T'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente,
tra l'ombra e l'anima.
T'amo
come la pianta che non fiorisce e reca
dentro
di sé, nascosta, la luce di quei fiori (...)
T'amo
senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo
direttamente senza problemi né orgoglio.
(Pablo Neruda)
Dita di Fata
~ Cronache da Pendle Hill
Il
vento
dell'interno aveva portato con sé i profumi e i colori
palpitanti
dell'estate, e come un pittore di fronte a una tela bianca, aveva
sparso al suo passaggio una pennellata di verde intenso tra i rami,
giallo ocra sulle distese coltivate, e azzurro fresco e stemperato
tra le chiazze di nuvole. Si era intrufolato in punta di piedi nei
sentieri dei boschi, per poi scendere allegramente a soffiare sui
campi, a scompigliare le soffici spighe di grano. Anche la foresta
sul colle di Pendle Hill sembrava tornata alla vita dopo il lungo
sonno che le aveva infuso la stagione invernale, simile al gelido
abbraccio di un amante indesiderato.
Soltanto
la sera prima aveva piovuto sui tetti di ardesia di Samlesbury, sui
terreni addormentati, mentre la notte stendeva la sua fresca trapunta
ricucita di stelle e tenebra, impregnata di presagi di cambiamento.
Ora invece il sole filtrava leggero e giocherellone tra i rami folti,
riversandosi dappertutto in minuscoli spilli luminosi. Ogni
tanto il vento scuoteva in un sussurro gentile le fronde, un suono
ancestrale che ricordava, forse, lo stesso battito di ali fatate che
in un tempo lontano aveva costellato l'aria diafana del luogo. La
foresta respirava piano, con infinita dolcezza, immersa nella quiete
di un pomeriggio che non aveva nulla di diverso da tanti altri, se
non fosse stato per il fruscio di piedi nudi sull'erba, accompagnato
dai passi di un paio di stivali che li seguivano stoicamente. Margaret teneva entrambe le scarpe di tela in una sola mano, lasciando
dondolare il braccio avanti e indietro mentre camminava con il mento
all'insù e gli occhi rivolti alle cime più alte
degli alberi
maestosi. Jack se l'era domandato spesso, ma non riusciva davvero a
comprendere per quale arcano motivo questi luoghi esercitassero un
fascino tanto potente e inspiegabilmente familiare sulla sorella, che
lo pregava quasi ogni giorno di accompagnarvici. Lui acconsentiva di
buon grado, contento di vederla accendersi di gioia. Violenta e
ambigua, l'emozione le sconvolgeva i lineamenti sottili, e Margaret
non si curava di nasconderlo.
Perché?,
si chiedeva
Jack fissandola di
sottecchi e tentando di raccapezzarsi. Cosa c'era di tanto
straordinario che lui non riusciva a cogliere?
Sua
sorella non chiacchierava molto, era una bambina piuttosto taciturna,
ma le piaceva avere Jack al suo fianco a farle compagnia. Di solito
lasciava sempre che fosse lui a iniziare la conversazione, e lei si
limitava a starlo ad ascoltare, l'espressione adulta e attenta,
premiando alle volte i suoi sforzi di coinvolgerla con una breve
risata allegra o un'occhiata complice che gli rivolgeva da sotto la
frangia spettinata. Portavano con loro una sacca a tracolla, con
qualche pagnotta fresca e alcune mele che raccoglievano dai filari,
sgattaiolando via in fretta all'avvicinarsi dei contadini. Oh, e
ovviamente portavano anche dei gessetti bianchi.
Il
ragazzino, Jack Gray, aveva gli occhi di un azzurro intenso; Margaret
si irritava sempre perché per quanto ci pensasse, non
riusciva mai
trovare qualcosa da poter paragonare a quelle iridi luminose. Il
colore del cielo non andava bene, era troppo slavato e pallido, e
neppure i bei petali dei non ti scordar di me e delle campanule
potevano reggere il confronto. A quanto diceva lei era molto
snervante.
In quel
momento, Jack scorse di sfuggita un animale sgusciare a pochi passi
da loro, e non seppe impedirsi di sobbalzare.
- Che
cos'era? - esclamò allarmato, incespicando ben poco
elegantemente
nei suoi stessi piedi per lo spavento. Doveva essersi trattato di una
donnola, ma era strano vederne in giro in pieno giorno. Margaret gli
rivolse una breve occhiata da sopra la spalla, alzando i lembi della
gonna nello scavalcare una radice sporgente.
-
Quello, era un wirvill
-
rispose con tono neutro, studiando la reazione del fratello.
-
Che cosa accidenti sarebbe un... wirr-vil...?
- balbettò lui spaesato.
Lei non
rispose.
D'accordo, forse in fin dei conti sarebbe stato più onesto ammettere che se tutti in paese erano convinti che la sua sorellina fosse diversa una ragione c'era, ma quella parola suonava così male, era talmente cattiva... e non era giusto, per Margaret, vedersi affibbiata quell'etichetta. In virtù di quale diritto, poi? Era come se glielo fosse stato inciso a caratteri di fuoco sulla fronte. Ma la parola veramente adatta, Jack ne era certo, non era diversa, ma speciale. La foresta li stava aspettando.
(~)
Aveva
una
voce bassa, ma dal timbro ancora dolcemente infantile.
