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Autore: Sisya    29/12/2009    7 recensioni
Forse, si disse, non aveva alcun bisogno di sentirsi amata. In fondo si sopravviveva anche senza, no? Per Margaret magari era abbastanza vivere delle piccole cose che le facevano scintillare gli occhi. Comete che slittavano nel cielo stellato all'improvviso, cestini di fiori freschi di rugiada, un pentacolo di gessetto tracciato di nascosto sul muro di una casa, o... quello che faceva lei, qualsiasi cosa fosse, che aveva funzionato con il passerotto e tante altre piccole vite selvatiche. Il suo dono.
Prima classificata al concorso ''La Foresta e... la Bambina'' indetto da Eylis
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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T'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori (...)
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio.

(Pablo Neruda)


Dita di Fata

~ Cronache da Pendle Hill


Il vento dell'interno aveva portato con sé i profumi e i colori palpitanti dell'estate, e come un pittore di fronte a una tela bianca, aveva sparso al suo passaggio una pennellata di verde intenso tra i rami, giallo ocra sulle distese coltivate, e azzurro fresco e stemperato tra le chiazze di nuvole. Si era intrufolato in punta di piedi nei sentieri dei boschi, per poi scendere allegramente a soffiare sui campi, a scompigliare le soffici spighe di grano. Anche la foresta sul colle di Pendle Hill sembrava tornata alla vita dopo il lungo sonno che le aveva infuso la stagione invernale, simile al gelido abbraccio di un amante indesiderato.

Soltanto la sera prima aveva piovuto sui tetti di ardesia di Samlesbury, sui terreni addormentati, mentre la notte stendeva la sua fresca trapunta ricucita di stelle e tenebra, impregnata di presagi di cambiamento. Ora invece il sole filtrava leggero e giocherellone tra i rami folti, riversandosi dappertutto in minuscoli spilli luminosi. Ogni tanto il vento scuoteva in un sussurro gentile le fronde, un suono ancestrale che ricordava, forse, lo stesso battito di ali fatate che in un tempo lontano aveva costellato l'aria diafana del luogo. La foresta respirava piano, con infinita dolcezza, immersa nella quiete di un pomeriggio che non aveva nulla di diverso da tanti altri, se non fosse stato per il fruscio di piedi nudi sull'erba, accompagnato dai passi di un paio di stivali che li seguivano stoicamente. Margaret teneva entrambe le scarpe di tela in una sola mano, lasciando dondolare il braccio avanti e indietro mentre camminava con il mento all'insù e gli occhi rivolti alle cime più alte degli alberi maestosi. Jack se l'era domandato spesso, ma non riusciva davvero a comprendere per quale arcano motivo questi luoghi esercitassero un fascino tanto potente e inspiegabilmente familiare sulla sorella, che lo pregava quasi ogni giorno di accompagnarvici. Lui acconsentiva di buon grado, contento di vederla accendersi di gioia. Violenta e ambigua, l'emozione le sconvolgeva i lineamenti sottili, e Margaret non si curava di nasconderlo.
Perché?, si chiedeva Jack fissandola di sottecchi e tentando di raccapezzarsi. Cosa c'era di tanto straordinario che lui non riusciva a cogliere?
Sua sorella non chiacchierava molto, era una bambina piuttosto taciturna, ma le piaceva avere Jack al suo fianco a farle compagnia. Di solito lasciava sempre che fosse lui a iniziare la conversazione, e lei si limitava a starlo ad ascoltare, l'espressione adulta e attenta, premiando alle volte i suoi sforzi di coinvolgerla con una breve risata allegra o un'occhiata complice che gli rivolgeva da sotto la frangia spettinata. Portavano con loro una sacca a tracolla, con qualche pagnotta fresca e alcune mele che raccoglievano dai filari, sgattaiolando via in fretta all'avvicinarsi dei contadini. Oh, e ovviamente portavano anche dei gessetti bianchi.
Il ragazzino, Jack Gray, aveva gli occhi di un azzurro intenso; Margaret si irritava sempre perché per quanto ci pensasse, non riusciva mai trovare qualcosa da poter paragonare a quelle iridi luminose. Il colore del cielo non andava bene, era troppo slavato e pallido, e neppure i bei petali dei non ti scordar di me e delle campanule potevano reggere il confronto. A quanto diceva lei era molto snervante.

In quel momento, Jack scorse di sfuggita un animale sgusciare a pochi passi da loro, e non seppe impedirsi di sobbalzare.
- Che cos'era? - esclamò allarmato, incespicando ben poco elegantemente nei suoi stessi piedi per lo spavento. Doveva essersi trattato di una donnola, ma era strano vederne in giro in pieno giorno. Margaret gli rivolse una breve occhiata da sopra la spalla, alzando i lembi della gonna nello scavalcare una radice sporgente.
- Quello, era un wirvill - rispose con tono neutro, studiando la reazione del fratello.
- Che cosa accidenti sarebbe un...
wirr-vil...? - balbettò lui spaesato.
Lei non rispose.

