Lilian
~Sometimes you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is
falling apart,
when there is no light to break up the dark
that's when I look at you.
When the waves are flooding the shore and I
can't find my way home anymore
that's when I look at you.
Capitolo uno.
Il Natale
dovrebbe essere il
momento più dell’anno, no?
Le luci, l’albero, gli addobbi, i dolci, il
tacchino… la tavola mai
sparecchiata, i giochi da tavolo. Le canzoni di Frank Sinatra che
inondano
dolcemente la stanza illuminata e colorata.
Le serate con gli amici e bere birra e fare baldoria
nell’affollata New York.
Così per qualsiasi altra festa, vacanza.
Il coprifuoco infranto. Fuggire si casa nel cuore della notte. Uscire
di
nascosto.
Ma il paesaggio che, in quel momento, mi si prospettava davanti era ben
diverso
da quello perfetto disegnato nella mia mente, oramai solo il ricordo di
una
vita passata ad essere l’adolescente ribelle che ero.
Ad ogni modo, guardavo il paesaggio della mia camera, o meglio, la
camera che
un tempo era stata di mia madre. Il mare si scagliava grigio, sotto il
cielo
pieno di pioggia, sulla costa sabbiosa. Mi portai istintivamente una
ciocca di
capelli chiari dietro un orecchio, giocando poi con la coda bassa che
mi
ricadeva sulla spalla.
Odiavo con tutta me stessa quel posto. Odiavo con tutta me stessa il
North
Carolina, eppure non avevo potuto far nulla per evitare la partenza
programmata
da mio padre, la settimana precedente.
Eravamo a
tavola. Seduti, come
di consuetudine, l’uno di fronte all’altra. Come di
consuetudine, da oramai due
anni, mangiavamo in silenzio.
«Andremo dai nonni.»
Alzai di scatto la testa, distogliendo la mia concentrazione dal
pasticcio di
verdure nel mio piatto.
«Scherzi, vero?» chiesi spalancando gli occhi.
«Ci divertiremo.»
«No!» urlai scattando in piedi. «Non puoi
papà! Cosa vuoi che faccia io da
nonni? Che vuoi che faccia in quella casa? Se qui è il
deserto, lì non c’è
vita!»
«Lily, tesoro...»
«Non possiamo passare l’ultima settimana di vacanze
estive qui, come gli ultimi
due anni?»
«Lily» il modo in cui pronunciò il nome,
mi mise all’istante in allarme.
«Andiamo a vivere lì.»
Mi sentii la terra mancarmi sotto i piedi e le lacrime inondarmi gli
occhi.
«Papà… la mia vita è
qui.»
Mio padre con sguardo duro e serio, imperturbabile, mi fissava, poi
pulendosi
le labbra con un fazzoletto puntò i suoi occhi nei miei.
«Noi andremo da nonni. Che ti piaccia o no. La nostra
famiglia è tutta lì.»
Con le lacrime agli occhi mi voltai e mi chiusi in camera mia,
sbattendo la
porta.
Odiavo quella
stanza, perché ogni cosa mi ricordava lei, mi
ricordava la sua assenza.
I suoi capelli biondi, la stessa tonalità chiara dei miei, i
suoi occhi verdi,
come i miei, il suo sorriso allegro e contagioso, quello che da due
anni avevo
perso.
Mi asciugai col dorso della mano la lacrima solitaria che mi
rigò
all’improvviso la guancia e, alzandomi dal letto, su quale
ero seduta, andai ad
aprire la finestra.
L’aria fresca, proveniente dal mare, mi colpii in pieno viso
facendomi
rabbrividire. Chiusi gli occhi godendomi la sensazione della brezza sul
viso.
Sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene.
Odiavo quel posto. Odiavo la prospettiva si dover passare
l’ultimo anno di
liceo, in quella cittadina Quella cittadina dei North Carolina era come
una
prigione per me.
Passare le vacanze di Natale con mio padre, con il quale non avevo gran
rapporti dal giorno in cui…
scossi i
capo, come a voler scrollarmi dalla mente le immagini che crudeli
cominciarono
a riaffiorare. Passare le vacanze di Natale con la nonna ed il nonna.
Passare
il resto della mia vita, lontana da casa, dai miei amici, la mia
scuola…
trascorrere l’anno precedente al collage con la famiglia
Lawson. La famiglia
di… mamma.
