NorthernLight~ Waiting
for Winte r~
- Nick
Autore: Akrois
- Titolo :
Northern Light
- Personaggio/i: Oc!Alaska (Sesi Kinguyakkii), Oc!Siberia (Mar’ja Zarkovskaja), Oc!Kaliningrad (Lev Ivanovič Braginsky),
Canada (Matthew Williams) , America (Alfred F.
Jones) –per menzione – Russia (Ivan Braginsky).
- Genere: Introspettivo, sentimentale, malinconico, triste.
-
Rating: Giallo.
- Avvertimenti: one
short, shoujo-ai.
- NdA:
Allora, qualche allegra spiegazione, specie sui nomi *-*
Perché ci ho studiato dietro a quella roba O_O
Allora, partiamo da Alaska, la protagonista delle short che
seguiranno: Sesi è una parola degli Athna,
una popolazione che vive lungo il Copper Rive e
significa “neve”, mentre
Kinguyakkii
è una parola degli Inupiak e significa “aurora
boreale”. In realtà sono nomi da cane, ma pazienza.
Per
quando riguarda Siberia e Kaliningrad… Giuro che ho
pensato che se i russi non complicano tutto non si sentono contenti. Magari non
dormono la notte, poi =.=
Il nome
di Siberia è semplice (coffbanalecofcoff) mentre il cognome ha subito quella cosa
sublimemente russa che è l’adattamento al sesso *O* infatti, se fosse stata un
maschio si sarebbe chiamata Sokolov *-* (già progetta
una bella genderswarp) Kaliningrad ha un nome
tremendo (nella mia mente malata glie lo ha appioppato Ivan per fargli
dispetto), il cognome di Ivan ed il suo patronimico (nome derivato dal nome del
padre che si scriva fra il nome ed il cognome. Sempre appioppatigli da Ivan per
fargli dispetto).
Ora, due
paroline sull’Alaska, prego, QUI
(non ha proprio
voglia di scriverla da sé).
I fiori
che Canada porge ad Alaska sono delle “paeonia lactiflora”, un fiore della famiglia delle peonie
originario della Siberia (ma anche della mongolia e del nord della Cina ma sono
dettagli e non ce ne frega nulla) che produce molti piccoli fiori per stelo dal
profumo delicato. La variante che compare nella storia è la variante rosa.
Le cose che Canada sapeva
Quando
Canada andava a trovare Alaska poteva essere sicuro di varie cose.
La prima
era che Alaska si sarebbe ricordata chi era.
La
seconda era che Alaska avrebbe preteso la sua cooperazione alla discussione.
La terza
era che Alaska gli avrebbe parlato di Russia o di America.
La
quarta era che questo gli avrebbe fatto molto male.
I fiori di Siberia
Canada
sorrise, porgendo un mazzo di fiori ad Alaska.
-
Canada, ma questi fiori sono- Alaska fissò i fiorellini rosati e poi Canada.
Canada
si scansò e Alaska vide la donna dietro di lui.
-
Siberia!- gridò lanciando in aria il mazzo di fiori e buttandosi fra le braccia
della donna.
Anche
quello gli fece molto male.
La musica dei ghiacci
Alaska
chiamò Canada agitando una mano, invitandolo a sedersi con lei e Siberia.
Canada
sorrise, non riuscendo a fare a meno di chiedersi come le due donne potessero
trovare divertente un pic-nic fatto sul terreno innevato.
Nonostante
tutto si sedette sulla coperta, sfiorando con le dita i fiorellini ricamati che
l’adornavano.
Prese la
tazza blu che Alaska gli porgeva e sorseggiò il the caldo osservando le due
donne parlare fra loro.
La voce
di Siberia era alta ed allegra, quella di Alaska bassa e pacata.
Assieme
creavano una melodia splendida.
Il calore che
scioglie il ghiaccio
Alaska
salutò Canada con un bacio sulla guancia e la promessa di rivedersi presto.
Siberia
li guardò sbuffando.
- Che
hai, Mar’ja?- domandò Alaska sedendosi accanto alla
ragazza.
- Nulla-
bofonchiò Siberia distogliendo lo sguardo da lei.
-
Gelosa?
- Ma
neanche un po’- esclamò Siberia punta sul vivo mentre il viso le si faceva
paonazzo.
Alaska
scoppiò a ridere abbracciandola.