D'accordo, forse in fin dei conti sarebbe stato più onesto ammettere che se tutti in paese erano convinti che la sua sorellina fosse diversa una ragione c'era, ma quella parola suonava così male, era talmente cattiva... e non era giusto, per Margaret, vedersi affibbiata quell'etichetta. In virtù di quale diritto, poi? Era come se glielo fosse stato inciso a caratteri di fuoco sulla fronte. Ma la parola veramente adatta, Jack ne era certo, non era diversa, ma speciale. La foresta li stava aspettando.


(~)


Aveva una voce bassa, ma dal timbro ancora dolcemente infantile.
- Aspetta - fu poco più di un sussurro nel suo orecchio, che gli fece rizzare i peli sulla nuca. Odorava di gessetti, pino silvestre e bacche amarognole. - Stai stringendo troppo, non vedi? Lascialo muoversi come vuole, ecco. Allenta qui. - Una mano piccola e dai modi irriverenti batté piano sulle sue dita intorpidite, indicandogli il punto esatto in cui diminuire la pressione. Avvertì un brevissimo frullio concitato di ali nei propri palmi leggermente discosti, dove il pettirosso si dibatteva con sempre minor convinzione. Il dolore lo rendeva irrequieto; tentava di sbattere l'ala lacerata e incrostata di sangue rappreso per liberarsi. Jack si mordicchiò il labbro inferiore, curvando le sopracciglia rossicce in un'espressione incerta. Doveva essere più assorto di quello che pensava, perché quasi non colse il leggero movimento al suo fianco, e quando si ritrovò d'un tratto gli occhi densi e scuri della sorella ad appena un battito di ciglia, gli scappò un sussulto involontario e per poco non si lasciò sfuggire la presa sul corpicino fragile e sfinito che stava tenendo tra le dita. - Non muoverti - sillabarono le labbra di lei senza emettere suono, il respiro dritto in faccia a Jack, che sbatté le palpebre in risposta; anche se non glielo avesse imposto, comunque, difficilmente sarebbe riuscito a spostare un muscolo, pur volendo. La tensione gli stava stritolando lo stomaco con qualcosa che forse aveva a che fare con la fifa più di quanto non fosse disposto ad ammettere. Margaret alle volte gli faceva quell'effetto. Non che avesse paura di sua sorella, del viso vispo e degli occhioni innocenti della sua candida età di nove anni, no. Jack le voleva bene, sarebbe stato pronto a gettarsi da un dirupo per lei, eppure, guardando Margaret, quella luce inspiegabile che le si accendeva nello sguardo, si chiedeva...
- Ma che stai facendo? - bisbigliò a voce bassissima vedendola armeggiare con il gessetto.
Lei scosse piano il capo, facendogli segno di stare zitto e non insistere.
Si snodavano sotto le sue mani ragnatele sottili e intricate, che riconobbe infine essere un pentacolo di gesso.
- Adesso, fai attenzione a non lasciarlo andare finché non te lo dico io, va bene? - un frullio di ali, di nuovo, le labbra di Margaret si mossero appena, e mani più piccole e delicate coprirono le sue - Ora.- Jack fece come gli era stato ordinato, e il pettirosso si inarcò trillando tra le sue dita. La brutta ferita era scomparsa. Dovette alzare gli occhi al cielo per seguire il volo della bestiola, fino a quando scomparve alla vista oltre le fronde degli alberi. Con i fili di raso colorato annodati tra i capelli, Margaret scoppiò a ridere della sua espressione incredula.
- Ma... come hai fatto...? -
- L'ho fatto e basta. -


(~)


