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Autore: Atlantislux    23/12/2009    6 recensioni
Tutto ha un prezzo a questo mondo. Soprattutto la pace. Loro l'hanno dimenticato.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
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Note

Ed ecco qua il seguito della mia precedente fanfiction “Irreparabile”. Un po’ come è stata “Earth” per “Versus” potete considerare quella storia come il prologo di questa, nella quale i nostri amati personaggi di Gundam SEED faranno un gradito ritorno e vivranno una nuova avventura. Purtroppo, per capire esattamente come certi personaggi saltino fuori qui, la lettura di “Irreparabile” è necessaria.

Ringrazio Shainareth per il betaggio, e Silvia per le chiacchiere che hanno generato questo mostro. ;)

Buona lettura!



___________________________



Coincidenze



Orb, 16 marzo, C.E. 82


Se qualcuno a sedici anni le avesse detto che si sarebbe ridotta così, Cagalli Yula Athha non ci avrebbe creduto e lo avrebbe preso a schiaffi. Adesso, undici anni, un marito e due splendide bambine dopo, Cagalli sentiva che il destino le aveva tolto ma anche concesso tantissimo, una vita e una famiglia di cui lei non poteva che essere felice, anche se, a volte…

“Ci vogliamo sbrigare? Siamo in ritardassimo!” ululò al marito, sparito dalla circolazione da qualche minuto, mentre lei stava finendo di vestirsi.

“Arrivo, arrivo…” le rispose lui dalla stanza accanto, e il suo tono noncurante fece alzare gli occhi della Delegata verso Myrna, la sua ex-nutrice diventata la governante della loro ampia magione.

La pratica donna sibilò un lapidario ‘uomini…’, mentre le allungava le scarpe.

A volte, Cagalli non riusciva a non darle ragione.

Si sbirciò allo specchio mentre gli sfilava velocemente davanti, annuendo alla scelta di abiti che aveva selezionato per l’occasione. La gravidanza non le aveva rovinato la figura longilinea, e il semplice tailleur grigio scuro nascondeva efficacemente quei pochi chili in più che ancora doveva smaltire. Athrun l’avrebbe invece accompagnata in uniforme. Cagalli gli invidiava la fortuna di non dover mai combattere contro il guardaroba.

Si affacciò alla porta e, come aveva previsto, lo trovò accoccolato sul tappeto, intento a giocare con le figlie.

“Athrun, faremo tardi” gli ripeté. “Guarda che non spariscono se le lasci per un paio d’ore.”

Lui nemmeno si voltò a guardarla, troppo intento a sventolare in faccia a una delle due gemelle il suo sonaglino preferito.

“Eh, tu non capisci come mi sento. Stanno sempre con te, mentre io sono perennemente all’estero, quante settimane della loro vita mi sono già perso?”

A Cagalli venne da ridere. Quante volte aveva già sentito quelle lamentele? Scambiò un’occhiata sconsolata con Miko, l’inappuntabile nutrice giapponese delle bambine, che le rispose con una leggera alzata di spalle. Cagalli fu certa che se avesse aperto bocca avrebbe detto la stessa cosa di Myrna.
“Guarda che sei tu che hai insistito perché ti dessimo quel compito, visto che volevi renderti utile a tutti i costi e vedere la Terra” disse al marito che, finalmente, si alzò e la raggiunse.

“Lo so. È che mi si spezza il cuore tutte le volte che le lascio…”

“Melodrammatico!” lo rimproverò Cagalli, ridendo mentre gli passava accanto. La giovane, dopo aver salutato le figlie con un bacio, diede qualche veloce ordine alla loro governante, per poi tornare verso di lui e prenderlo sottobraccio.

“Andiamo, dai. Siete tutti uguali. Prontissimi a giocare con i figli ma guai a voi se vi si chiede di cambiare un pannolino.”

Athrun arrossì. “E perché dovrei, c’è Miko per quello, no?”

La moglie sogghignò; non si era aspettata una risposta diversa.



Una volta in auto Cagalli aprì la cartelletta che la sua segretaria personale le aveva allungato prima di salire.

Diede una scorsa al documento lì contenuto, poi appoggiò un dito sul pulsante che azionava il separé tra i sedili posteriori della limousine e l’autista. Era un uomo discreto, al servizio della sua famiglia da anni, ma Cagalli preferiva che nemmeno lui sentisse quello che doveva dire al marito. Che, seduto rigidamente accanto a lei, aveva abbandonato l’aria felice che aveva in casa per assumere un’espressione di preoccupata aspettativa.

Cagalli si massaggiò una tempia.

“Sei proprio sicuro di non volerglielo dire?”

Lui scosse la testa. “No. Non posso, l’ho giurato a Nicol. Lo farà lui, se lo riterrà opportuno. L’ho avvertito della cosa l’ultima volta che l’ho sentito al telefono, un quindici giorni fa, ma sembrava che lo sapesse di già.”

“Non me ne stupisco, quei bastardi di Serpent Tail hanno un’intelligence degna di una superpotenza.” Athrun le scoccò un’occhiata severa che lei fece finta di non notare. La Delegata di Orb non cambiava idea su quelli che lei considerava pericolosi avvoltoi solo perché il marito era affezionato a uno dei loro affiliati.
“E i genitori di lui, da quanto tempo non li vedi?” gli chiese invece, con un sospiro. Aveva l’impressione che quella storia gli si sarebbe ritorta contro, in un modo o nell’altro ma, d’altronde, e su quello Athrun aveva ragione, non erano nemmeno fatti loro.

