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Autore: j3nnif3r    10/12/2009    6 recensioni
Per un momento si era sentito inquieto. Forse Rude aveva ragione, era meglio smetterla di sfruttare il suo lavoro per scopare. Ma poi lei si era avvicinata, gli aveva premuto contro il suo corpo un po’ troppo magro ma apprezzabile, e aveva detto “Facciamo a casa tua.”
Erano così, quelle donne.
Non si sentiva di disprezzarle, perchè in fondo erano la sua salvezza.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cissnei, Reno, Rude
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Zack è morto.”
Reno l’aveva detto in questo modo, chiaro e tondo, a voce alta e con un’espressione un po’ scocciata. Era seguito uno strano silenzio nella stanza, durante il quale si era accorto che qualcosa non andava.
Cissnei stava fissando il vuoto, ad occhi sgranati.
Era uscita all’improvviso, correndo. L’aveva seguita con lo sguardo, poi aveva guardato Rude e, accennando un sorrisetto, aveva fatto spallucce.
“Mi sa che non l’ha presa bene.” Rude, senza dir nulla, lo fissò alzando un sopracciglio. “Ehi, guarda che non lo vedo, il tuo sguardo di disapprovazione. Hai gli occhiali.”
Rude si era voltato ed era uscito.

***

The lion sits in his den and
waits for the lady to show her face
So he can pounce
Oh, what a disgrace,

just so he can get a taste of her sweet embrace


The devil hides in the sun and
waits for a girl to call his number one
And while it's daylight they'll have some fun
But, trust me baby, when you need him he's gone


The spider spawns a web of lies
If this woman aint careful she'll be food in his eyes
And even if you learn to struggle away
Doesn't mean you won’t get caught again



1 – The Lion
Rude le si era avvicinato con passi silenziosi. Cissnei non si era mossa, era rimasta seduta sullo scalino.
Avrebbe desiderato consolarla, semplicemente.
Ma non c’erano parole.
La morte. Come consolare qualcuno che la vedeva ancora come una disgrazia, come una cosa che fosse possibile evitare? Le loro mani erano ormai così sporche di sangue che si era abituato, e gli andava bene così.
Lei era ancora pulita.
Forse era questo che lo spingeva a correrle dietro ogni volta.
“Reno non voleva essere brusco.” disse soltanto, e subito pensò che era brusco anche quello.
Lei non lo guardò nemmeno.
E in quella posizione, con Cissnei raggomitolata su se stessa come se comprimendosi potesse scacciare il dolore e lui in piedi su di lei, si sentiva stranamente in colpa.
L’aveva lasciata sola, per non imporle il suo silenzio.

Era pulita, lei, nonostante avesse ucciso.
Era diventata come la speranza che qualcosa di buono, in fondo, potesse rimanere in loro.
Era qualcosa di sgradevole e pericoloso da guardare, perché sapeva che sarebbe cambiato.

Cissnei era entrata nel suo ufficio poco dopo mezzanotte. In quello che chiamavano il suo ufficio, più che altro, anche se era la stanza che Reno usava per portare litri di alcool e per ubriacarsi, di solito.
“Volevo dirti che me ne vado.”
Quante volte l’aveva sentita, quella frase?
Rude si sistemò gli occhiali sul naso. “Non devi dirlo a me. Non sono il tuo capo.”
“Volevo dirtelo comunque.”
Da dietro gli occhiali, Cissnei sembrava grigia sotto la luce fredda e artificiale della stanza. In realtà sarebbe stato meglio per lei, se fosse andata via. Sarebbe diventata una ragazza come le altre, colorata e viva.
Lei poteva ancora, in fondo.
Ma ogni volta che minacciava di andarsene sembrava così affranta e delusa che non si poteva assecondarla. Forse Reno aveva ragione quando lo prendeva per il culo dicendo di vederlo come un tenerone idiota, quando si trattava di donne.
“Ne sei sicura?”
Cissnei si era seduta, lentamente. “Sì, stavolta sul serio. Non ne posso più.”
Avrebbe voluto chiederle perché, che ci faceva in un posto come quello, cos’era successo alla ragazza piena di energie che uccideva a sangue freddo e, poco dopo, era capace di andare a comprare una torta per festeggiare.
“Ci sono nata, qui, Rude.” aveva detto lei, senza guardarlo. “Fa parte di me. E mi fa schifo.”
“Cosa ti fa schifo?”
“Tutto.”
Durante il silenzio che era seguito, si era messo a sfogliare delle cartelle che non gli interessavano affatto, fingendo interesse.
Cosa poteva dirle, lui?
Come avrebbe mai potuto rassicurarla?
“Tu non ti senti mai così?” aveva chiesto Cissnei, e Rude l’aveva guardata da sopra le lenti.
“No.”
Si era fatta piccola nelle spalle. Voleva un aiuto, era certo. Voleva che qualcuno le dicesse di non preoccuparsi, che Zack non era davvero morto, che le cose si sarebbero sistemate.
Era così giovane, Cissnei.
Così giovane.
“Perché sei venuta da me?” le chiese.
“Non sapevo dove andare.”