Avvertiva addosso distintamente la sgradevole sensazione di essere osservato, come un prurito insistente alla base della nuca.
Tentò di ignorarlo, ma infine dovette cedere, e seppur riluttante sollevò lo sguardo. La prima cosa che vide fu uno stivale infangato appoggiato con strafottenza sullo steccato del loro recinto, poi delle braccia magre incrociate al petto, e infine quella che lui avrebbe definito senza esitazione una faccia da schiaffi da manuale.
- Ehilà, chi si vede, Gray - lo chiamò Luc con voce strascicata, agitando una mano. Jack ruotò gli occhi, sentendosi già esasperato in partenza.
L'altro fece una breve risata secca, scoprendo i canini sporgenti. Aveva il mento leggermente appuntito e una spruzzata di lentiggini sul naso.
- Tua sorella non è venuta in chiesa ieri... - buttò lì, con tono mellifluo che voleva essere casuale, ma che tradiva una cattiveria del tutto voluta.
- Margaret è stata male - mentì Jack in fretta, preso alla sprovvista. Gli occhi di Luc lampeggiarono vittoriosi, scorgendo l'improvviso disagio del ragazzo, e sporse il mento in avanti con palese aria di sfida.
- Ah, sì? Ma se prima era fuori e stava parlando con il cavallo dei Johonson... L'ho vista. -
- E allora? Non capisco cosa tu voglia insinuare, né perché - ribatté Jack scrollando le spalle, e incrociando poi le braccia al petto a sua volta, ricambiò l'occhiata torva - D'altra parte, io sto parlando con un idiota, invece. E preferirei di gran lunga anch'io avere a che fare con un cavallo, sinceramente. -
- Tanto lo sai cosa dicono tutti, vero? Se ne sta sempre nella foresta, si comporta in modo strano... dicono che non è nemmeno vostra sorella, ma che è stata abbandonata perché neanche quella poco di buono di sua madre era disposta a tenersela! - la sua risata adesso assomigliava a un latrato, e Jack sentì la rabbia montare dentro di sé come tanti puntolini luccicanti davanti agli occhi, mentre serrava i pugni lungo i fianchi e tentava senza successo di trattenersi.
- Se non ritiri quello che hai detto, Potts, ti faccio ingoiare i denti. Margaret la devi lasciare in pace, hai capito? -
Ma gli si era gettato addosso ancor prima che l'altro potesse rispondere, scavalcando la staccionata e riuscendo ad affibbiargli un destro niente male in pieno viso, prima di ricevere indietro un pugno nello stomaco e finire a terra a fare a botte. Neanche tre secondi dopo, però, si sentì strattonare violentemente per la collottola, ed ebbe una chiara visione del terreno che gli si allontanava da sotto i piedi, e di Luc che si contorceva tenendosi con entrambe le mani il naso – rotto, probabilmente, considerò tra sé con un moto di orgoglio virile.
- Pretendo - esordì Ben dandogli una brusca scrollata - Una spiegazione. E ti conviene che sia buona. Tu - aggiunse rivolgendosi a Luc - vattene immediatamente a casa tua e fingerò che questo non sia mai accaduto, ma non voglio più vederti a bighellonare qui intorno, siamo intesi? - Jack non poté impedirsi di ridacchiare sottovoce nel vedere Luc che si dileguava con la coda tra le gambe, e fu sul punto di gridargli qualcosa dietro, ma l'occhiata di Ben lo distolse da tale proposito. - Ebbene? Sto aspettando. -
- Ma Ben, è stato lui a cominciare! Io ho solo reagito! - protestò Jack voltandosi a fissare il fratello da sotto in su, indignato.
- Ti ha colpito lui, quindi? - domandò il giovane rimettendolo a terra.
- … no, ma... - rispose il ragazzino, dondolandosi esitante da un piede all'altro.
- Cosa ha fatto allora, sentiamo... - sospirò Ben racimolando ogni briciolo della sua pazienza.
- Ha insultato Margaret! Di nuovo! - esclamò - Non potevo stare lì senza far niente, Ben, non...! -
La rabbia scivolò via dai lineamenti del giovane, lasciando posto a qualcosa di molto simile alla desolazione.
- Capisco. Ma Jack, non puoi fare così. Non puoi prendere a pugni chiunque solo perché quello che dicono non ti sta bene. Ricordati che quando io non ci sono spetta a te fare l'uomo di casa, e un uomo non fa a cazzotti col primo che capita, d'accordo? Neanche se gli altri se lo meritano. Credi che John ne sarebbe stato orgoglioso? - domandò scompigliandogli i capelli con affetto. Aveva già un filo di barba sotto il mento, e un sorriso paterno nonostante i suoi soli diciannove anni. Jack fissò con insistenza le proprie scarpe infangate, scuotendo piano la testa rossiccia.
- Devo lasciare che la insultino, allora? -
- No - sospirò Ben, rabbuiandosi - No, Jack. Sei un bravo fratello, lo so. Torna a casa e fai vedere alla mamma quel brutto livido, va bene? Piuttosto, dov'è Margaret? -
- Beh... - rispose il ragazzo stringendosi nelle spalle sulla difensiva - Sarà ancora nella foresta, credo... -
- Stammi a sentire, quello è un luogo pericoloso. Non deve andarci da sola, chiaro? -
- Ma lei è sempre nella foresta. Lo sai com'è fatta. -
- Allora è fatta nel modo sbagliato, a quanto pare. -
Jack si accigliò. Solitamente Ben era gentile nei confronti di Margaret, la trattava con gli stessi modi affettuosi e sinceri che dispensava a chiunque. Alle volte addirittura la prendeva per la vita e la faceva girare sopra la testa, riuscendo a strapparle una delle sue rare risate. Non l'aveva mai sentito dire nulla di cattivo su di lei, prima d'allora. Lo sguardo del fratello incrociò distrattamente quello ferito di Jack, e l'azzurro limpido delle sue iridi parve rischiararsi.
- Scusami, non avrei dovuto dirlo. -
- Ma perché Margaret non piace a nessuno? -
- A te piace - osservò Ben divertito. Il ragazzino arrossì, innervosendosi per l'imbarazzo, e il giovane allora si inginocchiò alla sua altezza, posandogli entrambe le mani sulle spalle - Ascolta, non è mai bello quando le persone a cui vogliamo bene non vengono accettate dal resto della gente. Ma è proprio per questo che dobbiamo cercare di compensare l'indifferenza degli altri e sforzarci di amarle per quello che sono. Anche a me piace Margaret, Jack, davvero, mi dispiace. Su, andiamo a casa adesso, ci staranno aspettando. -


(~)