“Cinque anni. Dopo la guerra, tutte le volte che tornavo su PLANT non mancavo di fargli visita. Ma poi, per tutta una serie di motivi, non ce l’ho più fatta.”

Athrun si girò a guardare fuori dal finestrino. “E l’ultima volta ho avuto… altro da fare.”

Lei allungò una mano per stringergli la sua. Era fredda.

Le aveva raccontato tutto una volta tornato ad Orb e, sulle prime, Cagalli non c’aveva creduto. Poi anche Erica Simmons aveva confermato la storia di quei poveri Coordinator trasformati in cyborg da battaglia, e lei non era riuscita a non provare per loro una grandissima pena.

Athrun dall’incontro con il suo vecchio amico, creduto morto per tanti anni, era tornato sconvolto ma anche sollevato. Cagalli sapeva bene in che misura quella perdita l’avesse colpito, e che Athrun non era mai riuscito del tutto a perdonarsi, e ringraziava quindi Kanaloa ogni notte per la grazia che aveva elargito al marito. Anche se Nicol Amalfi era cambiato molto, come le rammentava sempre Athrun.

Cagalli abbassò gli occhi sull’anello nuziale che le cingeva l’anulare sinistro, sorridendo mestamente.

È quando sentiva storie come quella che lei si stupiva di essere ancora viva, e di essere circondata dall’amore di una famiglia così bella. Come quella che avevano le persone che stava andando ad incontrare, si ricordò, prima che la guerra sconvolgesse le loro vite.

***

Erica Simmons, Direttrice di Morgenroete, si alzò per salutare Cecilia Sterling, l’ultima nuova assunta della prestigiosa azienda di Orb. La donna, altrettanto compitamente, le rispose accompagnando le sue parole con un leggero cenno del capo. Erica fece per sedersi di nuovo al suo posto, dietro l’imponente scrivania in vetro e acciaio ma, notando un deciso nervosismo nello sguardo della scienziata davanti a lei, cambiò radicalmente idea. Non voleva che quel colloquio assomigliasse troppo ad una seduta della Santa Inquisizione.

“Veni pure, collega, accomodiamoci sul divano” fece alla donna con un sorriso, mettendo particolare enfasi sulla parola ‘collega’.

Lo sguardo diffidente di Cecilia si placò, anche se manteneva ancora un’aria combattiva, ed Erica dovette sopprimere un’occhiata ironica. Certo che i suoi collaboratori erano davvero tutti strani. Perché quella donna sembrava essersi preparata per il litigio del secolo?

La Direttrice di Morgenroete afferrò il fascicolo con il curriculum della scienziata e decise di darle il buon esempio. Lo posò sul basso tavolino di fronte al divano, approssimandosi poi alla macchinetta del caffè.

“Posso offrirtene una tazza?” chiese. “La miscela arriva dalle Hawaii. Puro Kona, il migliore. E ti assicuro che il caffè che preparo io è molto più buono di quello di San Diego” aggiunse facendo l’occhiolino, gesto che sembrò finalmente tranquillizzare Cecilia. “Bene, prendo quel sorriso per un sì. Siediti pure, intanto.”

La osservò prendere posto, ancora lievemente guardinga, poi le diede le spalle, tornando seria mentre preparava le due tazze di caffè e ripassava silenziosamente quello che sapeva sulla nuova assunta.
‘Cecilia Sterling, finlandese naturalizzata americana, trentun anni. Le indagini che ha compiuto su di lei il nostro ufficio personale confermano tutto quello che ci ha dichiarato: che ha conseguito una laurea e il dottorato in biorobotica al MIT cinque anni fa, che ha lavorato poi per svariate industrie di componentistica in tutto il mondo, tornando infine al CalTech ad insegnare computazione biomolecolare. È stata selezionata tra duecento candidati per lavorare sui sistemi operativi delle nuove linee di Mobile Suit e, anche se ufficialmente ricopre solo una posizione di ricercatrice junior nel nostro laboratorio, il suo responsabile me l’ha già segnalata tre volte. Non male, visto che è qui da solo una settimana.’

Con le tazze in mano ritornò verso il divano, notando che la scienziata bruna non la perdeva di vista un attimo.

È molto più brava di quello che ha dichiarato, Jones me l’ha confermato. E lui dubita che sia solo per umiltà. In effetti, mi dice che Cecilia Sterling non è affatto un modello di modestia.’
Erica sapeva bene che la gente faceva carte false per tentare di farsi assumere a Morgenroete. Letteralmente parlando. Ricevevano tonnellate di candidature da tutto il mondo e molte credenziali fornite erano, palesemente o meno, dei falsi. Però non le era mai capitato qualcuno che, al contrario, sminuisse la sua preparazione, e aveva deciso di vederci chiaro parlando direttamente con la nuova assunta.

Posò la tazza davanti a lei, osservandola passarsi una mano nei capelli. L’aveva già fatto numerose volte da quando era lì.
“Allora, Cecilia, ti piace Orb?”

“Molto. Il vostro paese è piccolo, ma la città è davvero bella. Questa è una nazione molto ricca.”

Erica annuì, abbassando gli occhi sul curriculum della donna. “Sì, sono felice che la mia famiglia non abbia mai deciso di trasferirsi su PLANT. Io sono nata qui, e ho viaggiato molto, ma mi sento fortunata a vivere su questa meravigliosa isola, dove Coordinator e Natural vivono in pace. Leggo che anche tu sei stata ovunque, vero?”

“È il mio lavoro che l’ha richiesto, ma non mi è pesato. Sono stata sempre in bei posti.”

