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Autore: RobyLupin    12/12/2009    1 recensioni
[HavocRebecca; RoyAi]
Rebecca spalancò gli occhi, comprendendo improvvisamente che, senza nemmeno che se ne accorgesse, Riza era scivolata in direzione di Roy molto più di quanto avesse immaginato. In quel momento la sentì così inaspettatamente lontana che dovette trattenere a forza le lacrime. Mentre un silenzio attonito e pesante scendeva tra loro, odiò quel Mustang che si era insinuato a forza nelle loro vite come non mai.
Terza classificata nella classifica singola e prima classificata nella classifica a squadre al "Contest a Multisquadre" indetto da Rota23 e Happy_Pumpkin
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Jean Havoc, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: RobyLupin
Titolo:
Childhood Memories     
Fandom/Squadra:
Fullmetal Alchemist
Tema:
Perdita
Genere
: Triste, Malinconico
Rating:
Verde
Avvertimenti:
What If

Trama: Rebecca spalancò gli occhi, comprendendo improvvisamente che, senza nemmeno che se ne accorgesse, Riza era scivolata in direzione di Roy molto più di quanto avesse immaginato. In quel momento la sentì così inaspettatamente lontana che dovette trattenere a forza le lacrime. Mentre un silenzio attonito e pesante scendeva tra loro, odiò quel Mustang che si era insinuato a forza nelle loro vite come non mai.
Note autore:
Nel manga si dice poco dell’infanzia di Riza, e proprio nulla di quella di Rebecca; io ho voluto provare ad immaginarmele amiche d’infanzia. Eccovi spiegato il ‘What if’.

Altre note a fine storia.

 

 

 

A Liz, la mia FMAPedia personale (e affittabile, concordando un prezzo), come regalo per aver passato l’Esame (maiuscolo, sì): so che non è granché ma vedi di accontentarti tesoro, ok? XD

 

 

 

Childhood Memories

 

Una tredicenne Rebecca si strinse meglio nel cappotto, nascondendo per bene il viso con la sciarpa. Ringraziò il cielo di aver trovato in casa degli stivali impermeabili, quella mattina: uscire dopo la peggiore nevicata dell’ultimo decennio – che fosse anche l’unica era un dettaglio irrilevante – senza quelli sarebbe stata un’impresa impossibile, a meno che non si desiderasse l’ipotermia. Decisamente, Rebecca non amava la neve. Alzò gli occhi, osservando il cielo ormai terso e sperando che lo rimanesse ancora a lungo. O, perlomeno, fino a sera.

Si fermò a prendere fiato e gettò un’occhiata in cima alla collina che stava salendo, individuando subito lo steccato su cui l’altra ragazzina, probabilmente sua coetanea, la stava aspettando voltata di spalle. Sorrise: con quel tempaccio aveva temuto che credesse non sarebbe venuta, e che quindi non si sarebbe presentata al loro appuntamento; fu contenta di non aver affrontato il freddo per nulla.

Fece un respiro profondo e si mise a correre, cercando di produrre meno rumore possibile con i suoi passi sulla neve. Invano, ovviamente: l’altra ragazzina irrigidì la schiena, in palese ascolto, e si girò appena in tempo per riuscire a scorgere Rebecca che le si lanciava addosso, abbracciandola stretta per la vita. Finirono entrambe nella neve alta, ridendo.

“Riza!” Urlò entusiasta, sfoderando un sorriso enorme a due centimetri dal volto dell’altra. “Buon compleanno!”

Lei rise, ricambiando l’abbraccio con forza.

“Grazie, Rebecca.”

La ragazzina ridacchiò a sua volta, facendo forza sulle braccia per potersi rialzare; allungò una mano e l’altra l’afferrò, tirandosi su. Si levarono la neve di dosso, quindi Riza si issò sullo steccato, iniziando a dondolare le gambe e sistemandosi meglio il berretto sulla testa. L’amica intanto le si mise di fronte, le guance e il naso rossi come pomodori e le mani che frugavano nella tasca sinistra. Riza la fissò incuriosita, inclinando la testa di lato; pochi secondi dopo, gli occhi di Rebecca si illuminarono e tornarono a fissarsi sull’altra che sbatté le palpebre, confusa: d’accordo, da che la conosceva era sempre stata un po’ strana – tanto strana, in effetti – ma in quel momento lo era persino più del solito; non seppe se preoccuparsi o inquietarsi direttamente. Sobbalzò lievemente quando un pacchetto le finì a tradimento a pochi millimetri dal naso. Guardò Rebecca, dubbiosa.

