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Autore: nightswimming    26/12/2009    6 recensioni
“Tu non vai a dormire, Ryuuzaki?” chiese, neutro. L in risposta fece un piccolo sorriso. I capelli gli erano scivolati davanti agli occhi come una cortina di fumo e mascheravano il resto del viso, neri e impenetrabili.
Light lo guardò voltarsi lentamente verso la finestra e poggiare una mano sul vetro (...). Sottili strisce di pioggia scivolavano sulla superficie macchiando la luce di riflessi azzurrini.
“No”. L’aveva detto così piano che Light si domandò se non se lo fosse inventato lui stesso. “Non penso che stanotte dormirò”.
SPOILER PUNTATA 25
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Long as I remember the rain been comin' down
Clouds of mistery pouring confusion on the ground
Good men through the ages tryin' to find the sun
And I wonder, still I wonder
Who'll stop the rain?

"Who'll Stop The Rain", Creedence Clearwater Revival





“E’ finita”.

L annuì con rassegnata convinzione, mentre il dito che teneva poggiato sulle labbra precipitava lentamente. Light lo guardava trepidante, le mani strette sulle ginocchia davanti a lui, in febbrile attesa di una manifestazione di sconfitta o di sorpresa. Non poteva credere che fosse vero; ma, seppure in quel modo così inaspettato e raro sulla scala delle probabilità, era davvero finita. Avrebbe preferito qualcosa di più risolutivo, ma in fondo se lo aspettava. Combattere contro L non garantiva mai, in ultimo esito, una vittoria totale e definitiva.

“A quanto pare” disse infine Ryuzaki, levando gli occhi su di lui. Light non seppe cosa fosse, ma qualcosa nel suo sguardo gli provocò un brivido strano, come di disagio: gli parve persino di aver scorto in quel nero imperturbabile una strana forma di preveggenza, un che di destino già prefissato.

Nonostante ciò, le sue successive parole ebbero il potere di sorprenderlo.

“Sapevo che sarebbe andata così” scandì pacatamente L, appoggiandosi con lentezza contro lo schienale della sedia. “Era il minimo che potesse capitarmi in sorte, essendomi messo contro di te”.

Un lento sorriso gli affiorò sulle labbra, come se il suo stesso discorso lo divertisse intimamente. Light si impose di rimanere impassibile ma la curiosità lo stava lentamente vincendo, riuscendo in un’impresa in cui lo stesso L aveva fallito.

“Cosa intendi dire con questo?”

Il sorriso di Ryuzaki non accennò a ritirarsi.

“Che poteva finire molto peggio, per me. Ma non mi illudo. Non sono riuscito a sconfiggerti, e tu non sei riuscito a battermi: tuttavia, in questa partita non giochiamo solo in due. Non è ancora stata detta l’ultima parola”.

Light scosse lentamente la testa, chiudendo gli occhi in un veloce gesto di insofferenza. L non accennava né a smettere di sorridere né a distogliere lo sguardo da lui.

“Continuo a non capire”.

“Mi stupisci, Light” rispose Ryuzaki, cadenzando il proprio tono di voce. “Credevo che, essendo quello che sei, fra tutti gli esseri umani di questa terra saresti stato proprio tu il più indicato ad esacerbare la questione”.

“E chi sarei io?” ribatté Light, infastidito. Conosceva già la risposta.

L declinò il proprio sorriso in una smorfia che gli sembrò quasi malinconica.

“Ma Kira, naturalmente”.


 

Sapevi.

Se ne ho avuto la piena certezza soltanto quando mi hai guardato in fin di vita, tremante fra le mie braccia come un amante tradito, ne ebbi una strana ed irrazionale consapevolezza quella sera.

Mi hai sorpreso sino alla fine, L; fino alla fine sei rimasto quello che io ero per te.

Un enigma.

L’enigma per eccellenza, forse. La schermaglia intellettuale portata alla sublimazione.

La sfida per la quale avresti ottenuto la vittoria o saresti morto.

Ero diventato il tuo massimo obiettivo personale, il tuo chiodo fisso, la tua ossessione. E da questo sono assurto anche a tuo primo amico, secondo una tua delirante definizione che non sono mai riuscito ad accettare.

E così, tenendo stretto l’amico assassino, infine sei morto.

In questo momento, a conti fatti, sono certo di poterti definire il mio capolavoro: pianificare il tuo trapasso è stato complesso e faticoso, ma decisamente soddisfacente per il mio ego.

E per quello di Kira.

Ti sembrerà strano, ma nonostante tutte le grane che mi hai provocato, mi trovo a vivere la tua morte in maniera molto più personale di quanto avrei mai potuto pensare. La centrale è piatta e inutile senza di te, senza il tuo fondamentale apporto intellettivo di cui io, proprio io- non è forse ironico quello che noi umani chiamiamo destino? – ho assunto la responsabilità.