“Hai ragione. Seattle, Rio de Janeiro, Port-au-Prince, Sydney, ... anche se non credo che tu abbia avuto molto tempo di ammirare il panorama, non è vero? Ci hanno detto di te che sei una lavoratrice indefessa.”
Cecilia arrossì. “Certo. Io adoro il mio lavoro.”

“Lo vedo. E anche Jones, il tuo responsabile, pensa lo stesso. Anzi, sostiene che sei davvero la più dotata tra i suoi collaboratori.” Lo sguardo di Erica Simmons si fece tagliente. “Tu non sei una Coordinator, vero, Cecilia?”

La scienziata scosse la testa con vigore. “Affatto. Lo so che qui non è richiesto presentare il proprio profilo genico, ma se volete ve lo posso fornire e…”
“Non mi serve, ti credo sulla parola” le disse Erica prendendo un sorso di caffè. “Si vede che fisicamente non sei una di noi, anche se il tuo QI è di certo molto più elevato di quello dei Natural.”

Lo sguardo di Cecilia si indurì. “Dimmi la verità, sono qui perché qualcuno si è lamentato di me?” sbottò Cecilia all’improvviso, sorprendendo la Direttrice di Morgenroete per l’astio che quelle parole celavano.

“No di certo. Anzi. Jones è talmente soddisfatto del tuo rendimento che ti vuole mettere a lavorare su progetti più complessi, a soli pochi giorni dal tuo arrivo. Cecilia, ti rendi conto che qui nessuno invidierà i tuoi risultati, nemmeno se tu fossi una Coordinator?” Erica le fece, addolcendo considerevolmente la voce. Aveva appena capito qualcosa di importante sull’americana, e non riusciva a non biasimarla. Anche lei aveva sofferto dell’invidia dei Natural, e poteva solo immaginare come dovesse essere stato difficile per uno di loro, essere scambiato per un Coordinator pur non essendolo.
Cecilia scosse le spalle, prendendo anche lei un sorso di caffè. “Avevo immaginato che qui non avrei avuto problemi in tal senso, visto che è un paese dove gli uni e gli altri convivono pacificamente. Ma l’invidia dei colleghi a volte non ha proprio niente a che fare con la genetica. D’altronde, io non ci posso proprio fare un bel niente se sono meglio di loro” dichiarò serafica, strappando un sorriso ad Erica. Non solo la donna non era modesta, ma non faceva nemmeno nessun tentativo di nasconderlo.

“È proprio questo il punto, tu sei troppo brava per quello che dichiari nel tuo curriculum.” La Direttrice picchettò un dito sui fogli. “Qui appare che da quando hai conseguito il dottorato tu non abbia fatto niente più che il tecnico di laboratorio, prima di finire come assistente di un docente universitario. Ma Jones afferma che parli come se avessi un’esperienza molto maggiore, e ogni tanto citi lavori che avresti fatto ancora prima di laurearti che non compaiono nel tuo curriculum e che si riferiscono a progetti francamente…”

“Irrealizzabili? Fantasiosi?”
“Al di là delle possibilità tecniche di chiunque” concluse Erica, fissando la scienziata bruna, il cui sguardo si era acceso di una strana luce.

Cecilia le lanciò un’occhiata in tralice, le labbra piegate nel fantasma di un sorriso.

“E così è per questo che sono qui? Bene. Avevo scommesso con un’amica ma ho perso. Pensavo che qualcuno di quelli che avevo trattato male nei giorni scorsi si fossero lamentati.” L’americana scosse le spalle, mettendosi apertamente a ridere. “Comunque, mi avevano detto che non avrei dovuto negare se mi avessi chiesto direttamente, solo che francamente non credevo che sarebbe successo così presto. Ma mi fa piacere che tu in persona ti sia scomodata a chiedermi cosa non quadrava nel mio curriculum. Non vedevo l’ora di parlare di nuovo con te.”

“Ci siamo già incontrate?” chiese Erica sbattendo le palpebre, momentaneamente confusa.
“Sì. Nel settembre del settanta, mentre infuriava la guerra tra PLANT e la Terra. Anche se non ci siamo mai viste, abbiamo solo avuto una conversazione telefonica.”

Erica scandagliò la sua memoria cercando di ricordare in che occasione avesse potuto conoscere la donna, anche se immaginava fosse per motivi personali. Cecilia Sterling aveva diciannove anni ai tempi, non era possibile che la sua fosse stata una telefonata di lavoro. Ma, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio, fu Cecilia stessa che la smentì.
“C’eravamo sentite in merito al progetto STORM, te lo ricordi? Io lavoravo nel centro di ricerca dell’Alleanza Atlantica incaricato dello sviluppo del programma. Tu fosti molto gentile, me lo ricordo. Sarebbe stato un piacere poter lavorare con te.”
Erica Simmons si irrigidì istantaneamente, lasciando quasi cadere la tazza di caffè che stava reggendo. Se qualche mese prima Athrun non le avesse rinverdito la memoria con il racconto delle persone che aveva incontrato ad Aprilius City probabilmente ci avrebbe messo più tempo a collegare il nome ‘storm’ a qualcosa, ma realizzò invece istantaneamente a cosa la donna si stesse riferendo.

Per aiutare Athrun, Erica aveva dovuto rileggere parecchi documenti e rapporti sulla collaborazione abortita con l’Alleanza e, nel tentativo di ricostruire tutta la faccenda, aveva anche riesumato dei file audio con le registrazioni delle comunicazioni intercorse tra Morgenroete e gli scienziati dell’Alleanza. Di quelle telefonate una in particolare l’aveva colpita: quella con la prima assistente del capo progetto. E le ritornò alla memoria prepotentemente.

