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Autore: Ransie88219    11/12/2009    0 recensioni
3° Classificato al contest di Halloween indetto da Inchiostro libero 3° Classificato al contest di Halloween indetto da Inchiostro libero. - Un odio particolare per una delle feste più attese di tutto l’anno. Una sera scura,nefasta e spaventosa. Una ragazza e un individuo misterioso e poco raccomandabile. Una cappa da morte di troppo e uno zuccotto che illumina. Riusciranno entrambi a ritrovare ciò che cercano? Lei un qualcosa che non ricorda e lui un qualcosa di indelebile che una volta entrato dentro non ti lascia mai. Ce la faranno? – Buona lettura e mi raccomando, commentate ^.^ Note dell'autore : Tutto è di mia invenzione, tranne il nome e la figura di Jack-o-lantern che ho usato come personaggio. Ho utilizzato solo il nome e la leggenda della rapa che tale figura si porta sempre appresso
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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31 October

31 October.

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Cambio di programma: sarò di nuovo io il tuo destino

 

<< Chris! Ma ti dai una mossa?! >> chiamai mio fratello minore a raggiungermi e anche di corsa, giù in giardino.

Struffiai sconsolata.

Possibile che tutti gli anni fosse sempre la solita storia?

Ma il comune non sapeva proprio come impiegare meglio i propri soldi che in una festa di Halloween?

No dico, ci sarebbe la strada parallela alla piazza che è tutta rotta con buche…una vera schifezza con il motorino.

<< Eccomi sorellina, possiamo andare! >> mi fece notare tutto entusiasta quel volpino di mio fratello.

Assentii svogliata e mi incamminai con lui giù per la strada, fino al punto di ritrovo della festa, in fondo alla nostra via.

Dovete sapere che il mio adoratissimo comune adorava spendacciare i soldi – tanto con tutte le multe che facevano le macchinette – e fare una grande festa di Halloween la sera del 31 ottobre.

Anzi, una gara con fine di festa.

Ora vi spiego, alle 21 c’era il raduno come sempre nella piazzetta ai piedi della mia via, dopo di che il sindaco faceva il suo solito discorso e ci dava il via alla gara non appena le sue aiutanti ci davano un fogliettino con la mappa, dove vi era indicato il luogo che dovevamo raggiungere per procurarci una zuccotto svuotato con la faccia di una smorfia solita delle zucche di questo periodo,con dentro una candelina. E quest’ultima era proprio l’invito alla festa.

Dopo dovevamo rifare tutto il percorso all’indietro e  raggiungere il circolo dove si teneva la festa con musica e cibo offerto sempre dal comune.

Ora, vi chiedere cosa c’è di noioso e di insofferente in tale organizzazione che mi faceva alienare allora da tutto ciò.

Beh, si da il caso che il percorso sia risalire la mia via fino al madonnino, poi girare al ponte e prendere a destra per il cimitero, attraversarlo e  salire in cima alla strada e raggiungere il campo di mais già svuotato e con solo scarti, dove, vi sono nascoste le zuccotte, ah, quasi dimenticavo, ricordiamoci che come al solito era buio pesto e ci c’erano solo delle candele ad alluminare l’attraversata, poste in bottiglie tagliate a metà con dentro sabbia.

Se ancora non vi è chiara la cosa, vedrò di essere più chiara

Odiavo allora – e anche ora – le cacce al tesoro in piena notte, in un paese di campagna come il mio, privo di lampioni ma provvisto di serpi e cinghiali, odiavo correre  lungo il tragitto, fermarmi nelle zone abitate e aspettare mio fratello che riempia i suoi sacchetti di dolcetti,e  detestavo dovermi ritrovare con in capo qualche foglia della pianta di mais , per uno stupido zuccotto, e per finire in bellezza a peggiorare le cose allora c’era che al circolo per la cena ci sarebbe stato Mathwe, un mio compagno di classe, cotto di me da sempre, ma non ricambiato.

Un vero inferno.

Credo di essere stata abbastanza chiara sul mio stato d’animo di allora, ma ora riprendiamo la narrazione.

Così mi ritrovai lì come gli anni precedenti ad accompagnare il mio fratellino di 6 anni, tra tanti genitori con i propri figli.

Una vera tortura, quando pensavi che saresti potuto essere comodamente al calduccio nella tua camera, magari sotto un bel plaid caldo e accogliente e magari con più vestiti addosso.

