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Autore: depy91    02/01/2010    1 recensioni
Il primo torneo si è ormai concluso, le strade dei due wrestler mascherati si sono separate. Due anni dopo viene annunciato il secondo Tekken, King dovrà superare ostacoli apparentemente insormontabili, primo fra tutti la frustrazione, per risorgere più determinato che mai. Ne sarà capace? Sta a voi scoprirlo!;) "Gocce di sudore sgorgavano dalla pelle, evaporando al semplice contatto con la sua schiena bollente per la tensione..."
Genere: Malinconico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Armor King, King
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ruggito del Giaguaro'
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Gocce di sudore sgorgavano dalla pelle, evaporando al semplice contatto con la sua schiena bollente per la tensione. Un costante ronzio proveniva dalla lampada al neon che illuminava lo scarno spogliatoio, lo spessore della porta chiusa permetteva comunque ai boati della folla urlante di penetrare sin dentro quella stanza, la cui monotonia architettonica era frammezzata da armadietti metallici divorati dalla ruggine e lunghe panche in legno. King sedeva su di uno sgabello, poggiando i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il viso tra le mani. Accanto a lui giaceva sul piano di una vecchia scrivania la sua gloriosa maschera, indossando la quale egli aveva sconfitto gli avversari più temibili e ruggendo aveva proclamato le proprie vittorie sui ring di tutto il mondo. Qualcuno bussò alla porta, King non accennò a rispondere, rimase in silenzio, nella medesima posizione. Quel suono provocò una scossa nella testa del wrestler, le sue carni vibrarono e per qualche istante la sua mente volò via da quel luogo meschino, per tornare a qualche mese addietro, tra le pareti del suo amato orfanotrofio: Un amaro silenzio rimbombava più forte di un’esplosione, mentre King attendeva con il viso affranto davanti all’ingresso del dormitorio, chiuso a chiave. Udì evocare il suo nome, dunque scattò in piedi, bussò alla porta ed il chiavistello fu scostato dall’interno, cigolando rumorosamente. King varcò la soglia, la scena che lo aspettava sarebbe rimasta vivida nella sua memoria per sempre. Un bambino, sei anni al massimo, uno dei tanti piccoli sfortunati che abitava quel luogo caritatevole, giaceva disteso sul letto, avvolto da uno spesso strato di coperte, per cercare di affievolire la febbre alta che da giorni non gli dava pace. Respirava affannosamente e la sua fronte corrugata grondava sudore, mentre un innaturale pallore aveva invaso la sua pelle. Il medico gli sedeva accanto, asciugandogli il viso di tanto in tanto e reggendogli una mano, a quanto pareva aveva fatto il possibile per aiutare quella tenera creatura, ma i suoi sforzi si erano rivelati inutili. King rimase pietrificato per un secondo davanti alla porta, poi avanzò lentamente, finché raggiunse la sedia posta ai piedi del letto, su cui si abbandonò come privato delle energie. Il bambino aprì gli occhi e ruotò gravemente le pupille, per incontrare la figura del suo idolo, il grande King. Un sorriso comparve sul suo faccino e per un attimo sembrò colorarsi di un rosa tenue. “K-King…” balbettò il convalescente ed il wrestler s’alzò per stringerlo tra le sue braccia. Gioioso come se ogni male fosse svanito, il fanciullo fissò lo sguardo in quello del volto felino e con voce tremolante domandò ingenuamente: “Mi salverai, non è vero? Mi porterai lontano da qui e mi insegnerai a lottare come un vero combattente. Ti seguo sempre in TV, sai? Sei il mio eroe… mi salverai, King, non è così?”. Quelle parole sconvolsero l’inerme wrestler messicano, il quale sentì la voce affogargli in gola, alzò lo sguardo verso il medico e quest’ultimo chinò il capo in segno di rassegnazione. Lentamente King rivolse nuovamente gli occhi al bambino, mentre lacrime bollenti scorrevano sino ad emergere dal bordo inferiore della maschera. Il pargolo abbracciò con tutte le sue forze il suo modello da seguire, ma progressivamente la stretta si fece più lieve, sino a che le esili braccia del bambino piombarono penzoloni, prive di slancio vitale. Le palpebre coprirono i suoi occhi lucidi e non un’altra parola provenne dalle sue labbra. King comprese cosa fosse appena accaduto, i sui arti nerboruti iniziarono a tremare, il suo cuore a palpitare rapidamente. Il medico lasciò la sala, senza dir nulla e senza sollevare il capo. King rimase a sostenere il corpicino privo di vita del fanciullo ancora per diversi minuti, infine lo ripose nuovamente sul letto, rimboccandogli le coperte con cura.