Cautamente, posò la tazza sul tavolino.
“Certo... la scienziata con la quale avevo parlato mi aveva detto solo il nome. Cecilia. La sua voce suonava giovanissima pur essendo molto competente, quasi... no, decisamente arrogante.”
La donna davanti a lei annuì. “Ero io quella ragazza. Cecilia Jesek è il mio vero nome. Posso provarlo.”

“Ma ai tempi dovevi avere...”
“Diciannove anni. Il dottorato l’ho conseguito sì al MIT, ma quando avevo quindici anni.” Le labbra di Cecilia si piegarono in un sorriso quasi gelido. “Capisci perché so bene cosa significa l’invidia tra colleghi?”
“Che prove puoi fornire a riguardo?” Erica le chiese, la voce tesa per nascondere quanto fosse colpita. Che Athrun fosse incappato in quei tizi, e che una del team che aveva lavorato sul progetto fosse adesso davanti a lei, era una circostanza troppo singolare per essere fortuita.
Osservò Cecilia portarsi come sovrappensiero la mano destra all’avambraccio sinistro.

“Parecchie” la scienziata le rispose facendo un cenno verso il telefono posato sulla sua scrivania. “Ma credo che una mia amica sia molto più adatta di me. Ti dispiace se faccio una chiamata interna? Era venuta ad accertarsi di avere vinto la scommessa, e mi sta aspettando alla reception. Ci mette un attimo a salire.”
“Chi è?”
“Qualcuno che ha lavorato con me al progetto STORM.”
Erica soppesò la donna seduta, adesso molto più a suo agio, davanti a lei. Non aveva motivo di temere nulla da Cecilia, non in uno dei luoghi più sorvegliati del pianeta, ma il fatto che fosse riuscita a farsi assumere con l’inganno, raggirando i severissimi investigatori dell’ufficio personale, non deponeva certo a suo favore. La Direttrice di Morgenroete non riusciva a capire perché l’avesse fatto. Di certo non le avrebbe negato un colloquio, se si fosse presentata con il suo vero nome o cognome.

O no? Questa donna lavorava per l’Alleanza Atlantica e, se quello che è successo ad Athrun qualche mese fa non è una coincidenza, potrebbe essere anche lei affiliata di Serpent Tail. Forse non sarebbe riuscita ad arrivare fino a me così facilmente.’

Erica si alzò. “Se non ti dispiace, preferisco incontrare la tua amica di sotto.”

Dopotutto, la prudenza non era mai troppa.



Non fecero molta conversazione in ascensore e, quando giunsero di fronte alle vetrate che separavano l’ingresso vero e proprio di Morgenroete dalla zona di accoglienza visitatori, Cecilia indicò qualcuno con un cenno della testa.

“È lei.”

La ragazza in questione, una rossa dall’aria sbarazzina e dall’apparente età di vent’anni, si alzò e andò verso di loro.

Gli uffici non erano nella zona interdetta al pubblico, ma c’era un cordone di sicurezza che non permetteva a nessuno senza autorizzazione o invito di passare, per cui Erica aspettò pazientemente e in silenzio, mentre la ragazza superava i tornelli e passava sotto ai sensibilissimi metal detector di Morgenroete. Che non registrarono nulla di anormale.

Per qualche ragione la Direttrice si era aspettata il contrario. Fece un segno ad una delle guardie che passò un ulteriore scanner lungo il corpo e gli arti della sconosciuta. Che, per tutto il tempo, subì il controllo senza la minima soggezione. E senza fare scattare nessuno degli allarmi. Liquidato l’agente, si fece avanti fino a fermarsi davanti a loro.
La ragazza fissò Cecilia con una smorfia divertita.

“Sapevo che avrei vinto la scommessa! Mi devi un centone” disse all’amica con una voce bassa e leggermente roca, che Erica giudicò perfettamente adatta alla personalità che da quel corpo sembrava emanare. Non era altissima, sfiorava appena il metro e sessantacinque, ma era perfettamente proporzionata, con gambe tornite e braccia i cui muscoli definiti non la rendevano meno femminile.

Piantò quindi in faccia alla Direttrice di Morgenroete gli occhi verdi, sprezzanti, e accompagnò il gesto con un sorriso altrettanto altezzoso. In qualche modo, e non solo perché giovanissima, Erica faceva fatica a credere che quella ragazza avesse potuto lavorare insieme a Cecilia. Addirittura, si sarebbe stupita se le avesse detto di essere una scienziata; era così bella che avrebbe potuto benissimo essere una modella, anche se la falcata decisa e il fisico atletico suggerivano qualcosa di diverso e di meno mondano; era una ginnasta forse o un soldato, Erica speculò.
Poi si allontanò da lei leggermente mentre un’altra ipotesi, molto più suggestiva, cominciava a farsi strada nella sua mente.

Squadrò di nuovo la ragazza dai capelli rossi, bloccata in una posizione di attesa così assoluta che nessun movimento, nemmeno quelli fisiologicamente necessari come sbattere le palpebre o spostare il peso da un piede all’altro, ne sfigurava la posa.

“E tu cosa sei?” azzardò.

Il sorriso della ragazza non vacillò, anzi, si fece più pronunciato.

“Mi chiamo Lorran Escobar. Sono l’unità STORM con codice S07NX.”
Erica Simmons annuì. Non aveva paura, non c’era motivo perché Lorran l’attaccasse. Ma adesso capiva cos’era: una compatta macchina da guerra.

Avrebbe dovuto riconsiderare l’efficienza dei sistemi di sicurezza di Morgenroete.