Perché si, avete capito bene, pure io come il resto della gente che mi circondava ero vestita a maschera e non dei più classici.

Secondo le mie amiche dovevo essere bellissima e sexy, dato che secondo loro avrei incontrato finalmente l’uomo della mia vita.

Ora vi racconto…

La tradizione nel mio paese vuole che le ragazze per la mezzanotte del loro diciottesimo compleanno si rechino al pozzo antico del madonnino, e osservino  le acque del pozzo tramite uno specchio, dando però le spalle al pozzo.

Quindi immaginatevi la scena, mezzanotte dello stesso anno di quel giorno con le due mie amiche a sorreggermi la testa e il corpo, per non farmi cadere nel pozzo con me che infilavo all’indietro nel pozzo e guardavo le acque color pece.

Sorvolando sul come quella volta mi feci convincere ma vi dirò che dopo di allora non ho più riso di una tradizione.

Quella notte vidi davvero qualcosa.

Non un volto, non solo le acque color pece.

Alla mezzanotte vidi riflesso sullo specchio l’immagine della signora mietitrice con in mano una rapa con dentro un tizzone di carbone dalla fiamma blu - rossa al posto della falce. Non ne vedevo il volto e la cosa mi terrorizzava ancora di più. L’immagine durò per tutti i rintocchi della mezzanotte, poi scomparve da lì come era venuta. Credo che immaginerete il resto.

Forse non sopportavo il 31 ottobre allora, per via di quello che mi era capitato l’estate passata e avevo paura all’improvviso di ritrovarmi di fronte un non morto o che altro, ma la cosa che mi spaventava maggiormente era che purtroppo la tradizione voleva che il futuro compagno lo si incontrasse proprio quella stessa sera.

Immaginate la paura di quella volta.

E a peggiorare la situazione e il mio umore si ci erano messe pure le mie due amiche, Chealsey e Litz, che mi avevano vestita e truccato al meglio.

Così quella sera, mi ritrovavo vestita con un vestitino corto e nero, che mi arrivava 20 cm almeno sopra il ginocchio, con sprazzi di rettangolini grigi che mi adornavano tutto il vestito eccetto le maniche, che poi finivano con uno sbuffo grande e raffinato. Naturalmente ero provvista anche di scollatura generosa, cintura in vita e capello in tono con l’abito, e degli stivali neri in pelle e addirittura borchiosi dannatamente alti, che mi arrivavano un po’ più sotto del ginocchio.  Il trucco semplice, eccetto per le labbra vermiglie. Una vera strega, no?

Quando finalmente il sindaco finì il suo monologo pari al riassunto in volgare fiorentino della Divina commedia di Dante, ci furono date le mappe e partimmo immediatamente.

Ogni metro con mio fratello mi fermavo e lo aspettavo al cancello delle persone a cui depredava di dolci e salvava loro da certi viaggi dal dentista.

Che strazio era stare ad aspettarlo con io che battevo i denti del mio vestitino in cotone, con fuori quasi agli zero gradi e lui racchiuso in caldissimo giubbotto imbottito e provvisto di guanti, per non parlare di come fissavo la strada davanti a me, no scusate, di come fissavo terrorizzata il buio davanti a me.

Mentre proseguivamo il nostro tragitto e svoltammo al madonnino non potei fare a meno di farmi il segno della croce e stingermi le braccia attorno al busto.

Era tutto il girono che avevo una strana sensazione addosso e la situazione di ora in ora peggiorava, se no  per dire di minuto in  minuto.

Poi d’improvviso mi sentii tirare per mano, quando fummo nelle vicinanze del ponte.

<< Sorellina, guarda! Un gattino bianco abbandonato in una scatola! >> mi parlava indicandomi con un dito il ciglio della strada sulla sinistra, nel campo incolto e pieno di erbacce.

Non appena vidi l’oggetto delle mie ricerche mi illuminai dalla tenerezza, nel vedere una creaturina tanto piccola e indifesa abbandonata nel mezzo del nulla.

Tutto ciò accadde in pochissimi secondi e furono sufficienti perché mio fratello lasciasse la mia mano e dolcetti a me e corresse da quella creaturina.

Pochi passi di distanza e era lì ad accarezzarlo.

Mi incamminai scontenta verso lui, e arrabbiata che non avesse aspettato una mia parola.