“E questo sarebbe… ?”

L’altra sbuffò, esasperata.

“È il tuo compleanno, Riza. Cosa vuoi che sia, una bomba?”

“Data la tua concezione poco ortodossa della ‘normalità’, potrebbe essere.” Commentò, studiando dubbiosa il pacco.

“Malfidata.”

“Realista.”

“Insomma, lo apri o no?”

Con circospezione, Riza levò il nastro e quindi sollevò la carta regalo; s’illuminò a sua volta alla vista della copia relegata di ‘Cinque Vite’.

“Grazie, Becky.” Mormorò, sorridendole, per poi aprire incuriosita il libro e scorrerne la trama. Rebecca ricambiò il sorriso, soddisfatta, infilando nuovamente le mani nelle tasche.

In pochi sapevano che Riza Hawkeye amasse i romanzi rosa. D’altronde, in pochi potevano dire di conoscerla abbastanza da potersi definire suoi amici; Rebecca era una di loro.

Si conoscevano fin da bambine: le loro madri erano amiche dai tempi della scuola e avevano continuato a frequentarsi anche da dopo sposate. La madre di Rebecca amava ricordare quei tempi, prima che l’amica morisse per una malattia improvvisa quando le bambine non avevano nemmeno sei anni. Lei non ricordava pressoché nulla della donna, ma aveva visto una delle fotografie che l’amica conservava gelosamente in un cassetto della sua scrivania, salvate per pura fortuna dal falò che il padre ne aveva fatto dopo la sua scomparsa. Quando la piccola Rebecca l’aveva saputo e aveva chiesto a sua madre il motivo, lei aveva sospirato, dicendo che, probabilmente, la loro vista era troppo dolorosa per l’uomo.

Fino a un paio d’anni prima era stata l’unica a cui Riza avesse mostrato il suo segreto, e Rebecca era segretamente orgogliosa di essere riuscita a meritare tanta fiducia. Questo, almeno finché non era comparso lui.

Scosse la testa, scacciando quel pensiero molesto dalla mente, e osservò soddisfatta Riza che sfogliava il suo regalo. Fu allora che notò un luccichio provenire dal lembo visibile dell’orecchio destro.

“Riza, ti sei fatta i buchi alle orecchie?”

Quella si riscosse, portando la mano al lobo.

“Mh-mh.”

“Credevo che tuo padre non volesse.”

Riza sistemò meccanicamente il berretto di lana e fece spallucce.

“Gli orecchini sono un regalo, mi pareva brutto non indossarli.”

Rebecca non dovette chiedere chi fosse stato a farlo: come già detto, Riza era una ragazzina piuttosto chiusa, ed erano in pochi quelli che potevano definirsi suoi amici. E contando che lei non era stata, per esclusione dedusse che a farle il regalo doveva essere stato quel Mustang. Strinse istintivamente i pugni mentre il pensiero correva veloce al ragazzo: non lo aveva mai potuto sopportare.

Ricordava ancora quando giunse al loro paese, chiedendo di essere ricevuto dal signor Hawkeye e di diventare suo apprendista. Era stata Riza ad aprirgli la porta, ma l’amica era subito dietro di lei; era un periodo in cui Rebecca era tormentata da una brutta sensazione e si staccava dall’altra solo quando, la sera, sua madre la riportava a casa di peso. Le bastò un’occhiata a quel ragazzino dai capelli neri e l’aria strafottente per comprendere di aver davanti la causa della sua ansia; lo odiò dal primo istante in cui lo vide, senza possibilità di appello. Per questo fu segretamente felice quando espose la sua richiesta e Riza, cercando di trovare le parole adatte, gli spiegò che suo padre non prendeva apprendisti per nessuna ragione. Il sorriso interiore di Rebecca sparì in fretta quando il ragazzino – che, scoprì, si chiamava Roy – ghignò con fare saputo, proclamando come se si fosse trovato dinnanzi ad una platea che non se ne sarebbe certo andato così facilmente, e che si sarebbe addirittura accampato davanti alla loro casa finché non fosse stato preso come allievo. Non era il primo a dirlo, e Rebecca fu fin troppo generosa: gli concesse tre giorni al massimo prima di tornarsene a casa con la coda tra le gambe. Quattro, se il tempo restava buono. Inaspettatamente, però, per tutta la settimana successiva e metà di quella dopo, ogni volta che andava da Riza trovava il ragazzo seduto rigidamente contro la facciata della casa, ogni giorno più sporco e pallido del precedente.

