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Autore: Mizar19    11/12/2009    5 recensioni
Tratto da  una storia vera.
- Devo solo raggiungere la mia stanza, sono solo due metri, no? Solo due metri, già... Lei non avrà nemmeno il tempo di vedermi, Lei non riuscirà a seguirmi, sono solo due metri... -

Se foste da soli in casa, intrappolati nel vostro stesso rifugio, costretti ad un tu per tu con la vostra paura più recondita ed angosciosa, cosa fareste?
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hysteria'
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VEIVE E LA SUA NEMESI

 

- Provo ad indovinare cosa stai facendo? - domandò la ragazza.
- Spara - la esortò l'amica.
Erano al telefono da ormai cinquanta minuti e ancora non si erano stufate.
- Stai leggendo fanfiction -, sapeva che avrebbe fatto centro, era troppo prevedibile.
- Ma brava! Quindi ora stacco, perché la tua voce mi deconcentra, grazie - ridacchiò.
- Simpatia portami via! Va bene, dai... ci sentiamo dopo! -
Chiusero la conversazione.
E mentre una tornava diligentemente ai suoi doveri di studentessa, l'altra si crogiolava davanti al pc, struggendosi per amori impossibili per un'altra ora almeno.
Erano le quattro spaccate quando, spinta dal solito languorino di metà pomeriggio, si alzò dalla sedia, stiracchiandosi e sbadigliando, i capillari degli occhi in mille pezzi.
Spostandosi dal salotto alla cucina, incontrò il suo cagnolino, un dolcissimo yorkshire, che rispondeva al nome di Arnolfo, diminutivo di Arnolfo di Cambio.
- Ciao Arnolfino ino ino! - squittì lei, strapazzandolo per alcuni secondi.
Poi la fame ebbe il sopravvento.
Proprio al culmine della sua estasi orgasmica, con l'indice affondato fino alla terza falange nella Nutella, udì un rantolo familiare.
- Arnolfo! No! -, troppo tardi.
Il piccolo yorkshire sedeva sul tappeto, tutto fiero del suo lavoro e decisamente più sollevato: aveva appena rimesso il pranzo, forse a causa di qualche insetto ingerito come spuntino.
- E ora? - s'interrogò, osservando la piccola montagnetta dal colore indefinito, che conferiva al tappeto del corridoio quel non-so-che di vissuto che avrebbe fatto impazzire sua madre.
- Potrei toglierla... Ma no! Aspetterò i miei -, con la coscienza in pace e lo sguardo fiero della sua decisione, ripercorse i suoi passi, fino alla postazione pc.
Stava per iniziar a scrivere l'ultimo capitolo della sua sofferta fanfiction potteriana, quando un altro rumore familiare giunse alle sue orecchie.
Si guardò attorno, urlando come una posseduta.
Zzzzzzzzzz...Tunc!
Zzzzzzzzzz...Tunc!
Era Lei.
Il mostruoso esserino verde dal fetor di moffetta si stava schiantando ripetutamente contro il vetro della finestra, cercando la libertà.
Subito scattò in piedi e fuggì a gambe levate, non prima di aver afferrato il cordless.
Scavalcò con un agile balzo il vomito di Arnolfo, che ora riposava beato ed ignaro sul suo cuscino, e si chiuse in bagno.
Ridendo come un'isterica, compose il numero della sua amica di prima, fedele alleata.
- Pronto? - che sollievo, una erre familiare!
- Sono io -
- Che succede? Hai litigato con ****? -
- No, peggio! -, la situazione era decisamente più grave.
- Allora ti sei messa con ****! -
- Ma sei fuori? Piantala con le fesserie! E' successa una cosa terribile, non so che fare... - era sull'orlo delle lacrime.
- Dai, scherzavo, scusami. Ma è davvero successo qualcosa di grave? Tua nonna sta bene? -, udendo la voce dell'amica, la ragazza si era subito preoccupata.
- No! C'è una cimice! - strillò.
- Ah... -
- Dov'è finita la tua solidarietà femminile? - grugnì, appollaiata sul bordo della vasca da bagno.
- Cosa devo dirti?! Apri una finestra e dalle qualche colpo con un giornale per farla uscire, mi sembra ovvio -
- Non capisci, sono barricata in bagno! Lei è là fuori che gira indisturbata, se esco potrebbe attaccarmi! -, stava perdendo la calma.