***

“Nina, vuoi sederti dritta? Sono dieci minuti che stai appiccicata al finestrino, ti verrà il torcicollo.”

“Ancora un attimo, mamma. Tra un po’ dovrebbe spuntare l’arcipelago di Orb, giusto?”

“Tra qualche secondo a dire la verità.”

La ragazzina torse ancora di più il collo sottile, determinata a scorgere le isole che formavano l’Emirato, e Romina Amalfi sorrise, cercando di quietare il sottile disagio che provava in quel momento.

Gettò un’occhiata al marito, che stava anche lui guardando fuori dal finestrino, ma con un’espressione vacua che contrastava paurosamente con quella entusiasta della figlia adottiva. Improvvisamente la donna si chiese, e non per la prima volta, se davvero avevano fatto bene ad accettare il prestigioso incarico che li stava portando ad Orb.
Il marito, dopo la guerra del Bloody Valentine, aveva lasciato la politica per tornare unicamente a lavorare come ingegnere meccanico nell’industria bellica di ZAFT ma, disgustato dalla guerra scoppiata solo qualche anno dopo, Yuri Amalfi si era gettato anima e corpo in una nuova carriera nel corpo diplomatico, culminata, qualche settimana prima, con la sua nomina a nuovo Ambasciatore di PLANT presso l’Emirato di Orb.

Romina lo guardò stringere i braccioli dello shuttle privato. La legazione dell’Emirato era considerata l’apice della carriera, che chiunque sarebbe stato felice di accettare, ma Yuri Amalfi aveva dovuto pensarci bene. Su un triste scoglio appena fuori dai confini dell’Emirato il loro unico figlio Nicol era morto in battaglia undici anni prima e, quando apparve la prima isola, Romina dovette distogliere gli occhi dal panorama, cercando di non far percepire alla figlia quanto fosse turbata.

Il suo sguardo incrociò invece quello del Comandante Dearka Elthman, nominato nuovo attaché militare dell’ambasciata. Il giovane le fece un cenno con la testa e Romina fu felice che ci sarebbe stato anche lui con loro. Era riuscito a conquistare l’attenzione della diffidente Nina in pochi minuti, e la sua presenza e quella di Athrun Zala in qualche modo rassicuravano Romina che un pezzo di PLANT sarebbe stato sempre con lei. Loro poi le ricordavano Nicol, la cui scomparsa non era mai riuscita ad accettare.

C’aveva provato, ma né i medicinali né la psicoterapia erano riusciti a sanare del tutto la ferita. Romina poteva tragicamente smentire tutti quelli che le dicevano che il tempo guarisce ogni dolore; perché ci sono sofferenze che non sono fatte per essere dimenticate.
Da anni non piangeva più per ore, grazie soprattutto all’amore che portava alla figlia adottiva, che si era impegnata a rendere felice, ma non riusciva sempre a bloccare gli spasmi di sofferenza che talvolta l’assalivano mozzandole il respiro. Aveva perso troppo, in una maniera troppo veloce e brutale, perché potesse davvero tornare ad essere la donna spensierata che era stata prima.

D’impulso afferrò la mano del marito, che le sorrise debolmente. No, non ci doveva pensare. Stavano per cominciare una nuova vita in un posto meraviglioso, un vero Eden in terra. Tutto sarebbe sicuramente andato per il meglio.

***

Miguel Ayman adorava i centri commerciali. Si divertiva come una ragazzina ad entrare nei negozi e provare ogni genere di vestiario, sotto gli occhi compiaciuti dei commessi. Vanitoso e fiero del proprio aspetto, gli piaceva catturare gli sguardi delle ragazze; che lo fissavano, attratte dal fisico imponente e un po’ intimorite per la maschera che gli copriva metà del volto.
Soprattutto, all’ex-soldato di ZAFT piaceva da matti fare acquisti con Nicol Amalfi, che attirava gli sguardi delle donne – e di tanti ragazzi - tanto quanto lui, e che, soprattutto, era perfetto per portargli tutti i pacchi.
“Ahh, assolutamente favoloso” dichiarò Miguel alzando una giacca sportiva color ruggine, che giudicò perfetta per abbinarsi con il suo colore di capelli. “Che ne pensi?” chiese all’amico girandosi verso di lui. Un secondo dopo il sorriso trionfante si trasformò in una smorfia annoiata.
“Ma perché devi sempre fare questo stupido errore?” mormorò sottovoce all’indirizzo di Nicol.

Il giovane era esattamente dove l’aveva lasciato dieci minuti prima: appena dentro la porta del negozio, imbambolato a guardare uno schermo incastonato in uno degli angoli del soffitto.

I Coordinator che avevano subito gli stessi interventi di Nicol erano praticamente indistinguibili dagli esseri umani, salvo per un piccolissimo particolare: le articolazioni bioniche e i loro muscoli artificiali gli permettevano di rimanere assolutamente immobili, per lunghi periodi, in posizioni che avrebbero procurato ad una persona normale crampi nel giro di minuti. Come quella che il suo giovane accompagnatore stava mantenendo da chissà quanto, con il collo piegato ad un angolo quasi innaturale, e le braccia flesse e cariche di pacchetti.

Miguel appoggiò la giacca, decidendo che era ora di intervenire.

“Cazzo, oramai non mi dovrei nemmeno chiedermi come fa a non accorgersi” si disse, dandosi dello stupido da solo. Forse per i primi mesi della loro nuova vita era stato diverso, ma adesso erano completamente adattati a quegli innesti artificiali e, ragionò Miguel, forse nemmeno si ricordavano come si comportavano quando non li possedevano.