Sono io responsabile di lui, e anche se non lo fossi, non vorrei mai per nulla al mondo che gli succedesse nulla.

Mentre pensavo ciò avvenne qualcosa di tetro.

Non appena scavalcai la candela sul ciglio della strada e poggiai un piede nel campo abbandonato, mi sentii strana, come fossi in  tutt’altro luogo e fossi stata trasportata lì, e nel mentre una fitta nebbia calò così repentinamente che temei di sognare ad occhi aperti.

L’aria era umida ma calda stranamente, non più gelata.

C’era qualcosa che non andava e lo sentivo.

Presi senza troppe storie mio fratello e ritornammo in strada, ma la situazione non cambiò.

Sempre più preoccupata per mio fratello e me, lo presi per un braccio e iniziai a trascinarlo per la direzione da cui eravamo venuti, ma via via che più ci avvicinavamo dove ipoteticamente si trovava casa nostra – che era sulla via della gara – più mi sembrava di sbagliare strada, contro ogni logica e allontanarmi sempre più.

Se io ero il ritratto della preoccupazione, mio fratello era il ritratto della virtù offesa, dato che lo stavo trascinando a casa invece che continuare quella stupida ricerca al tesoro. Poi d’un tratto mi fermai stufa della sua resistenza nel camminare e lo guardai in volto, o almeno cercai, ma inebilmente l’occhio mi cadde sul piccolo gattino che teneva ancora in braccio.

Mi si gelò completamente il sangue nelle vene.

Ora il gattino era un gatto nero di taglia adulta e dai grandi occhi gialli e non più un cucciolo bianco, dagli occhi azzurri.

Provai a aprire e chiudere gli occhi più volte, ma la visione non cambiò.

Ma cosa succedeva? Che mi stava succedendo?

Questo era ciò che mi domandavo.

Chiesi spiegazione di tale cambiamento a mio fratello che mi guardò come fossi una pazza.

E forse lo ero.

<> mi chiese sinceramente preoccupato quel piccolo angioletto dai corti capelli color rame.

Ingoiai più volte a vuoto, poi  mi protesi verso il gatto per prenderlo in collo.

Se ho problemi di vista, almeno dal peso capirò se era piccolo o no!

Non l’avessi mai fatto!

Appena allungai le mani con quell’intenzione, il gatto mi morse il palmo della mano destra, procurandomi una piccola ferita da cui sgorgava un po’ di sangue.

Dopo di che il gatto mi soffiò davanti facendomi vedere i denti, con qualche goccia del mio sangue, poi scese da mio fratello e iniziò a correre nella direzione in cui stavamo andando noi e prima che potesse scomparire alla nostra vista a causa della nebbia, si girò e mi fissò.

Poi storse la bocca come una smorfia e si leccò una mia gocciolina di sangue sfuggitagli, dopo quel momento si girò e corse via.

E cosa successe secondo voi? Provate a indovinare.

Mio fratello prese e si mise a rincorrerlo, senza pensare se fosse una cosa giusta o no.

Sta di fatto che appena ripresami dalla scena corsi dietro a Chris e badate bene, non a entrambi.

Anche se impossibilitata dai tacchi, corsi a perdifiato sulla stradina di campagna sdrucciolevole e vecchia, e mentre correvo lo chiamavo per nome, ma non mi rispondeva nè si fermava alle mie intimidazioni.

Sentivo l’eco dei suoi passi piccoli e svelti, solo come un bimbo di sei anni può fare.

Avevo paura.

Sentivo che nell’aria c’era qualcosa di sinistro, un qualcosa che non andava.

Non era la solita aria, e quella che stavo percorrendo non era la solita strada di casa.

Apparentemente lo sembrava, ma il mio io interiore mi diceva ben altro.

Davanti a me non vedevo altro che non fosse una fittissima coltre di nebbia, scurita pesantemente dal nero della notte senza luna, illuminata però dalle candele lungo il percorso.

Non saprei dire per quanto corsi quella volta, solo che il forte martellare del mio cuore negli orecchi, era l’unica cosa certa, il quale mi ustruiva pure la presenza di mio fratello davanti a me.

Poi all’improvviso me lo ritrovai davanti, segno che era riuscito a riacchiappare il gatto.

Era inginocchiato nell’erba incolta oltre il ciglio della strada, a giocare con  il gatto nero.

Quando mi diressi verso di lui, urtai accidentalmente una candela dentro una bottiglia riempita di sabbia per metà, che cadde a terra e con lei, me.