“È proprio un dannato testardo.” Disse un giorno all’amica, mentre pelavano delle patate per cena. “Tuo padre non lo prenderà mai con sé; dovrebbe andarsene e basta.”

“Io non lo chiamerei ‘testardo’, Becky.”

“Ah no? E come?”

Riza si fermò, riflettendo qualche secondo.

“Direi che ‘determinato’ rende meglio.”

Rebecca storse il naso, guardandola come se non avesse mai sentito un’eresia peggiore.

“Tanto se ne andrà entro pochi giorni.” Ribadì.

“Non credo, sai? Secondo me potrebbe riuscire a rimanere.”

“Non dire sciocchezze, Riza. Se non fosse per il cibo che gli passi di nascosto da tuo padre, l’avrebbe già fatto.”

Riza arrossì appena, colta in fallo, ma non aggiunse altro e lei fece altrettanto. Tanto, rifletté, entro poco le cose sarebbero tornate alla normalità, e il ragazzino sarebbe sparito. Sicuramente.

E quando, pochi giorni dopo, arrivò a casa Hawkeye e non lo trovò al solito posto, ghignò soddisfatta, capendo di aver avuto ragione, alla fine. Si sentì improvvisamente in pace col mondo, come se l’ansia che l’attanagliava fino alla sera precedente fosse scomparsa del tutto. Un vero peccato che la sensazione di benessere durò ben poco. Le bastò infatti mettere piede in casa e gettare un’occhiata di sfuggita sulle scale per vederlo salire al piano superiore, subito dietro l’alchimista. Mentre svoltava l’angolo, diretto probabilmente verso lo studio del vecchio, Rebecca fu quasi certa di vederlo ghignare con singolare soddisfazione. Non le ci volle molto per capire che aveva ottenuto quello che voleva, alla faccia dei suoi pronostici. Per la prima volta da quando la madre di Riza era morta e si era chiuso nei suoi studi a discapito del rapporto con sua figlia, si sentì tradita dal vecchio Hawkeye.

Da quel momento, la presenza di Roy Mustang nella sua vita divenne pressoché costante. Per quanto cercasse di ignorarlo, il ragazzino spuntava sempre puntualmente, intromettendosi in qualunque cose lei e l’amica stessero facendo, come se la freddezza che ogni volta gli dimostrava non lo riguardasse. Manteneva sempre, anzi, un tono molto educato e gentile quando parlava con lei, cosa che la faceva uscire dai gangheri; certo, avrebbe preferito morire che ammetterlo ad alta voce, ma questo era un dettaglio irrilevante. Lo era forse meno il motivo principale che l’aveva convinta a non sbandierare ai quattro venti l’odio che nutriva per il giovane Mustang, ovvero Riza. L’amica, solitamente così chiusa e riservata, sviluppò ben presto una sorta di affezione per l’apprendista di suo padre; certo, il fatto che lo avesse aiutato appena arrivato era stato un buon indizio in questa direzione, ma Rebecca non poteva fare a meno di storcere il naso ogni volta che ci pensava. Non capiva cosa ci trovasse di tanto interessante in quel ragazzino troppo alto e dall’ego evidentemente smisurato; non le bastava forse lei come amica? A che scopo includere tra loro quello che era, a tutti gli effetti, un estraneo? Rebecca se lo era chiesto più volte nel corso di quei due lunghi, snervanti anni in cui aveva sentito distintamente l’amica scivolare lentamente lontano da lei, verso quel Mustang che tanto non sopportava, ma ancora non aveva trovato una risposta soddisfacente.