2 – The Devil
Era finito di nuovo con una di quelle donne.
Non che gli dispiacesse. Di solito erano piuttosto belle. E soprattutto erano facili, in tutti i sensi. Non implicavano rapporti complicati, fedeltà o altre stronzate.
Bastava avvicinarsi, e ormai era bravo a trovarle solo con uno sguardo. Offrire un drink, iniziare a parlare di cose banali, inserire casualmente nella discussione quanto fosse stressante fare quel lavoro così segreto e così misterioso, di cui proprio non poteva parlare, inutile insistere. Loro squittivano felici, rispondevano al richiamo.
“Sei un Turk, non è vero?” aveva chiesto la ragazza della serata, e Reno aveva sussultato.
“Che ne sai tu, dei Turk?”
“So quello che basta.”
Per un momento si era sentito inquieto. Forse Rude aveva ragione, era meglio smetterla di sfruttare il suo lavoro per scopare. Ma poi lei si era avvicinata, gli aveva premuto contro il suo corpo un po’ troppo magro ma apprezzabile, e aveva detto “Facciamo a casa tua.”
Erano così, quelle donne.
Non si sentiva di disprezzarle, perché in fondo erano la sua salvezza.

Quella ragazza era svelta, e si era tolta il vestito praticamente all’ingresso. Dalla biancheria che indossava doveva essere uscita di casa con il proposito di fare sesso.
Mentre lui posava la giacca su una sedia, si era messa a giocare con le autoreggenti. Reno aveva osservato le piccole mani bianche sulle calze scure. Si era sbottonato la camicia.
“Come fai a sapere che mi piace, questo?”
”Sei famoso, in giro.”
”Famoso?”
”Reno...” Gli aveva fatto scivolare le braccia intorno ai fianchi, e lui aveva sorriso. “Ti sei fatto mezza Midgar, tesoro. Credi che le donne non parlino fra loro?”
”Sono lusingato.”
Mentre la aiutava a slacciare il reggiseno, si era chiesto quanti anni potesse avere. Venti? Trenta? Erano tutte così uguali, nella sua memoria. Bei corpi, bei visi, voci suadenti. Perché a Midgar ce n’erano così tante?
Midgar, la città grigia, la città morta, dove i peggiori bar ospitavano donne del genere.
“Sei distratto.” gli aveva detto, voltandosi.
“Scusami. Pensavo.”
”Cosa?”
”Mi chiedevo per quale motivo una donna bella come te vada a letto con un ragazzo che, cavolo, è bellissimo e attraente, ma che conosci da cinque minuti.”
“La fai a tutte, questa domanda?”
Reno aveva riso, poi l’aveva tirata a sè. La sua pelle era morbida, e sapeva di mandorla.
Quando era arrivato a spingere le dita sotto quella poca stoffa che rimaneva, ancora in piedi con lei che si era appoggiata al tavolo in una posizione che, sapeva, avrebbe ricordato per giorni, il cellulare aveva iniziato a suonare.
“Merda.”
Si era staccato da lei, aveva iniziato a rovistare nelle tasche della giacca.
“Non potevi spegnerlo?”
”Non posso spegnerlo, sai, il lavoro...”
La ragazza si era chinata a riprendere la biancheria. “Beh, allora non è solo una cosa interessante...”
Reno era corso nell’altra stanza. “Chi cazzo è?” aveva detto sottovoce nel microfono.
“Sono io.”
”Fottiti, Rude. Stavo per farmi una tizia.”
“Cissnei ha detto che vuole mollare.”
”Eh?” Reno lanciò un’occhiata verso la ragazza, che si stava rivestendo. “Di nuovo?”
“Devi venire, io non so che dirle.”
”Forse ti è sfuggito, ma io qui...”
”Ti aspetto.”
Aveva riattaccato, quel bastardo. Reno era rimasto un attimo a meditare se richiamarlo o meno, ma davvero non era il caso. Ormai gli aveva rovinato la serata. E di certo non sarebbe stato capace di parlare a Cissnei, qualsiasi fosse il problema.
Era almeno la decima volta che quella ragazzina diceva stronzate e che tutti intorno a lei accorrevano preoccupati. “Senti, mi dispiace.” disse Reno tornando nell’ingresso.

