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Autore: Akrois    31/12/2009    2 recensioni
Alaska chiamò Canada agitando una mano, invitandolo a sedersi con lei e Siberia.
Canada sorrise, non riuscendo a fare a meno di chiedersi come le due donne potessero trovare divertente un pic-nic fatto sul terreno innevato.
Nonostante tutto si sedette sulla coperta, sfiorando con le dita i fiorellini ricamati che l’adornavano.
Prese la tazza blu che Alaska gli porgeva e sorseggiò il the caldo osservando le due donne parlare fra loro.
(Oc!Alaska, Oc!Siberia, Oc!Kaliningrad)
{Quarta classificata al Concorso "Nazional Geografico" indetto da SillyHatter.}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NorthernLight~ Waiting for Winte r~

 

 

 

- Nick Autore: Akrois
- Titolo : Northern Light
- Personaggio/i: Oc!Alaska (Sesi
Kinguyakkii), Oc!Siberia (Mar’ja Zarkovskaja), Oc!Kaliningrad (Lev Ivanovič Braginsky), Canada (Matthew Williams) , America (Alfred F. Jones) –per menzione – Russia (Ivan Braginsky).
- Genere: Introspettivo, sentimentale, malinconico, triste.
- Rating: Giallo.
- Avvertimenti: one short, shoujo-ai.
- NdA: Allora, qualche allegra spiegazione, specie sui nomi *-*

Perché ci ho studiato dietro a quella roba O_O

Allora, partiamo da Alaska, la protagonista delle short che seguiranno: Sesi è una parola degli Athna, una popolazione che vive lungo il Copper Rive e significa “neve”, mentre Kinguyakkii è una parola degli Inupiak e significa “aurora boreale”. In realtà sono nomi da cane, ma pazienza.

Per quando riguarda Siberia e Kaliningrad… Giuro che ho pensato che se i russi non complicano tutto non si sentono contenti. Magari non dormono la notte, poi =.=

Il nome di Siberia è semplice (coffbanalecofcoff) mentre il cognome ha subito quella cosa sublimemente russa che è l’adattamento al sesso *O* infatti, se fosse stata un maschio si sarebbe chiamata Sokolov *-* (già progetta una bella genderswarp) Kaliningrad ha un nome tremendo (nella mia mente malata glie lo ha appioppato Ivan per fargli dispetto), il cognome di Ivan ed il suo patronimico (nome derivato dal nome del padre che si scriva fra il nome ed il cognome. Sempre appioppatigli da Ivan per fargli dispetto).

Ora, due paroline sull’Alaska, prego, QUI (non ha proprio voglia di scriverla da sé).

I fiori che Canada porge ad Alaska sono delle “paeonia lactiflora”, un fiore della famiglia delle peonie originario della Siberia (ma anche della mongolia e del nord della Cina ma sono dettagli e non ce ne frega nulla) che produce molti piccoli fiori per stelo dal profumo delicato. La variante che compare nella storia è la variante rosa.


 

Le cose che Canada sapeva

 

Quando Canada andava a trovare Alaska poteva essere sicuro di varie cose.

La prima era che Alaska si sarebbe ricordata chi era.

La seconda era che Alaska avrebbe preteso la sua cooperazione alla discussione.

La terza era che Alaska gli avrebbe parlato di Russia o di America.

La quarta era che questo gli avrebbe fatto molto male.

 

 

 

I fiori di Siberia

 

Canada sorrise, porgendo un mazzo di fiori ad Alaska.

- Canada, ma questi fiori sono- Alaska fissò i fiorellini rosati e poi Canada.

Canada si scansò e Alaska vide la donna dietro di lui.

- Siberia!- gridò lanciando in aria il mazzo di fiori e buttandosi fra le braccia della donna.

Anche quello gli fece molto male.

 

 

La musica dei ghiacci

 

Alaska chiamò Canada agitando una mano, invitandolo a sedersi con lei e Siberia.

Canada sorrise, non riuscendo a fare a meno di chiedersi come le due donne potessero trovare divertente un pic-nic fatto sul terreno innevato.

Nonostante tutto si sedette sulla coperta, sfiorando con le dita i fiorellini ricamati che l’adornavano.

Prese la tazza blu che Alaska gli porgeva e sorseggiò il the caldo osservando le due donne parlare fra loro.

La voce di Siberia era alta ed allegra, quella di Alaska bassa e pacata.

Assieme creavano una melodia splendida.

 

 

Il calore che scioglie il ghiaccio

 

Alaska salutò Canada con un bacio sulla guancia e la promessa di rivedersi presto.

Siberia li guardò sbuffando.