- Non so cosa consigliarti! Se non tiri fuori le chiappe dalla tua trincea, dovrai aspettare che tornino i tuoi, e sai che non saranno a casa prima di tre ore! -
- Bene, allora farò così -, poi chiuse la telefonata.
Ora, con quale svago avrebbe potuto intrattenersi per tre ore in quel bagno?
Nonostante tutta la sua buona volontà, nonostante avesse letto tutte le etichette di tutti i bagnoschiuma, shampoo, creme e lozioni varie, di cui il bagno era invaso, nonostante le avesse recitate a voce alta in tutte le lingue citate, cirillico compreso, nonostante avesse imparato "oli di frutta" in sei lingue diverse, erano trascorsi solo quindici minuti.
- Avrò un attacco di claustrofobia se non esco subito... -
Il pensiero di quella cimice, però, le faceva gelare i globuli rossi nel sangue.
- Devo solo raggiungere la mia stanza, sono solo due metri, no? Solo due metri, già... Lei non avrà nemmeno il tempo di vedermi, Lei non riuscirà a seguirmi, sono solo due metri... -
Prese il toro per la corna, spalancò la porta e, fortunatamente, abbassò lo sguardo verso il tappeto: accanto alla prima chiazza di vomito, ve n'era una seconda di fresca fattura.
Arnolfo era seduto accanto alla sua opera d'arte, pareva sorridere beffardo.
- Cane deficiente... - ringhiò, prima di ricordarsi dell'Infimo Insetto.
Appena udì il suo ronzio, balzò con un urlo nella sua stanza, dove non avrebbe avuto problemi a trascorrere tre ore.
- Tanto ho da studiare... - si rassegnò, poi si posizionò alla scrivania munita di libro di greco, foglio, penna e vocabolario.
Assorta com'era nella sue riflessioni sul participio predicativo, si scordò di chiudere la finestra della sua camera.
Dopo un'ora era a metà versione.
- Come cappero si traduce questo? - borbottò sconsolata, osservando molto da vicino un congiuntivo perfetto perifrastico.
- E' una terza persona singolare... - continuò a decifrare, finché quel conosciuto ronzio bussò ai suoi timpani, minando la sua già traballante stabilità psichica.
- Ah, ah... - ridacchiò già nevrotica, - Sarà quella stupida bestia di prima che... -, non terminò la frase che un altro di quegli insetti demoniaci le cadde sul quaderno.
Fu il pandemonio.
Con un urlo degno di Xena, si rovesciò all'indietro sulla sedia.
Era in trappola e quando lo realizzò, le sue urla raddoppiarono.
Poteva restare nella stanza e affrontare la cimice che ora ronzava sopra al lampadario, oppure avventurarsi nel resto della casa e rischiare di incontrare l'altra cimice.
Optò per il bagno.
Afferrati vocabolario e armamentario vario, si appiattì silenziosamente contro la porta.
Spalancandola con un rapido gesto, si lanciò pancia a terra sul tappeto, iniziando a strisciare tipo Salvate il soldato Ryan, evitando per un pelo di immergere un gomito nel ricordino del suo tenero Arnolfo.
Con un'ultima capriola, la sua schiena si trovò a contatto con le gelide piastrelle del bagno: era in salvo.
Chiuse con un calcio la porta e si mise al lavoro.
Nella successiva ora e mezza, seduta sul copri water con il vocabolario in precario equilibrio sul bordo della vasca, era riuscita a terminare la versione di greco e, giusto per far trascorrere altro tempo, la completò con i paradigmi.
Soddisfatta del suo lavoro, si rese conto di essere nuovamente imprigionata nella sua stessa casa.
- Allora, calma e sangue freddo... io non so dove possano essere le cimici, quindi non mi conviene uscire... d'altro canto non posso restare qui un'altra ora! Ma se esco le cimici mi attaccheranno... -
Dopo parecchi minuti di assorta riflessione, decise che doveva affrontare la sua Nemesi per antonomasia.
Così, dopo essersi sciacquata la faccia, si posizionò di fronte alla porta di legno e vetro smerigliato, come un cowboy davanti alle porte del saloon.
- A noi due... -