- Non sono tutti come Luc, dico davvero - stava dicendo nel porgerle la sua tazza di latte caldo con un piccolo sorriso.
- Ah, sì? E chi non lo sarebbe? - domandò Margaret incrociando le gambe sul materasso e sollevando lo sguardo su di lui.
- Aehm. Non so. Sue, per esempio... - buttò lì casualmente Jack sedendosi accanto alla sorella con un'occhiata incoraggiante.
- Sue? -
- Sue Thomas. Beh, è carina, sai. Mi ha invitato a pranzo a casa sua l'altro giorno, è stata gentile. E dice che sembri... simpatica. -
Margaret lo fissava mortalmente seria. Jack aggrottò la fronte a disagio. Okay, forse non aveva detto proprio simpatica. Però almeno non l'aveva insultata. Sue era una bimba allegra e chiacchierina, che frequentava la sua stessa scuola e aveva l'abitudine di arricciare le labbra in modo buffo quando parlava. Inoltre i suoi splendidi boccoli biondi erano l'invidia di tutte le sue amiche, e l'orgoglio e il vanto della sua madre civettuola, che non passava giorno senza tesserne infinite lodi.
- Che c'è? - sbottò infine Jack, allargando le braccia.
- Niente - rispose lei imitando il suo tono noncurante. Eppure non sembrava proprio non esserci niente, pensò lui infastidito.
- Quando noi ci sposeremo però, non voglio che tu vada più a pranzo da lei. Va bene? - propose la bambina lanciandogli un'occhiata dubbiosa.
- Eh? - saltò su Jack, sbalordito - Ma che dici, Margaret? Noi non ci sposeremo! Siamo fratelli. -
- Non lo siamo per davvero... - obbiettò lei a bassa voce, in qualche modo offesa dalla sua reazione.
- Questo... questo non ha importanza! - scattò Jack lasciandosi sfuggire una risata nervosa - Tu rimani lo stesso mia sorella. -
Margaret lo fissò per qualche altro istante, dritto negli occhi, tanto che il ragazzino fu costretto a deglutire e passarsi una mano sulla zazzera rossiccia. Senza aggiungere una parola, sua sorella gli riconsegnò la tazza di latte, scese dal letto e lasciò la stanza.



Margaret disorientava le persone, ma non c'era niente di sbagliato in lei.
Il suo umore era più mutevole delle fasi della luna, e oscillava di continuo da un estremo all'altro.
Un attimo prima era capace di ridere insieme a te fino alle lacrime, e quello successivo di rivolgerti un'occhiata da farti accapponare la pelle.
Era una diversità, la sua, che non suscitava quasi mai curiosità, ma soltanto sospetto, e rifiuto. Margaret era troppo viva, troppo anormale, troppo tutto, alle volte. Disorientava la gente, che badava bene di tenersi alla larga. La foresta dopotutto era casa sua più di quanto non lo fosse mai stato il loro spoglio villaggio di confine.


Contraddirla non era mai un'idea saggia, ed era una lezione che avrebbe imparato presto.
Il giorno dopo, infatti, scoprì Jack con un certo sconcerto misto a disagio, Sue non era venuta a scuola. A quanto pareva, le splendide trecce color miele le si erano staccate da sole dalla nuca durante il sonno, inspiegabilmente. Quando sua madre era andata a svegliarla quella mattina, dicevano, era svenuta per lo spavento.
Voltandosi a fissare da sopra la spalla Margaret, che gli sorrideva dall'altro lato della strada sventolando un braccio, una cuffietta di pizzo calcata sui capelli arricciati, Jack non riuscì a ricambiare il saluto. Le diede le spalle e seguì i suoi compagni in classe.
Anche se non c'era niente di sbagliato, a volte era difficile non averne paura.


(~)


Sua madre Mary stava cucinando la cena insieme ad Angela, che faceva del suo meglio per aiutarla, sebbene si muovesse con un'andatura piuttosto ridicola - che Ben aveva teneramente definito ''da papera zoppa'' - a causa del pancione che spiccava da sotto il vestito, teso sul bassoventre. Aveva raccolto i capelli biondicci e riccioluti in una coda alta che lasciava risaltare l'ovale ben definito del viso e lo sguardo gentile. Dopo qualche altro minuto, finalmente Ben comparve sulla soglia della porta, sfregandosi le mani una contro l'altra per riscaldarle, gli occhi più lucidi del solito per il pizzicore del freddo. Ripulì gli stivali dal fango e si accostò alla moglie per schioccarle un bacio sulla guancia che lei gli aveva porto con un sorriso. Soddisfatto, Jack constatò che la famiglia era al completo.

