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Autore: NeverThink    28/12/2009    8 recensioni
Ferma, lì, persa nei ricordi, guardavo la sedia a dondolo, rovinata dal tempo e dall’umidità. Ferma, immobile, fredda.
L’immagine dai caldi e vividi colori fu rimpiazzata da quella realtà cruda, desolata e piena di struggente dolore e malinconia.
Mi avvicinai alla sedia a dondolo e la sfiorai con i polpastrelli. Sentii le venature del legno sotto la pelle.
Sorrisi, consapevole che non appena mi sarei rifugiata in camera, circondata dalle pareti che un tempo furono la sua dimore segreta, sarei scoppiata a piangere.
«E tu chi sei?»
«Importa?»
«Quello è il mio posto.»
«Oh. Non vedo scritto il tuo nome.»
«E’ il mio posto da sempre. Lo sanno tutti.»
«Ed io ti ripeto che qui sopra non c’è scritto il tuo nome. Finché non trovo scritto il tuo nome io non mi muovo di qui.»
Il sorriso, prima o poi, torna.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lilian

 

 

~Sometimes you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is falling apart,
when there is no light to break up the dark
that's when I look at you.
When the waves are flooding the shore and I
can't find my way home anymore
that's when I look at you.

 

 Capitolo uno.

 

Il Natale dovrebbe essere il momento più dell’anno, no?
Le luci, l’albero, gli addobbi, i dolci, il tacchino… la tavola mai sparecchiata, i giochi da tavolo. Le canzoni di Frank Sinatra che inondano dolcemente la stanza illuminata e colorata.
Le serate con gli amici e bere birra e fare baldoria nell’affollata New York.
Così per qualsiasi altra festa, vacanza.
Il coprifuoco infranto. Fuggire si casa nel cuore della notte. Uscire di nascosto.
Ma il paesaggio che, in quel momento, mi si prospettava davanti era ben diverso da quello perfetto disegnato nella mia mente, oramai solo il ricordo di una vita passata ad essere l’adolescente ribelle che ero.
Ad ogni modo, guardavo il paesaggio della mia camera, o meglio, la camera che un tempo era stata di mia madre. Il mare si scagliava grigio, sotto il cielo pieno di pioggia, sulla costa sabbiosa. Mi portai istintivamente una ciocca di capelli chiari dietro un orecchio, giocando poi con la coda bassa che mi ricadeva sulla spalla.
Odiavo con tutta me stessa quel posto. Odiavo con tutta me stessa il North Carolina, eppure non avevo potuto far nulla per evitare la partenza programmata da mio padre, la settimana precedente.

Eravamo a tavola. Seduti, come di consuetudine, l’uno di fronte all’altra. Come di consuetudine, da oramai due anni, mangiavamo in silenzio.
«Andremo dai nonni.»
Alzai di scatto la testa, distogliendo la mia concentrazione dal pasticcio di verdure nel mio piatto.
«Scherzi, vero?» chiesi spalancando gli occhi.
«Ci divertiremo.»
«No!» urlai scattando in piedi. «Non puoi papà! Cosa vuoi che faccia io da nonni? Che vuoi che faccia in quella casa? Se qui è il deserto, lì non c’è vita!»
«Lily, tesoro...»
«Non possiamo passare l’ultima settimana di vacanze estive qui, come gli ultimi due anni?»
«Lily» il modo in cui pronunciò il nome, mi mise all’istante in allarme.
«Andiamo a vivere lì.»
Mi sentii la terra mancarmi sotto i piedi e le lacrime inondarmi gli occhi. «Papà… la mia vita è qui.»
Mio padre con sguardo duro e serio, imperturbabile, mi fissava, poi pulendosi le labbra con un fazzoletto puntò i suoi occhi nei miei.
«Noi andremo da nonni. Che ti piaccia o no. La nostra famiglia è tutta lì.»
Con le lacrime agli occhi mi voltai e mi chiusi in camera mia, sbattendo la porta.