Quella sera lasciò l’orfanotrofio, non vi fece più ritorno.

I colpi insistenti alla porta dello spogliatoio lo destarono nuovamente e la l’evanescente nuvola di reminiscenze si diradò. King segnalò la sua presenza con un tonante ruggito, allorché una voce dietro l’imposta lo informò che sul ring tutto era pronto per lo svolgimento del match e che tutti lo stavano attendendo con ansia. Il lottatore si voltò verso il suo impermeabile, riposto disordinatamente su una delle panche, inserì la mano in una delle tasche, ne estrasse una bottiglietta metallica quadrangolare, ne bevve il contenuto a lunghi sorsi, infine scagliò il contenitore vuoto su di uno specchio, mandandolo in frantumi. Si asciugò le labbra umide e finalmente decise di mettersi in piedi, sebbene il suo equilibrio fosse stato intaccato fortemente dagli effetti di quel fluido alcolico. Celò il volto dietro la maschera di giaguaro, afferrò un mantello sgualcito che pendeva dall’appendiabiti accanto all’uscita, lo indossò e spalancò con violenza la porta, svelando un lungo corridoio dalle pareti scrostate. Il fragore della gente in visibilio diveniva via via più intenso, man mano che i suoi passi stanchi lo guidavano verso il ring. Alla sua apparizione, corrispose un sonoro boato che fece vibrare l’intero locale, ma King non sentiva nient’altro che l’ingombrante peso dei suoi ricordi. Nell’angusto spazio di una locanda malandata era stato allestito un angolo adibito ai combattimenti e alle scommesse. Da quel triste giorno, che non aveva mai smesso di tormentare la mente di King, egli aveva abbandonato il mondo del wrestling professionistico, per tornare nell’ambiente losco della lotta di strada, da cui tanto faticosamente era riuscito a venir fuori in giovane età grazie al coraggio e alla fede. Erano ormai lontani i giorni dei grandi successi e i profondi vuoti della sua nuova vita venivano colmati dall’alcol.
King oltrepassò le corde e salì sul ring. Davanti a sé il suo avversario stava ancora incitando il pubblico. L’uomo dal volto di giaguaro gettò a terra il proprio mantello e si preparò a lottare. La sua vista era offuscata dall’ebbrezza ed i sui movimenti erano rallentati e imprecisi. Quando la campana ebbe squillato l’inizio dell’incontro, non fu nemmeno in grado di schivare il poderoso ma prevedibile pugno dello sfidante, che lo colpì in pieno volto, scagliandolo al tappeto. Sostenendosi dalle corde, King si rimise in piedi a fatica, mentre l’avversario lo derise dicendo: “Quale delusione mi provoca questo spettacolo pietoso. Il grande King sbronzo a prenderle di santa ragione. Cosa c’è, campione, sazio di successo ma non di liquore?”. Una risata concluse l’insinuazione, che tuttavia non rimase impunita. Colto da un’invisibile collera funesta, infatti, il wrestler evitò le successive tecniche e in un lampo si trovò alle spalle dell’avversario. Con un potente calcio alle caviglie lo spedì disteso a terra, e appena si fu rialzato, gli sferrò un gancio in ventre, piegandolo in una smorfia di dolore. A questo punto afferrò il capo dello sfidante, stringendolo saldamente tra l’avambraccio e il bicipite destro, mentre con il braccio sinistro sollevò il corpo dell’arrogante combattente, sospendendolo in aria a testa in giù. Il pubblicò rumoreggiò gradendo la mossa che stava per concludersi. King si lanciò all’indietro, facendo piombare al suolo l’avversario da quella notevole altezza. Il match poteva essere dichiarato terminato, poiché soltanto King, seppur barcollando, era in grado di proseguire l’incontro. Lo speaker si apprestava a sollevare il braccio destro del vincitore per sancirne l’ennesima vittoria, ma il wrestler abbandonò il ring, senza proferire una parola, riscosse la sua