All I Want For Christmas Is You. _______♥
Fanculo.
Fanculo il 4, fanculo chimica, fanculo tutto.
Esco dalla classe, sbattendo apposta la porta: che mi senta,
quello stronzo!
Le stupide campanelle che abbiamo appeso tintinnano
fastidiosamente.
Odio l’atmosfera natalizia.
Odio questa frenesia nel ricercare “il regalo perfetto”, odio il
fatto di dover rivedere insopportabili membri del parentado, odio il falso
perbenismo natalizio.
Ok, non è giornata.
Ma ne ho due coglioni!
Ho una tristezza addosso che è allucinante, e ‘sti cazzo di Babbi Natale appesi al muro mi fanno girare
ancor di più le palle.
Mi fermo ad una finestra: il vetro appannato richiama la mia
attenzione.
Trenta secondi dopo troneggia, fiera, la scritta “Fuck, Christmas.”: non posso fare a meno di sorridere
compiaciuto.
O forse, più che compiacimento, il mio è schifo.
Schifo perché tutto si ostina a non girare per il verso giusto,
schifo perché mi sembra di essere un deficiente non capito da nessuno, schifo
perché sono io.
Scuoto la testa e guardo fuori: cortile deserto e un cielo che
preannuncia una nevicata da paura.
Uno spiffero gelido mi fa rabbrividire e mi ricorda che non sono
vestito tanto pesante: e mi manca anche l’ombrello, cazzo!
“I don't want a lot for Christmas
There is just one thing I need…”
Aggrotto la fronte, piuttosto perplesso: tipica canzonetta al
passo coi tempi, ma da dove viene questa voce?
“I don't care about the presents
Underneath the Christmas tree…”
Atrio. Macchinette. Mi dirigo rapidamente in corridoio,
scendendo le scale a grandi falcate, noncurante del fatto che, se dovessi
inciampare, m’assicurerei la rottura dell’osso del collo.
“I just want you for my own
More than you could ever know…”
Però, cazzo che voce.
Secondo me va a scuola. E’ troppo brava per essere
un’autodidatta.
“Make my wish come true…
All I want for Christmas is you.”
La vedo armeggiare su una sedia dall’aria piuttosto instabile,
indaffarata nell’appendere biglietti all’albero.
Sorrido: chissà perché, ma da lei accetterei degli stupidi
auguri di Natale.
M’immagino un cartoncino colorato, cosparso di porporina, con
ghirigori d’oro e d’argento, e agrifogli, e cherubini, e alberelli che fanno
capolino.
Rigirarlo tra le mie mani, essere felice perché a donarmelo è stata
Lei.
Ma che cazzo dico?!
Scuoto il capo con vigore, sperando così di scrollarmi di dosso
questa fantasia da perfetto cretino.
-Ottima trovata per perdere tempo, i miei complimenti!-
Cazzo. Non sono stato io, vero?
Si volta, mi vede.
I suoi occhi, che da lontano mi sembrano scuri, mi scrutano
attentamente.
Improvvisamente scoppia a ridacchiare, sembra divertita.
-Ah, mi hai sgamata! Beh, per saltare quella palla di
matematica, questo e ben altro!- si giustifica lei, con una voce cordiale e
squillante, tale e quale l’avevo immaginata.
-E scommetto che avrai detto al prof che andavi ad attaccare
bigliettini festivi all’albero, giusto?- faccio io, con una smorfia ironica.
-Eh certo! S’era pure proposto di darmi una mano, ma non ho
voluto interrompere la sua interessantissima lezione!-
Ci guardiamo nuovamente e iniziamo a ridere. Insieme.
E mi sembra impossibile parlare così, con una persona che non
conosco per niente, che ho incontrato due minuti fa.
Torno improvvisamente serio e decido di non fare più il
coglione, di non disturbarla.
Sto lì, zitto, immobile, gli occhi sulle mie scarpe.
Alzo lo sguardo solo quando le sue risa cessano e mi stupisco
nel vedere che nelle sue iridi eburnee balena improvvisamente un guizzo di… dispiacere?
Perché per una frazione di secondo vi ho scorto stupore, ma ora
c’è spazio solo per l’amarezza.
Ed ora indossa una maschera imperturbabile, un’espressione
asciutta e gelida sul suo viso.
Non voglio che il suo cuore prenda freddo.
Dio, quanto vorrei spezzare questo silenzio insopportabile!
Ma, come al solito, sono un coglione.
E la Paura prende il sopravvento su di me.
Lei allora si volta e torna all’opera: risale un po’ titubante
sulla seggiola e, scostando con aria attenta il filo dorato, cerca degli spazi
per appendere i suoi pensieri.
Si morde il labbro inferiore, alza perplessa un sopracciglio, si
rigira il cartoncino fra le mani.
“I won't ask for much this Christmas
I won't even wish for snow…”
Voce. Per fortuna hai ripreso a cantare. Stavo per morire, qui, davanti
alle macchinette.
Mi torco le mani nervosamente, provo a muovere un passo, ma
niente: la Converse pare incollata al pavimento.
La bocca rimane chiusa, stringendo parole troppo gelate per sciogliersi al Sole.
Sospiro. Non ce la farò mai.
“I'm just gonna keep on
waiting
Underneath the mistletoe…”
E quella cazzo di sedia, che mi spaventa a morte.
Cazzo, scendi!
Traballa in un modo osceno, mentre tu sei lì, in bilico, tra la
voglia di mandarmi a fanculo e il desiderio di
ritrovare la concentrazione oramai andata a farsi benedire.