- Aspetta
- fu poco più di un sussurro nel suo orecchio, che gli fece
rizzare
i peli sulla nuca. Odorava di gessetti, pino silvestre e bacche
amarognole. - Stai stringendo troppo, non vedi? Lascialo muoversi
come vuole, ecco. Allenta qui. - Una mano piccola
e dai modi
irriverenti batté piano sulle sue dita intorpidite,
indicandogli il
punto esatto in cui diminuire la pressione. Avvertì un
brevissimo
frullio concitato di ali nei propri palmi leggermente discosti, dove
il pettirosso si dibatteva con sempre minor convinzione. Il dolore lo
rendeva irrequieto; tentava di sbattere l'ala lacerata e incrostata
di sangue rappreso per liberarsi. Jack si mordicchiò il
labbro
inferiore, curvando le sopracciglia rossicce in un'espressione
incerta. Doveva essere più assorto di quello che pensava,
perché
quasi non colse il leggero movimento al suo fianco, e quando si
ritrovò d'un tratto gli occhi densi e scuri della sorella ad
appena
un battito di ciglia, gli scappò un sussulto involontario e
per poco
non si lasciò sfuggire la presa sul corpicino fragile e
sfinito che
stava tenendo tra le dita. - Non muoverti - sillabarono le labbra di
lei senza emettere suono, il respiro dritto in faccia a Jack, che
sbatté le palpebre in risposta; anche se non glielo avesse
imposto,
comunque, difficilmente sarebbe riuscito a spostare un muscolo, pur
volendo. La tensione gli stava stritolando lo stomaco con qualcosa
che forse aveva a che fare con la fifa più di quanto non
fosse
disposto ad ammettere. Margaret alle volte gli faceva quell'effetto.
Non che avesse paura di sua sorella, del viso vispo e degli occhioni
innocenti della sua candida età di nove anni, no. Jack le
voleva
bene, sarebbe stato pronto a gettarsi da un dirupo per lei, eppure,
guardando Margaret, quella luce inspiegabile che le si accendeva
nello sguardo, si chiedeva...
- Ma che
stai facendo? - bisbigliò a voce bassissima vedendola
armeggiare con
il gessetto.
Lei
scosse piano il capo, facendogli segno di stare zitto e non
insistere.
Si
snodavano sotto le sue mani ragnatele sottili e intricate, che
riconobbe infine essere un pentacolo di gesso.
- Adesso,
fai attenzione a non lasciarlo andare finché non te lo dico
io, va
bene? - un frullio di ali, di nuovo, le labbra di Margaret si mossero
appena, e mani più piccole e delicate coprirono le sue - Ora.-
Jack fece come
gli era stato
ordinato, e il pettirosso si inarcò trillando tra le sue
dita. La
brutta ferita era scomparsa. Dovette alzare gli occhi al cielo per
seguire il volo della bestiola, fino a quando scomparve alla vista
oltre le fronde degli alberi. Con i fili di raso colorato
annodati tra i capelli, Margaret scoppiò a ridere della sua
espressione incredula.
- Ma...
come hai fatto...? -
- L'ho
fatto e basta. -
(~)
Avvertiva
addosso distintamente la sgradevole sensazione di essere osservato,
come un prurito insistente alla base della nuca.
Tentò di
ignorarlo, ma infine dovette cedere, e seppur riluttante
sollevò lo
sguardo. La prima cosa che vide fu uno stivale infangato appoggiato
con strafottenza sullo steccato del loro recinto, poi delle braccia
magre incrociate al petto, e infine quella che lui avrebbe definito
senza esitazione una faccia da schiaffi da manuale.
- Ehilà,
chi si vede, Gray - lo chiamò Luc con voce strascicata,
agitando una
mano. Jack ruotò gli occhi, sentendosi già
esasperato in partenza.
L'altro
fece una breve risata secca, scoprendo i canini sporgenti. Aveva il
mento leggermente appuntito e una spruzzata di lentiggini sul naso.
- Tua
sorella non è venuta in chiesa ieri... - buttò
lì, con tono
mellifluo che voleva essere casuale, ma che tradiva una cattiveria
del tutto voluta.
-
Margaret è stata male - mentì Jack in fretta,
preso alla
sprovvista. Gli occhi di Luc lampeggiarono vittoriosi, scorgendo
l'improvviso disagio del ragazzo, e sporse il mento in avanti con
palese aria di sfida.
- Ah, sì?
Ma se prima era fuori e stava parlando con il cavallo dei Johonson...
L'ho vista. -
- E
allora? Non capisco cosa tu voglia insinuare, né perché
-
ribatté Jack scrollando le spalle, e incrociando poi le
braccia al
petto a sua volta, ricambiò l'occhiata torva - D'altra
parte, io sto
parlando con un idiota, invece. E preferirei di gran lunga anch'io
avere a che fare con un cavallo, sinceramente. -
- Tanto
lo sai cosa dicono tutti, vero? Se ne sta sempre nella foresta, si
comporta in modo strano... dicono che non è nemmeno vostra
sorella,
ma che è stata abbandonata perché neanche quella
poco di buono di
sua madre era disposta a tenersela! - la sua risata adesso
assomigliava a un latrato, e Jack sentì la rabbia montare
dentro di
sé come tanti puntolini luccicanti davanti agli occhi,
mentre
serrava i pugni lungo i fianchi e tentava senza successo di
trattenersi.