Kaliningrad proprio non capiva
Alaska
Kaliningrad
si chiedeva sempre cosa ci trovasse Alaska in Russia.
Insomma,
cosa poteva trovarci una persona –relativamente- normale di bello in Russia lui
proprio non riusciva a capirlo.
Ma
Alaska aveva sempre gli occhi lucenti quando parlava con Russia e la cosa lo infastidiva,
sebbene sembrasse infastidire molto di più Siberia.
E Alaska proprio non capiva
America
Alaska
osservò con’aria accigliata America ingozzarsi di hamburger davanti a lei.
Quella
che doveva essere una discussione incentrata sulla costruzione di una base
militare nel suo territorio era diventata un indegno concerto di biascichii e
sputacchi.
Sospirando
affranta passò un fazzoletto ad America intimandogli di pulirsi la bocca,
comprendendo (non senza un certo sollievo) che anche per quell’inverno il suo
paese non avrebbe ospitato nuove basi militari.
Alaska non aveva paura
- Vieni
a vivere da me.-
disse Siberia, stringendo le mani dell’altra Nazione – Ti renderò,
felice, te lo prometto- Siberia sembrò perdere sicurezza, incespicando con la lingua
– potremmo portare con noi il marmocchio, sembra che ti stia simpatico, no?
Anche Finlandia e Svezia l’hanno fatto.
Alaska
sorrise – Mar’ja, davvero, ne sarei felicissima ma…
- Potrei
proteggerti – la interruppe Siberia, fissandola dritta negli occhi – Non
dovresti più avere paura di America. O del buio. O dell’inverno.
Alaska
staccò le mani dalle sue, allontanandola da se con delicatezza.
- Io non
ho paura, Mar’ja – disse Alaska sorridendo
dolcemente.
E per un
istante, solo per un istante, Siberia vide passare negli occhi azzurri di
Alaska la stessa follia che aveva spesso adombrato di occhi di Russia.
Scendeva la prima neve
Kaliningrad
soffiò sul the ambrato, scoccando un’occhiata incuriosita ai biscotti davanti a
lui. Avevano colori così assurdi che solo America avrebbe potuto mangiarli.
- Come
sta Siberia?- domandò Alaska torcendosi nervosamente le dita. – Male- risposte
il bambino – ma non ti devi preoccupare, le passerà. Le passa tutti gli anni,
in fondo.
- Già.-
Alaska annuì tentando un sorriso poco convinto.
-
Ricordi quando voleva farci un tesserino?
- Sì, il
club delle “sfruttatissime terre della Grande Madre Russia”.-
disse Alaska ridacchiando. Kaliningrad sorrise a sua volta, spostando poi la sua
attenzione verso la finestra – Ma tu guarda- osservò il bambino – sta
nevicando.
- Cosa?-
la donna si voltò di scatto verso la finestra, sbarrando gli occhi davanti ai
fiocchi bianchi che danzavano irriverenti fuori dalla sua casa. Alaska pensò
che Kaliningrad fosse troppo lontano, o troppo basso, o troppo piccolo per
vedere il suo viso, ma al bambino non sfuggì il velo di tristezza che scese sui
suoi occhi.
L’inverno era molto più lungo di
quanto avesse voluto.
Frugò
con un braccio sotto il letto fino a cozzare con le dita sul freddo vetro di
una bottiglia. La tirò fuori dal suo polveroso nascondiglio, osservandola alla
luce delle lampade della casa.
La
poggiò sul tavolinetto intagliato accanto alla sedia a dondolo su cui aveva
buttato tutte le sue pellicce (o, almeno, quelle che Russia non si era portato
via, che America non aveva sequestrato e di cui Canada non si era lamentato. Ma
perché non lasciavano in pace lei e le sue pellicce?) e lanciò uno sguardo
irritato al mezzo metro buono di neve che sembrava essersi materializzato di
sua spontanea volontà nella notte. Si buttò a sedere fra le pellicce, lasciando
che il fuoco la riscaldasse e afferrò la bottiglia con un gesto scocciato.
- È solo
un inverno, Sesi- bofonchiò stappando la bottiglia –
solo l’ennesimo dannatissimo inverno.
Buttò
giù una sorsata di vodka, lasciando che il liquore le bruciasse la gola.
Fortuna che di alcool ne aveva sempre abbastanza.