Mettendomi prontalmente le mani davanti al corpo, riuscii a evitare l’impatto aspro e duro con il terreno.

Unico danno che mi feci furono solo poche sbucciature sul palmo destro della mano, attufatto il tutto dei miei riflessi e  dall’erba soffice e impresssa di brina.

Quando mi alzai scombussolata e con il respiro affannoso per la corsa sui tacchi, mi volsi verso mio fratello pronta a rimbecchettarlo, quando vidi alle sue spalle lui.

La signora mietitrice.

Ma forse sarebbe più corretto dire che era il signore della morte, in quanto sotto il mantello nero, dello stesso colore della notte non c’era un uomo da come dava da pensare la stazza, ma una ragazzo tra la ventina o la trentina. Dagli occhi di un indecifrabile color pece e dalla profondità dell’oblio, dal naso aquilino e ben fatto. La bocca grande con labbra carnose, stirate in un sorriso soddisfatto, ma terribile allo stesso tempo.

Aveva un che di inquietante, ma di famigliare allo stesso tempo, come del resto al sua figura.

Indossava abiti mai visti, di un tessuto spesso e dall’apparenza caldi.

Stranamente mi facevano pensare agli abiti irlandesi di fine ‘700, un po’ laceri e strappati e consumati ma non sporchi, tutto però in nero.

Quasi si confondeva nell’oscurità della sera. Il mantello grande e pesante era il solo indumento perfetto, non consunto.

Sembrava nuovo, ma ero sicura che non lo fosse.

Ciliegina sulla torta, fu la rapa incavata e svuotata con all’interno un tizzone di carbone accesso, che illuminava l’ambiente con la sua sinistra fiamma blu-rossa, che portava legata con un laccio in pelle alla cintura di fattura antica.

Ero impietrita sul posto.

Finalmente alla fine lo avevo incontrato l’uomo del riflesso dello specchio.

Mi sentivo come se il cervello mi si fosse scollegato dal corpo.

Il nulla del terrore di quello che sarebbe potuto accadere a me e mio fratello, mi annullava.

Quando poi parlò mi cadde il peso del mondo sulle spalle.

<< Ciao Melanie, sei incantevole >> mi parlò con semplicità e felicità, come se non mi vedesse da tanto tempo.

Beh, da parte sua forse, ma io non ricambiavo.

Non lo avevo mai visto in vita mia, ne ero sicura, solo che sentivo che una parte interna di me, mi sussurrava il contrario, esultava addirittura.

Sta di fatto che quella parte entusiasta fosse troppo lontana, per impedire di farmi perdere i sensi…

Non so per quanto rimasi svenuta, ma non penso molto.

Purtroppo quando mi risvegliai, non mi trovavo nel mio caldo letto, ma avvolta nel caldo mantello di quell’individuo misterioso tra le sue braccia, seduto compostamente a terra.

Mi teneva stratta a se come se fossi la cosa più preziosa al mondo.

Ero sul suo grembo e la mia testa poggiava sull’incavo della sua spalla destra, mentre le sue grandi mani mi tenevano tratta a lui per i fianchi.

Non avevo vie di fuga.

Sospirai affranta e voltai la testa verso mio fratello, che stava incurante di tutto davanti a noi a giocare con quel gatto dagli occhi gialli.

<< Finalmente ti sei svegliata. Mi dispiace di averti spaventata >>.

La sua voce aveva sempre qualcosa di famigliare, ma non sapevo quanto, e soprattutto come fosse possibile, dato che ero sicurissima che non lo conoscevo.

La sua voce era calda e cordiale, intrisa di qualcos’altro che non avrei saputo dire.

Aveva ancora disegnato in volto quel sorriso sinistro, ma in quel momento aveva una nota più dolce e rassicurante.

Nonostante tutto, ciò non aiutava.

Rimasi in silenzio timorosa, cullata dalle sue braccia, sfiorata dal suo respiro freddo, occhi negli occhi, con di sottofondo l’innocenza dei giochi di Chris.

Ad un estraneo la scena sarebbe parsa romantica nel vedere due innamorati l’uno tra le braccia dell’altro a contemplarsi l’un l’altro, se non fosse stato per la presenza di Chris e la mia evidente tensione.

Non sapevo cosa fare per cavarmi da quell’impiccio, così me ne stavo ferma  e immobile, cercando almeno di regolarizzare il mio respiro e di non cadere nel panico.