- Se non
ritiri quello che hai detto, Potts, ti faccio ingoiare i denti.
Margaret la devi lasciare in pace, hai capito? -
Ma gli si
era gettato addosso ancor prima che l'altro potesse rispondere,
scavalcando la staccionata e riuscendo ad affibbiargli un destro
niente male in pieno viso, prima di ricevere indietro un pugno nello
stomaco e finire a terra a fare a botte. Neanche tre secondi dopo,
però, si sentì strattonare violentemente per la
collottola, ed ebbe
una chiara visione del terreno che gli si allontanava da sotto i
piedi, e di Luc che si contorceva tenendosi con entrambe le mani il
naso – rotto, probabilmente, considerò tra
sé con un moto di
orgoglio virile.
-
Pretendo - esordì Ben dandogli una brusca scrollata - Una
spiegazione. E ti conviene che sia buona. Tu - aggiunse
rivolgendosi a Luc - vattene immediatamente a casa tua e
fingerò che
questo non sia mai accaduto, ma non voglio più vederti a
bighellonare qui intorno, siamo intesi? - Jack non poté
impedirsi di
ridacchiare sottovoce nel vedere Luc che si dileguava con la coda tra
le gambe, e fu sul punto di gridargli qualcosa dietro, ma l'occhiata
di Ben lo distolse da tale proposito. -
Ebbene? Sto
aspettando. -
- Ma Ben,
è stato lui a cominciare! Io ho solo reagito! -
protestò Jack
voltandosi a fissare il fratello da sotto in su, indignato.
- Ti ha
colpito lui, quindi? - domandò il giovane rimettendolo a
terra.
- … no,
ma... - rispose il ragazzino, dondolandosi esitante da un piede
all'altro.
- Cosa ha
fatto allora, sentiamo... - sospirò Ben racimolando ogni
briciolo
della sua pazienza.
- Ha
insultato Margaret! Di nuovo! -
esclamò - Non potevo stare lì senza far niente,
Ben, non...! -
La rabbia
scivolò via dai lineamenti del giovane, lasciando posto a
qualcosa
di molto simile alla desolazione.
-
Capisco. Ma Jack, non puoi fare così. Non puoi prendere a
pugni
chiunque solo perché quello che dicono non ti sta bene.
Ricordati
che quando io non ci sono spetta a te fare l'uomo di casa, e un uomo
non fa a cazzotti col primo che capita, d'accordo? Neanche se gli
altri se lo meritano. Credi che John ne sarebbe stato orgoglioso? -
domandò scompigliandogli i capelli con affetto. Aveva
già un filo
di barba sotto il mento, e un sorriso paterno nonostante i suoi soli
diciannove anni. Jack fissò con insistenza le proprie scarpe infangate, scuotendo
piano la
testa rossiccia.
- Devo
lasciare che la insultino, allora? -
- No -
sospirò Ben, rabbuiandosi - No, Jack. Sei un bravo fratello,
lo so.
Torna a casa e fai vedere alla mamma quel brutto livido, va bene?
Piuttosto, dov'è Margaret? -
- Beh...
- rispose il ragazzo stringendosi nelle spalle sulla difensiva -
Sarà
ancora nella foresta, credo... -
- Stammi
a sentire, quello è un luogo pericoloso. Non deve andarci da
sola,
chiaro? -
- Ma lei
è sempre nella foresta. Lo sai
com'è fatta. -
- Allora
è fatta nel modo sbagliato, a quanto pare. -
Jack si
accigliò. Solitamente Ben era gentile nei confronti di
Margaret, la
trattava con gli stessi modi affettuosi e sinceri che dispensava a
chiunque. Alle volte addirittura la prendeva per la vita e la faceva
girare sopra la testa, riuscendo a strapparle una delle sue rare
risate. Non l'aveva mai sentito dire nulla di cattivo su di lei,
prima d'allora. Lo sguardo del fratello incrociò
distrattamente
quello ferito di Jack, e l'azzurro limpido delle sue iridi parve
rischiararsi.
-
Scusami, non avrei dovuto dirlo. -
- Ma
perché Margaret non piace a nessuno? -
- A te
piace - osservò Ben divertito. Il ragazzino
arrossì, innervosendosi
per l'imbarazzo, e il giovane allora si inginocchiò alla sua
altezza, posandogli entrambe le mani sulle spalle - Ascolta, non
è
mai bello quando le persone a cui vogliamo bene non vengono accettate
dal resto della gente. Ma è proprio per questo che dobbiamo
cercare
di compensare l'indifferenza degli altri e sforzarci di amarle per
quello che sono. Anche a me piace Margaret, Jack, davvero, mi
dispiace. Su, andiamo a casa adesso, ci staranno aspettando. -
(~)
-
Non
sono tutti come Luc, dico davvero - stava dicendo nel porgerle la sua
tazza di latte caldo con un piccolo sorriso.
- Ah, sì?
E chi non lo sarebbe? - domandò Margaret incrociando le
gambe sul
materasso e sollevando lo sguardo su di lui.
- Aehm.
Non so. Sue, per esempio... - buttò lì
casualmente Jack sedendosi
accanto alla sorella con un'occhiata incoraggiante.
