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Autore: Loda    10/12/2009    6 recensioni
"Vorrei che mi chiedessero come sto qualche volta. Non ha senso perché io risponderei bene anche se è male. Come fa il 99% delle persone. Perché il 99% delle persone è questo che vuole sentirsi dire. E allora siamo tutti educati e stiamo tutti bene."
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come stai

COME STAI

 

 

Oggi la matita è colata.
Nessuno se ne è accorto.
Quelli più avanti non mi vedono. Quelli più indietro non mi vedono.
A pensarci bene neanche quelli di fianco mi vedono.
E il prof, beh, il prof è cieco.
La campanella è suonata e mi sono asciugata le lacrime. Avevo paura di aver fatto un pastrocchio con la matita. Ma tanto nessuno se ne è accorto.
La matita è un po’ sbavata, ma il sorriso è convincente.
Perché nessuno se ne è accorto.
Vorrei che mi chiedessero come sto qualche volta.
Non ha senso perché io risponderei bene anche se è male.
Come fa il 99% delle persone.
Perché il 99% delle persone è questo che vuole sentirsi dire.
E allora siamo tutti educati e stiamo tutti bene. Nel mondo fuori dalla porta del bagno.
Dentro il bagno non mi va di essere educata. Non mi va di stare bene. Lì piango. Piangerei per ore.
Ma non ci sto tanto.
Perché fa freddo.
 
 
Oggi c’era un’ora buca.
Io odio le ore buche.
Gli altri si sono messi a giocare a carte.
Io cercavo di fare qualcos’altro. Ho provato a scrivere qualcosa. Ma tanto non so scrivere. Ho provato a disegnare. Ma tanto non so disegnare.
Gli altri si divertivano.
Di sicuro pensavano che io non mi stessi divertendo.
Perché lo sanno che non so fare niente.
Potevo andare a divertirmi con loro. Ma non l’ho fatto.
Ho pensato che è colpa mia.
Perché preferisco essere sola che sentirmi sola.
 
 
Oggi c’è stata un’altra ora buca.
Ci hanno detto che la prof è ammalata.
Tutti sono contenti, io non tanto.
Però avevo deciso che oggi mi sarei divertita insieme cogli altri.
Ma loro non hanno giocato a carte.
Volevano fare il gioco della bottiglia.
Io non volevo. Sono rimasta al mio banco a guardarli mentre si divertivano.
Una volta qualcuno mi ha chiesto se avevo dei rimorsi.
Ho risposto che non ne avevo.
Quel qualcuno ha detto che sono fortunata.
Io non credo.
Non ho rimorsi.
Perché ho tanti rimpianti.
 
 
Oggi ho chiesto “come stai” a un mio compagno. Lui è sempre felice. Volevo solo essere educata.
Ma lui non mi ha detto bene. Ha detto che si tira avanti.
Non capisco. Lui ha tanti amici.
Forse quello che abbiamo non basta mai e chi è felice non sa di esserlo. Credo sia tutto un sogno senza fine.
Loro non sono poi così tanto diversi da me.
Siamo tutti degli infelici che mascherano con dei “come stai” che non vogliono realmente una risposta e con dei “bene” che non volevano realmente una domanda.
Non so se riuscirò a farmi degli amici.
Forse gli amici veri si chiedono come stanno e si ascoltano sul serio.
Credo di essere troppo concentrata su me stessa per avere degli amici.
 
 
Oggi è il mio compleanno.
Compio quattordici anni.
L’avevo scritto a caratteri cubitali su Facebook ma nessuno a scuola mi ha fatto gli auguri.
Non è stata colpa mia.
Non è vero che sono troppo concentrata su me stessa.
Io ho sempre fatto gli auguri a tutti.
Un “auguri” pacato ed educato, come il “come stai” che non vuole risposta.
Non sono più degna neanche delle attenzioni ipocrite.
Tornando a casa oggi ho pianto.
Ho attraversato la strada col rosso con la speranza che mi investissero.
Volevo farmi male.
Forse se mi fossi fatta male sul serio qualcuno si sarebbe preoccupato per  me. Forse con la mia assenza si sarebbero accorti della mia esistenza.   
Però non volevo morire.
 
 
Ho riaperto gli occhi dopo una settimana.
Parlano di tentato suicidio.
Dicono che mi sono buttata davanti a una macchina.
Io non mi ricordo.
Ci sono due mie compagne di classe di fianco al mio letto.
Mi chiedono come sto.
Stanno piangendo.
E capisco che è un “come stai” sincero.
Sono contenta di rispondere che sto bene.
Mi hanno chiesto se volevo morire.
Ho detto forse.
Se ne sono andate dicendo che sarebbero tornate il giorno dopo con gli altri.
Sono contenta.
E’ entrata mia mamma, anche lei piange.
E’ seguita da un dottore.
Sono contenta perché piangono per me.
Ero stanca di piangere per gli altri.
Però c’è qualcosa che non va.
Sono uscita dal coma, mamma dovrebbe essere felice. Non piangere.
Il dottore ha un’aria seria e comincia a parlare.
La notizia mi raggela il sangue nelle vene. Mi viene in mente tutto. L’auto che arrivava. Io che non mi fermavo. Quel giorno compivo quattordici anni.
Mamma mi abbraccia mentre comincio a piangere.  
Ecco il mio primo rimorso.
Un grosso rimorso che ogni giorno mi logora lentamente, dall’interno.
 
 
 
Mi chiamo Valentina, ho quattordici anni e sono su una sedia a rotelle.
Non cammino da due mesi e probabilmente non potrò mai più camminare.
Ogni giorno a scuola mi chiedono come sto, si preoccupano per me.
Mi sembra di avere più amici di quanti ne abbia mai avuti.
Forse adesso sono più interessante.
Ma non sono contenta.
Avrei potuto trovare altri mille modi per risultare più interessante.  
E’ vero, era colpa mia. Ero troppo concentrata su di me.
Troppo concentrata su di me, ho trovato una soluzione su di me. Che mi ha distrutto.
Credo che Dio mi abbia risvegliata da quel coma per farmi capire questo.
E per punirmi.
Non passa giorno senza che io lo ringrazi, non passa notte senza che io lo odi.
 
   
 
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