“Tuo padre si arrabbierà lo stesso quando li vedrà.” Borbottò, senza riuscire ad evitare un tono lievemente acido. Niente guerra aperta per Riza, d’accordo, ma a volte la lingua era dura da tenere a freno.

L’altra fece spallucce, osservandosi i piedi con interesse.

“Non credo li noterà.” Passarono qualche secondo in silenzio. “Roy se n’è andato.”

Rebecca sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa.

“Come? E lo studio alchemico? Ha già concluso?”

L’altra sospirò appena, mordendosi il labbro inferiore.

“No, a dire il vero. Ci sono cose che mio padre non ha ancora condiviso con lui, ma Roy diceva di non poter più aspettare, di volersi arruolare per diventare Alchimista di Stato e aiutare la gente di Amestris.”

“E tuo padre è stato d’accordo?”

L’altra scosse la testa.

“Sai come la pensa sui militari. Hanno litigato continuamente per settimane per questo motivo.”

“E l’ha fatto comunque?” Chiese, scegliendo di ignorare che, fino a due anni prima, Riza non le avrebbe mai nascosto nulla dell’atmosfera belligerante vigente in casa Hawkeye nelle ultime settimane. A che pro considerarlo, in fondo? Avrebbe solo fatto male, e non era il momento per auto compatirsi.

L’amica, intanto, annuì.

“È partito stamattina presto, dopo avermi dato il regalo.”

Scese un nuovo silenzio, decisamente più denso del precedente. La sorpresa iniziale di Rebecca stava lentamente scemando per lasciare spazio ad una consapevolezza ben precisa: Roy se ne era andato. All’improvviso capì che le cose stavano iniziando a girare nel modo giusto per la prima volta in due anni: andatosene il problema, la vita sarebbe potuta tornare esattamente com’era prima che arrivasse. Avrebbe riavuto la sua migliore amica. Certo, all’inizio sarebbe stata triste e avrebbe dovuto starle più vicino del solito, ma presto l’avrebbe sicuramente superato. Posto questo, dovette trattenersi per non mettersi ad urlare dalla gioia. Invece fissò lo sguardo nella neve, cercando le parole giuste da dire a Riza.

“Ma non sarà per sempre, no? Voglio dire, probabilmente si arruolerà qui nell’Est, e il Quartier Generale della regione non è molto distante da qui. Lo rivedrai.” Non era esattamente così e lo sapeva, ma non voleva aggiungere ulteriore ansia a quella dell’amica.

“Ci rivedremo sicuramente.”

Rebecca si voltò verso di lei, attirata dal tono senza esitazioni che aveva usato. Riza guardava dritta davanti a sé con sguardo deciso, ed era palese che non aveva dubbi riguardo a quanto aveva detto. Era come se una testardaggine che non aveva mai mostrato fosse uscita fuori all’improvviso.

“Io non lo chiamerei ‘testardo’, Becky.”

“Ah no? E come?”

“Direi che ‘determinato’ rende meglio.”

Rebecca spalancò gli occhi, comprendendo improvvisamente che, senza nemmeno che se ne accorgesse, Riza era scivolata in direzione di Roy molto più di quanto avesse immaginato. In quel momento la sentì così inaspettatamente lontana che dovette trattenere a forza le lacrime. Mentre un silenzio attonito e pesante scendeva tra loro, odiò quel Mustang che si era insinuato a forza nelle loro vite come non mai.

 

“Rebecca? Rebecca!”

La donna sbatté gli occhi un paio di volte, abbassandoli poi su Jean, che la osservava pensieroso.

“Sì?”

“Ti chiedevo di stare più attenta alle buche, dato che non ne hai mancata una, fino ad ora.” Ripeté, indicando con un cenno la strada sterrata che stavano percorrendo. Lei gettò un’occhiata fuori dall’abitacolo della loro auto, come rendendosi conto solo in quel momento dove fosse.

“Oh.”

“Già. E, se per te non è un eccessivo problema, ti pregherei anche di evitare di spaziare con la mente mentre stai guidando. Starò anche su una sedia a rotelle, ma gradirei continuare a mantenere intatto il mio corpo, per quanto possibile. E, detto tra noi, un incidente d’auto non aiuta molto, in questo senso.”