- Sue?
-
- Sue
Thomas. Beh, è carina, sai. Mi ha invitato a pranzo a casa
sua
l'altro giorno, è stata gentile. E dice che sembri...
simpatica. -
Margaret
lo fissava mortalmente seria. Jack aggrottò la fronte a
disagio.
Okay, forse non aveva detto proprio simpatica.
Però almeno
non l'aveva insultata. Sue era una bimba allegra e chiacchierina, che
frequentava la sua stessa scuola e aveva l'abitudine di arricciare le
labbra in modo buffo quando parlava. Inoltre i suoi splendidi boccoli
biondi erano l'invidia di tutte le sue amiche, e l'orgoglio e il
vanto della sua madre civettuola, che non passava giorno senza
tesserne infinite lodi.
- Che
c'è? - sbottò infine Jack, allargando le braccia.
- Niente
- rispose lei imitando il suo tono noncurante. Eppure non sembrava
proprio non esserci niente, pensò
lui infastidito.
- Quando
noi ci sposeremo però, non voglio che tu vada più
a pranzo da lei.
Va bene? - propose la bambina lanciandogli un'occhiata dubbiosa.
- Eh? - saltò su Jack, sbalordito - Ma
che dici, Margaret? Noi non ci sposeremo! Siamo fratelli. -
- Non lo
siamo per davvero... - obbiettò lei a bassa voce, in qualche
modo
offesa dalla sua reazione.
-
Questo... questo non ha importanza! - scattò Jack
lasciandosi
sfuggire una risata nervosa - Tu rimani lo stesso mia sorella.
-
Margaret
lo fissò per qualche altro istante, dritto negli occhi,
tanto che il
ragazzino fu costretto a deglutire e passarsi una mano sulla zazzera
rossiccia. Senza aggiungere una parola, sua sorella gli riconsegnò la tazza di latte,
scese dal letto e lasciò la stanza.
Margaret
disorientava le persone, ma non c'era niente di sbagliato in lei.
Il suo
umore era più mutevole delle fasi della luna, e oscillava di
continuo da un estremo all'altro.
Un attimo
prima era capace di ridere insieme a te fino alle lacrime, e quello
successivo di rivolgerti un'occhiata da farti accapponare la pelle.
Era una
diversità, la sua, che non suscitava quasi mai
curiosità, ma
soltanto sospetto, e rifiuto. Margaret era troppo viva, troppo
anormale, troppo tutto, alle volte. Disorientava la gente, che badava
bene di tenersi alla larga. La foresta dopotutto era casa sua
più di
quanto non lo fosse mai stato il loro spoglio villaggio di confine.
Contraddirla
non era mai un'idea saggia, ed era una lezione che avrebbe imparato
presto.
Il giorno
dopo, infatti, scoprì Jack con un certo sconcerto misto a
disagio,
Sue non era venuta a scuola. A quanto pareva, le splendide trecce
color miele le si erano staccate da sole dalla nuca durante il sonno,
inspiegabilmente. Quando sua madre era andata a svegliarla quella
mattina, dicevano, era svenuta per lo spavento.
Voltandosi
a fissare da sopra la spalla Margaret, che gli sorrideva dall'altro
lato della strada sventolando un braccio, una cuffietta di pizzo
calcata sui capelli arricciati, Jack non riuscì a ricambiare
il
saluto. Le diede le spalle e seguì i suoi compagni in classe.
Anche se
non c'era niente di sbagliato, a volte era difficile non averne
paura.
(~)
Sua
madre
Mary stava cucinando la cena insieme ad Angela, che faceva del suo
meglio per aiutarla, sebbene si muovesse con un'andatura piuttosto
ridicola - che Ben aveva teneramente definito ''da papera zoppa'' - a
causa del pancione che spiccava da sotto il vestito, teso sul
bassoventre. Aveva raccolto i capelli biondicci e riccioluti in una
coda alta che lasciava risaltare l'ovale ben definito del viso e lo
sguardo gentile. Dopo qualche altro minuto, finalmente Ben comparve
sulla soglia della porta, sfregandosi le mani una contro l'altra per
riscaldarle, gli occhi più lucidi del solito per il
pizzicore del
freddo. Ripulì gli stivali dal fango e si accostò
alla moglie per
schioccarle un bacio sulla guancia che lei gli aveva porto con un
sorriso. Soddisfatto, Jack constatò che la famiglia era al
completo.
Margaret
aveva avvicinato una sedia alla finestra e se n'era servita per
arrampicarsi sul davanzale, dove ora stava fissando il paesaggio, in
camicia da notte e coi capelli sciolti, le labbra contratte e il
volto vigile. Al ragazzino non sfuggì l'occhiata di
disapprovazione
rivoltale da Mary, mentre disponeva i piatti in tavola, irritata. Non gli piaceva pensarlo, eppure tutto quello che la donna sembrava provare
nei confronti di questa strana, troppo strana bambina,
era una sorta di malcelato fastidio. Margaret non sembrava farci
caso. Forse, si disse, non aveva alcun bisogno di sentirsi amata. In
fondo si sopravviveva anche senza, no? Per Margaret
magari era
abbastanza vivere delle piccole cose che le facevano scintillare gli
occhi. Comete che slittavano nel cielo stellato all'improvviso,
cestini di fiori freschi di rugiada, un pentacolo di gessetto
tracciato di nascosto sul muro di una casa, o... quello che faceva
lei, qualsiasi cosa fosse, che
aveva funzionato con il passerotto e tante altre piccole vite
selvatiche. Il suo dono.
