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Autore: miseichan    09/12/2009    54 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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1 bacio

 

 

Bacio di mezzanotte  (She will be loved)

 

 

Inverno. Un freddo inverno. Inizio dicembre.

Stoppai James Morrison che mi cantava nelle orecchie Get to you e mi fermai ansimando su una panchina ghiacciata. Faceva un freddo cane ma la corsa mi aveva sufficientemente scaldato. Osservai il mio respiro condensarsi in pallide nuvolette davanti ai miei occhi, ricordavano anelli di fumo.

Mi ritrovai a pensare a come era stato difficile smettere di fumare. Papà me lo aveva sempre detto, e io allora, da adolescente ribelle quale ero, non gli avevo dato ascolto: fumare è male, è un orribile vizio e smettere è quasi impossibile. Quante volte me lo doveva aver ripetuto? Avevo perso il conto. Eppure io avevo smesso. Grazie a cerotti alla nicotina, dolci ed una volontà di ferro, ero riuscito a togliermi quell’orrenda dipendenza!

Posai la testa sulle ginocchia cercando di riprendere fiato: era come se nei polmoni al posto dell’aria ci fosse del fuoco. Terribile, assurdamente doloroso. Lentamente le fiamma si spensero e il cuore tornò a battere ad un ritmo più accettabile. Un rumore mi fece alzare lo sguardo, e il mio cuore si fermò: guardai la ragazza che faceva jogging, venendomi incontro a passo veloce. Senza accorgermene avevo smesso di respirare, per poterle prestare tutta l’attenzione possibile. Non appena fu più vicina però, ripresi aria. Non era tanto alta, mi arrivava giusto alla spalla, i capelli legati in una coda di cavallo, in questo poteva sembrare proprio lei, ma indossava una tuta rosa sgargiante, no, impossibile, lei non lo avrebbe mai fatto: aveva una vera avversione per tutto ciò che era anche solo vagamente rosato. Tentai di ignorare la delusione che, come personificata, mi si era seduta affianco, mi aveva dato un pugno nello stomaco e poi se ne era andata ridendo di me… Non era lei. Ancora una volta non era lei. Mi poggiai allo schienale della panchina e buttai la testa all’indietro con un sospiro.

Dodici.

E con questa eravamo a dodici nell’ultima settimana: dodici volte che il cuore mi si era fermato, l’aria bloccata nei polmoni e la vista appannata. Ma per niente. Scherzi della mente, o forse del cuore dovrei dire: perché ciò che desideravo con tutto il cuore era vedere lei. Per ben dodici volte mi era sembrato che fosse così e invece no… Chiusi ancora una volta gli occhi sperando che almeno questa volta non succedesse. Invano. Eccola.

La marea mi investì. Ed ero di nuovo perso nei ricordi. Irrimediabilmente.

Sapevo che non era salutare, me lo avevano detto in tanti che mi facevo solo del male ricordando. Non potevo farci niente però. Chiamatelo masochismo, chiamatela sindrome del surfista impazzito ma io non potevo voltare le spalle a quell’onda: stava arrivando per me e non potevo assolutamente cercare di evitarla.

 

Correvo. Correvo con lei.

Lei che continuava solo grazie alla sua forza di volontà, erano passati solo sei minuti ma già era esausta.

Non voleva dare a vedere che non ce la faceva più, ma io la conoscevo troppo bene. Continuai ad osservarla divertito. Un rivolo di sudore le scendeva lungo la tempia e il respiro le era diventato sconnesso. Per me quei sei minuti non erano niente. Soprattutto visto che avevo adattato la mia falcata alla sua… e normalmente nello stesso tempo io avrei percorso almeno un chilometro in più. Ma non mi importava, non me ne importava niente. Ero con lei. Solo questo era importante. Quando con la mano si scostò dal viso una ciocca di capelli ribelle non ce la feci più. Mi fermai di colpo, la presi per mano e la attirai impaziente a me.

Lei. A meno di un respiro da me. Mi guardò sorpresa. Con quei suoi grandi occhi da cucciolo. E io sorrisi.

Innamorato perso sorrisi. Che potevo fare altrimenti? Lei era lì con me. Tra le mie braccia. Solo mia. E mi sorrideva. La strinsi a me ancora più forte e la baciai. Eravamo entrambi sudati. Lei era esausta, io solo un po’ stanco. Le strinsi i fianchi e la sollevai un po’. Lei mi passò allora le braccia attorno al collo. Ci staccammo un attimo per guardarci negli occhi. E mi persi nei suoi. Fu lei questa volta ad attirarmi di nuovo a sé, donandomi un altro dei suoi preziosi baci. E poi un altro, e un altro ancora, finché non ci dimenticammo completamente di dov’eravamo. Chi se ne importava, in fondo? Eravamo nel bel mezzo della strada. Davanti a tutti, a tanti occhi curiosi e invidiosi. Ma non importava. Non contava nient’altro che lei.

