hyuga minore sgranò gli occhi: com’era possibile?
“Esatto. Non pensi che ogni anno, in questo giorno, lui non ripensi a tutti i bei momenti passati con suo nonno? Beh, in uno di questi ci sei anche tu. E a quanto pare, lui se ne ricorda ancora. Altrimenti non ti sorriderebbe in quel modo ogni volta che lo incrociamo.”
Hanabi sentì le guance esplodere: si era accorta anche di quello.
La maggiore aveva teso una mano, e l’aveva posata sul braccio della minore. Un sorriso dolcissimo le si spalancò in viso.
“Non devi preoccuparti”, disse. “Lui non ti odia, se è questo che pensi.”
“Ma no, non è per quello che piangevo!”, esclamò Hanabi, ritrovando la voce. “Io stavo male perché…”
“…non hai avuto modo di consolarlo in questi anni?”
La dodicenne rimase di sasso: ma come cavolo faceva quella ragazza a sapere tutto di lei?
Poi ci arrivò: Naruto.
Hinata si era alzata nel frattempo e le era venuta accanto. “In questo caso, ho solo una cosa da chiederti.”
Si inginocchiò e sussurrò all’orecchio di Hanabi: “Cosa ci fai ancora qui?”
Hanabi spalancò gli occhi e la bocca nello stesso momento.
Nella sua testa apparve un solo unico pensiero, che la fece sorridere.
Hinata se ne accorse, perché le domandò: “Ehi, cos’è quel sorrisino?”
“Niente, niente!”, ridacchiò la sorella, alzandosi in piedi come una furia. “Penso che ora…”
“…uscirai, certo.”, concluse Hinata, rizzandosi dolorosamente. “Purtroppo finchè non mi dirai cosa ti ha fatto sorridere, te lo scordi, piccola.”
In risposta la dodicenne diede un bacio sulla guancia alla sorella e si diresse a grandi passi verso l’uscita.
Poco prima di oltrepassare la soglia, si girò. Hinata la stava fissando interrogativa.
“…pensavo che Naruto sia proprio uno stupido a non capire quanto sei mitica, sorellona.”
Detto ciò, sparì, lasciando Hinata in mezzo alla stanza stupita, a bocca aperta e completamente bordeaux in viso.

 

 
Mani che ora tremano,
perché il vento soffia più forte...
non lasciarli adesso no,
che non li sorprenda la morte.


Da quanto tempo era lì?
Dovevano essere passate ore, eppure gli sembrava di essere lì da pochissimo tempo.
Konohamaru sollevò lo sguardo: davanti ai suoi occhi, i nomi di suo padre e di sua madre.
Due eroi di Konoha.
Ma suo nonno non c’era.
Allora il ragazzo afferrò un kunai e iniziò a incidere sulla grande lapide commemorativa.
Fece parecchia fatica: l’arma non era affilata e la roccia sembrava acciaio.
Nel frattempo il sole era giunto allo zenit: era mezzogiorno, eppure non aveva fame. Che cosa strana.
Il caldo era atroce. La sua fronte e il suo viso erano imperlati da minuscole gocce di sudore, ma non se ne curò.
Era talmente occupato dal suo lavoro da vandalo/scalpellatore che non prese nemmeno in considerazione il fatto di poter avere un collasso.
Infatti è proprio quello che gli venne.
Mentre concludeva l’ultima n di Hiruzen, sentì mancare la terra sotto i piedi, tutto iniziò a girargli intorno e la vista gli si oscurò.
Era contento, però. Ora suo nonno era tra gli eroi di Konoha.

Siamo noi gli inabili,
che pur avendo a volte non diamo.