“Non fa niente.”
Lei si era rivestita velocemente così come si era spogliata. Rimpianse il suo corpo quasi nudo, con un sospiro. “Se vuoi, domani...”
”Mi lasci il tuo numero?”
“Ah...” Ecco, quella era una cosa facile da evitare se ci si incontrava, si finiva a letto e tanti saluti, ma ora significava scegliere fra riservatezza e sesso posticipato. “Sai, non posso. E’ un numero riservato al...”
”...lavoro. Ok. Ciao.”
“No, aspetta, possiamo sempre vederci al...”
La ragazza era uscita sbattendo la porta, senza ascoltarlo.
“Oh, perfetto. Grazie mille, Cissnei!”
Aveva atteso un paio di minuti per essere sicuro che se ne fosse andata, poi aveva afferrato la giacca ed era uscito.

Rude lo aspettava all’ingresso.
Quel ragazzo aveva dei seri problemi, e lui gliel’aveva detto mille volte. “Si può sapere perché non sei in ufficio?” gli aveva domandato passandogli accanto e continuando a camminare. Rude l’aveva seguito.
“Volevo essere sicuro che venissi.”
”E in che modo ne eri sicuro, piazzandoti lì?”
”Stavolta sembra seria.”
“Eh, certo... lo hai detto anche la volta scorsa.”
Rude l’aveva bloccato, posandogli una mano sulla spalla, e Reno si era fatto indietro con una smorfia di stizza. “Parlale. Falle un discorso. Qualcosa. Per favore.”
“Che PALLE!” L’aveva detto urlando, ed una guardia si era voltata a guardarli. “Si può sapere perché ci tieni tanto? Parlale tu, faglielo tu il discorso!”
Rude gli aveva indicato la porta dell’ufficio, con aria seriosa.
Era una cosa talmente idiota, quella.
Con il vago sentore che mandasse lui a farlo proprio perché lo era, entrò nella stanza. Cissnei era seduta alla scrivania, lo sguardo basso, e non si degnò nemmeno di guardarlo.
Non ci aveva mai capito nulla in quella ragazza, ma negli ultimi tempi era diventata un vero casino. Da quando aveva conosciuto quel Zack, più o meno. Giravano strane voci su di lei, su come finisse sempre per essere dove era lui.
Ma ora che Zack era morto, Reno era convinto che fosse diventata pazza del tutto.
Si infilò le mani in tasca, dondolando sulle gambe. “Ciao.”
Cissnei sollevò il viso. “Ciao.”
“Che succede? Rude è preoccupato per te.”
“Non ne vedo il motivo.” Era tornata ad abbassare gli occhi. “Sto benissimo.”
“Prima o poi gli farai venire un infarto, lo sai? Cosa che un po’ mi scoccia, perché dovrei cercare un altro con cui lavorare e sai, lui sembrerà pure un po’ scemo ma ci sa fare.”
“Ti ha detto lui di venire?”
Reno girò la sedia che stava di fronte alla scrivania, una vecchia sedia in pelle scura ormai tutta rovinata, e ci si sedette al contrario posando i gomiti sullo schienale. “Io non vengo mai qui la sera, se non è necessario.”
”Allora puoi andare. Non è necessario.”
Era questo a dargli fastidio, di lei. Minacciava di andarsene per farsi consolare, ma poi se qualcuno ci provava diventava fredda e scostante.