parte di guadagno dal giro di scommesse che ruotava attorno alle sue performance e ritornò nello spogliatoio, per raccogliere la propria roba ed uscire dal locale. Durante il breve tragitto tuttavia, un fischio insopportabile gli scosse l’udito, un bruciore improvviso gli pervase la fronte, King cadde sulle ginocchia, in preda ad una visione, la stessa che interrompeva il suo sonno tutte le notti: una voce inumana pronunciava delle frasi di cui era impossibile cogliere il senso, due occhi rossi e incandescenti come la lava lo fissavano minacciosi, come se lo stessero giudicando per un qualche male compiuto, infine da una impenetrabile coltre di nebbia emergeva d’un tratto un serpente, che strisciando rapidamente gli veniva incontro a fauci spalancate. Tale scena concludeva la visione ed ogni cosa svaniva per tornare in agguato tra i meandri più reconditi della mente di King. Egli si risollevò sospirando lungamente, per essere riuscito a sopportare ancora una volta questo suo tormento ricorrente, intontito raggiunse lo spogliatoio, indossò l’impermeabile e uscì in strada, con l’unico scopo di trovare un bancone di un bar qualsiasi, sul quale sfogare il proprio dramma, barattando il denaro dell’incontro con bicchieri colmi di frustrazione. La vita di King era molto cambiata da quella terribile sera. I giorni dei grandi tornei erano finiti e l’ultimo a cui aveva preso parte era stato il Tekken, nel quale si era classificato alla terza posizione, sconfitto da Kazuya Mishima, il figlio dell’organizzatore della competizione. Sebbene l’Iron Fist fosse popolato da combattenti di eccelso valore, King aveva dato il meglio di sé con l’obbiettivo di accaparrarsi il consistente premio in denaro messo in palio dalla Mishima Zaibatsu. Il terzo posto gli valse un’ingente somma, che egli decise di devolvere totalmente a favore dell’orfanotrofio. Lì King aveva trovato la sua nuova famiglia e la sua esistenza scorreva serena, al servizio dei bambini, fan tra i più sfegatati delle sue imprese sportive. Una notte tuttavia qualcuno bussò al portale dell’orfanotrofio, sulla soglia un fanciullo dall’aspetto malconcio e infreddolito chiedeva ospitalità. Naturalmente fu accolto con gioia e King lo interrogò per scoprirne la provenienza. Il piccolo raccontò di essere fuggito dalla casa dell’uomo che l’aveva raccolto ancora in fasce dalla strada, quando la sua famiglia lo aveva abbandonato. La ragione di un gesto tanto sconsiderato era l’attività criminale a cui lo costringeva il suo tutore in cambio di miseri pasti e di un tetto sotto cui trascorrere le notti. Come lui altri bambini vivevano la stessa situazione e venivano sfruttati per furti, spaccio e molto altro. King riconobbe in quella creatura lo stesso destino che lo aveva riguardato in tenera età, dunque lo rassicurò sostenendo che era giunto nel posto giusto, dove avrebbe trovato pace dai suoi affanni. Il bambino ringraziò e accettò di buon grado la proposta di una nuova dimora. Nei mesi successivi, però, il ragazzino mostrò i segni di un qualche malanno ed i medici riscontrarono in lui un morbo potenzialmente letale. King lo affidò alle cure dei migliori esperti, concesse al caso tutte le proprie risorse, impegnò anima e corpo, affinché una vita felice potesse rappresentare l’unica prospettiva per l’avvenire del piccolo. Purtroppo ogni sforzo fu vano. Da allora, divorato dall’orribile sensazione di non aver fatto abbastanza per salvarlo e attribuendosi la totale incapacità di gestire in maniera appropriata quel luogo così fortemente desiderato, King sparì da tutto e tutti, divenendo nuovamente uno street-fighter  e affogando i propri dispiaceri nell’alcol.
  
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