- Che hai, Mar’ja?- domandò Alaska sedendosi accanto alla ragazza.

- Nulla- bofonchiò Siberia distogliendo lo sguardo da lei.

- Gelosa?

- Ma neanche un po’- esclamò Siberia punta sul vivo mentre il viso le si faceva paonazzo.

Alaska scoppiò a ridere abbracciandola.

 

 

 

Kaliningrad proprio non capiva Alaska

 

Kaliningrad si chiedeva sempre cosa ci trovasse Alaska in Russia.

Insomma, cosa poteva trovarci una persona –relativamente- normale di bello in Russia lui proprio non riusciva a capirlo.

Ma Alaska aveva sempre gli occhi lucenti quando parlava con Russia e la cosa lo infastidiva, sebbene sembrasse infastidire molto di più Siberia.

 

 

E Alaska proprio non capiva America

 

 

Alaska osservò con’aria accigliata America ingozzarsi di hamburger davanti a lei.

Quella che doveva essere una discussione incentrata sulla costruzione di una base militare nel suo territorio era diventata un indegno concerto di biascichii e sputacchi.

Sospirando affranta passò un fazzoletto ad America intimandogli di pulirsi la bocca, comprendendo (non senza un certo sollievo) che anche per quell’inverno il suo paese non avrebbe ospitato nuove basi militari.

 

Alaska non aveva paura

 

 

- Vieni a vivere da me.- disse Siberia, stringendo le mani dell’altra Nazione – Ti renderò, felice, te lo prometto- Siberia sembrò perdere sicurezza, incespicando con la lingua – potremmo portare con noi il marmocchio, sembra che ti stia simpatico, no? Anche Finlandia e Svezia l’hanno fatto.

Alaska sorrise – Mar’ja, davvero, ne sarei felicissima ma…

- Potrei proteggerti – la interruppe Siberia, fissandola dritta negli occhi – Non dovresti più avere paura di America. O del buio. O dell’inverno.

Alaska staccò le mani dalle sue, allontanandola da se con delicatezza.

- Io non ho paura, Mar’ja – disse Alaska sorridendo dolcemente.

E per un istante, solo per un istante, Siberia vide passare negli occhi azzurri di Alaska la stessa follia che aveva spesso adombrato di occhi di Russia.

 

 

Scendeva la prima neve

 

 

Kaliningrad soffiò sul the ambrato, scoccando un’occhiata incuriosita ai biscotti davanti a lui. Avevano colori così assurdi che solo America avrebbe potuto mangiarli.

- Come sta Siberia?- domandò Alaska torcendosi nervosamente le dita. – Male- risposte il bambino – ma non ti devi preoccupare, le passerà. Le passa tutti gli anni, in fondo.

- Già.- Alaska annuì tentando un sorriso poco convinto.

- Ricordi quando voleva farci un tesserino?

- Sì, il club delle “sfruttatissime terre della Grande Madre Russia”.- disse Alaska ridacchiando. Kaliningrad sorrise a sua volta, spostando poi la sua attenzione verso la finestra – Ma tu guarda- osservò il bambino – sta nevicando.

- Cosa?- la donna si voltò di scatto verso la finestra, sbarrando gli occhi davanti ai fiocchi bianchi che danzavano irriverenti fuori dalla sua casa. Alaska pensò che Kaliningrad fosse troppo lontano, o troppo basso, o troppo piccolo per vedere il suo viso, ma al bambino non sfuggì il velo di tristezza che scese sui suoi occhi.

 

 

L’inverno era molto più lungo di quanto avesse voluto.

 

 

Frugò con un braccio sotto il letto fino a cozzare con le dita sul freddo vetro di una bottiglia. La tirò fuori dal suo polveroso nascondiglio, osservandola alla luce delle lampade della casa.

La poggiò sul tavolinetto intagliato accanto alla sedia a dondolo su cui aveva buttato tutte le sue pellicce (o, almeno, quelle che Russia non si era portato via, che America non aveva sequestrato e di cui Canada non si era lamentato. Ma perché non lasciavano in pace lei e le sue pellicce?) e lanciò uno sguardo irritato al mezzo metro buono di neve che sembrava essersi materializzato di sua spontanea volontà nella notte. Si buttò a sedere fra le pellicce, lasciando che il fuoco la riscaldasse e afferrò la bottiglia con un gesto scocciato.

- È solo un inverno, Sesi- bofonchiò stappando la bottiglia – solo l’ennesimo dannatissimo inverno.

Buttò giù una sorsata di vodka, lasciando che il liquore le bruciasse la gola. Fortuna che di alcool ne aveva sempre abbastanza.

   
 
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