“Non troverai mai un fidanzato, se ti comporti così!” Cissnei aveva aggrottato la fronte, e in quell’istante Reno si era reso conto di aver detto esattamente la frase sbagliata. “Cioè... non volevo dire...” Si era agitato sulla sedia, rischiando di cadere in avanti. “...Scusa.”
Era sceso fra loro un silenzio imbarazzato.
“Io non lo voglio, un fidanzato, comunque.”
Reno si passò una mano fra i capelli, rimase a giocare con un ciuffo, poi la posò sulle gambe. “Senti, Rude mi ha detto che vuoi di nuovo andartene. Che è successo stavolta?”
Ok, non era proprio un discorso poetico, ma il tempo dei discorsi poetici era passato da un pezzo.
“Non capisco perché ogni volta dobbiate farne un caso di stato.”
”Nemmeno io, a dire il vero.” Lei lo guardò, un po’ perplessa. “Cioè, voglio dire, per me fa lo stesso. Se vuoi andare, vattene. Solo, non startene qui tutta triste. Rude è molto sensibile ai bei faccini tristi, e io sono stanco di dover rispondere ogni volta alle sue chiamate preoccupate.”
Cissnei fece un sospiro, e fissò gli occhi su un punto imprecisato del soffitto.
Era irritante. Irritante.
La prima volta, era perché c’era rimasta male per una missione fallita.
La seconda, perché era morto un suo collega.
La terza, perché, chissà, forse le era venuto il ciclo nel bel mezzo di una sparatoria.
Insomma, come poteva quella rossa piccola ed emotiva essere una di loro? Cos’era passato per la mente a chi l’aveva reclutata?
Ora, chiaramente, era perché Zack ci era rimasto. Ma la gente muore, ed il loro lavoro era proprio assicurarsi che questo accadesse con una certa regolarità.
“Ce l’hai una casa, no?” aveva chiesto Reno all’improvviso, e Cissnei aveva rivolto il viso verso di lui con uno scatto.
“Perché?”
“Avrai qualcosa da fare, in quella casa. Lavare i piatti, rifare il letto o qualcosa del genere.”
”Certo. Ma volevo solo rimanere un altro po’ qui, prima di non tornarci.”
“Ah. Capisco.” Forse lei odiava il loro lavoro. Forse era una di quelle che si chiede se sia giusto uccidere per soldi, ma che poi ha un gatto e lo ama più di qualsiasi persona. “Beh, visto che vuoi stare da sola ti accontento. Non credo ci sia qualcosa da dire per convincerti e nemmeno mi interessa più di tanto, in fondo...” Si alzò, e le rivolse un cenno di saluto. “Addio, allora. Ci vediamo domani.”
Erano quelle, le persone che lo disgustavano.
Quelle, non le donne che si scopava come se fosse l’ultimo giorno della sua vita, perché almeno loro sapevano ammettere ciò che erano senza problemi. E, almeno, non si piangevano addosso di continuo.
“Reno.”
Si voltò. Cissnei aveva uno strano sguardo in quegli occhioni da hentai.
“Posso venire con te?”
Non pensava che anche lei fosse una di quelle.