Fosse stato semplice.

<< Non abbiamo molto tempo, dobbiamo andare. Chris vieni! >> e così dicendo si alzò da terra con me in braccio e iniziò ad incamminarsi sul ciglio della strada.

Rimasi ancora imbalsamata  per un poco, poi mi ripresi immediatamente dalla sequenza degli eventi.

<< Mettimi giù! Lasciami andare! >> urlai e fui accontentata anche se con riluttanza da parte sua, visto i gesti freddi e lenti.

Non appena  misi i piedi a terra mi avvicinai con un  passo a Chris e con una repentina mossa me lo presi in collo e corsi nella direzione opposta.

Correvo goffamente e a fatica, ma era sempre meglio di niente, mentre il sacco di patate che era mio fratello si lamentava e si agitava.

Nella stupidità dei miei stessi gesti non vedevo la paura che mi guidava nelle azioni.

Dopo neanche qualche metro inciampai ma non cademmo, quell’individuo mi riprese al volo.

Chris scese dalle mie braccia e si nascose dietro a lui, mentre quest’ultimo mi teneva ferma per le spalle, facendomi quasi male.

Spalancai gli occhi non appena realizzai  che la sua pelle era gelata, molto più del consentito.

Lo guardai terrorizzata, ma lui mi guardava serio e risoluto.

<< Non voglio farvi del male, avessi voluto l’avrei già fatto, no? >>.

<<…>>

<< Chi tace acconsente – E mi sorrise leggermente nel modo più umano e struggente possibile. Era bellissimo. – Adesso andiamo, su, non vorrai fare tardi alla festa no? >> e mi prese per mano mentre diceva ciò e con l’altra fece cenno a mio fratello di precederci. Invito che non rifiutò e assieme al gatto che ci aveva inseguito ci camminavammo davanti.

Avevo il cuore che mi batteva a mille.

Quel sorriso mi aveva stregata.

Una parte di me che fino ad allora aveva avuto paura di lui e era reticente, si era unita entusiasta all’altra che fin dall’inizio aveva iniziato a emergere fuori dai miei meandri più bui del mio essere.

Non capivo che mi accadeva.

Un minuto prima volevo andarmene e quello dopo non mi dispiaceva affatto camminare al suo fianco.

Avevo sempre saputo di essere fuori dagli standard normali di sanità mentale, ma quella volta battei me stessa.

Mentre gli camminavo al fianco scrutavo continuamente la mia mano nella sua.

Erano perfette.

Mi sembrava che fosse il posto più giusto al mondo dove dovesse stare la mia mano.

E se ve lo state chiedendo si, mi sa che ero uscita di senno, e si di nuovo, credo proprio che il sorriso mi avesse causato un colpo di fulmine nei suoi confronti.

Una cosa pazzesca! Stentavo a crederci al solo pensiero.

<< Potrei almeno sapere il tuo nome? E dove stiamo andando di preciso? >> chiesi con troppa enfasi, tanto che mi morsi un labbro imbarazzata.

<< Si chiama Jack, come il nome del suo travestimento! Non lo trovi fantastico? >> si intromise Chris rispondendo al suo posto.

<< Jack O'Lantern…? >> chiesi insicura, con solo il desiderio di sbagliarmi.

<< Te l’ho già detto, stiamo andando ad una festa…eccoci arrivati >> e mi indicò la fine della strada, senza rispondere alla domanda che più mi premeva.

Ma fu sufficiente a farmi realizzare che avevo colto nel segno…

Davanti a me si estendeva un terreno erboso e verde, con un falò immenso che sinistramente non produceva fumo né consumava i ciocchi di legno utilizzati.

Tutto attorno ad esse c’erano donne vestite come me da strega, ma non così modernamente e uomini di tutti i tipi a ballare con loro.

Quando realizzai cosa fossero, non appena riconobbi il signor Drech morto quel venerdì scorso tra di loro, cambiai subito il soggetto della mia visuale  osservando il resto.

Un po’ più discosti da loro c’erano altri come loro, tra cui dei bambini che giocavano a rincorrersi.

Quella scena innocente mi rincuorò e  mi rattristò allo stesso tempo.

Poveri piccoli, morti così giovani…ma anche così non morti!

Iniziai a respirare affannosamente e mi sentivo via via più scombussolata, non appena vidi che sullo sfondo di tutto ciò vi era un antico cimitero mai visto.