Lei fra le mie braccia. Lei mia. Semplicemente lei.

 

Tornai in me. Mi passai le mani sulla faccia. Nessuno meglio di me sapeva quanto era doloroso immergersi nei ricordi: una sofferenza acuta, quasi fisica, che ti abbatteva all’inizio e ancora di più, quando volutamente o meno cercavi di liberartene, ti affibbiava il colpo di grazia, quello decisivo, il più brutale di tutti. 

Non dovrebbe essere così: dovrebbe essere piacevole ricordare, ricordare i bei momenti. Come quando apri un album di fotografie e sorridi rivedendoti, divertito da quei pezzi di carta in grado di far tornare alla mente momenti dimenticati. Ma quando hai perso ciò che rendeva belli i ricordi che fai? Non ti rimane altro che piangere. Mi guardai attorno: il parco era completamente deserto, la ragazza che mi era passata davanti era ormai solo un puntino indistinto. Qualcosa mi rimbombava nelle orecchie, una canzone: non me ne ero reso conto ma era ripartita la musica. Mi concentrai cercando di capire cosa stessi ascoltando. Dopo un po’ la riconobbi: Talk you down, dei The Script. “Cos if you go I go”

Mi alzai e ricominciai  a correre. Cercando di dimenticare. O almeno di non ricordare…

 

 

 

*

 

 

 

- Ilaria! Ti dai una mossa?-

Era lì. Doveva essere lì. Com’ era possibile allora che non riuscissi a trovarlo?

Mi sentii chiamare ancora e mi voltai irritata verso la mia amica: stava facendo gli occhi dolci al ragazzo che controllava i biglietti, dopo un po’ guardò l’orologio e impaziente si girò di nuovo verso di me.

- Ila! Faremo tardi! Se mi fai perdere l’inizio del film me la paghi…-

Era inviperita, mi fissava con uno sguardo omicida che mi sentii libera di ricambiare. Il ragazzo affianco a lei sorrise, accarezzandosi dietro il collo con la mano e per qualche assurda ragione riuscì ad innervosirmi.

- Veronica tesoro, hai visto anche tu che mettevo il biglietto in borsa, se la smettessi di mettermi fretta, forse riuscirei a trovarlo!-

Lo avevo bisbigliato, in quello che poteva somigliare benissimo ad un ringhio, cercando al tempo stesso di evitare una scenata. Veronica in risposta alzò gli occhi al cielo sbuffando, io continuai a frugare nella borsa e poi sollevai la testa sentendomi osservata. Incrociai gli occhi del ragazzo in attesa: uno sguardo che sembrava volesse farmi una radiografia. Lui subito mi sorrise radioso e con voce che doveva sembrare suadente, disse:

 - Andate dai: mi fido. Una ragazza così carina non può assolutamente perdersi l’inizio del film-

Arrossii sentendo quelle parole, completamente in imbarazzo e rimasi come pietrificata. Fu Veronica ad afferrarmi il braccio trascinandomi in sala: era la numero due, una delle più grandi. Salimmo veloci gli scalini, fino a raggiungere la nostra fila e prendemmo posto. Le luci erano ancore accese. Presi una mentina dalla borsa e ne passai una anche a Veronica. La vidi imbronciata e le chiesi sottovoce cosa avesse. Lei rispose senza guardarmi, mantenendo il tono basso, quasi cospiratorio:

- Ti odio… e ti adoro-

Sospirai. E non mi presi neanche la briga di chiederle come mai, sapevo che me lo avrebbe detto comunque.

- Vuoi sapere perché? Perché anche se mi sono strusciata con quel tipo per buoni dieci minuti mentre tu cercavi quello stupido biglietto, lui a chi guarda? Chi è che fa entrare senza controllare il biglietto? Te. Sempre te! Ti sembra giusto?-

Mi guardò con aria piccata,  aspettandosi una qualche risposta da parte mia. Io però non sapevo cosa dire: mi aveva presa completamente in contropiede:

- Ma scherzi? Tu sei la biondona con gli occhi blu! E poi devo ricordarti che sei fidanzata?-

Erano state le prime cose che mi erano venute in mente: il fatto che fosse bellissima ed anche già occupata. Lei non sembrava d’accordo con me tuttavia, scosse la testa fissandomi con aria drammatica:

- Eppure sei sempre tu ad attirare i più carini… e poi lo sai che sto con uno sfigato del cavolo che intendo mollare il prima possibile-