3 – The Spider
All’inizio aveva pensato di portarla in un bar, per evitare di mostrarle dove viveva. Non per vergogna o imbarazzo, ma solo perché non gli piaceva rendersi tracciabile ai colleghi. Non era il caso. E non era il caso, in realtà, nemmeno di scoparsela, perché poi l’avrebbe rivista e sarebbe esplosa una di quelle situazioni dal quale si era sempre tenuto ben distante.
Per questo, aveva pensato ad un bar.
Ma poi si era detto che Cissnei era abbastanza carina, che una scopata ci poteva anche stare, tanto non è che si vedessero un granchè. E se l’avesse portata in un altro posto, avrebbe in qualche modo ammesso di voler evitare di scopare.
Insomma, ecco, il casino era già iniziato senza che se ne rendesse conto.
Reno aveva aperto la porta, indagando l’ingresso con uno sguardo furtivo per assicurarsi che non ci fosse della biancheria in giro.
“Mi dispiace disturbarti.” aveva detto Cissnei entrando.
“E’ un po’ tardi per dirlo, non credi?”
Si era guardata intorno, e già quello l’aveva disturbato. All’improvviso si era chiesto che cazzo stava facendo, per quale motivo al mondo le aveva permesso di entrare. Ne conosceva tante, di ragazze così. Non era necessaria, insomma. E si era sentito stranamente nervoso, mentre richiudeva la porta e faceva scattare la serratura.
Cissnei si era seduta, senza dir nulla, sul divano dell’entrata.
“Vuoi qualcosa da bere?” le aveva chiesto, pensando che forse facendola ubriacare si sarebbe sfogata più in fretta, giusto in tempo per spogliarsi prima dell’alba.
“Sì, grazie.”
Si mise a trafficare con le bottiglie. “E allora, sei ancora decisa ad andartene o l’idea ha già iniziato a sembrarti idiota?”
“No, sono decisa.”
”Stavolta dura di più, quindi.”
”Reno, sono seria.”
“Certo, piccola. Certo.” Le si era seduto accanto, porgendole il bicchiere. Lei l’aveva preso, e sembrava spenta, assente.
Così poteva solo farglielo ammosciare.
“Non... non è una vita che fa per me, questa.”
“Mh.” Reno aveva annuito con energia, iniziando a bere. “Concordo, cazzo, dovresti fare... un’altra cosa. Eh sì.”
Cissnei gli aveva puntato contro due occhi accusatori. “Mi prendi in giro?”
“Ma no, tesoro.” Aveva urtato il bicchiere con il suo, un piccolo rumore secco, poi l’aveva alzato. “Alle cose che dovresti fare invece di essere qui!”
Cissnei non si era mossa, mentre lui beveva con energia. “Lo so, sono ridicola.”
Eccole, le seghe mentali. Eccole. Eccole.
“Sì che lo sei, Cissnei. Lo sei sempre. Sei una piaga.” Ecco, non era riuscito a non dirlo. E la possibilità di scopare si era fatta lontana. “Cioè, tesoro, sul serio... è terribile. Chi è che ti trattiene? Vattene, se vuoi! Vai e corri felice fra i prati in fiore!”
Cissnei lo guardava, ma non sembrava ferita come doveva essere. Aveva anche accennato un sorriso.
“Hai ragione.”
Reno aveva bevuto un altro sorso.
“E’ solo che adesso... in questo momento... pensando a lui...”
Oh, porca puttana. No, no, le lacrime per il fidanzatino morto no, non poteva sopportare anche quelle...
“Eh sì, immagino.” disse, riempiendo di nuovo il bicchiere. “Non bevi?”
Lei si era portata il bicchiere alle labbra, aveva buttato giù tutto in un colpo. Reno era rimasto a guardarla, un po’ sorpreso.
“Sono solo... dispiaciuta.”
”Sì. Beh, Zack era un bel tipo, se uno ha quel genere di gusti, penso...”
Cissnei posò il bicchiere sul tavolino, lui lo riempì di nuovo.
“Non doveva andare così... è talmente triste...”
“E’ la stessa cosa che avranno pensato anche tutte le altre donne, no?”
”Le altre donne?”
”Le donne degli uomini che hai ucciso.”
Cissnei abbassò lo sguardo. “Già.”
“Voglio dire, non è una cosa nuova. E’ per questo che sei una piaga, piccola. Che te li fai a fare, tutti ‘sti problemi? Sei un Turk, e noi Turk non facciamo che portare morte.” Stava parlando troppo, forse era l’alcool. Guardò il bicchiere, lo agitò, bevve ancora.
Aveva quasi rinunciato all’idea di farsela, era talmente noiosa...
“E’ che... non volevo rimanere sola.”
Talmente rigida, con le mani in grembo e il viso contrito. Di sicuro era pure vergine. Che palle.
“Beh, ti passerà. Come ti è passata le altre volte.”
”No.”
”No?”
”No.”
”E vabbè. Senti...” Le spise il bicchiere verso le labbra, e lei prese un sorso di quella roba scura. “Allora, se sei così triste, potremmo fare qualcosa per divertirci.”
“Per... divertirci?”
Reno si riavviò i capelli, sfoderando il suo sorriso migliore. La possibilità di scopare aveva fatto capolino di nuovo, lucente. “Sì, sai, per renderti meno triste.”
“Non ho intenzione di fare sesso con te, Reno.”
”Ah.”
“Volevo solo compagnia!” disse, indignata.
“E la cerchi da me? Cosa sono, il tuo compagno di classe?”
“Ok, ho capito.” Cissnei si alzò, con impeto, e urtò il tavolino facendo cadere il bicchiere. Il liquido denso si sparse intorno. “Non ti disturberò oltre.”
La guardò litigare un attimo con la porta, cercando di capire come aprirla, e poi uscire di corsa.
Era proprio stato un errore farla entrare, eh già.