Margaret aveva avvicinato una sedia alla finestra e se n'era servita per arrampicarsi sul davanzale, dove ora stava fissando il paesaggio, in camicia da notte e coi capelli sciolti, le labbra contratte e il volto vigile. Al ragazzino non sfuggì l'occhiata di disapprovazione rivoltale da Mary, mentre disponeva i piatti in tavola, irritata. Non gli piaceva pensarlo, eppure tutto quello che la donna sembrava provare nei confronti di questa strana, troppo strana bambina, era una sorta di malcelato fastidio. Margaret non sembrava farci caso. Forse, si disse, non aveva alcun bisogno di sentirsi amata. In fondo si sopravviveva anche senza, no? Per Margaret magari era abbastanza vivere delle piccole cose che le facevano scintillare gli occhi. Comete che slittavano nel cielo stellato all'improvviso, cestini di fiori freschi di rugiada, un pentacolo di gessetto tracciato di nascosto sul muro di una casa, o... quello che faceva lei, qualsiasi cosa fosse, che aveva funzionato con il passerotto e tante altre piccole vite selvatiche. Il suo dono.
- Cosa succede? - sussurrò piano per farsi sentire soltanto da lei.
Margaret gli rispose con una delle sue occhiate indecifrabili che gli facevano sempre pentire di aver aperto bocca.
- Il wirvill ha lasciato la foresta. Credo abbia fame - disse poi. Jack la guardò fisso, in un silenzio attonito. Avrebbe tanto voluto dirle di smetterla di parlare di certe cose, che si trattava solo di leggende, sempre ammesso che ce ne fossero in proposito, ma dalla ruga profonda che le era comparsa sulla fronte, capì che sarebbe stata tutta fatica sprecata. E allora si azzardò a chiedere qualcos'altro, sospirando: - Cosa significa? -
Margaret schiuse appena le labbra, prendendo fiato.
- Significa che è uscito a caccia. -


(~)


Che un wirvill fosse uscito a caccia, non era esattamente una buona notizia, aveva concordato Jack seguendola in camera sua.
Sempre se fosse uscito a caccia, e se esistesse davvero un essere del genere, beninteso. A caccia di cosa, poi?, si chiese con un brivido.
Si era sdraiata in fretta e furia a pancia in giù sul pavimento freddo, la gonna raccolta tra le gambe, le ginocchia nude. Le punte delle dita sinistre che reggevano il gessetto si erano sporcate di polvere bianca, mentre lavoravano con una meticolosità quasi febbrile nel tracciare il pentacolo. Stavolta anche Margaret stessa era all'interno di un cerchio, tremolante tra le piastrelle dissestate ma ben fatto, e ne stava disegnando uno un po' più piccolo ed elaborato a lato del primo. Si trattava di un pentacolo di protezione. Se avesse funzionato, con un po' di fortuna il wirvill se ne sarebbe stato alla larga.

Stavolta però, Jack avvertì i passi frettolosi su per le scale un attimo troppo tardi, e non ebbe il tempo di inventarsi una scusa qualunque per trattenere Mary al piano terra, come aveva sempre fatto. Sulla soglia, le dita di sua madre si contrassero stritolando la gonna fino a diventare livide, le labbra premute in una linea fremente. Jack vide la mano di Margaret esitare, rimanere ferma in aria giusto il tempo di un battito di cuore mancato, il presentimento farle gelare il sangue. Aveva aperto la bocca per avvertirla, ma Mary era già scattata in avanti, artigliando la bambina per un braccio con una violenza inaudita per una donna schiva e gracile come lei. Colpì la figlia talmente forte, con una tale rabbia che per un attimo Jack credette che l'avrebbe uccisa. Ma lo strattone successivo la fece rivoltare, e il viso della bimba tornò visibile: i capelli scomposti sulla faccia e un rivolo sottile di sangue che le scendeva dal labbro. Il pallore del viso era esanime, gli occhi spalancati, e Jack vi lesse qualcosa che non riuscì a identificare, ma che lo spaventò a morte. Lo sguardo di Margaret mutò di nuovo, lasciando posto a un terrore lucido e disperato. Le tenebre erano scomparse, la ragazzina era rimasta. Schiuse piano le labbra, con un sussulto, implorando.
- Mamma... - esalò, sollevando le iridi nere verso Mary. La donna reagì come se l'avesse appena schiaffeggiata. Jack seppe che l'avrebbe colpita di nuovo, e si slanciò con tutta la forza che aveva per fermarla. Quante volte aveva visto Margaret tracciare quei pentacoli, quante? Erano innocui, totalmente innocui. Non era giusto.
- Mamma! Basta! Smettila, ti prego, basta! - sentì la propria voce gridare, credendo d'impazzire per la disperazione. Margaret non voleva fare del male a nessuno, a nessuno, non se lo meritava. Non poteva lasciare che... Quando Ben e Angela finalmente accorsero, attirati dalle grida, trovarono Jack rannicchiato a coprire col proprio corpo la sorella, Mary che singhiozzando si copriva il viso con le mani, in stato confusionale. E Margaret che giaceva a terra come un burattino disarticolato, svenuta. Il pentacolo si era cancellato.


Era la figlia del salice e del temporale, dei petali di margherita e dell'alba oltre le colline.
In un giorno di pioggia scrosciante, tra le urla della madre – una ballerina, o un'incantatrice, forse – e il fragore delle nubi in tempesta, era venuta al mondo con gli occhi spalancati e senza emettere un solo vagito. Era stata l'orfanella disprezzata da tutti di cui John Gray aveva avuto compassione, accogliendola in casa sua nonostante il parere contrario della moglie. Lo stesso John Gray che due giorni dopo il suo atto di pietà era stato colpito da un fulmine mentre si recava a tagliare la legna come aveva fatto ogni mattina da più di vent'anni.