“Che ne dici di andare a farci un giro” gli chiese, avvicinandosi e tentando di non suonare troppo irritato. “Prima che la commessa cominci a spolverarti credendoti uno dei loro manichini?”

Non era nemmeno colpa loro se erano così, rifletté con un’alzata di spalle.

Nicol voltò verso di lui gli occhi azzurro ghiaccio. Da qualche giorno gli piaceva quella tonalità.

“Sono arrivati” gli disse nervosamente, indicando la televisione.

Miguel non poté fare a meno di sorridere, rendendosi conto di cosa stava così turbando il suo amico. Alle news stava passando un servizio dedicato al nuovo Ambasciatore di PLANT ad Orb.
“Ottimo. Vedo che il viaggio è andato bene. Hanno proprio una bella bambina.”

Fece finta di non accorgersi che Nicol era impallidito. Lo prese per un gomito e lo trascinò quasi di peso fuori dal negozio, verso un vicino bar semivuoto.

“Io e te dobbiamo fare un discorsetto” gli intimò.



Ordinò una Coca Cola per Nicol e una birra per sé, poi si appoggiò pesantemente al tavolino fissando il compagno. In sottofondo, una radio stava trasmettendo la cronaca dell’arrivo dei coniugi Amalfi ad Orb.

“Ascolta, capisco quanto tu possa sentirti a disagio, ma purtroppo non avevamo la minima avvisaglia che potesse succedere una cosa di questo genere. Quando ne siamo venuti a conoscenza, pochi giorni prima che Athrun ti telefonasse per avvertirti, era oramai troppo tardi per cambiare i nostri progetti.”

Nicol non gli rispose, sembrando più interessato al contenuto del suo bicchiere che a Miguel. Il quale poteva capire benissimo cosa l’amico stesse provando.
Tutti i suoi compagni, Miguel incluso, avevano ormai da tempo detto addio alla loro vita precedente, e se ne erano rifatti una nuova sulla Terra. Ricchi, grazie a quello che guadagnavano lavorando per Serpent Tail, avevano amici ed, alcuni, avevano anche formato delle famiglie sposando donne Natural o Coordinator dell’organizzazione mercenaria. Dopo dieci anni, ed una vita condotta nella più totale libertà, Miguel era certo che nessuno di loro avesse più il desiderio di ritornare su PLANT.
Come lui, molti pagavano un prezzo ai propri ricordi, e un tributo alla patria che ancora amavano, inviando sotto anonimato consistenti somme alle persone care che risiedevano nello colonie in orbita. Ma non Nicol, che si era sempre rifiutato di contattare in qualunque modo le persone che gli erano state vicine nella sua vecchia vita, fino a quando non erano state loro a cercare lui.
Miguel non lo biasimava per aver rivelato la sua identità ad Athrun e Yzak, non avrebbe potuto fare altrimenti senza ucciderli, ed era certo che Nicol non l’avrebbe mai fatto, ma reputava paradossale che, a quel punto, gli unici all’oscuro della sua sorte fossero proprio i suoi genitori, le persone alle quali il giovane dai capelli verdi teneva di più.

Miguel maledisse la circostanza che aveva portato gli Amalfi ad Orb anche se, dal punto di vista dei piani dell’organizzazione per il futuro, forse non era totalmente un male. Era solo una buona carta che il destino gli aveva messo in mano; da ottimo giocatore di poker, e sapendo quello che c’era sul piatto, Miguel fece la sua puntata.
“Senti…” gli disse addolcendo lo sguardo. “Oramai troppa gente conosce la tua identità. E, anche se tu non gli hai ancora detto niente, Athrun tra un po’ saprà per forza che anche tu sei ad Orb. Credo sarà impossibile mantenere il segreto ancora per molto.” Miguel si sporse verso Nicol, abbassando la voce. “Forza. Vai a salutarli, cucciolo, ti do il permesso io” gli fece in tono da cospiratore.
“Miguel, non trattarmi come un bambino” gli rispose Nicol, la voce ferma che contrastava con l’espressione sconsolata che aveva.
Il mercenario dai capelli dorati ne fu intenerito. Malgrado quello in cui l’aveva trasformato Nicol era molto più deciso ma non meno sensibile di quando aveva quindici anni, soprattutto nei confronti delle persone alle quali voleva bene. Particolarmente da quando era tornato da PLANT, e aveva finalmente deciso di rivelare a Cecilia chi era stato.

“È quello che mi sembri quando guardi la faccia di tua madre in televisione. Credi che non sappia quanto esattamente tu voglia riabbracciarla?”

Nicol socchiuse gli occhi, e Miguel realizzò che forse si era spinto un po’ troppo oltre. Il giovane davanti a lui era di certo amabile ma non era uno stupido. E all’occorrenza sapeva anche essere spietato.
“Che hai in mente?” gli chiese. “Prima il mio incontro con Athrun. Poi Cecilia assunta a Morgenroete. Adesso questo. Le circostanze fortuite cominciano a essere un po’ troppe.”
Miguel alzò entrambe le mani. “Ti sono grato che tu pensi che i tuoi datori di lavoro siano l’eminenza grigia che controlla il mondo, ma purtroppo non è così. Noi approfittiamo solo delle favorevoli congiunture che la Dea della Fortuna ci offre per condurre in porto qualche ottimo affare, ma non le creiamo, sarebbe troppo uno sbattimento.”

Nicol colse immediatamente il senso del discorso. “Perfetto. Allora qual è l’opportunità che siamo qui a cogliere?”