«Così ti prenderai un accidente.»
Mi voltai di scatto verso la porta, alle mie spalle, e guardai la nonna
con
espressione dolce e tenera. Non le risposi, mi limitai ad scuotere il
capo e ritornare
a guardare il mare agitato.
«Posso?» chiese. Interpretò il mio
silenzio come un si. La sentii avanzare
nella stanza per poi carezzarmi i capelli con fare dolce.
«So quanto sia difficile per te, Lily,
ma…»
«No, nonna Marie, non lo sai.» risposi secca
sentendo la gola gonfia. Lei
sospirò e sentii la retina del letto cigolare sotto il suo
peso.
«Tuo padre, ti sembrerà assurdo, ma ha fatto la
scelta giusta.»
«Sei qui per difenderlo?» sbottai con voce
tagliente.
«No.»
«Allora non cercare di farmi cambiare idea.»
«Non sto cercando di farti cambiare idea, tesoro. Voglio solo farti
aprire gli occhi.»
Non risposi, mi limitai a fissare il mare agitato.
«Questa non è la mia vita.» sibilai.
«Lì non avete nessuno… noi possiamo
aiutarti, possiamo aiutare tuo padre…
questa è casa vostra, ricordatelo.»
Mi alzai di scatto e mi voltai, rossa in volto per la rabbia.
«Esatto, questa è
casa vostra! Non casa mia! E’ la vostra vita! Non la mia! La
mia vita e a New
York! Lì ho la mia vita!» urlai con le lacrime
agli occhi.
Nonna Marie mi guardava con sguardo imperscrutabile, seduta sul bordo
del
letto, poi sospirò.
«Voglio andare a casa.» mormorai con voce
incrinata, sentendo le lacrime calde
rigarmi il viso.
«E’ questa casa tua. Lo hai sempre
saputo.»
La guardai e sentii il mento cominciare a tremarmi. Con grandi falcate
superai
il letto e uscii dalla stanza. Il pavimento i legno invecchiato
scricchiolò
sotto i miei piedi mentre mi dirigevo verso l’ingresso,
afferrando la felpa che
avevo poggiato sulla sedia.
«Dove vai?» chiese mio padre, intento a scartare
uno scatolone. «Devi aiutarmi
a sistemare la nostra…»
Non sentii il resto della frase, poiché sbattei
violentemente la porta alle mie
spalle.
Seduta sul
spiaggia fissavo le onde del mare, andare a
tornare. Il vento mi scompigliava i capelli lunghi e biondi, raccolti
in una
coda scomposta. Mi portai le ginocchia al petto, abbracciandole e
poggiandoci
sopra il mento.
Avevo vagato per un po’, lungo le stradina di quella desolata
cittadina, senza
una meta, fino a giungere al mare. In lontananza si potevano scorgere
persone
camminare e tenersi per mano, bambini far volare i loro aquiloni.
Esattamente
come io facevo con la mamma.
Sorrisi al ricordo di noi due sulla spiaggia, nel tardo pomeriggio
estivo, a
far volare l’aquilone. Quel ricordo, dolce sì come
il miele fu anche una
pugnalata al infertami al cuore. Feci una smorfia, quando avvertendo
dolore
fisico.
Odiavo quel posto. Odiavo tutto ciò che mi ricordava lei.
Odiavo perfino il mio
volto, quando mi le persone mi chiamavano Lilian. Solo lei mi chiama
con il mio
nome per intero.
Se New York, per certi versi era stata la mia medicina, il barlume di
luce
nelle tenebre, quella cittadina era il posto senza cielo. Senza luce.
Il sole
che illuminava il mare durante quasi tutto l’anno, non
sarebbe servito a nulla,
quel posto sarebbe sempre stato privo di luce, di calore.
Perché non era più casa mia oramai.
Perché lei non sarebbe mai più tornata.
*
Eccomi qui,
gente. Con una nuova fiction. Postata solo
perché una è già finita in file word e
una quasi completata.
Ma, in fondo, a voi, cosa importa? Giusta osservazione.
E’ un fiction nata quasi per necessità. E spero
che a qualcuno di voi piaccia.
Okay, è solo un inizio… ma… va bene,
basta ciarlare.
Ispiratoad una storia bellissima.
Alla
mia dolce Ether…
A voi, un bacio,
Panda.