La prima cosa che sentì quando rinvenne fu una gradevole brezza fresca che gli accarezzava il viso.
Avrebbe tanto voluto afferrarla e tenerla stretta a sé, per non tornare al caldo sahariano di poco prima.
Sollevò una mano e a tentoni tastò quel venticello che colpiva in particolare la sua guancia sinistra.
Soltanto quando afferrò qualcosa capì che quello non era il vento.
Spalancò gli occhi, stupefatto. Davanti a lui, lei.
O forse è meglio dire sopra di lui.
Il viso di Konohamaru raggiunse una tonalità di rosso indescrivibile.
Quella che credeva fosse brezza e che aveva afferrato era la mano di Hanabi, talmente delicata e fresca da essere scambiata con il vento.
Il ragazzo tentò di tirarsi su a sedere, immediatamente bloccato dalla dodicenne.
“Che diavolo fai, Sarutobi? Hai appena avuto un collasso, stai sdraiato per qualche minuto ancora!”
Da quanto non sentiva la sua voce? Sei anni, sette?
“…v-va bene, Hyuga. Ai suoi ordini.”, rispose lui, un ghigno serafico stampato in viso.
Hanabi lo fulminò con lo sguardo. Poi distolse lo sguardo da lui, e lo puntò su qualcosa che sembrava molto lontano.
“Che stavi facendo?”, mormorò poi.
“Scusa?”
La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Che stavi facendo prima di collassare sotto il sole cocente di mezzogiorno?”
“Ah…ecco, io…”
Konohamaru distolse lo sguardo, vergognandosi come un cane.
In fin dei conti, quello che aveva fatto era un semplice atto di vandalismo. Spiegarlo a lei però sarebbe stato alquanto difficile.
“Hai scritto il nome di tuo nonno sulla lapide.”
Per poco il ragazzino non si strozzò con la sua stessa saliva. Iniziò a tossire come un disperato, mentre Hanabi lo sollevava e gli teneva la schiena con una leggerissima mano.
“C-come fai a…”, tossì Konohamaru.
Hanabi sorrise. “Ho guardato, scemo. Solo tu potevi tentare un’impresa quasi impossibile come quella.”
Konohamaru non rispose. Rimase incantato da quel sorriso: era lo stesso che gli rivolgeva ad ogni loro incontro.
Però…stavolta c’era qualcosa in più.
Un qualcosa che lui non conosceva.
“…in più è un atto vandalico puro, lo sai?”, lo rimproverò Hanabi, picchiettandogli il naso.
Konohamaru scoppiò a ridere. “Lo so, Hanabi, lo so. Dovevo farlo, tutto qui.”
Hanabi tacque, senza nemmeno chiedere il motivo che l’aveva spinto a farlo.
Il ragazzo la fissò per qualche secondo, senza nemmeno accorgersene. Era cambiata tanto dalla bambina che aveva rifiutato la sua fionda, tanti anni fa. Era diventata più snella, più slanciata, più bella…
Puntò lo sguardo al cielo, imbarazzato. Come poteva pensare robe del genere su una femmina?!
“Tu non hai mai fatto niente di così…rischioso, Hanabi?”
La dodicenne fissò l’altro, sorpresa da quella domanda a bruciapelo. Poi sorrise.
“Sì, Konohamaru. L’ho fatto.”
Il genin abbassò lo sguardo su di lei, mentre ripercorreva quello che aveva fatto nella mente.
“…posso sapere cosa?”
Hanabi in risposta si alzò in piedi e gli tese una mano. Konohamaru fissò prima la mano, poi Hanabi, poi di nuovo la mano.
“Andiamo, Sarutobi! Ti faccio vedere cos’ho fatto!”, sbottò lei, stizzita.
Un poco insicuro, il ragazzo afferrò la mano bianca davanti a lui. Si sentì subito meglio.
Stava tenendo una ragazza per mano. Udon sarebbe certamente morto di invidia.

 
Dimentica, c'è chi dimentica,
distrattamente un fiore una domenica


“Pensi di essere spiritosa, Hyuga?”
Konohamaru era stizzito, irritato e anche un bel po’ furioso. La kunoichi l’aveva portato esattamente davanti alla lapide commemorativa.
Hanabi lo fulminò con lo sguardo, poi si chinò sulla pietra. Ignorò la borsa, poggiata lì a sua insaputa proprio dal ragazzo alle sue spalle, e iniziò a sfiorare con il dito i nomi di tutti gli eroici abitanti della Foglia, fin quando non si fermò.
“Guarda un po’ qui, Sarutobi.”, disse poi, fissandolo con aria di sfida.
Konohamaru sbuffò e si inginocchiò, proprio come tanti anni fa. Puntò lo sguardo sul nome che Hanabi indicava, e rimase allibito.