“Hai ragione, scusa.” Mormorò, concentrandosi nuovamente sulla guida. “Mi sono lasciata prendere dai ricordi.”

Jean sorrise.

“È da molto che non torni qui?”

“Non in questo giorno.” Rispose. “L’ultima volta è stato qualche anno prima che io e Riza ci arruolassimo. È come riprendere una vecchia tradizione.”

Non aggiunse che, dopo i loro tredici anni, quel giorno aveva assunto significati differenti, che non le mettevano nelle condizioni di spirito per festeggiarlo a dovere. E se per Riza il suo compleanno era ormai anche l’anniversario della partenza di Roy, Rebecca non poteva fare a meno di considerarlo il giorno in cui si era resa conto che qualcosa si era spezzato irrimediabilmente tra loro, e che niente sarebbe stato più lo stesso. A ripensarci ora che erano passati più di vent’anni ed erano sopravvissuti tutti per miracolo agli Homunculus, quasi se ne vergognava. Ma con gli anni era giunta alla conclusione che, quando si è una tredicenne e si è vissuti in simbiosi con un’altra persona per quasi tutta la vita, anche i cambiamenti più normali possono generare crisi enormi. Le ci erano voluti alcuni anni per rendersene pienamente conto, ma alla fine ci era riuscita. E quando, dopo essere stata spedita ad Ishbar con le altre reclute, Riza le aveva raccontato di aver rivisto Roy sul campo, si era quasi sorpresa da come non conservasse il minimo risentimento verso di lui. Forse era proprio vero che il tempo cambiava tutto. O quasi, perché era stata quasi certa di aver notato un lieve, quasi impercettibile brillio negli occhi di Riza mentre ne parlava. Alla faccia dell’odio che covava da ragazzina, Rebecca fu sinceramente contenta che ci fosse un’unica, minuscola cosa che potesse rendere quella guerra meno distruttiva per Riza, e che quella cosa fosse Roy Mustang. Decisamente, la vita sapeva essere ironica quando voleva.

Fermò la macchina poco distante dalla casa, quindi aiutò Jean a sedersi sulla sedia a rotelle e lo spinse verso l’entrata della vecchia casa Hawkeye, ignorandolo completamente quando protestò che poteva benissimo farcela da solo.

“Quanto baccano fai, Havoc!” Sbottò Roy fermandosi sulla soglia e poggiandosi allo stipite con un’aria sarcastica in volto. “Davvero, sembri un bambino. Sicuro di essere stato nell’esercito, un tempo?”

Jean storse la bocca.

“Senta chi parla. Devo forse ricordarle le sue scenate per non lavorare?”

“Per l’amor del cielo, Havoc, evita il Lei. Non siamo più nell’esercito.” Sbuffò Roy, vagamente rassegnato. L’altro alzò le spalle.

“La forza della consuetudine; dopo tanti anni, è difficile perdere le vecchie abitudini.” Si giustificò.

“Mai che l’abitudine ti faccia chiamare il sottoscritto Comandante Supremo, eh.”

“Quello lo è stato per poco.”

“Per scelta, ci terrei a sottolineare.”

“Scelta opinabile, per inciso. Dopo tutto il lavoraccio fatto per ottenere quella carica…”

Rebecca sbuffò appena mentre Jean iniziava una lunga, ripetitiva tiritera sull’argomento. Sapeva che era più scena che altro, e che era incredibilmente fiero di aver servito sotto Mustang durante la sua scalata verso la vetta dell’esercito.

“Riza?” chiese infine, mettendo fine al discorso che il compagno stava facendo; Roy sorrise, indicando con un cenno il lato della casa. Rebecca annuì. “Allora, questo è tutto tuo.” Annunciò, girando la sedia in modo che Roy potesse afferrare le maniglie e prendere in consegna Jean. Quindi si chinò sull’uomo e, ignorando la sua espressione scioccata, gli infilò una sigaretta in bocca e gli sprimacciò una guancia. “Io torno presto; tu divertiti con Roy, d’accordo?”

“Oh, non temere, Rebecca. Sono certo che io e Maes gli terremo compagnia a dovere. Sai, ha imparato nuove cose in campo alchemico, e non vede l’ora di mostrarle allo zio Jean. Soprattutto il modo per trasmutare una corda per giocare agli indiani.”