- Cosa
succede? - sussurrò piano per farsi sentire soltanto da lei.
Margaret
gli rispose con una delle sue occhiate indecifrabili che gli facevano
sempre pentire di aver aperto bocca.
- Il
wirvill ha lasciato la foresta. Credo abbia fame - disse poi. Jack la
guardò fisso, in un silenzio attonito. Avrebbe tanto voluto
dirle di
smetterla di parlare di certe cose, che si trattava solo di leggende,
sempre ammesso che ce ne fossero in proposito, ma dalla ruga profonda
che le era comparsa sulla fronte, capì che sarebbe stata
tutta
fatica sprecata. E allora si azzardò a chiedere
qualcos'altro,
sospirando: - Cosa significa? -
Margaret
schiuse appena le labbra, prendendo fiato.
-
Significa che è uscito a caccia. -
(~)
Che
un
wirvill fosse uscito a caccia, non era esattamente una buona notizia,
aveva concordato Jack seguendola in camera sua.
Sempre se
fosse uscito a
caccia, e se
esistesse
davvero un essere del
genere, beninteso. A caccia di cosa, poi?, si chiese con un brivido.
Si era
sdraiata in fretta e furia a pancia in giù sul pavimento
freddo, la
gonna raccolta tra le gambe, le ginocchia nude. Le punte delle dita
sinistre che reggevano il gessetto si erano sporcate di polvere
bianca, mentre lavoravano con una meticolosità quasi
febbrile nel
tracciare il pentacolo. Stavolta anche Margaret stessa era
all'interno di un cerchio, tremolante tra le piastrelle dissestate ma
ben fatto, e ne stava disegnando uno un po' più piccolo ed
elaborato
a lato del primo. Si trattava di un pentacolo di protezione. Se
avesse funzionato, con un po' di fortuna il wirvill se ne sarebbe
stato alla larga.
Stavolta
però, Jack avvertì i passi frettolosi su per le
scale un attimo
troppo tardi, e non ebbe il tempo di inventarsi una scusa qualunque
per trattenere Mary al piano terra, come aveva sempre fatto. Sulla
soglia, le dita di sua madre si contrassero stritolando la gonna fino
a diventare livide, le labbra premute in una linea fremente. Jack vide la mano di Margaret esitare, rimanere ferma in aria giusto il tempo di un battito di cuore mancato, il presentimento farle gelare il
sangue. Aveva aperto la bocca per avvertirla, ma Mary era
già
scattata in avanti, artigliando la bambina per un braccio con una
violenza inaudita per una donna schiva e gracile come lei. Colpì la
figlia talmente forte, con una tale rabbia che per un attimo Jack
credette che l'avrebbe uccisa. Ma lo strattone successivo la fece
rivoltare, e il viso della bimba tornò visibile: i capelli
scomposti
sulla faccia e un rivolo sottile di sangue che le scendeva dal
labbro. Il pallore del viso era esanime, gli occhi spalancati, e Jack
vi lesse qualcosa che non riuscì a identificare, ma che lo
spaventò
a morte. Lo sguardo di Margaret mutò di nuovo, lasciando
posto a un
terrore lucido e disperato. Le tenebre erano scomparse, la ragazzina
era rimasta. Schiuse piano le labbra, con un sussulto, implorando.
-
Mamma... - esalò, sollevando le iridi nere verso Mary. La
donna
reagì come se l'avesse appena schiaffeggiata. Jack seppe che
l'avrebbe colpita di nuovo, e si slanciò con tutta la forza
che
aveva per fermarla. Quante
volte
aveva visto Margaret tracciare quei pentacoli, quante?
Erano innocui, totalmente innocui. Non era giusto.
- Mamma!
Basta! Smettila, ti prego, basta! - sentì la propria voce
gridare,
credendo d'impazzire per la disperazione. Margaret non voleva fare
del male a nessuno, a nessuno, non se lo meritava.
Non poteva
lasciare che... Quando Ben e Angela finalmente accorsero, attirati
dalle grida, trovarono Jack rannicchiato a coprire col proprio corpo
la sorella, Mary che singhiozzando si copriva il viso con le mani, in
stato confusionale. E Margaret che giaceva a terra come un burattino
disarticolato, svenuta. Il pentacolo si era cancellato.
Era la
figlia del salice e del temporale, dei petali di margherita e
dell'alba oltre le colline.
In un
giorno di pioggia scrosciante, tra le urla della madre – una
ballerina, o un'incantatrice, forse – e il fragore delle nubi
in
tempesta, era venuta al mondo con gli occhi spalancati e senza emettere
un solo vagito. Era stata l'orfanella disprezzata da tutti di cui
John Gray aveva avuto compassione, accogliendola in casa sua
nonostante il parere contrario della moglie. Lo stesso John Gray che
due giorni dopo il suo atto di pietà era stato colpito da un
fulmine
mentre si recava a tagliare la legna come aveva fatto ogni mattina da
più di vent'anni.
In chiesa
non ascoltava mai il sermone.
