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Autore: Sab501    04/01/2010    2 recensioni
Per scrivere questa storia ci misi quasi due settimane. È tantissimo per un racconto così corto, lo so, e mi vergogno da matti. L'ho scritta, mi pare, 5 anni fa, ma ritengo che sia ancora la mia storia più bella. Il titolo l’ ho preso da un libro che si intitola “La neve cade sui cedri”, non ho idea però di chi sia. L’ ho visto di sfuggita, e al posto di “cedri” avevo letto, appunto, “cadaveri”. Una frase che mi lasciò davvero senza parole. Dopo sono nati Die e Victor. Per Die ho preso spunto da Die dei Dir En Grey, mentre Victor era un personaggio che avevo già in mente da un sacco di tempo. Il classico “bello e dannato”. Lo scrittore non ha nome; è solamente un uomo. La trama è abbastanza banale, a dire la verità, la classica storia di vampiri dove vampiro e umano si innamorano. Solo che, essendo io amante dello yaoi, i due innamorati sono entrambi uomini. Purtroppo, mi ritrovo a pubblicarla ora che tutti hanno la fissa dei vampiri per la saga di Twilight (parere personale, orribile e scontata), ma spero che questo non influenzi la lettura a nessuno. Quando l'ho scritta, Edward e compagni probabilmente non esistavano ancora. Beh, non ho molto altro da dire.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Snow falls on corpses




Snow falls on corpses.

Era bello come titolo. Molto macabro.
L’ aveva sentito da qualche parte, ma non si ricordava dove, e nemmeno quando.
Aveva solo la vaga idea che al posto della parola “cadaveri” ce ne fosse un’ altra. Ma i ricordi delle ultime quarantotto ore erano praticamente scomparsi. Ultimamente accadeva spesso.

Decise di iniziare a scrivere la mattina che Die era morto.
“Mi faccio chiamare Die, ma non sono la morte, poiché vivo.” Era stata la frase finale del suo primo romanzo, che era diventato un best-seller.
E da allora ne aveva scritti altri tre, tutti dei capolavori. Venivano definiti così dalla stampa, dai critici. Lui li chiamava semplicemente lunghi racconti.
Amava Die, lo amava come se esistesse davvero. Anche se era solo il frutto della sua fervida immaginazione.
Avevano anche girato un  film, il cui titolo era omonimo al libro, Die. Gli piaceva vedere persone in carne ed ossa ripetere le battute da lui inventate. Specialmente, gli piaceva come recitava il ragazzo che interpretava Victor, l’ amante di Die.
Era geloso di Victor, a volte. Pensava che se fosse morto tutto sarebbe stato più semplice. Ma non poteva morire. Non lui, non ora. Victor era colui che osservava.
Decise che il quarto libro sarebbe dovuto essere l’ ultimo, e che Die sarebbe morto.
La fine del terzo libro fu abbastanza ambigua, molto differente dalle altre due.

Victor lo seguì, come sempre aveva fatto da quando l’ aveva conosciuto. Stava continuamente dietro di lui. Die non si voltò per guardarlo. Non lo faceva mai. Se lo avesse fatto sarebbe caduto in un baratro. Lo sapeva bene. Perché gli occhi dell’ uomo che amava erano profondi. Capaci di aspirarlo dentro di se. E di questo aveva paura. Era l’ unico difetto che riteneva veramente tale. Non che Die fosse perfetto. Nessuno lo è. Ma Victor… qualcosa, in lui, lo spaventava da un po’. Era un vampiro, un essere diverso da lui. Non gli importava, non all’ inizio.
Ora aveva semplicemente l’ impressione che, da un attimo all’ altro, l’ avrebbe ammazzato.

Suscitò non poche critiche. Ma non gli importava. Aveva creato una storia d’ amore perfetta. Anche se Die e Victor erano entrambi uomini. Anche se Die era uno che uccideva i vampiri, e Victor lo era. Un vampiro, si intende.
Un amore proibito, insensato. Anche il suo lo era; poiché si era innamorato di una persona che non esisteva, se non attraverso un foglio e una penna. Se non attraverso la sua mente.

Non aveva alcuna idea. Voleva che Die morisse, lo desiderava. Ma non sapeva come. Così, quella mattina, uscì di casa. Erano più o meno le quattro. Non c’ era nessuno in giro, era ancora buio. Si trovò a girovagare per le strade di Londra senza alcuna meta.
Passò per un piccolo parco, e si sedette su di un’ altalena. Si dondolò, producendo un forte scricchiolio. Vide per caso un uomo vestito di nero. Che lo guardava.
Victor era colui che osservava.
Era seduto su una panchina, abbastanza distante da lui. Aveva un lungo soprabito di pelle, una sciarpa che gli copriva metà viso. I pantaloni erano eleganti e così anche le scarpe. Portava un cappello, dal quale sbucavano lunghi capelli scuri. Gli occhi, da quello che era riuscito a constatare (era un buon osservatore, ottimo), erano invece molto chiari.
Victor, fu la prima cosa che pensò. Victor lo ama, però lo uccide. Non si veste mai di nero e non indossa mai cappelli. Quel giorno si. Ecco perché Die è all’ erta. Sa che lo vuole uccidere. Lo sa e basta, lo sente. E Victor desidera il suo sangue da sempre.
Fece una lunga pausa di riflessione. Eccolo il suo finale.  
Victor era colui che osservava.