In chiesa non ascoltava mai il sermone.
Ridacchiava all'improvviso nel silenzio assorto, oppure si perdeva a seguire le venature del legno con un dito, affascinata.
Mettevano in guardia contro il diavolo e le sue tentazioni. Jack si era chiesto spesso se non fosse stato più saggio metterla in guardia da stessa. Quel che era certo, era che Margaret Gray nei secoli a venire sarebbe stata ricordata come la strega più incantevole che avesse mai posato i piedi su quelle verdi alture, o sussurrato al vento di Pendle Hill i suoi sortilegi. Ma finché fosse stata viva, nessuna strega, per quanto incantevole, poteva sperare di evitare il rogo. Non a Samlesbury.


- Jack... - chiamò debolmente la voce di lei, da dietro la porta chiusa, un palmo appoggiato implorante alla barriera che li separava.
Non era più spessa di un dito mignolo, eppure Margaret sembrava così lontana, e irrimediabilmente perduta. Quel pensiero gli fece male.
- Jack? - ritentò lei, con minor convinzione, e lui si rese conto che credeva se ne fosse andato.
- Sono qui - la rassicurò allora - Rimango finché non ti addormenti. -
- Jack... - la sentì ripetere di nuovo, un piccolissimo mormorio mentre gli occhi si riempivano di lacrime - Fammi uscire... -
Il palmo di lui si sollevò e sfiorò il suo attraverso la porta, una carezza invisibile e senza tocco. Margaret attese una risposta che non arrivò.
Chiuse gli occhi, stringendosi le braccia infreddolite al petto, sentendosi soffocare nella sua stessa stanza.
Il richiamo della foresta la stava consumando.


(~)


Erano state dita piccole, scheletriche, adunche come zampe di ragno.
I segni sulle tempie di Ben, come leggere cicatrici, lo dimostravano. Lo avevano trovato quella mattina, disteso a terra fuori dal fienile, il colorito della pelle più bianco di quello di un cadavere, il sangue bluastro rappreso nelle vene. Angela era rimasta tutto il tempo con il suo viso tra le mani, chiamandolo per nome e singhiozzando. Mentre il medico, il signor Nutter, trasportava insieme al suo apprendista il corpo di Ben in casa, Jack aveva scorto il wirvill aggirarsi in giardino. Niente più di un'ombra furtiva lungo la palizzata, ma era sicuro di non essersi sbagliato.
Praticarono impacchi e salassi, fecero il possibile ma suo fratello non dava segni di vita. Ben sarebbe morto, e Jack lo sapeva. Non c'era niente che potessero fare i farmaci o la loro scienza contro la brutalità ancestrale di una creatura delle tenebre. Per questo aveva atteso la notte per sgusciare fuori dal letto e andare a svegliare Angela, implorandola di liberare Margaret perché solo lei poteva davvero salvarlo. Aveva visto gli occhi tremanti della giovane cognata, ancora umidi e infossati, farsi più grandi, di incredulità, e una scintilla di folle speranza a cui osò disperatamente aggrapparsi.


(~)


Si concesse un'occhiata dolorosa alla sorella.
Aveva qualche livido, e il labbro inferiore spaccato e gonfio. La vide prendere un lungo sospiro e infine annuire.
- Angela, scendi di sotto e accendi il fuoco. Jack... per favore, dammi le mani. Non... non riesco ad alzarmi da sola. -
Il ragazzino fu preso da un moto di improvvisa tenerezza, che davvero non si sarebbe aspettato di provare, o almeno non così forte.
Si fece passare un suo braccio intorno al collo e, sostenendola ad ogni passo malfermo, scesero insieme al piano di sotto, dove Angela li aveva preceduti.
Con delicatezza, la giovane si spostò la testa del marito in grembo, facendogli appoggiare una guancia al proprio ventre rigonfio, accarezzandogli il viso, le lacrime che ancora doveva piangere intrappolate tra le ciglia come rugiada. Il pentacolo era stato tracciato a dovere, le candele disposte intorno in modo che il viso di Ben non fosse in controluce. Rimasero in quella posizione per quelle che sembrarono ore, ma che in realtà furono soltanto pochi minuti. I nervi tesi come corde, sapendo quanto stavano rischiando. La loro vita, quella di Ben... ma avrebbe funzionato. Doveva funzionare. Alla fine Margaret lasciò andare la pressione sulle tempie di Ben, gli posò un bacio leggero sulla fronte e mormorò qualcosa. Il volto di lui rimase immobile. Jack strinse più forte la mano di Angela, sentendola sussultare angosciata.
- Credo... di esserci riuscita. Starà bene... - dichiarò Margaret con voce esausta, un sorriso stranamente dolce. Angela si portò le mani alla bocca. Jack invece le sorrise semplicemente di rimando. Avrebbe voluto abbracciarla stretta, ma lei si rivolse di nuovo alla ragazza - Ascoltami, Angela. È importante che facciate come dico. Dovrete piantare quattro salici, uno per ogni punto cardinale ai confini del villaggio. Terranno il wirvill lontano. Mi raccomando, non devi dimenticartene, o non sarete comunque al sicuro... - lei fece per replicare, ma in quel momento Ben mosse lentamente la testa sul cuscino, voltandosi nella loro direzione.
- Ehi... - mormorò, la voce impastata, un debole arricciarsi delle labbra - Ciao, papera... - Ad Angela non restò altro da fare se non scoppiare a ridere tra le lacrime, i polmoni che inspiravano finalmente un sollievo quasi violento; e si chinò a coprirlo di baci, circondandogli il collo con le braccia così forte da fargli male.