Baisotei Misako in Hyuga.
Quella doveva essere per forza…
“Quello che stai leggendo proprio ora è il nome di mia mamma. È morta mettendomi al mondo.”
Konohamaru si voltò di scatto verso Hanabi, che gli sorrideva.
“Se guardi bene, vedrai che ho compiuto il tuo stesso atto vandalico. Ero una bambina quando l’ho fatto, però è quasi perfetto.”
Il ragazzino passò un dito sulla scritta: era scavata, si sentiva bene. Spiccava da tutte le altre, in rilievo.
“Sai una cosa?”, bisbigliò Hanabi, carezzando la pietra. “Questo era il mio piccolo segreto. Nessuno lo sa, oltre a me…e a te, ora.”
Konohamaru era senza fiato, fiero per tutta quella fiducia immeritata. Quando ritrovò la voce, fece una domanda orrendamente stupida.
“Scusami, ma perché l’hai fatto?”
Quando percepì il peso del pugno sulla sua testa, ormai era troppo tardi.
“Ahia! Hyuga, dannazione!”, esclamò, portandosi entrambe le mani alla testa.
“Così impari a rispettare gli altri, brutta scimmia*!”, rispose la dodicenne, incrociando le braccia.
Konohamaru sbuffò: ora capiva perché sia lui che Naruto non avevano successo con le ragazze…
“Lo vuoi davvero sapere?”
La domanda di Hanabi lo pietrificò: la ragazza lo stava fissando interrogativa, in attesa di una risposta.
Il genin annuì. L’altra allora prese un lungo respiro, come ogni volta che doveva introdurre un discorso lungo.
“Misako, mia madre, era una bravissima donna. Era buona con tutti, amava mio padre e Hinata con tutto il cuore. Quando ha saputo di essere di nuovo incinta, il suo cuore scoppiò di gioia. Mia sorella mi ha raccontato che andava in giro per casa saltellando come una bambina.”
Un sorriso malinconico apparve sul viso di Hanabi.
“Poi ha scoperto di essere malata. Si è subito impaurita, non perché avrebbe potuto perdere la propria vita, ma perché rischiava di perdere me. I medici l’hanno costretta ad una scelta: la sua vita o la mia. Già sai cosa ha scelto.”
Konohamaru trattenne il respiro: gli occhi della ragazza si erano fatti lucidi.
“Ha scelto lei il mio nome: il clan Hyuga aveva deciso di festeggiarla con un grande spettacolo pirotecnico**. Ha sorriso, ha sussurrato Hanabi ed è…”
Cadde un profondo silenzio. Hanabi tentava di ricacciare indietro le lacrime, mentre Konohamaru non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare in quel momento.
Avrebbe tanto voluto abbracciarla, consolarla come faceva il nonno.
Ma forse lei non avrebbe gradito.
Preferì allora afferrarle la mano e stringerla lievemente, come per infonderle coraggio.
La kunoichi se ne accorse e sorrise. Riacquistò la sua aria altezzosa e disse: “Ora capisci? Per me lei è al pari di tuo nonno.”
Un altro lungo silenzio cadde dopo quelle parole. Le loro mani rimasero unite, si infondevano calore a vicenda.
All’improvviso, Hanabi incominciò a ridacchiare, prima lievemente, a bassa voce, fino poi ad arrivare a ridere di gusto.
Il ragazzo la fissò stralunato: perché ora rideva?
“Scusami, Konohamaru…”, disse lei, cercando di sembrare seria. “Mi è solo tornato in mente il passato.”
“Tu lo trovi tanto divertente, il passato?”, sbottò lui, con un’involontaria nota astiosa nella voce.
La ragazza smise di ridere, ma un sorriso rimase sulle sue labbra. “No, hai ragione. Il mio passato è pieno di dolore e tristezza.”
Hanabi sollevò lo sguardo, fissandolo negli occhi neri del ragazzo.
“Io in realtà”, mormorò sorridendo, “stavo pensando al mio passato…con te.”
Konohamaru avrebbe desiderato enormemente tirarsi un pugno nei denti.
Non poteva arrossire, semplicemente non poteva.
“Forse non te ne ricordi nemmeno più”, continuò Hanabi, “ma io ho ancora quella fionda che mi regalasti, il giorno del mio settimo complean...”
La ragazzina smise di parlare: la faccia sbalordita e attonita di Konohamaru smorzò il suo discorso.
“C-come?! Ma se l’hai rifiutata, al negozio di giocattoli!”, esclamò, sbalordito.
Hanabi, altrettanto esterrefatta, scosse la testa. “No, scemo! L’ho trovata in un pacchetto davanti a casa mia!”
“Hanabi…”, mormorò Konohamaru, lo sguardo perso nel vuoto. “…io non so nemmeno dove abiti.”
Cadde un silenzio tombale. I due genin si fissarono a lungo negli occhi, cercando la risposta uno negli occhi dell’altra. Il bianco dentro il nero, il nero dentro il bianco.
Il ragazzo, quasi involontariamente, sollevò la mano libera e carezzò il nome di suo nonno, sulla roccia.