Tornò a casa in fretta e furia, e si mise a scrivere. Dapprima quasi non mosse la mano; poi le parole iniziarono a scorrere nelle sua testa e sul foglio bianco che aveva davanti:

La neve scendeva dal cielo, ininterrottamente da due giorni. Cadeva lenta e tranquilla. Tutto era diventato bianco. Anche i capelli rossi di Die si erano impolverati della neve, mentre percorreva il lungo viottolo da casa fino alla Chiesa.
Ancora una volta, prima di andare a caccia di qualche vampiro, si rifugiò in Chiesa per pregare. Anche               Victor entrava, seppur gli era proibito.
Lo voleva tutto per se. Gli spettava di diritto, dato che gli aveva salvato la vita. E non solo una volta, per essere precisi. Per questo lo volle uccidere. Perché lo amava. Qualcuno l’ avrebbe definita una scusa patetica. Altri un’ amore troppo possessivo.
A lui non importava nulla. Voleva solo che Die fosse per sempre in lui. E fu colto d’ improvviso da un' irrefrenabile voglia di bere il suo sangue, brama che aveva represso quasi del tutto da ormai troppo tempo. Troppo tempo.
Lo voleva, lo desiderava. Ambiva di possederlo. Non ce la faceva più. Un desiderio impellente lo attanagliava.
-Die.- sussurrò all’ orecchio del giovane uomo dai capelli rosso fuoco.
-Cosa c’è?- gli chiese lui, assonnato. Era appena tornato da una caccia, l’ ultima.
-Ti voglio. Adesso, qui.- la sua voce parve tremula anche alle sue orecchie.
-Victor, non si può. Siamo in Chiesa.- farfugliò a malo modo Die. Non sembrava avere preso sul serio le parole di Victor.
-Non mi interessa, ti voglio.- disse in tono pacato. Afferrò il suo viso femmineo, e gli diede un lungo bacio. Dio, quanto lo amava. Sentiva i brividi anche solo a sfiorarlo.
Lo voleva.
Lo voleva.
Lo voleva.
-Ehi, ehi! Che diavolo fai?!- quasi strillò il ragazzo.
Victor si accorse che stava per morderlo.
Lo voleva.
-Ti uccido.- fu tutto ciò che disse.
-Cosa…?- chiese Die. I suoi lunghi capelli rossi scivolavano dolcemente sulle guance candide. Gli occhi erano lucidi, di un nero talmente luccicante da far venire i brividi. E fissavano due occhi bianchi. Chiari come la luce del sole, che Victor si era scordato da anni.
-Ti uccido.- ripeté con calma. Iniziò a piangere.
Die non si mosse, non ce la fece. Era totalmente inebriato dal suo interlocutore. Il suo profumo di pesca lo paralizzava. Strano che un vampiro abbia un odore così delicato, aveva pensato ogni tanto. Le sue mani gelide, come tutto il resto del corpo, lo circondavano. Era sotto il suo controllo, come succedeva ogni volta che facevano l’ amore. Totalmente preso da Victor.
Non si accorse che stava piangendo. Non si accorse che lo morse. Non si accorse che lo stava uccidendo per davvero.
Victor, lo osservava.
Lo osservava.

Impiegò pochi minuti per scrivere ciò. La pagina che fino ad allora era rimasta bianca, ora era piena di scritte abbozzate, frasi incomplete, scarabocchi. Ma aveva il suo finale, finalmente.
Victor aveva ucciso Die.
Lui aveva ucciso Die. Attraverso le mani di un vampiro, ma l’ aveva fatto.
Le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi. Desiderò per un istante di non aver mai scritto di Die, di non averlo mai inventato. Desiderò che Victor non l’ avesse ucciso, perché era come se fosse morta una parte di lui, di uno scrittore divenuto famoso proprio grazie all’ uomo che uccideva i vampiri. Grazie all’ uomo di cui era innamorato, anche se questo non esisteva.
Lui e Victor erano la stessa persona. Aveva deciso così, la prima volta che lo fece comparire, in “Die”. E così era stato.

“Snow falls on corpses” divenne best-seller dopo quattro mesi dalla prima pubblicazione. Non ricordava ancora da dove avesse preso quel nome.
E poi, un giorno, mentre tornava da una delle tante feste organizzate in suo onore, troppe ultimamente, si accorse di un’ insegna brillante che lampeggiava. “Snow falls”, diceva.
Una luce si accese nella sua mente spenta.
Si ricordò di aver visto quell’ insegna, che non capiva bene di che cosa fosse, se di un negozio, un night club, o cos’ altro, quando, il mese prima, si era ubriacato e aveva portato a casa con se una ragazza ubriaca quanto lui. Gli era rimasta impressa quell’ insegna. E ci aveva aggiunto “on corpses”, così, tanto per renderla un po’ più macabra. Ma si era rivelata perfetta per il suo libro.
“Snow falls on corpses”. Lo vedeva in ogni libreria. Era stupito e al contempo divertito. Ma era distrutto, sopra qualunque altra cosa.
Perché lo aveva ucciso.
Voleva che fosse così, Die doveva morire.
Ma non riusciva a darsene una ragione vera e propria.
Infondo, poteva anche vivere. Era lui che decideva le loro sorti.
Ma lo volle uccidere, perché non poteva continuare a vivere amando una persona che non avrebbe mai incontrato. Bastava solo che rileggesse, ogni tanto, i suoi quattro romanzi.
Perché, infondo, Victor era colui che osservava.
             
  
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