C’erano tantissime tombe, dalle più antiche alle più nuove.

Non vi era niente del genere dalle mie parti che sapessi...

Sentivo che sarei presto svenuta da un momento all’altro.

Il colpo di grazia me lo diede una ragazza che uscì da una tomba di fine ottocento a pochi metri da me, facendo uscire da sottoterra prima una mano, poi via via gli altri pezzi del corpo.

Quando si rialzò era completamente imbrattata di fango e altro di cui non voglio raccontare.

Mi fece senso.

Le gambe mi cedettero, ma Jack mi riprese a tempo.

Lo guardai cinerea in volto.

Quando i suoi occhi comprensivi e dispiaciuti incontrarono i miei mi feci coraggio e mi rialzai, cercando di calmarmi.

<< Chris vai pure a giocare con i bambini, io e tua sorella dobbiamo parlare >>.

<< Non se ne parla nemmeno! Tu rimani qui! >> lo richiamai perentoria.

<< Lascialo andare, non gli faranno nulla. Li ho già avvertiti >> mi parlò guardandomi negli occhi.

Non so cosa ci vidi, ma mi convinse a desistere dal mio intento.

Quando dissi a Chris che poteva andare non se lo fece ripetere due volte e corse via.

Sorvolerò sul fatto che il piccolino pensasse che fossero tutti mascherati,e  non morti e streghe vere…

Restammo non so per quanto tempo a guardarci negli occhi poi riprese a camminare, verso un boschetto lì vicino, trascinandomi con lui, sempre mano nella mano.

Non camminammo molto, ma una strana sensazione di benessere e nostalgia mi riempì l’animo, senza saperne il motivo, non appena misi piede nel boschetto.

Ci fermammo solo in prossimità di una quercia antichissima caduta a terra.

Non appena la vidi, il mio cuore inizio a riempirsi di un qualcosa di indefinibile.

Era come se vedessi una cosa a me importante dopo tanto tempo.

Lasciai la sua mano senza pensarci e mi avvicinai verso il tronco che faceva da panchina.

Toccai istintivamente la corteccia dove vi era inciso un classico: un cuore con dentro le iniziale dei due innamorati.

Vi era una J e una M.

Mi girai verso Jack pensandolo rimasto indietro invece era al mio fianco e mi sorrideva un po’ triste.

Lo guardai desideriosa di qualcosa che solo il mio io interiore gli sussurrava muto, lasciando me nell’ignoranza più assoluta.

Una calda lacrima mi bagnò la guancia, poco dopo la raggiunse un'altra.

Imbarazzata per un pianto che non era mio, ma del mio cuore, mi asciugai le lacrime goffamente con le maniche a sbuffo dell’abito.

<< Avevo deciso di portarti qui alla fine della serata, ma non ce l’ho fatta. Voglio che tu ricordi adesso…>> detto ciò si piegò su di me e levandomi le mani dal viso mi baciò, come solo la dolcezza di chi innamorato bacia la fortunata di quel sentimento.

Non appena mi toccò le labbra capii tutto.

Capii il perché non ero scappata da lui quando avevo capito chi era, il perché fossi lì con lui, il perché mi fidassi di lui, il perché non volevo dividermi da lui.

Il perché lo amassi…

Rividi un anno di amore con lui.

Un anno di felicità e completezza, di passione e tenerezza, di dolcezza e amore.

Un anno vissuto al suo fianco, dove avevo imparato ad amare e a ricevere, e a vivere veramente.

Avevo scoperto l’amore  e ne ero stata pienamente travolta.

Poi rividi anche gli anni prima, di come da bambina lo avessi conosciuto casualmente, quando mi ero persa nel bosco, di come l’anno seguente per Halloween lo fossi andata a cercare e lo avessi passato a giocare con lui e che mi raccontava storie dei suo tempi andati. Oppure di quando mi raccontò come era andata veramente a finire la sua storia. Lui che aveva raggirato il diavolo come un calzino facendosi donare molto più dell’immortalità e della pena di vagare sulla terra per sempre. Vidi anche di come tutti gli anni gli correvo in contro il 31 ottobre per andare da lui, e di come alla fine me ne fossi innamorata…e poi il mio primo bacio d’amore con lui, come dimenticarlo, io appena sedicenne che osavo tanto…e da quel giorno, non ci incontrammo più solo il 31 di ottobre, ma tutti i giorni per coronare il nostro bellissimo anno d’amore…

Poi l’incubo.