Sarutobi Hiruzen.
In quel momento entrambi capirono.

 
e poi... silenzi.

 

“Buongiorno, come posso…oh, signor Hokage!  Di nuovo lei?”
Il commesso si rialzò in piedi, causando un sorriso ironico sul volto del vecchio.
“Gliel’ho già detto prima: si sieda. Mi scusi se la disturbo ancora, ma…per caso ha una fionda?”
Il commesso lo guardò stupito. “Un’altra? Per caso suo nipote l’ha già rotta?”
L’Hokage sorrise, quasi scusandosi. “No, non è per quello…è solo per una sua amica, tutto qui.”

 

E poi... silenzi.

 

Hanabi trattenne il fiato, gli occhi iniziarono a bruciarle.
Konohamaru invece piangeva senza ritegno.

 

Siienzi...

 

“Konohamaru! Si può sapere dove sei stato?”
L’uomo assunse un finto atteggiamento arrabbiato. Il nipotino lo fissava, imbarazzato.
“Scusami, nonno…”, disse, passandosi una mano dietro la nuca. “Sono andato a trovare un mio compagno dell’Accademia, Udon. Ha la febbre, poverino.”
“Ah, capisco…”, rispose il vecchio, sorridendo. “E dov’è finita la tua fionda?”
Il bambino arrossì, e chinò il capo.
“Nonno, io…gliel’ho regalata. Scusami, lo so che non dovevo perché era un regalo tuo, ma…”
Sentì una mano passargli tra i capelli. Sollevò lo sguardo: il nonno gli sorrideva felice.
“Tranquillo, Konohamaru. Hai fatto molto bene.”
Il nipotino in risposta abbracciò l’uomo, che prese a carezzargli il capo.
“Nonno…”
“Sì, dimmi.”
“Tu cos’hai fatto tutto il pomeriggio?”
Il nonno aprì la bocca, poi la richiuse. Infine sorrise.
“Ho compiuto una buona azione, Konohamaru. Una buona azione, tutto qui.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 *= Saru in giapponese significa “scimmia”
**=Hanabi in giapponese significa “fuoco d’artificio”








NdA
E finisce qui 'A good deed', una delle storie che amo di più al mondo.
Perchè?
Perchè mi ha fatto scoprire la KonoHana. E ora ho deciso che riempirò EFP di KonoHana.
Perchè è stata la mia prima Long seria (no, 'La missione' non è da considerare seria).
Perchè Hiruzen non doveva morire. Questo è un tributo alla sua memoria.
Perchè amo i personaggi secondari, forse più di quelli primari.
Perchè ho usato 'Nei giardini che nessuno sa', una canzone che ascolterei in eterno e che mi piacerebbe portare su un palco, un giorno.
Perchè amo Hanabi.
Perchè amo Konohamaru.
Perchè adoro Hinata in veste di sorella maggiore.
Perchè fare apparire Moegi una vipera mi fa morire dalle risate.
Perchè era nata senza pairings.
Perchè non ha una fine.
Perchè è forse la migliore SongFic che ho mai scritto - e diamo un calcio alla modestia.
Perchè ha vinto il primo posto in un concorso, ma sono dettagli.
Perchè è il mio Marchio di Fabbrica.
Perchè 'A good deed' vuole dire 'una buona azione'.
Perchè sì.

Grazie di aver letto. Spero di avervi fatto capire perchè questa storia avrà sempre un ruolo speciale nel mio cuore. <3

Grazie alla mia Beta cara, Laly (lo so che ti piace, lo so xD salteranno fuori tante altre KonoHana, promesso!). a Rina-chan, che non è una persona normale, ma una grande scrittrice (hai ragione, è strano che Moegi e Udon non riconoscano l'Hokage. Non ci avevo pensato, grazie per avermelo fatto notare ^^' Mi dispiace per la tua perdita, grazie per le tue graditissime recensioni <3), alla Nee, AngelEcate, che ha classificato questa storia come 'il mio Marchio di Fabbrica' e che l'ha messa tra i Preferiti. <3


Grazie alla Nee, a Laly, a LupoGrigio, a Mamo_chan, a ninasakura e a Syra44 che hanno messo la storia tra le Seguite.

E grazie a voi, che in questo momento state leggendo. E se volete fare piacere a una scrittrice mediocre sull'orlo delle lacrime che si ascolta 'Il cerchio della vita', lasciate un commento.

Grazie ancora a tutti. Auguro ad ognuno di voi di trovare una fionda davanti a casa.
E insieme ad essa, la felicità. <3

Vale



   
 
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