Odiavo quella stanza, perché ogni cosa mi ricordava lei, mi ricordava la sua assenza.
I suoi capelli biondi, la stessa tonalità chiara dei miei, i suoi occhi verdi, come i miei, il suo sorriso allegro e contagioso, quello che da due anni avevo perso.
Mi asciugai col dorso della mano la lacrima solitaria che mi rigò all’improvviso la guancia e, alzandomi dal letto, su quale ero seduta, andai ad aprire la finestra.
L’aria fresca, proveniente dal mare, mi colpii in pieno viso facendomi rabbrividire. Chiusi gli occhi godendomi la sensazione della brezza sul viso.
Sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene.
Odiavo quel posto. Odiavo la prospettiva si dover passare l’ultimo anno di liceo, in quella cittadina Quella cittadina dei North Carolina era come una prigione per me.
Passare le vacanze di Natale con mio padre, con il quale non avevo gran rapporti dal giorno in  cui… scossi i capo, come a voler scrollarmi dalla mente le immagini che crudeli cominciarono a riaffiorare. Passare le vacanze di Natale con la nonna ed il nonna. Passare il resto della mia vita, lontana da casa, dai miei amici, la mia scuola… trascorrere l’anno precedente al collage con la famiglia Lawson. La famiglia di… mamma.
«Così ti prenderai un accidente.»
Mi voltai di scatto verso la porta, alle mie spalle, e guardai la nonna con espressione dolce e tenera. Non le risposi, mi limitai ad scuotere il capo e ritornare a guardare il mare agitato.
«Posso?» chiese. Interpretò il mio silenzio come un si. La sentii avanzare nella stanza per poi carezzarmi i capelli con fare dolce.
«So quanto sia difficile per te, Lily, ma…»
«No, nonna Marie, non lo sai.» risposi secca sentendo la gola gonfia. Lei sospirò e sentii la retina del letto cigolare sotto il suo peso.
«Tuo padre, ti sembrerà assurdo, ma ha fatto la scelta giusta.»
«Sei qui per difenderlo?» sbottai con voce tagliente.
«No.»
«Allora non cercare di farmi cambiare idea.»
«Non sto cercando di farti cambiare idea, tesoro. Voglio solo farti aprire gli occhi.»
Non risposi, mi limitai a fissare il mare agitato.
«Questa non è la mia vita.» sibilai.
«Lì non avete nessuno… noi possiamo aiutarti, possiamo aiutare tuo padre… questa è casa vostra, ricordatelo.»
Mi alzai di scatto e mi voltai, rossa in volto per la rabbia. «Esatto, questa è casa vostra! Non casa mia! E’ la vostra vita! Non la mia! La mia vita e a New York! Lì ho la mia vita!» urlai con le lacrime agli occhi.
Nonna Marie mi guardava con sguardo imperscrutabile, seduta sul bordo del letto, poi sospirò.
«Voglio andare a casa.» mormorai con voce incrinata, sentendo le lacrime calde rigarmi il viso.
«E’ questa casa tua. Lo hai sempre saputo.»
La guardai e sentii il mento cominciare a tremarmi. Con grandi falcate superai il letto e uscii dalla stanza. Il pavimento i legno invecchiato scricchiolò sotto i miei piedi mentre mi dirigevo verso l’ingresso, afferrando la felpa che avevo poggiato sulla sedia.
«Dove vai?» chiese mio padre, intento a scartare uno scatolone. «Devi aiutarmi a sistemare la nostra…»
Non sentii il resto della frase, poiché sbattei violentemente la porta alle mie spalle.

 

Seduta sul spiaggia fissavo le onde del mare, andare a tornare. Il vento mi scompigliava i capelli lunghi e biondi, raccolti in una coda scomposta. Mi portai le ginocchia al petto, abbracciandole e poggiandoci sopra il mento.
Avevo vagato per un po’, lungo le stradina di quella desolata cittadina, senza una meta, fino a giungere al mare. In lontananza si potevano scorgere persone camminare e tenersi per mano, bambini far volare i loro aquiloni. Esattamente come io facevo con la mamma.
Sorrisi al ricordo di noi due sulla spiaggia, nel tardo pomeriggio estivo, a far volare l’aquilone. Quel ricordo, dolce sì come il miele fu anche una pugnalata al infertami al cuore. Feci una smorfia, quando avvertendo dolore fisico.
Odiavo quel posto. Odiavo tutto ciò che mi ricordava lei. Odiavo perfino il mio volto, quando mi le persone mi chiamavano Lilian. Solo lei mi chiama con il mio nome per intero.
Se New York, per certi versi era stata la mia medicina, il barlume di luce nelle tenebre, quella cittadina era il posto senza cielo. Senza luce. Il sole che illuminava il mare durante quasi tutto l’anno, non sarebbe servito a nulla, quel posto sarebbe sempre stato privo di luce, di calore.
Perché non era più casa mia oramai. Perché lei non sarebbe mai più tornata.

 

 

*

Eccomi qui, gente. Con una nuova fiction. Postata solo perché una è già finita in file word e una quasi completata.
Ma, in fondo, a voi, cosa importa? Giusta osservazione.
E’ un fiction nata quasi per necessità. E spero che a qualcuno di voi piaccia. Okay, è solo un inizio… ma… va bene, basta ciarlare.
Ispiratoad una storia bellissima.

Alla mia dolce Ether…

A voi, un bacio,
                   Panda.

   
 
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