(~)


- Jack... - sospirò, avvertendone la presenza al suo fianco - Stai perdendo tempo. Non riuscirai a convincermi a restare. -
- Lo so - rispose il ragazzino, accelerando il passo, il berretto di lana calcato in testa - ...è per questo che vengo con te. -
Margaret rise, scuotendo la testa. Incespicò nei suoi passi, palesemente stanca, ma non si fermò.
- No che non vieni. Il tuo posto è qui. Con... la mamma, e Ben, e gli altri. -
- Stammi a sentire. L'Inghilterra è piena di foreste. Ma stai pur certa che l'unico che troverai disposto a sopportarti sono io. Allora? Non mi interessa dove sta il mio posto, io vengo con te - la vide fare un piccolissimo movimento con il capo, le labbra che si arricciarono deliziate, ma gli occhi ancora diffidenti - Anche se hai fatto cadere i boccoli a Sue Thomas - soggiunse perciò, punzecchiandola di proposito. La bambina alzò gli occhi al cielo, arrossendo suo malgrado.
- E quando mi farai arrabbiare? Potrei farli cadere a te, i capelli, non ci hai pensato? Vuoi comunque rimanere con me, sapendo cosa ti aspetta? -
Jack inarcò un sopracciglio, aprendosi poi in un sorrisone furbo e inaspettato, e allungò un braccio per prenderle una mano.
- Scusa, ma perché credi che mi sia portato dietro il cappello? -




(~)


Con l'autunno sono arrivati anche il freddo, i fuochi fatui sulle colline, le feste e i canti rituali per salutare l'estate.
Non si guadagna molto come cantastorie, ma quello che abbiamo è abbastanza per permetterci una piccola casa in cima alla bassa scogliera, di pietra e calcestruzzo, candida e isolata da tutte le altre. La prima volta che Margaret ha visto il mare se n'è innamorata. È il colore dei tuoi occhi, finalmente l'ho trovato!, ha esclamato estasiata, coi capelli e lo scialle arruffati dalla brezza. Imparare ad amarla non è stato facile, ma ora più ci penso e più mi convinco che è stato come una benedizione.
Porta quasi ogni giorno Alice con lei alla spiaggia, scendendo il pendio scosceso fino alla distesa di sabbia e acque fredde. Si siede sul bagnasciuga, la gonna arrotolata sulle cosce, e si tiene nostra figlia in grembo; le prende le piccole manine paffute e giocano a imprimere le loro impronte nella sabbia, per poi scappare ridendo quando la corrente le insegue e cancella le orme. Alice ha tre anni, e ha lo stesso sguardo imbronciato di Margaret nel colore dei miei occhi. È la figlia del mare, come ama chiamarla lei.
Margaret canta sempre al vento una ninnananna per farlo addormentare, ride spesso, ama questa nuova vita che ci è stata concessa.
Nasconde una scatola di gessetti sotto al cuscino, ma so che finora è rimasta intatta. Gli incubi sono ormai lontani, come persi nei ricordi indefiniti di quello che è stato una volta un brutto sogno. La giovane strega di Samlesbury è una mamma dolce e premurosa. Chi l'avrebbe mai immaginato? Eppure la vita è così. Alle volte ti sorprende. Trovi quello che stavi cercando nell'ultimo posto in cui te lo saresti aspettato. Sta proprio qui l'essenziale, lo straordinario.

Oggi, fissandomi allo specchio, ho scoperto il mio primo capello bianco.
Margaret ha riso fino alle convulsioni, assicurandomi tra un respiro e l'altro che non era stata opera sua.
Sento di amarla un po' di più ogni giorno che passa. Ogni giorno, la vecchia Margaret scompare un pochino, per diventare un po' più donna e meno strega, e ancora un po' più
mia. Ogni tanto colgo ancora il suo sguardo perdersi su cose che io non riesco a vedere, come succedeva al villaggio, da bambini. Oppure la trovo coi gomiti appoggiati alla finestra mentre guarda fuori, e allora mi assale il terrore che possa perderla di nuovo, che prima o poi mi sfuggirà come fumo tra le dita, se tentassi di afferrarla per tenermela stretta e impedirle di lasciarmi. Quando lei però si volta verso di me, mi rassicuro, perché il richiamo nel suo sangue sembra essersi placato.
So che è felice, qui.


La magia dona, la magia toglie.
È un'amante infedele, volubile, spietata, che pretende tutto e non ricambia mai.
Confido che Margaret arrivi a comprenderlo. Il vento passa in un attimo e quello successivo è già scomparso.
La marea giunge e si ritira, altalenante. Il mondo segue il suo corso, il tempo non fa sconti per nessuno.
Ci rimane così poco a cui aggrapparci, eppure...