E sotto le note di Mezzogiorno di fuoco uscì a testa alta nel corridoio.
Si diede una rapida occhiata attorno: tutto sembrava tranquillo, nessun malefico ronzio a portata d'orecchi.
- Quelle Infime potrebbero essere nascoste... aspettano solo che io faccia un passo falso... -, e proprio in quel momento il ronzio la raggiunse, forte e chiaro.
Le due cimici stavano planando contemporaneamente contro di lei.
Un nuovo urlo scosse il condominio dalle fondamenta. Senza smettere di dare aria alle tonsille, la ragazza scattò in salotto e si aggrappò alla maniglia metallica della porta-finestra, tirando con tutte le sue forze.
La porta si spalancò e una corrente gelida riempì il salone. Come richiamate dal profumo dell'aria di compagna, le due cimici fecero una brusca inversione a U e si lanciarono oltre il balcone, verso l'agognata libertà.
Non poteva crederci. Erano sparite in un colpo solo!
Ancora tremante per lo spavento, iniziò a ridacchiare, poi a canticchiare.
- Po-po-po-poker face... - e mentre sculettava a ritmo, richiuse la porta-finestra, ancora incredula per essere sopravvissuta a quell'esperienza da incubo.
Mai, nemmeno nei suoi sogni più turpi ed oscuri, era stata attaccata da due cimici.
Scostò la tende, giusto per accertarsi che le cimici fossero uscite davvero. Ma, nel toccare la stoffa, avvertì un fremito.
Subito la lasciò andare, balzando all'indietro.
I suoi occhi si posarono su una macchia anomala proprio al centro della tenda: una lucertola.
- Ah! - strillò, nuovamente in preda al panico.
Non poté evitare di indietreggiare rapidamente, ma, così facendo, sbatté il tallone contro la poltrona. Iniziò a saltellare urlando una serie di improperi, che se **** l'avesse udita l'avrebbe segnalata senza indugio alla Santa Inquisizione.
Purtroppo per lei, saltellare in una casa piccola e stipata di mobili, soprammobili e oggetti vari, non era il massimo.
Dopo aver urtato lo stipite della porta ed il comò nel corridoio, precipitò rovinosamente all'indietro, sbattendo il coccige sul tappeto del corridoio.
Inizialmente avvertì solo una fitta dolorosissima attraversarle la colonna vertebrale, poi si rese conto di cosa si frapponeva fra il suo sedere e il tappeto.
Si levò l'ennesimo urlo disumano.
Una chiave girò nella toppa e la figura di sua madre, avvolta in un pesante cappotto, si stagliò sulla soglia. Il suo sorriso, inizialmente gioioso per essere tornata a casa presto per fare una sorpresa alla figlia, si congelò, vedendo la sua unigenita figlia dimenarsi in una pozza di vomito, urlando come una sciamannata.
- Cosa è successo qua dentro?! - strillò la madre. Si sa, il seme non cade lontano dalla pianta.
- Non me lo chiedere... dov'è papà? -, la ragazza continuava a restare seduta nella sua postazione, terrorizzata all'idea di doversi alzare.
- Torna più tardi, perché? -
- Abbiamo un piccolo problema verde... -
- Dove?! - urlò la madre, assettandosi in posizione di combattimento.
- In salotto, sulla tende -
Da dove era caduta, la ragazza riusciva a vedere chiaramente il piccolo segmento verde, immobile nella posizione in cui l'aveva trovato.
- Cara... amore mio... io, ehm... devo andare... devo andare a comprare il pane per cena! Perché non te ne liberi tu? -
- Spero che tu stia scherzando! -, la ragazza tentò di alzarsi, ma un dolore lancinante all'osso sacro la costrinse seduta.
- Ciao amore! A dopo! -
Il tonfo della porta sbattuta.
- Mamma... mamma? Mamma! -

 
****


 

Questa cosa è nata in un momento di totale perdizione e, casomai non fosse stato chiaro, è dedicata alla mia migliore amica Veive, che, in ogni situazione, riesce comunque a mantenere la incredibile verve!
Se ai più interessa, Veive è riuscita a liberarsi di quella lucertola... ma questa è un'altra storia ;)
Chiedo ancora scusa per ciò che ho scritto, a presto
Mizar

 

   
 
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