Aveva bevuto un altro po’, meditando se chiamare un’amica e concludere bene quella serata di merda, o andare semplicemente a letto e cercare di dimenticarla. Poi, per curiosità, aveva guardato dalla finestra.
Cissnei era ancora lì, ed era passata mezz’ora.
Si era seduta su una cassetta dei telefoni, una di quelle cose mezze distrutte e arrugginite, con le ginocchia strette al petto.
Aveva posato il bicchiere e afferrato le chiavi.

“Fai bene ad andartene.”
Cissnei si voltò, i capelli rossi sotto la luce fredda del lampione volteggiarono intorno al suo viso. “Ah, sei tu.” Si asciugò in fretta gli occhi, con movimenti impacciati. Reno sorrise.
“Fai bene. E’ questo quello che penso. Volevi un consiglio, no?”
“...Sì, in un certo senso.”
“Ecco, te l’ho dato. La Shinra è una merda, essere un Turk è una merda, a volte. E’ anche una figata, ma dipende dal momento. E tu potresti essere molto altro, Cissnei.”
”Perché rimani, allora?” Lei si rimise in piedi, seria. “Perché?”
“Perché io sono capace di farlo, semplice!” Le si avvicinò, le prese il viso con una mano, sollevandolo alla luce. Cissnei chiuse gli occhi e si irrigidì. “Scappa senza voltarti, dolcezza. E non tornare.”
La lasciò andare, e sospirò guardandola. Che peccato, in fondo era carina. Le diede le spalle ed iniziò ad allontanarsi, lento.
“Reno!”
“Mh?”
“Posso... possiamo tenerci in contatto, anche... dopo?”
Reno si girò a guardarla, continuando a camminare all’indietro. “Non pensi di chiedere troppo, ora?”
Cissnei rimase sola, nella penombra, il capo abbassato e la voglia di piangere che premeva come se non si potesse mai sfogare abbastanza.

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NOTE: Ecco, vorrei ammettere che non sono stata molto attenta alla linea temporale scrivendo questa one-shot (cioè, non so bene quanti anni dovrebbero avere Reno e Rude, all’epoca della morte di Zack...), e non so nemmeno se Reno, Rude e Cissnei si siano mai *davvero* conosciuti, ma mi piaceva l’idea di farli entrare in contatto.
Sulla caratterizzazione dei personaggi, poi, ho da dire un paio di cose: Spero di non aver reso Cissnei troppo lamentosa, ma volevo mettere in risalto la sua solitudine, la sua inadeguatezza al ruolo che proprio non le calza. Reno forse è meno “infantile” e idiota rispetto a com’è diventato in AC, e non so se l’ho reso bene, ma è così che lo vedo io. Rude ha una particina, lo so, ma va così. ^^
La canzone che mi ha fatto venire in mente questa fiction è, appunto, “The lion, the devil and the spider” di Kate Nash. Forse è perché somiglia un sacco al tema musicale dei Turk!! (Ah, e lo so che tutti li chiamano “TurkS”, ma quando si inserisce una parola straniera in un discorso in italiano non la si dovrebbe declinare, no?)
   
 
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