Feci per ribattere ancora, cercando in tutti i modi di toglierle dalla testa quelle assurde idee, sicura di poter demolire la sua tesi ma non ne ebbi il tempo: le luci in sala si andarono affievolendo segno che il film stava per iniziare. Mi avvicinai a Vero perciò decisa a concludere il discorso e le bisbigliai:

- E si può sapere come mai mi adori?-

Capii che sorrideva, quasi in imbarazzo, anche se non riuscivo a vederla per bene a causa dell’illuminazione troppo scarsa. Confessò di botto, come per togliersi un peso dallo stomaco, dopo aver preso un bel respiro:

- Perché non ho comprato il biglietto e ho usato quello che avevi in borsa. Tanto sapevo che il tizio ti avrebbe fatto passare comunque… hai troppo la faccia da brava ragazza. Cosa che non sei peraltro, ma questo è un altro discorso-

Le sue parole mi colpirono e cercai di capire a cosa si stesse riferendo, ma non conclusi niente perché la rabbia mi assalì inaspettata: ero furiosa eppure dovevo aspettarmela una cosa del genere da lei. Avrei voluto… non so nemmeno io cosa avrei voluto farle, ma non potevo fare proprio un bel niente perché erano già iniziati i titoli di testa. Fu in quel momento che mi accorsi di non sapere nemmeno che film stavamo per vedere e con voce il più possibile adirata lo chiesi a Vero. Lei esitò prima di parlare e poi a voce bassissima rispose:

- Titanic-

La rabbia scemò di colpo. Mi sentii svuotata.

No.

Di nuovo no. Iniziai a prendermela con me stessa, per quanto sapessi che non serviva a niente.

Perché diamine ero così vulnerabile? Cercai di combattere ma fu inutile. Sprofondai, totalmente persa in quel limbo. Quel dolorosissimo limbo che mi stringeva il cuore e me lo stritolava senza alcuna pietà.

 

Ero stata io a convincerlo.

Glielo avevo chiesto con voce dolce, facendomi piccola piccola contro il suo petto e guardandolo negli occhi. Alla fine avevo vinto. Era venuto con me a vedere Titanic. Mi aveva tenuto la mano per tutto il tempo, strusciando delicatamente il pollice come per accarezzarmi. Durante il secondo tempo mi aveva fatto sedere con lui. Sulle sue ginocchia. Avvolgendomi con le braccia. Baciandomi il collo. Bisbigliandomi parole dolci. Ripetendo le battute di Di Caprio nel mio orecchio. Ero stata ben attenta a non lasciarmi andare.

Ma all’ultimo avevo abbassato la guardia ed ecco una lacrima scendermi lungo la guancia. Cercai di toglierla velocemente con il dorso della mano, sperando che lui non l’avesse notata. E invece l’aveva vista e non sorrideva più. Cercai di capire a cosa stesse pensando ma non me ne diede il tempo. Mi fece girare e mi ritrovai faccia a faccia con lui. Seduta a cavalcioni. Mi strinse. Forte. E mi guardò con quei suoi bellissimi occhi verdi a cui proprio non sapevo resistere. Sorrise dolcemente e mi baciò. Un bacio dolcissimo… mille volte più bello di quello sullo schermo. Mi allontanai un attimo per riprendere fiato ma lui impaziente mi riprese e…

 

Tornai in me grazie a Veronica che mi scuoteva per la spalla. La fissai con gli occhi lucidi, convinta che avesse capito tutto quello che stavo provando o che almeno lo immaginasse e lei mi avvolse le spalle con un braccio. Posai la testa sulla sua spalla avvilita, demoralizzata da me stessa e dal mio stupido comportamento.

Vero sbuffò ma con dolcezza. Accarezzandomi i capelli, mi avvicinò a sé ancora di più:

- Sei una stupida sai? E io lo sono ancora più di te: ci avrei scommesso che andavi in crisi. Non dovevo portarti qui a vederlo. Se vuoi andiamo via-

Mi rimisi a sedere sentendo quelle parole: non avevo alcuna intenzione di ispirare compassione.

- E perché mai? Non sono mica andata in crisi?-

Vero mi fissò come se fossi pazza, e io quasi per ripicca cominciai a guardare il film a testa alta. Era come se volessi dimostrare di aver ragione,  dovevo provarle che si sbagliava. Anche se sapevo benissimo che non era così, affatto: ero io ad essere nel torto, chiunque lo avrebbe capito.

Potevo fingere, però. Potevo mentire.

A tutti forse ma non a me stessa: perché era vero e lo sapevo. Ero andata in crisi. Ed ero ancora in piena crisi… Perché la colonna sonora del film non mi aiutava, anzi mi aggrediva: terribile e dolorosa. Quelle poche, evanescenti note, avevano il potere di farmi soffrire: facendomi ricordare con crudeltà immane quello che più di tutto volevo dimenticare.

Lui.

 

*

 

 

   
 
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