Light come Kira e come L. Difficile aspirare a qualcosa di più.

Un Dio che spicca, fra tutte le sue qualità, per l’intelligenza pura e perfetta.

Un giustiziere efficiente e praticamente incapace di sbagliare.

Sarebbe potuta continuare molto di più, L, e forse non mi sarebbe neanche dispiaciuto – ma il caso ha voluto che qualcosa di assolutamente ingovernabile ponesse fine alla tua vita. Io ti ho sconfitto, L: ma non sono stato io ad ucciderti.

E questo incrina leggermente la mia soddisfazione.

In una qualche utopica concezione di scontro alla pari, mi sarebbe piaciuto porre personalmente fine alla tua vita, da avversario leale. L’avresti meritato. Penso l’avresti anche voluto, invece di finire ammazzato da uno Shinigami afflitto da pene d’amore per Misa.

Ma non è il caso di rammaricarsi. Con te è morto anche l’ultimo baluardo di speranza elevato contro Kira.

Perché nessuno, e di questo sono certo, L, raggiungerà mai il tuo livello. Nessuno rappresenterà mai più il pericolo che tu sei stato per me.

Dovresti sentirti onorato, Ryuuzaki. Si può dire che insieme a te termina un’era.

La Giustizia umana è morta: ora comincia l’operato della Giustizia divina.


 

Light fece una smorfia seccata, appoggiando la schiena alla poltrona con un gesto brusco.

“Mi risparmierò il fastidio di negare, questa volta, ma solo perché sono stanco di ripetere la stessa frase all’infinito”.

L abbassò lo sguardo sulla scacchiera davanti a sé, annuendo come in contemplazione. I due re si fissavano immobili, quasi spaesati dalla posizione più unica che rara in cui si erano venuti a trovare: solitari superstiti di uno scontro titanico, che ironicamente era rimasto senza un vincitore né un vinto.

“Fai bene, Light” disse sottovoce L, lo sguardo fisso sul proprio re, il re nero “perché questa è l’ultima volta in cui ti troverai  costretto a prenderti la seccatura di mentire”.

Light aggrottò le sopracciglia. Il suo doppio sulla scacchiera, bianco e lucido alla luce della finestra, sembrava guardare di sottecchi l’avversario disposto all’altro capo della sua diagonale.

“Che cosa intendi dire?”

In risposta, lentamente, L allungò una mano e afferrò il re bianco. Sotto lo sguardo attonito dell’altro, lo fece viaggiare da una parte all’altra del campo di gioco e con un gesto calmo quanto inesorabile rovesciò il re nero.

Questo oscillò brevemente prima di rotolare oltre il bordo, sul tavolo, dove rimase inerte e inanimato.

“Che ho perso la partita” concluse semplicemente L, rimettendo il re bianco al proprio posto. Light lo fissò per qualche secondo, cercando nei suoi occhi impenetrabili una spiegazione a quella mossa assurda; poi, stanco del suo forzato silenzio, lo apostrofò sarcasticamente:

“Quel che hai fatto, oltre a essere completamente insensato, va contro le regole del gioco. Il re può muoversi in tutte le direzioni, ma di una sola casella: e in caso di parità i due giocatori giungono alla patta. Il risultato si mantiene quindi neutro per entrambi le parti” concluse, in tono saccente.

Con grande sorpresa di Light, L scoppiò in una breve risata di gola, che sembrò spiccare il volo verso il soffitto per poi ricadere in pezzi sul pavimento. Il suo volto era tirato e provato dal sonno, e tutto il suo essere dava prova di quella grande stanchezza propria della rassegnazione ad una sconfitta - ma i suoi occhi brillavano di sincero divertimento.

“Ma d’altro canto mi sembra ovvio che tu, Light, o chi per te, non giochi secondo le regole. Mi sbaglio, forse?” disse, con voce alta e leggera,come se stesse spiegando un concetto elementare a un bambino un po’ stupido. “Una lieve forzatura, e il destino di un uomo cambia per sempre. Fossimo stati solo io e te, o io e te e la polizia, probabilmente sarebbe finita alla pari, come nella nostra partita: ma vi è una mano potente e infallibile che, alle volte, muove i pezzi al posto tuo, una mano estranea che io non conosco e della quale non posso prevenire le mosse. Fermami quando il mio ragionamento ti sembra troppo inverosimile” aggiunse poi, spinto come da una forma di strano rispetto.

“Stando così le cose avrei dovuto zittirti appena hai aperto bocca” rispose brusco Light, urtato dal suo labirintico quanto pertinente ragionamento. “Tutto quel che hai detto non ha un minimo di senso”.

L fece un breve cenno del capo, simile alla leale toccata di uno schermidore.

