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Autore: bluemary    30/12/2009    6 recensioni
"Dopo aver incontrato di persona quegli orrori ed essere sopravvissuta, non si sarebbe mai lasciata sconfiggere da semplici ombre del suo passato.
Ma poi c’era stata l’Alaska, e Alaska significava Steve. Alaska significava
lui."
Breve storia che potrebbe considerarsi un primo prequel a "Being God".
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Redfield
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia che partecipa alla prima estrazione del Giro dell'Oca su Writers Arena (vi suggerisco di darci un'occhiata, è una challenge in apparenza impegnativa, ma considerando che si possono usare anche storie già edite e che non ci sono limitazioni di fandom o genere non sembra impossibile neppure a me che sono pigra XD).
Ringrazio inoltre Armonia per il consulto finale e consiglio a tutti gli amanti di Resident Evil di leggere la sua storia "Resident Evil - The Untold Story", merita davvero!




Nightmares

Erano cominciati dopo Raccon City, vividi e violenti come sapeva di doverseli aspettare.
A volte era in fuga dagli zombie, con in mano la pistola quasi scarica, un unico colpo ancora in canna, risparmiato fino alla fine nel caso non ci fosse più alcuna possibilità di salvarsi, e il coltello infilato nella cintura; sforzandosi di rimanere lucida, correva alla ricerca di un riparo che forse non esisteva nemmeno, inseguita dai loro lamenti simili a una cupa sinfonia di morte e dai passi strascicati che scandivano la loro lenta ma inesorabile avanzata. Anche senza vederli sentiva il tanfo dei cadaveri in movimento, l’odore nauseabondo di quegli esseri non più vivi che si ostinavano a camminare, a nutrirsi. Non avrebbe mai dimenticato il suono agghiacciante delle loro mandibole, lo stridio dei denti contro le ossa, lo strappo violento di carne e tendini dai corpi inerti di quelli che un tempo erano i loro stessi compagni.
Altre volte nei claustrofobici corridoi della stazione di polizia cercava disperatamente rifugio da un nemico ben più pericoloso dei semplici zombie; nel buio complice del suo inseguitore, camminava piano, rasente al muro, con le orecchie tese per captare il minaccioso rumore dei suoi artigli che graffiavano il pavimento, o le pareti, o il soffitto, il sibilo con cui la cercava o la staffilata improvvisa della sua lingua mostruosa, capace di trapassare senza sforzo un polmone, in un silenzio che mai prima di allora l’aveva aggredita con la consapevolezza di essere diventata una preda.
Più raramente si ritrovava a fronteggiare ciò che un tempo era stato William Birkin, le dita contratte attorno all’impugnatura dell’inutile Browning HP, mentre si preparava a lottare per la vita contro il Tyrant nello stesso treno in cui già una volta lei e Leon erano riusciti a sconfiggerlo.
Arrivavano quasi ogni notte, cercando di sopraffarla quando era più vulnerabile, ma in qualche modo era riuscita a conviverci senza troppo sforzo; dopo aver incontrato di persona quegli orrori ed essere sopravvissuta, non si sarebbe mai lasciata sconfiggere da semplici ombre del suo passato.
Ma poi c’era stata l’Alaska, e Alaska significava Steve. Alaska significava lui.
Non contava più le notti in cui aveva rivisto il giovane conosciuto a Rockfort Island. A volte le faceva visita nelle vesti del diciassettenne strafottente e baldanzoso che aveva promesso di proteggerla, con una sicurezza del tutto inadatta alla sua età, come se davvero bastasse un ingenuo principe azzurro dalla strana capigliatura per sconfiggere gli orrori creati dalla famiglia Ashford; più raramente lo trovava con il corpo deformato dagli esperimenti a cui era stato sottoposto e l’ascia stretta in pugno, pronta a calare inesorabile sulla sua testa, il ragazzo a cui si era affezionata soppiantato da un essere mostruoso, che tuttavia aveva mantenuto un barlume di lucidità sufficiente a risparmiarle la vita.
Di tutte le ferite ricevute dalla Umbrella, il sacrificio di Steve contro Alexia era stata quella più profonda.
I primi giorni si era svegliata piangendo istericamente, sopraffatta dal rimorso di non essere stata capace di salvarlo, con la sensazione del suo corpo morente, di nuovo così umano, appoggiato contro il proprio e le parole con cui il giovane le aveva dichiarato il proprio amore che ancora echeggiavano nella sua mente.
Adesso, a distanza di mesi, il suo pensiero non le faceva più così male e l’Alaska era diventata un ricordo quasi sopportabile. Ma lui c’era sempre.