Ridacchiava all'improvviso nel silenzio
assorto, oppure si perdeva a seguire le venature del legno con un
dito, affascinata.
Mettevano
in guardia contro il diavolo e le sue tentazioni. Jack si era chiesto
spesso se non fosse stato più saggio metterla in guardia da
stessa.
Quel che era certo, era che Margaret Gray nei secoli a venire sarebbe
stata ricordata come la strega più incantevole che avesse
mai posato
i piedi su quelle verdi alture, o sussurrato al vento di Pendle Hill
i suoi sortilegi. Ma finché fosse stata viva, nessuna
strega, per
quanto incantevole, poteva sperare di evitare il rogo. Non a
Samlesbury.
- Jack...
- chiamò
debolmente la voce di
lei, da dietro la porta chiusa, un palmo appoggiato implorante alla
barriera che li separava.
Non
era più spessa di un dito mignolo, eppure Margaret sembrava
così
lontana, e irrimediabilmente perduta. Quel pensiero gli fece male.
-
Jack? - ritentò lei, con minor convinzione, e lui si rese
conto che
credeva se ne fosse andato.
- Sono
qui - la rassicurò allora - Rimango finché non ti
addormenti. -
- Jack...
- la sentì ripetere di nuovo, un piccolissimo mormorio
mentre gli
occhi si riempivano di lacrime - Fammi uscire... -
Il palmo
di lui si sollevò e sfiorò il suo attraverso la
porta, una carezza
invisibile e senza tocco. Margaret attese una risposta che non
arrivò.
Chiuse
gli occhi, stringendosi le braccia infreddolite al petto, sentendosi
soffocare nella sua stessa stanza.
Il richiamo della foresta la stava
consumando.
(~)
Erano
state dita piccole, scheletriche, adunche come zampe di ragno.
I segni
sulle tempie di Ben, come leggere cicatrici, lo dimostravano. Lo
avevano trovato quella mattina, disteso a terra fuori dal fienile, il
colorito della pelle più bianco di quello di un cadavere, il
sangue
bluastro rappreso nelle vene. Angela era rimasta tutto il tempo con
il suo viso tra le mani, chiamandolo per nome e singhiozzando. Mentre il
medico, il signor Nutter, trasportava insieme al suo apprendista il
corpo di Ben in casa, Jack aveva scorto il wirvill aggirarsi in
giardino. Niente più di un'ombra furtiva lungo la palizzata,
ma era
sicuro di non essersi sbagliato.
Praticarono
impacchi e salassi, fecero il possibile ma suo fratello non dava
segni di vita. Ben sarebbe morto, e Jack lo sapeva. Non c'era niente
che potessero fare i farmaci o la loro scienza contro la
brutalità
ancestrale di una creatura delle tenebre. Per questo aveva atteso la
notte per sgusciare fuori dal letto e andare a svegliare Angela,
implorandola di liberare Margaret perché solo lei poteva
davvero
salvarlo. Aveva visto gli occhi tremanti della giovane cognata,
ancora umidi e infossati, farsi più grandi, di
incredulità, e una
scintilla di folle speranza a cui osò disperatamente
aggrapparsi.
(~)
Si
concesse un'occhiata dolorosa alla sorella.
Aveva
qualche livido, e il labbro inferiore spaccato e gonfio. La vide
prendere un lungo sospiro e infine annuire.
- Angela,
scendi di sotto e accendi il fuoco. Jack... per favore, dammi le
mani. Non... non riesco ad alzarmi da sola. -
Il
ragazzino fu preso da un moto di improvvisa tenerezza, che davvero
non si sarebbe aspettato di provare, o almeno non così forte.
Si fece
passare un suo braccio intorno al collo e, sostenendola ad ogni passo
malfermo, scesero insieme al piano di sotto, dove Angela li aveva
preceduti.
Con
delicatezza, la giovane si spostò la testa del marito in
grembo,
facendogli appoggiare una guancia al proprio ventre rigonfio,
accarezzandogli il viso, le lacrime che ancora doveva piangere
intrappolate tra le ciglia come rugiada. Il pentacolo era stato
tracciato a dovere, le candele disposte intorno in modo che il viso
di Ben non fosse in controluce. Rimasero in quella posizione per
quelle che sembrarono ore, ma che in realtà furono soltanto
pochi
minuti. I nervi tesi come corde, sapendo quanto stavano rischiando.
La loro vita, quella di Ben... ma avrebbe funzionato. Doveva
funzionare. Alla
fine
Margaret lasciò andare la pressione sulle tempie di Ben, gli
posò
un bacio leggero sulla fronte e mormorò qualcosa. Il volto
di lui
rimase immobile. Jack strinse più forte la mano di Angela,
sentendola sussultare angosciata.
-
Credo... di esserci riuscita. Starà bene... -
dichiarò Margaret con
voce esausta, un sorriso stranamente dolce. Angela si portò
le mani
alla bocca. Jack invece le sorrise semplicemente di rimando. Avrebbe
voluto abbracciarla stretta, ma lei si rivolse di nuovo alla ragazza
- Ascoltami, Angela. È importante che facciate come dico.
Dovrete
piantare quattro salici, uno per ogni punto cardinale ai confini del
villaggio. Terranno il wirvill lontano. Mi raccomando, non devi
dimenticartene, o non sarete comunque al sicuro... - lei fece per
replicare, ma in quel momento Ben mosse lentamente la testa sul
cuscino, voltandosi nella loro direzione.