Miguel avvicinò la sua sedia a quella dell’amico, mettendogli un braccio sulle spalle e avvicinandosi a lui fin quasi a sfiorargli la delicata pelle del lobo dell’orecchio. Non che pensasse che qualcuno nel locale li potesse sentire, con la radio che sparava a volume altissimo notizie sulla guerra diplomatica in corso tra due paesi africani.
“Non posso, è troppo presto. Potrebbe anche risolversi in niente, e sai che il Direttorio non vuole gli operativi troppo coinvolti nelle questioni strategiche. Ma ti assicuro che se il bubbone scoppierà sarà davvero una cosa grossa, e noi saremo nel posto giusto per sfruttare l’occasione.”
“Dimmi solo una cosa. È per questo che Cecilia è a Morgenroete?”

“Ovviamente. Serpent Tail ha già un’ottima reputazione, e il nostro gruppo ancora di più, ma per assicurarci quel lavoro la raccomandazione della Direttrice non sarà male e, in ogni caso, poi avremo bisogno del loro supporto tecnico. Senza contare che quando Erica Simmons scoprirà cosa siete, vedrai che offrirà un contratto miliardario alla tua donna per non lasciarsi scappare i suoi servigi.” Miguel lanciò a Nicol un’occhiata allusiva. “Dai, non sei stanco che quella geniale poveretta si debba accontentare di lavori sottopagati? Con lei là dentro avremo accesso ad un network di contatti ed informazioni molto più ragguardevole di quello che abbiamo ora.”
“Come se credessi davvero che la Simmons riveli i segreti di Morgenroete a noi…”

“E non fare il disfattista!” Miguel rise. “Intanto meglio che Cecilia stia là piuttosto che insegnare, no? Lo sai anche tu quanto la gente normale la irriti. E comunque vedrai che lei e la Simmons andranno d’accordo. Tra geni si intenderanno.”

Nicol non gli sembrava per niente convito. Anzi, aveva in faccia il consueto broncio che si portava dietro dall’adolescenza; quello che inalberava quando i compagni lo prendeva in giro.
Il suo ex-tutor, per risolvere la situazione, gli scompigliò i capelli, cosa che fece acuire la stizza dell’altro.
“Dio, sei proprio irresistibile quando fai quell’espressione” gli disse a voce abbastanza alta perché molti degli avventori che li circondavano si girassero verso di loro. Un gruppo di ragazze sui vent’anni si mise a ridacchiare, e Miguel si volse verso di loro scoccandogli un sorriso smagliante. Adorava le giovanissime. E, soprattutto, adorava quelle che non avrebbero disdegnato un rapporto a tre. Se solo Nicol non fosse stato così maledettamente monogamo…
L’amico, realizzata la situazione imbarazzante, arrossì furiosamente e, alzatosi in piedi, fuggì praticamente dal locale costringendo Miguel a rincorrerlo.
“Scusatelo, il mio amico è talmente sensibile” sussurrò alle ragazze passando accanto al loro tavolo e gettandogli un depliant dove aveva scritto il suo indirizzo email. “Scrivetemi. Mi sono appena trasferito e avrei bisogno di una guida turistica” disse loro, inseguito da ulteriori risolini e dai saluti dalle più sfrontate.


Raggiunse Nicol al parcheggio, dove era posteggiato l’imponente SUV arancio che aveva comprato una volta arrivato ad Orb. Era vistoso, ma Miguel non avrebbe ammesso di farsi vedere in giro su mezzi di altro colore.

“Quando la smetterai di farmi fare queste figuracce?” gli sibilò Nicol, gettando i suoi acquisti in auto. Il suo broncio si era dissolto in un’espressione imbarazzata.
“Colpa tua che fai la pudica verginella. Avrei voluto vedere se Athrun fosse stato tra loro.”
L’amico si girò di scatto verso di lui, visibilmente scandalizzato. “La vuoi piantare con quella storia?”

“Va bene. Ma fammi un favore. Anzi, fallo a te stesso. Prendi il cellulare e riferisci al tuo ex-fidanzato dove ti trovi. Non è il caso di aspettare oltre. Anzi, non capisco perché tu non l’abbia ancora fatto. Immagino che sarai impaziente di incontrarlo, no?”

Il rossore sul volto di Nicol si intensificò, ma il giovane non aspettò oltre per frugarsi in tasca ed estrarre il telefono. “Sì, ma non per la ragione che credi tu.”

“E quando mai l’ho pensato veramente? Intanto io cerco di trovare un modo per farti incontrare i tuoi genitori” gli rispose soavemente Miguel, tentando di non stuzzicarlo oltre. La prima e unica volta che aveva davvero fatto arrabbiare Nicol si era ritrovato appeso a testa in giù da un palazzo di venti piani, e non ci teneva a ripetere l’esperienza.
Lo osservò comporre il numero realizzando, improvvisamente, che anche lui avrebbe dovuto trovare il modo e le parole adatte per rivelarsi al figlio di Patrick Zala.
‘Chi l’avrebbe mai detto? Io, Nicol, Athrun e Dearka. Manca giusto Yzak qui. Ma chissà che quel lavoro non ci faccia davvero combattere di nuovo tutti insieme.’

Non vedeva l’ora, malgrado prendesse spesso in giro Nicol per l’affetto che provava per i suoi vecchi commilitoni. Perché pur dissimulando, quei ragazzi Miguel li portava ancora tutti nel cuore, e rivederli era una delle sue più grandi speranze.