“Concordo con te sul fatto che quel che dico può sembrare strano, ma concedimi un’ultima parola a riguardo prima di andare a dormire, Light: per quella mano, sia io che te non siamo altro che pedine” disse, sporgendosi avanti sulla poltrona, in precario equilibrio sulle punte dei piedi “pedine altamente sacrificabili, e tu non farai la differenza: un accesso di noia, un improvviso cambiamento d’idea…”

L colpì col dorso della mano il re bianco, in un gesto preciso e violento. Light compì istintivamente un veloce scatto all’indietro e rimase fermo,in attesa, gli occhi sulla parabola discendente che il suo re stava inesorabilmente compiendo in aria. I suoi respiri accelerarono di un colpo, come in sentore di un grave pericolo: poi, con un lieve rintocco, la pedina toccò il pavimento e dopo un goffo rimbalzo rimase rovesciata su un lato.

“…e il re bianco muore, impotente, come tutti i pedoni, gli alfieri, i cavalli, le torri, le regine che l’hanno preceduto”.


 

Quello che non sei mai riuscito a capire, Light, è che il vero mistero non è mai stato Kira: eri tu.

Lo studente modello.

Il freddo approfittatore.

Il fine razionalista.

Il figliol prodigo.

L’affascinante oratore.

L’amante della Giustizia.

Tutto questo era seducente e accattivante.

Tutto questo ti aveva reso il mio primo e ultimo amico.

In alcune cose eri simile a me; in altre, decisamente positive, eri il mio opposto.

Eri un L senza un’infanzia nebulosa, senza le sempiterne occhiaie scure, senza il bisogno di assumere buffe posizioni per usare al meglio il proprio intelletto; senza il mio vuoto, senza le mie mancanze, senza le mie stranezze.

Ti ho sempre considerato un L che fosse degno di dormire più di quanto facessi io, e di mostrarsi alla luce del sole, e di avere una ragazza, degli amici e una famiglia che fossero fieri di lui.

Mi affascinavi.

Era la prima volta che incontravo qualcuno da poter considerare al mio livello, qualcuno che potessi paragonare a me, qualcuno con cui potessi confrontarmi.

In te mi ritrovavo: e che colpo, quando non ti sei rivelato nient’altro che il volto presentabile di Kira.

Tu stesso sei stato la falla nel mio ragionamento perfetto; tu sei stato la mia debolezza più grande, quando non ero nemmeno certo di possedere debolezze di sorta.

Eri la proiezione della parte più vulnerabile della mia natura e, com’era logico che fosse, mi sei stato fatale.

Tutto questo perché a te mi ero attaccato.

Tutto questo – penso sia giusto dirlo così – perché ti ho amato.

Come un fratello, come un padre, come un figlio, come un amante, non saprei: non ho mai provato niente di simile per nessuno, a parte quel sentimento meno conflittuale e problematico che sentivo verso Watari.

Forse quel che mi legava a te comprendeva tutte queste pulsioni sconosciute.

Anche se è tardi ormai, mi piacerebbe capirlo fino in fondo.

L’unica cosa che so per certo è che non mi pento di averti incontrato: senza di te, sarei morto solo e con un inutile mucchio di certezze assolute fra le mani.

Ed essere soli non significa per forza non avere nessuno accanto.

Si può anche essere soli in sé stessi, soli in una folla.

Da quella solitudine non si guarisce; ci si può solo imparare a convivere.


 

Il silenzio otturava le sue orecchie come un rombo assordante.

L era scivolato giù dalla poltrona con la sua consueta liquidità ed ora stava chino ad osservare il re caduto, considerandolo con una sorta di pietà. Light digrignò i denti.

Quel gioco era durato anche troppo.

“Ryuuzaki” sibilò, freddamente. L si girò con lentezza, giocherellando col re che aveva preso in mano: lo sguardo che gli rivolse esibiva due occhi ingenuamente in attesa di qualcosa, come di una bella notizia.

“E’ tardi” continuò Light, conficcando le unghie nei braccioli della sedia prima di alzarsi. “Domani è un’altra giornata di lavoro, ho bisogno di riposare”.

“Oh” gli rispose l’altro, a voce bassa “ma certo, Light. Scusami.  Con questa storia della partita ti ho tenuto sveglio più di quanto probabilmente tu avessi intenzione”.

Stava lì, ginocchioni sul pavimento di moquette, illuminato dalla luce opaca dei lampioni di strada che lo rendeva simile a un qualche animale randagio. Light gli rivolse una lunga occhiata, dall’alto della sua posizione eretta: stranamente, non gli veniva in mente niente con cui rispondergli. La serata stessa, dal suo pricincipio sino a quella inquietante fine, l’aveva lasciato spiazzato. Subito dopo cena Ryuuzaki era venuto da lui, la scacchiera in mano come un’offerta di elemosina, e gli aveva chiesto nel suo solito tono lento ed educato se gli andava di giocare con lui. Light aveva accettato; se spinto dall’ennesima sfida lanciatagli da L o dal gesto infantile che lui aveva fatto, quello stupido movimento che fanno sempre i bambini – scuotere i pezzi dentro la scatola -, non lo sapeva.