Un anno d’amore finito perché lui voleva che vivessi con un umano, invece che con un non morto come lui.

Come se avessi potuto dimenticarlo, già io, perché con un ultimo bacio mi aveva racchiuso tutti i miei ricordi in uno scrigno del mio essere.

Sempre vicino al mio cuore, ma sempre così lontano dalla mia mente.

Mascalzone che non era altro.

Per non farmi dubitare del vuoto mi aveva creato ricordi falsi.

Ora si spiega il mio odio per Halloween.

Quando i ricordi finirono di affiorarmi davanti agli occhi, il bacio finì.

Lo guardai senza parole, ma con le lacrime che parlavano per me.

Mi abbracciò d’impulso e io lo ricambiai.

Mi sussurrava di perdonarlo e mi chiedeva una possibilità.

Mi staccai repentinamente da lui e mi asciugai brusca le lacrime.

<< Ti prego, perdonami. Ricominciamo da capo >> mi ripeteva incessantemente.

Lo guardai per un momento con lo sguardo nel vuoto, poi mi ripresi e lo abbracciai io d’impulso questa volta e gli baciai il mento – dove meglio arrivavo – .

Immersi il mio sguardo limpido e chiaro nel suo torbido e scuro.

Quello sguardo valeva più di mille parole.

Sentivo il mio cuore battere talmente forte che pensavo mi sarebbe esploso nel petto, solo per dirlo…

Quell’intensità disarmante dei nostri sguardi e il battito del mio cuore che rimbombava a contatto con il suo…il messaggio era chiaro.

Lui lo capì e mi regalò un sorriso seducente e malizioso da far rivivere un morto – dato che siamo in tema – .

Lo sentii poi sospirare di sollievo e immergere il volto nei miei capelli.

<< Ti voglio con me per sempre, guai a te se riscappi o ne combini un'altra. Sanzione: ti rompo in testa quella stupida rapa che ti sei sempre portato appresso! >> e gli diedi un morsetto leggero sulla guancia.

<< Si può fare…>> detto ciò fece schioccare le dita e una dolce melodia partì.

Non era la solita melodia che si poteva sentire all’opera, no, era il rumore delle fronde degli alberi mossi dal vento, il suono dei fiori cullati dalla danza del vento, e una nenia che sembrava venire dal cuore della terra, ma non scordiamoci del tamburo del mio cuore che batteva per entrambi.

Mi prese tra le sue braccia e ballammo tutto il resto della notte.

Quando il giorno dopo mi svegliai in camera mia nel mio letto, pensai di aver sognato.

Stavo per morire dalla delusione quando mi accorsi dei tagli e le sbucciature sui palmi delle mani.

Fu soltanto per quelle che andai a scuola entusiasta e con il cuore leggero, al pensiero di rivederlo all’uscita della scuola.

Solo verso la fine delle ore scolastiche mi preoccupai, al pensiero della frase con cui mi aveva lasciato la sera prima.

“Sarà il tuo cuore a scegliere per te, e allora capirai se mi rivedrai per l’ultima volta o per continuare da dove ci eravamo fermati”.

Quando uscii da scuola lo cercai subito con gli occhi.

Nei brevi istanti in cui lo cercai mi sentii nuovamente morire dentro, ma durò per poco.

Un ragazzone alto e moro, in comodi vestiti casual da perfetto uomo del XXI secolo, camminava ad agio verso di me.

Gli corsi incontrò e lo salutai come si deve.

<< Riprendiamo da qui, ma per sempre…>> e lo baciai.

Poco dopo si staccò da me e tocco il mio naso con il suo.

<< Tutto quello che vuoi…un bel cambio di programma: sarò di nuovo io il tuo destino! >> e mi baciò << Ti amo…>> e mi ribaciò, ma io mi staccai e corsi in avanti come a sfidarlo.

 << Anche io ti amo, ma se per colpa tua mi fai di nuovo strafogare di gelato al cioccolato per depressione inconsapevole, vedrai le fiamme dell’infermo per mano della mia bilancia! >> detto ciò gli feci la linguaccia e corsi verso di lui, baciandolo sulla guancia, felice di aver trovato quella cosa che ogni giorno cercavo da quando non sapevo di averla persa.

Il mio non morto più adorabile del mondo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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