***

Nonostante viaggiasse su una corsia preferenziale la limousine senza contrassegni del Capo di Stato di Orb procedeva lenta, imbottigliata insieme alle auto della scorta nel pesante traffico della capitale dell’Emirato.
“Non è pericoloso?” chiese Yuri Amalfi, indicando con una mano la situazione fuori dai finestrini oscurati.

Cagalli gli rispose facendo spallucce. “No, non si preoccupi, questo è un paese pacifico e i nostri servizi di sicurezza monitorano costantemente il territorio e la popolazione.”
“Certo che avremmo almeno potuto prendere un flyer, a quest’ora saremmo già arrivati” gli fece eco il marito, strappandole una smorfia scocciata.
“Volevo solo mostrare al nostro nuovo Ambasciatore la nostra bella città, purtroppo il corteo in città è molto più consistente del previsto, e per permettere alle auto di aggirarlo la polizia le ha dovute deviare sulla tangenziale. Me ne scuso.”
“Non si preoccupi, Principessa” le rispose compitamente Romina Amalfi, seduta accanto al marito con accanto la figlia. “Di certo procedendo così lentamente la vedremo bene” disse strappando consensi a tutti i presenti.
Athrun seduto esattamente di fronte a lei, annuì alle sue parole pacate.
Quando l’aveva vista la prima volta, tredici anni prima, aveva invidiato al suo amico Nicol una madre così giovane e bella; Romina era la quintessenza dell’alta società di PLANT, e anche se dopo anni così difficili il suo volto mostrava i segni del tempo, e del dolore che l’aveva segnata, non era meno amabile né meno di buone maniere di come se la ricordava.
Athrun sorrise alla bionda dodicenne che sedeva a fianco di Romina, attribuendo a lei il fatto che la povera donna fosse riuscita in qualche modo a superare la perdita di Nicol.
La ragazzina, dal canto suo, aggrottò le sopracciglia chiare, stingendosi alla madre.
“Scusala, Nina è molto timida” gli disse Romina, appoggiando una mano sulla nuca della piccola. “Non le piacciono gli estranei, ma non potevamo certo lasciarla da sola su PLANT.”

“No, certo che no” rispose lui, capendo perfettamente la donna. Dopo quello che gli era successo con l’altro figlio, probabilmente non avrebbero mai acconsentito a perdere di vista questa.
Il desiderio di protezione di Romina lo intenerì, e lo portò a chiedersi se le loro figlie da grandi sarebbero potute diventare amiche. Romina probabilmente dovette realizzare la stessa cosa, e forse qualche altro pensiero le sovvenne, perché abbassò la testa passandosi una mano sugli occhi, come per nascondere un momento di commozione.
Athrun fece finta di niente, riportando la sua attenzione su Cagalli e l’Ambasciatore. Capiva quanto la situazione dovesse essere a tratti spiacevoli per la donna, ma aveva la ferma intenzione di non dare adito a domande alle quali avrebbe dovuto rispondere con pietose bugie. Sperò, anzi, che prima o poi Nicol trovasse il coraggio di rivelarsi a loro.
“Un corteo? La situazione si è aggravata così tanto anche qui?” stava chiedendo Yuri Amalfi a Cagalli.
La Delegata annuì. “Come saprà la recessione economica non ha colpito così duro da noi come in Sudamerica e in Eurasia, ma ieri una delle aziende più grandi, di proprietà proprio di un gruppo Eurasiatico, è entrata in amministrazione controllata, e le centinaia di persone che hanno ricevuto una lettera di licenziamento sono scese in piazza a protestare.”
Cagalli guardò mestamente fuori dal finestrino. “Le richieste di aiuto al governo fioccano, ma anche se siamo uno stato ricco non potremo mai accontentare tutti. Comunque, tra un paio di settimane mi attendono alla riunione delle Nazioni Unite a Ginevra, per discutere insieme il da farsi. Purtroppo questa crisi non è qualcosa che un singolo paese possa sperare di risolvere da solo.”
Il marito provò pena per lei. Ultimamente la vedeva tornare sempre tardi e molto tesa dalle sedute del governo; l’apprensione per il paese che amava tanto, insieme al gravoso carico di essere una madre, la rendeva nervosa e suscettibile, e lui si sentì colpevole perché il suo ruolo di coordinatore delle forze armate di Orb, con quelle del resto del mondo, lo portava spesso all’estero.

Mi devo dare un po’ più da fare a casa. Almeno per sostituirla degnamente durante la sua assenza. Sono certo che Miko e Myrna mi daranno una mano con le bambine… beh, almeno spero!’ pensò trepidante.
Adorava le sue figlie, ma a volte l’assaliva il panico quando piangevano insieme e lui non aveva la minima idea di come farle smettere.
Improvvisamente, il suo telefono che vibrava lo distolse da tali, preoccupanti pensieri.

Diede uno sguardo allo schermo riconoscendo subito il numero di Nicol. Aveva preferito non associarlo a nessun nome, ma se l’era ben impresso nella memoria. Per un istante pensò di non rispondere, poi decise altrimenti.

“Sì?” mormorò voltandosi verso il finestrino, il più lontano possibile dai suoi ospiti.

La voce dell’amico gli suonò un po’ agitata mentre lo salutava. Ma Athrun fu certo che dei due fu lui quello più in difficoltà quando, senza preamboli, Nicol Amalfi gli disse dove si trovava.
Se l’Ammiraglio di Orb non lasciò cadere il telefono fu solo per salvare le apparenze. Si sentì in ogni caso assalire da una strana sensazione, in parte euforica in parte turbata.
Ma, preso da tutt’altre preoccupazioni, nemmeno per un istante Athrun Zala pensò che la coincidenza fosse davvero insolita.

  
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