Come un’ombra più scura della notte, presenza impalpabile dietro ogni tragico avvenimento, o come una solida figura pronta a sbarrarle la strada, un concentrato di forza, spietatezza e sadismo a cui non aveva alcuna speranza di opporsi; le bastava ricordare la sua sagoma muscolosa per sentire un acuto dolore alla spalla, lì dove il suo piede rivestito del pesante anfibio da combattimento era calato crudelmente durante il loro primo incontro. Eppure non era la violenza di cui si era dimostrato capace a terrorizzarla, semplicemente ogni fibra del suo corpo riconosceva nell’ex capitano della S.T.A.R.S. il più pericoloso predatore con cui fosse mai venuta a contatto: più degli zombie, più dei Licker, più di Birkin, perché lui sapeva come alimentare le sue paure. Ogni suo più piccolo movimento, ogni parola, ogni sorriso aveva lo scopo di intimidire il suo avversario, di farlo sentire indifeso, di demolire tutte le sue sicurezze.
L’aveva capito quando si erano incontrati di nuovo e, invece di picchiarla come in precedenza, Wesker si era limitato a mostrarle quanto fosse impotente in sua presenza, lasciandole uno spiraglio di fuga solo per cancellare brutalmente le sue speranze quando l’aveva riacciuffata dopo appena un secondo.
La creatura più pericolosa della Umbrella era anche quella che aveva le parvenze più umane. E lei la odiava, nel più profondo del suo animo: odiava la sua risata trionfante, che le faceva accapponare la pelle più di qualunque altro suono; odiava il suo atteggiamento, sempre così controllato, come se fosse l’antitesi stessa degli altri infetti, guidati unicamente dalla loro sete di sangue; e odiava ancora di più l’attitudine tranquilla, quasi educata, che l’uomo sapeva dimostrare anche mentre pianificava le peggiori atrocità di cui fosse capace.
Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui la sua mano le aveva afferrato dolorosamente il mento, per costringerla a cercare il suo sguardo attraverso lo schermo dei suoi onnipresenti occhiali da sole, prima che le sue dita guantate le accarezzassero una guancia, con una dolcezza smentita dall’espressione derisoria e pericolosa al tempo stesso dei suoi lineamenti.
- Miss Redfield, ti consiglio caldamente di collaborare, se ci tieni a rimanere padrona di tutti i tuoi arti.
Non era stata la frase in sé a sconvolgerla, in quell’occasione, né la stretta che le bloccava i polsi sopra la testa, dandole l’impressione di essere stata inchiodata al muro da una tonnellata di acciaio; era stato il tono privo di qualunque emozione, tranne forse un vago divertimento, con cui le aveva parlato, il tono asettico di chi non ha bisogno di insinuare una nota tagliente per rendere concrete le proprie minacce.
In quel momento, imprigionata tra il suo corpo quasi immortale e la parete, con gli occhi dilatati dal terrore fissi sui bagliori vermigli delle sue iridi innaturali, aveva davvero compreso il significato stesso della parola ‘paura’: non c’era alcuna pietà, nel suo sguardo color del sangue, nessun rimorso; se Wesker l’aveva risparmiata fino a quel momento era stato solo per arrivare a Chris. Una volta che fosse uscito allo scoperto, lo avrebbe ucciso nel modo peggiore che potesse escogitare, facendolo soffrire atrocemente, e lei non avrebbe potuto fare nulla per impedirglielo.
Anche se alla fine suo fratello si era salvato grazie a un insperato colpo di fortuna, quell’esperienza aveva lasciato tracce profonde nel suo animo: non si era mai sentita così inerme, nemmeno al suo arrivo a Raccon City, quando era cominciata ogni cosa, e questa consapevolezza la tormentava quasi tutte le notti.
Da qualunque altra creatura poteva difendersi, ma lui... lui era troppo superiore.
Ogni sera, quando spegneva la luce e si infilava sotto le coperte, temeva di vederselo comparire di fronte nell’oscurità, pronto a rapirla e usarla di nuovo come esca per Chris, a trascinarla in un laboratorio sotterraneo per trasformarla in una cavia, forse perfino a torturarla a morte.
Quello era l’unico incubo che non svaniva mai con le prime luci del mattino, forse perché sapeva di non potergli sfuggire davvero.
Prima o poi Wesker li avrebbe raggiunti tutti -Jill, Barry, Leon, Rebecca, Chris, lei stessa-, deciso a chiudere i conti una volta per tutte con chiunque avesse osato contrastarlo.
E, allora, nessuno si sarebbe salvato.

- Buonasera, Miss Redfield.
   
 
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