“'Cuz I just want you here
tonight
Holding on to me so tight…”
Muovo un passo e un altro e un altro ancora, avvicinandomi
sempre di più alla meta agognata.
T’ho visto da quanto? Cinque minuti? E già mi hai rapito.
Wow. Erano secoli che non mi sentivo così.
Troppo, troppo tempo.
E sento già il bisogno di ringraziarti, per avermi destato da
questo mio perenne stato di apatia.
“What more can I do?”
E ti sporgi un po’ troppo e vacilli pericolosamente e la sedia
dondola rapidamente: cazzo.
Cadi senza far rumore, come una foglia d'autunno saluta il proprio
ramo.
***
-Baby, all I want for Christmas is You.- sussurra Lei, con una vocina flebile flebile.
Le
sue dita affusolate stropicciano con vigore la mia camicia a quadri, mentre i
suoi boccoli castani le ricadono dolcemente sulle scapole.
E’
di spalle, quindi non posso vederla in faccia, ma posso percepire chiaramente la
sua Paura.
Le
sue mani su di me, non voglio che le tolga.
E’
bello sentirla così vicina.
Tira
un sospirone di sollievo e si gira a guardarmi.
I
suoi splendidi occhi del color dell’ambra irrompono spavaldi nelle mie iridi
verde-nocciola, facendosi spazio tra tutti i miei pensieri.
Solo
ora mi rendo conto della situazione: siamo abbarbicati l’uno all’altra,
cercando invano un equilibrio che fatica ad arrivare.
Anche
lei finalmente si accorge di come siamo messi e avvampa vertiginosamente, e si
distacca, e guarda altrove, e si passa nervosamente la mano nella chioma bruna.
Io
mi sento le guance in fiamme, e la gola secca, e il cuore che non vuole proprio
saperne di starsene al suo posto.
Cazzo,
cazzo, cazzo.
Non
va bene. Non va per niente bene. Cristo, non è possibile perdere la testa per
una ragazza che ho visto per la prima volta una manciata di minuti fa, di cui
non conosco nemmeno il nome!
Ecco,
il nome.
-G-grazie… Se… Se non ci fossi stato tu, a quest’ora avrei la testa
divisa in cocci!- mormora lei, per rialzare il capo e abbozzare un sorrisetto
timido.
Mi
sciolgo. Chiunque si scioglierebbe, al posto mio!
-Non…
Non c’è di che, figurati! Anzi, temevo di arrivare troppo tardi…-
Addirittura.
Ciò, come siamo temerari!
Lei
si mordicchia il labbro inferiore.
-Per…
Per fortuna che sei rimasto… Non sei andato via… Ci speravo.-
Ci… Ci
sperava?
Metto
su una faccia da completo ebete, con tanto di occhioni
spalancati e mascella schizzata via, volata da qualche parte, sul pavimento.
Forse…
Forse dovrei dire qualcosa?
-Ci… Ci
speravi? Da-davvero?-
Ecco,
bravo, pirla!
Il
mio unico neurone si sta sbattendo vistosamente la mano sulla fronte e lo farei
volentieri anch’io, se solo non avessi davanti a me questa meraviglia.
Fa
una smorfia, la tipica espressione “toh, un coglione!” che conosco fin troppo bene.
Qua
ci vuole un recupero coi fiocchi!
Mi
avvicino lesto, le mani in tasca, un’espressione semiseria sul viso.
-No, volevo
dire: sono felice, perché è la stessa cosa che stavo desiderando anch’io.-
Ed
è fantastico vedere il tuo sorriso nascere e splendere radioso.
-Comunque
mi chiamo Giulio.- continuo, tendendole la mano.
La
fissa un attimo, poi la stringe, calorosa.
-Io
Sara, piacere.-
Sara.
Sara. Sara.
Stupendo
nome, stupenda Lei, stupendo tutto.
E
mi perdo nuovamente nel suo sguardo limpido, pulito, sincero, nei suoi grandi
specchi.
Ho
una voglia pazza di prenderla per mano, sfiorarla nuovamente.
Ma
sì, io mi butto.
-Sara,
Sara! Si può sapere dove cazzo eri finita?-
Ci
voltiamo rapidi: una ragazza dai lunghi capelli mossi e gli occhiali turchesi
ha la faccia sconvolta e urla come una pazza.
-Tempismo
perfetto!- mugugno a denti stretti.
Lei
mi rivolge un sorrisetto divertito e le risponde di andarsene, che l’avrebbe
raggiunta subito.
-A
quanto pare ci dobbiamo salutare, Giulio.- mi dice lei, malinconica, marcando
volutamente il mio nome.
Annuisco,
sforzandomi di risponderle con un sorriso, anche se è dura farcela.
In
un attimo mi ritrovo le sue labbra morbide sulle mie.
Incredulo,
strabuzzo gli occhi.
La
sento sorridere e, quando si scosta, ne ho la certezza.
-Arriverà
anche il nostro tempo.- le dico, prendendola per mano.
Colta
alla sprovvista, sussulta e torna indietro per incatenarsi tra le mie braccia,
in un tenero abbraccio.
Il
suo respiro sul mio collo. Mi dà i brividi.
Resta
solo il suo profumo e l’ombra dei suoi boccoli castani e il segno indelebile
che le sue perle d’ambra hanno lasciato su di me.
“Santa won't you bring me
The one I really need…
Won't you please bring my baby to me quickly?”
Ed
ecco come una giornata di merda si può trasformare in una meravigliosa giornata
viva e preziosa.
Tutto
grazie ad una stupida canzonetta di Natale.