- Ehi...
- mormorò, la voce impastata, un debole arricciarsi delle
labbra -
Ciao, papera... - Ad Angela non restò altro da fare se non
scoppiare
a ridere tra le lacrime, i polmoni che inspiravano finalmente un
sollievo quasi violento; e si chinò a coprirlo di baci,
circondandogli il collo con le braccia così forte da fargli
male.
(~)
- Jack...
- sospirò, avvertendone la presenza al suo fianco
- Stai
perdendo tempo. Non riuscirai a convincermi a restare. -
- Lo so -
rispose il ragazzino, accelerando il passo, il berretto di lana
calcato in testa - ...è per questo che vengo con te. -
Margaret
rise, scuotendo la testa. Incespicò nei suoi passi,
palesemente
stanca, ma non si fermò.
- No che
non vieni. Il tuo posto è qui. Con... la mamma, e Ben, e gli
altri.
-
- Stammi
a sentire. L'Inghilterra è piena
di
foreste. Ma stai pur certa che l'unico che troverai disposto a
sopportarti sono io. Allora? Non mi interessa dove sta il mio posto,
io vengo con te - la vide fare un
piccolissimo
movimento con il capo, le labbra che si arricciarono deliziate, ma
gli occhi ancora diffidenti - Anche se hai fatto cadere i boccoli a
Sue Thomas - soggiunse perciò, punzecchiandola di proposito.
La
bambina alzò gli occhi al cielo, arrossendo suo malgrado.
- E
quando mi farai arrabbiare? Potrei farli cadere a te, i capelli, non
ci hai pensato? Vuoi comunque rimanere con me, sapendo cosa ti
aspetta? -
Jack
inarcò un sopracciglio, aprendosi poi in un sorrisone furbo
e
inaspettato, e allungò un braccio per prenderle una mano.
- Scusa,
ma perché credi che mi sia portato dietro il cappello? -
(~)
Con
l'autunno sono arrivati anche il freddo, i fuochi fatui sulle
colline, le feste e i canti rituali per salutare l'estate.
Non si
guadagna molto come cantastorie, ma quello che abbiamo è
abbastanza
per permetterci una piccola casa in cima alla bassa scogliera, di
pietra e calcestruzzo, candida e isolata da tutte le altre. La prima
volta che Margaret ha visto il mare se n'è innamorata.
È il colore
dei tuoi occhi, finalmente l'ho trovato!, ha esclamato estasiata, coi
capelli e lo scialle arruffati dalla brezza. Imparare ad amarla non
è
stato facile, ma ora più ci penso e più mi
convinco che è stato
come una benedizione.
Porta
quasi ogni giorno Alice con lei alla spiaggia, scendendo il pendio
scosceso fino alla distesa di sabbia e acque fredde. Si siede sul
bagnasciuga, la gonna arrotolata sulle cosce, e si tiene nostra
figlia in grembo; le prende le piccole manine paffute e giocano a
imprimere le loro impronte nella sabbia, per poi scappare ridendo
quando la corrente le insegue e cancella le orme. Alice ha tre anni,
e ha lo stesso sguardo imbronciato di Margaret nel colore dei miei
occhi. È la figlia del mare, come ama chiamarla lei.
Margaret
canta sempre al vento una ninnananna per farlo addormentare, ride
spesso, ama questa nuova vita che ci è stata concessa.
Nasconde
una scatola di gessetti sotto al cuscino, ma so che finora è
rimasta
intatta. Gli incubi sono ormai lontani, come persi nei ricordi
indefiniti di quello che è stato una volta un brutto sogno.
La
giovane strega di Samlesbury è una mamma dolce e premurosa.
Chi
l'avrebbe mai immaginato? Eppure la vita è così.
Alle volte ti
sorprende. Trovi quello che stavi cercando nell'ultimo posto in cui
te lo saresti aspettato. Sta proprio qui l'essenziale, lo
straordinario.
Oggi,
fissandomi allo specchio, ho scoperto il mio primo capello bianco.
Margaret
ha riso fino alle convulsioni, assicurandomi tra un respiro e l'altro
che non era stata opera sua.
Sento
di amarla un po' di più ogni giorno che passa. Ogni giorno,
la
vecchia Margaret scompare un pochino, per diventare un po'
più donna
e meno strega, e ancora un po' più mia.
Ogni tanto colgo ancora il suo sguardo perdersi
su cose che
io non riesco a vedere, come succedeva al villaggio, da bambini.
Oppure la trovo coi gomiti appoggiati alla finestra mentre guarda
fuori, e allora mi assale il terrore che possa perderla di nuovo, che
prima o poi mi sfuggirà come fumo tra le dita, se tentassi
di
afferrarla per tenermela stretta e impedirle di lasciarmi. Quando lei
però si volta verso di me, mi rassicuro, perché
il richiamo nel suo
sangue sembra essersi placato.
So che
è felice, qui.
La
magia dona, la magia toglie.
È
un'amante infedele, volubile, spietata, che pretende tutto e non
ricambia mai.
Confido
che Margaret arrivi a comprenderlo. Il vento passa in un attimo e
quello successivo è già scomparso.