La partita era durata dalle nove alla mezzanotte e mezza. Nessuno di loro due si era sorpreso di quanto la strategia dell’altro fosse simile alla propria; in qualche modo, se lo aspettavano.

L gli aveva lasciato i pezzi bianchi. Light inizialmente aveva tentato di rifiutare ma c’era un che di rassegnato che rendeva la sicurezza del detective insormontabile. E così si era ritrovato ad accettare quel cortese vantaggio che in verità lo infastidiva, provocando il suo orgoglio.

La prima ora era passata senza neanche una pedina mangiata: entrambi aveva tessuto una fittissima ragnatela di inganni in cui però nessuno dei due era ancora caduto. Fu Light a mangiargli il primo pedone, e il sorriso di sincera soddisfazione che gli aveva rallegrato il viso mosse dentro a L una strana quanto immotivata tristezza. Si era dimenticato di quel modo che Light aveva di dimostrare gioia: il modo inoffensivo, discreto, che non ne affilava i tratti ma al contrario li distendeva piacevolmente.

L gliel’aveva visto in faccia pochissime volte ma, in quel momento, non aveva esitato un attimo a riconoscerlo.

“Bella mossa” gli disse, un dito a tormentarsi il labbro inferiore alla ricerca di un buon contrattacco.

“E’ solo un pedone” gli rispose lui, monotono, senza alzare gli occhi dalla scacchiera.

Sì. Certi pezzi, certi esseri umani, per Light erano sempre stati solo pedoni.

“Non mi ricordo chi disse che su una scacchiera, al pari di un campo di battaglia, il sangue scorre a fiumi” sillabò attentamente L, spostando in concentrazione un alfiere di tre caselle. Light seguì la mossa con lo sguardo, le dita incrociate sotto il mento e le sopracciglia convergenti in una piega spigolosa.

“Il paragone calza” disse, lapidario.

Erano rimasti in silenzio fino al termine della partita, fino a che, pezzo dopo pezzo, erano giunti a quella ridicola impasse che non si riconosceva nella realtà.

 “Allora buonanotte”.

Al suono della sua voce calma, Light si riscosse dai suoi pensieri. L lo guardava immobile, piegato in avanti con le mani nelle tasche; sulla scacchiera, il re bianco era tornato sulla casella di partenza.

Guardò il proprio orologio. Era notte inoltrata.

“Tu non vai a dormire, Ryuuzaki?” chiese, neutro. L in risposta fece un piccolo sorriso. I capelli gli erano scivolati davanti agli occhi come una cortina di fumo e mascheravano il resto del viso, neri e impenetrabili.

Light lo guardò voltarsi lentamente  verso la finestra e poggiare una mano sul vetro, assorto e imperturbabile come lo era stato durante la partita. Sottili strisce di pioggia scivolavano sulla superficie macchiando la luce di riflessi azzurrini.

“No”. L’aveva detto così piano che Light si domandò se non se lo fosse inventato lui stesso. “Non penso che stanotte dormirò”.

Light non trovò niente da dire e imboccò la porta, silenzioso, spingendo la maniglia con religiosa attenzione.

L ne seguì il suono leggero con la mente.

“Piove…” disse in un sospiro.

Sentì che lui si fermava, un piede già nel corridoio: L attese, ma Light non si voltò, e non tornò indietro.

Nel silenzio, la serratura scattò come una condanna.

 

 

 

Il giorno dopo pioveva ancora.





Dall'autrice: so che sto diventando monotona con tutte queste fic sulla morte di L, ma in questo momento non riesco a scrivere altro su Death Note. Da quando ho visto la puntata 25 la mia testa è rimasta fissata lì.
Il giorno di pioggia più traumatico della mia vita ç__ç
Speriamo prima o poi di riuscire a operare uno straccio di catarsi, altrimenti non riuscirò più ad andare avanti con l'anime e la storia merita di essere conclusa, dannazione.
Scusatemi il piccolo sfogo, ma è più forte di me.
Se vi è piaciuta, lasciatemi qualche commentino, e farò salti di gioia per la stanza...^^
P.S. Lascio qui la traduzione della canzone messa in apertura:

"Da quando riesco a ricordare, la pioggia viene giù
Nuvole di mistero che scaricano confusione sulla terra
Uomini buoni che attraverso gli anni cercano di trovare il sole
E mi domando, continuo a domandarmi
Chi fermerà la pioggia?"
   
 
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