Jack posò la penna d'oca, sentendosi tirare per una manica: una manina imprevista sbucata nella sua visuale, Alice che richiamava la sua attenzione. Sillabando ''ba-ba'' con le labbra, gli pose tra le mani un bocciolo inaridito, dall'aspetto piuttosto malconcio. Jack lo nascose al sicuro tra i palmi, e la piccola ci appoggiò le proprie dita. Margaret li osservava dalla soglia della porta, una ciocca scura scivolata in avanti sulla spalla, gli occhi che palpitavano nel riverbero della candela. Secondo la leggenda, lo spettro dell'incantevole strega di Pendle Hill abitava ancora la sua tanto amata foresta, piangendo notte dopo notte il proprio triste destino.
Ma negli occhi scuri del pallido fantasma che adesso gli stava sorridendo non c'erano lacrime, solo orgoglio.
Jack riaprì le mani, lentamente, e la corolla dei petali si dischiuse, palpitando.
Il fiore era sbocciato per la seconda volta.




Note
La fic prende spunto dalla pagina di Wikipedia riportata in parte qui sotto riguardo ai processi delle streghe avvenuti nella zona di Pendle Hill, nel Lancashire, e si ricollega alla vicenda come una specie di ''prequel'' sulla generazione precedente. In pratica mi sono limitata a prendere il nome del luogo e ambientarvi personaggi e situazioni completamente inventati (tranne ovviamente quello di Alice Gray, che viene citato nell'articolo).


The trials of the Pendle witches in 1612 are among the most famous witch trials in English history, and some of the best recorded of the 17th century. The twelve accused lived in the area around Pendle Hill in Lancashire, and were charged with the murders of ten people by the use of witchcraft. Six of the Pendle witches came from one of two families, each headed by a female in her eighties at the time of the trials: Elizabeth Southerns (aka Demdike), her daughter Elizabeth Device, and her grandchildren James and Alizon Device; Anne Whittle (aka Chattox), and her daughter Anne Redferne. The others accused were Jane Bulcock and her son John Bulcock, Alice Nutter, Katherine Hewitt, Alice Gray, and Jennet Preston.

The Pendle witches were tried in a group that also included the Samlesbury witches, Jane Southworth, Jennet Brierley, and Ellen Brierley, the charges against whom included child murder and cannibalism; Margaret Pearson, the so-called Padiham witch, who was facing her third trial for witchcraft, this time for killing a horse; and Isobel Robey from Windle, accused of using witchcraft to cause sickness. Some of the accused Pendle witches, such as Alizon Device, seem to have genuinely believed in their guilt. Others protested their innocence to the end. Jennet Preston was the first to be tried, at York Assizes on 27 July 1612, where she was found guilty and subsequently hanged. Nine others - Alizon Device, Elizabeth Device, James Device, Anne Whittle, Anne Redferne, Alice Nutter, Katherine Hewitt, John Bulcock and Jane Bulcock - were found guilty and hanged at Gallows Hill in Lancaster on 20 August 1612. Elizabeth Southerns died while awaiting trial. Only one of the accused, Alice Gray, was found not guilty.



29/12/09
Questa fic si è classificata prima all'Original Concorso n°6 (La Foresta e... la Bambina) indetto da Eylis su EFP forum.
Sono ancora troppo incredula per dire qualcosa di più coerente di un semplice *O* … Grazie mille per aver letto, spero vi sia piaciuta.
Un bacio a Lely per avermela betata, dopo - e ce n'era proprio bisogno, ehm x°D -
Qui sotto il giudizio e il mio bellissimo bannerino *-* See ya!







Grammatica, sintassi, ortografia e lessico: 8,5 / 10
Ci sono alcuni errorini, ma per il resto il testo è scritto davvero molto bene. Attenzione solo ad una cosa, che purtroppo devo valutare: a volte sono state dimenticate delle parole

Sviluppo della trama: 10 / 10 La trama è stata sviluppata in modo chiaro e fluido, i salti di tempo no disturbano la lettura perché sono ben marcati e la storia si svolge, dettagliata, dando molta attenzione ad ogni punto chiave. Buon lavoro!

Caratterizzazione dei personaggi: 10 / 10 I personaggi sono davvero ben caratterizzati, anche quelli meno importanti come Luc

Espressività: 10 / 10 Ho trovato questo racconto davvero coinvolgente, nonostante all’inizio abbia dovuto abituarmi allo stile di scrittura tanto articolato. Ogni punto importante viene valorizzato, ma non sono dimenticati neanche i momenti più piccoli

Originalità: 9,5 / 10 Devo ammettere che all’inizio non avevo capito si trattasse di una storia sulle streghe, forse anche per questo lo trovo un lavoro davvero molto originale

Attinenza al tema e ai parametri posti: 10 / 10 Temi e parametri ben rispettati

Valutazione finale: 58 / 60 Che dire… credo che il punteggio sia meritato. Al di là del parere soggettivo (ho trovato questo racconto semplicemente incantevole) si tratta di un lavoro davvero ben costruito e scritto. Complimenti!



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