La
marea giunge e si ritira, altalenante. Il mondo segue il suo corso,
il tempo non fa sconti per nessuno.
Ci
rimane così poco a cui aggrapparci, eppure...
Jack
posò la penna d'oca, sentendosi tirare per una manica: una
manina
imprevista sbucata nella sua visuale, Alice che richiamava la sua
attenzione. Sillabando ''ba-ba'' con le labbra, gli pose tra le mani
un bocciolo inaridito, dall'aspetto piuttosto malconcio. Jack lo
nascose al sicuro tra i palmi, e la piccola ci appoggiò le
proprie
dita. Margaret li osservava dalla soglia della porta, una ciocca
scura scivolata in avanti sulla spalla, gli occhi che palpitavano nel
riverbero della candela. Secondo la leggenda, lo spettro
dell'incantevole strega di Pendle Hill abitava ancora la sua tanto
amata foresta, piangendo notte dopo notte il proprio triste destino.
Ma
negli occhi scuri del pallido fantasma che adesso gli stava
sorridendo non c'erano lacrime, solo orgoglio.
Jack
riaprì le mani, lentamente, e la corolla dei petali si
dischiuse,
palpitando.
Il
fiore era sbocciato per la seconda volta.
Note
La
fic prende spunto dalla pagina di Wikipedia riportata in parte qui
sotto riguardo ai processi delle streghe avvenuti nella zona di
Pendle Hill, nel Lancashire, e si ricollega alla vicenda come una
specie di ''prequel''
sulla generazione precedente. In pratica mi sono limitata a prendere
il nome del luogo e ambientarvi personaggi e situazioni completamente
inventati (tranne ovviamente quello di Alice Gray, che viene citato
nell'articolo).
The
trials of the Pendle witches in 1612 are among the most famous witch
trials in English history, and some of the best recorded of the 17th
century. The twelve accused lived in the area around Pendle Hill in
Lancashire, and were charged with the murders of ten people by the
use of witchcraft. Six of the Pendle witches came from one of two
families, each headed by a female in her eighties at the time of the
trials: Elizabeth Southerns (aka Demdike), her daughter Elizabeth
Device, and her grandchildren James and Alizon Device; Anne Whittle
(aka Chattox), and her daughter Anne Redferne. The others accused
were Jane Bulcock and her son John Bulcock, Alice Nutter, Katherine
Hewitt, Alice Gray, and Jennet Preston.
The Pendle witches were tried in a group that also included the Samlesbury witches, Jane Southworth, Jennet Brierley, and Ellen Brierley, the charges against whom included child murder and cannibalism; Margaret Pearson, the so-called Padiham witch, who was facing her third trial for witchcraft, this time for killing a horse; and Isobel Robey from Windle, accused of using witchcraft to cause sickness. Some of the accused Pendle witches, such as Alizon Device, seem to have genuinely believed in their guilt. Others protested their innocence to the end. Jennet Preston was the first to be tried, at York Assizes on 27 July 1612, where she was found guilty and subsequently hanged. Nine others - Alizon Device, Elizabeth Device, James Device, Anne Whittle, Anne Redferne, Alice Nutter, Katherine Hewitt, John Bulcock and Jane Bulcock - were found guilty and hanged at Gallows Hill in Lancaster on 20 August 1612. Elizabeth Southerns died while awaiting trial. Only one of the accused, Alice Gray, was found not guilty.
29/12/09
Questa
fic si è classificata prima all'Original Concorso
n°6 (La Foresta
e... la Bambina) indetto da Eylis su EFP forum.
Sono
ancora troppo incredula per dire qualcosa di più coerente di
un
semplice *O* … Grazie mille per aver letto, spero vi sia
piaciuta.
Un
bacio a Lely per avermela betata, dopo - e ce n'era
proprio
bisogno, ehm x°D -
Qui
sotto il giudizio e il mio bellissimo bannerino *-* See ya!
Grammatica, sintassi, ortografia e lessico: 8,5 / 10
Ci sono alcuni errorini, ma per il resto il testo è scritto davvero molto bene. Attenzione solo ad una cosa, che purtroppo devo valutare: a volte sono state dimenticate delle parole
Sviluppo della trama: 10 / 10
La trama è stata sviluppata in modo chiaro e fluido, i salti di tempo no disturbano la lettura perché sono ben marcati e la storia si svolge, dettagliata, dando molta attenzione ad ogni punto chiave. Buon lavoro!
Caratterizzazione dei personaggi: 10 / 10
I personaggi sono davvero ben caratterizzati, anche quelli meno importanti come Luc
Espressività: 10 / 10
Ho trovato questo racconto davvero coinvolgente, nonostante all’inizio abbia dovuto abituarmi allo stile di scrittura tanto articolato. Ogni punto importante viene valorizzato, ma non sono dimenticati neanche i momenti più piccoli
Originalità: 9,5 / 10
Devo ammettere che all’inizio non avevo capito si trattasse di una storia sulle streghe, forse anche per questo lo trovo un lavoro davvero molto originale
Attinenza al tema e ai parametri posti: 10 / 10
Temi e parametri ben rispettati
Valutazione finale: 58 / 60
Che dire… credo che il punteggio sia meritato. Al di là del parere soggettivo (ho trovato questo racconto semplicemente incantevole) si tratta di un lavoro davvero ben costruito e scritto. Complimenti!