“Ma… Ma…” Ora il poveretto era il ritratto del tradimento.

“Benissimo, allora. A dopo!” salutò, incamminandosi. Parte di lei si sentì quasi in colpa per aver ignorato la palese richiesta d’aiuto di Jean, ma non se ne preoccupò più di tanto: in fondo, Maes aveva solo cinque anni, e dubitava che riuscisse a fare troppi danni nel tempo in cui li avrebbe lasciati soli. Diverso il discorso per Roy, che volendo sapeva dimostrarsi più infantile del figlio, ma Rebecca contava sul fatto che, quasi certamente, non avrebbe voluto rovinare il compleanno di sua moglie con una bambinata particolarmente pericolosa. Forse.

Costeggiò la casa fino ad essere in vista dello steccato: Riza vi si era seduta sopra e osservava assorta i piedi penzoloni, aspettandola; le si avvicinò lentamente. Era solo a pochi metri quando la donna alzò gli occhi e la vide arrivare. Sorrise mentre Rebecca le si fermava davanti e le tendeva un pacchetto. Improvvisamente, gli anni trascorsi parvero scomparire, e a Rebecca sembrò di essere tornata una ragazzina che aveva camminato nella neve alta per andare a festeggiare il compleanno della sua migliore amica. Sorrise a sua volta.

“Buon compleanno, Riza.”

 

 

 

 

 

Note dell’Autore:

-          ‘Cinque Vite’ è un romanzo realmente esistente di Sala Sharon edito da Harmony, che ho trovato tramite Google – sempre sia lodato – cercando titoli tipici di romanzi rosa per averne un’idea, non essendo io appassionata al genere; ho pensato fosse carino usarne uno realmente esistente, ma è ovvio che non è lo stesso libro. Comunque, a chi interessasse, qui la trama: http://www.eharmony.it/Romanzi/I-Nuovi-Bestsellers-Special/CINQUE-VITE

-          ‘Becky’ è il nomignolo con cui  il Generale Grumman chiama Rebecca, almeno nella versione inglese (se in quella italiana non fosse così, chiedo venia, ma ho solo i primi sedici volumi per ora); dato che le due sono ragazzine, qui, ho pensato che un nomignolo ci potesse stare.

 

Giudizio delle Giudici:

-          Commento di Rota23

*Titolo: Childhood Memories
*Autore: RobyLupin
-Grammatica, lessico e stile 9,5/10
-Caratterizzazione personaggi 9/10
-Attinenza alla trama scelta 14/15
-Originalità 9/10
-Giudizio personale 3,5/5
TOT: 45/50


FF molto bella, particolarmente apprezzata dalla sottoscritta.
Per quanto concerne la grammatica e il lessico, non ho nulla da farti notare, in quanto non ho effettivamente riscontrato nulla di errato. Lo stile è fluido e scorrevole, la narrazione non vede intoppi in nessuno dei suoi punti, scivola leggera alla lettura. Un buonissima cosa.
La caratterizzazione dei personaggi è davvero buona. Mi è piaciuta la tua Rebecca in particolare, la cui psicologia è presa in esame con cura davvero notevole, per tutta la durata dell’opera. Anche Riza, sebbene risulti un personaggio secondario all’interno della ff, è davvero ben riuscita per me.
Il senso di perdita della tua protagonista, la rabbia e la tristezza che lei prova a causa della lontananza che sente irrimediabilmente esserci tra lei e l’amica viene percepito in modo particolare dal lettore. Risulta chiarissimo alla lettura. Per questo motivo l’attinenza ha un punteggio alto.
L’originalità è molto buona, in quanto proprio il personaggio di Rebecca è molto ben caratterizzato; per cui quello che potrebbe risultare un “banale” rapporto d’amicizia con la signora Riza risulta molto piacevole e di spessore.

 

-          Commento di Happy_Pumpkin

-Grammatica, lessico e stile: 7,5
-Caratterizzazione personaggi: 8,5
-Attinenza alla trama scelta: 15
-Originalità: 9
-Giudizio personale: 5

Totale: 45/50

Hai proposto un what if davvero interessante, oltre che suggestivo, perché va a parlare dell'adolescenza non solo di Riza Hawkeye ma in particolar modo di Rebecca. Non è così improbabile pensare che le due da giovani abbiano trascorso la vita insieme e poi, con l'arrivo di Mustang intento a studiare presso il padre di Riza, qualcosa possa essersi in qualche modo spezzato tra di loro.
Molto bello e introspettivo è il percorso psicologico di Rebecca, la quale suo malgrado si sente quasi tradita dall'amica e prova un senso di odio nei confronti di Roy che, seppure inconsapevolmente, ha contribuito ad allontanarle.
Risulta calzante il finale, durante il quale un ciclo di narrazione si chiude: presenti un futuro ipotetico e una scena famigliare davvero armoniosa, utile per spaziare sulle riflessioni di una Rebecca ormai cresciuta che comprende a fondo ciò che ha implicato la presenza di Roy e quella che è l'amicizia con Riza.
Particolare merito va ai dialoghi: rendono particolarmente bene l'interazione tra i personaggi e il loro carattere. Roy che scherza con Havoc; le parole che in più occasioni vengono scambiate tra Riza e Rebecca. Ogni comportamento appare dunque assolutamente naturale e in linea con i caratteri originari, dando un senso di freschezza all'intera narrazione.
Unica perplessità riguarda il personaggio di Rebecca, la quale nelle poche apparizioni del manga è stata presentata come una formidabile combattente, desiderosa di trovare un uomo e con nessun accenno a un'eventuale gelosia o eccessivo attaccamento nei confronti dell'amica Riza – per quanto quest'ultima si confidi con lei. Mi è sembrato in sostanza un personaggio troppo tormentato ma questa è un'opinione puramente personale, visto che Rebecca è apparsa poco e le impressioni sul suo carattere – che io vedo più euforico e frizzante – sono puramente dettate dalla soggettività.
Per questo ritengo che tu abbia in ogni caso offerto una splendida caratterizzazione dei personaggi.
L'appunto maggiore che mi sento di farti riguarda lo stile. Sarebbe molto buono se non fosse che in più occasioni le frasi sono sistemate in una maniera tale da rendere difficile la lettura.
Per questo sarebbe opportuno che ricontrollassi la costruzione di determinati periodi, come ad esempio, nella frase relativa al regalo di Riza: “Rebecca non dovette chiedere chi fosse stato a farlo: come già detto, Riza era una ragazzina piuttosto chiusa, ed erano in pochi quelli che potevano definirsi suoi amici. E contando che lei non era stata, per esclusione dedusse che a farle il regalo doveva essere stato quel Mustang”
La continua ripetizione del verbo stare, sommata alla resa piuttosto semplicistica dell'intero periodo, rende più inceppata la lettura.
Nel corso della storia più volte si notano simili casi, dunque basterebbe lavorarci un po' sopra per riuscire a rendere ancora meglio uno stile che di per sé promette tanto, escluse le sbavature di cui ti ho appunto fatto menzione.
Lo stesso dicasi per la grammatica, nell'insieme molto buona, ma che presenta alcune imperfezioni date da rari errori di battitura (ad esempio, stivali impermeabile) e diverse ripetizioni che con una rilettura possono essere facilmente evitate.
Molto particolare è la trattazione del tema della perdita, qui intesa come la perdita di un'amicizia, l'allontanamento di una persona cara dalla propria vita; si tratta per Rebecca di una perdita non drastica, quasi graduale, che però comporta una rottura pressoché inevitabile. E' interessante vedere le riflessioni tratte una volta adulta, i suoi ripensamenti riguardo Roy e quel simbolico ritorno al passato, per quanto ormai tante cose siano cambiate.
In conclusione un what if originale, in grado di spaziare sul significato di un'amicizia e su ciò che comporta il distaccarsi da una persona, il tutto senza conclusioni scontate, al contrario, ricche di spunti interessanti.

 

 

Concludo ringraziando le due giudici e tutti gli altri partecipanti del contest, in particolar modo Hotaru e Shatzy, le mie compagne di squadra: partecipare con voi è stato un piacere e un onore, ragazze. Complimenti vivissimi per i vostri risultati. ^^

 

Ora vi saluto; grazie in anticipo a chiunque leggerà e commenterà. ^^

Besos x3

 

  
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