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Autore: DarkRose86    06/01/2010    6 recensioni
Prima classificata al Contest "Scolastic Yaoi", indetto da Iaia e Rei Murai, e vincitrice del premio Originalità
Deidara è uno studente frustrato dalla società, dalla madre e dai professori, che non riescono a comprendere la sua concezione di arte,
mentre ciò è l'unica cosa che gli permette di andare avanti.
L'unica cosa almeno finché un giorno, per caso,
non trova una chiave che gli permetterà di aprire gli occhi su un segreto fino ad allora celato da una strana porta che da...
su un terrazzo.
[AU scolastica.SasoDei.Accenni HidanDei e KakuHida.Angst.Tematiche pesanti.Violenza]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akasuna no Sasori , Altri, Deidara, Hidan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La seguente FanFiction si è classificata prima *__* al Contest "Scolastic Yaoi" , indetto da Iaia e Rei Murai sul Forum di EFP, ed ha vinto il premio per l'Originalità.
E' una cosa assurda, vi avverto.
Non so da dove sia uscita questa storia, sinceramente, ma non appena ho visto la mia immagine mi è balenata in mente quest'idea. Inizialmente doveva finire in modo diverso, ma nello svilupparsi ha preso una piega un po' diversa da quella che desideravo – in altre parole, mi sono complicata la vita come al solito u.u –, ma che un pochino mi piace. Solo un po', però. In definitiva non ne sono affatto soddisfatta, è come se mancasse qualcosa, ma a dir la verità non saprei dire che cosa.

Inoltre, spero di non aver scritto stupidaggini, per le scene che ho descritto mi sono affidata a Wikipedia, indi la colpa è del sito se ho fatto qualche strafalcione. XD

A parte gli scherzi, mi rendo conto d'essermi avventurata in lidi
fortunatamente
a me sconosciuti, e quindi difficili da trattare; spero comunque d'aver fatto un lavoro abbastanza decente.
Ah, le frasi fra virgolette allineate a destra sono i pensieri del protagonista e, in due casi, dei flashback.

L'immagine che dovevo utilizzare è quella che potete vedere nel - bellissimo - banner. *O*

Buona lettura!


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Il Terrazzo proibito
~ Storia d'un amore al sapore di Fragola

Capitolo I – L'Artista Solitario

Cazzo, anche stamattina la solita storia... borbottò un ragazzo biondo con lo zaino in spalla e l'espressione assonnata. Sua madre lo aveva letteralmente buttato giù dal letto, quando invece lui avrebbe decisamente preferito dormire un altro po'; quel giorno, però, avrebbe dovuto sostenere un compito importante, indi per cui non aveva potuto far altro che alzarsi, seppur controvoglia. Non era uno che amava la scuola, il giovane Iwa. Anzi, per la verità la odiava proprio.
Camminava per le strade affollate senza guardarsi attorno, fissando dritto davanti a sé il grosso edificio che man mano s'avvicinava sempre di più: l'istituto d'arte Akatsuki. Il perché si chiamasse “Luna Rossa” era un mistero per tutti, ma a quanto pare alla fine nessuno aveva mai dato troppo peso a quel nome così curioso. Presi dallo studio e dalle prime pulsioni adolescenziali non pensavano ad altro che a sé stessi; avere buoni voti e successo con gli altri elaborando piani complicati, pensando al futuro e pianificando ogni cosa, anche la più semplice. Deidara non riusciva a comprenderli: lui amava tutto ciò che durava un istante.
Varcò la soglia stanco e voglioso di tornare indietro, ma oramai era stato assalito dalle voci assordanti dei ragazzi nei lunghi corridoi e dall'aria viziata che c'era lì dentro. Non v'erano particolari odori, ma era la puzza della moltitudine di figli di papà che lo infastidiva. C'era chi si recava in sala professori speranzoso, stringendo fra le braccia enormi volumi trattanti chissà quali argomenti; probabilmente si erano messi a studiare argomenti fuori corso, pur di dimostrare a chi contava che erano più bravi di altri. Stolti.

Nella vita che significa, in fondo, quella che loro chiamano carriera? ”

Entrò in classe fissando il proprio banco vuoto, d'un verde scuro sbiadito in alcuni punti. Posò la mano sul legno freddo e vi poggiò la borsa, attratto da qualcosa che non era la sedia che lo stava invitando a far uso di sé dopo la camminata. Sul banco di un suo compagno che al momento non si trovava lì c'era una chiave, piuttosto grande e un po' arrugginita. La studiò attentamente, pensando a cosa mai potesse aprire. Ma purtroppo, mentre meditava, udì la voce del proprietario del banco farsi più vicina, unita ad un rumore di passi; senza pensarci, istintivamente, si mise l'oggetto in tasca, maledicendosi pochi secondi dopo. Se si fosse trattato di un'altra persona non sarebbe stato un problema, affatto. Ma, dal momento che apparteneva – o almeno così sembrava – al suo coetaneo più stronzo, strafottente ed antipatico che conosceva, la cosa cambiava radicalmente.
Hidan fece il suo ingresso in aula platealmente come al solito, ghignando e salutando con fare vistoso tutte le ragazze. Poi guardò Deidara, e il suo sorrisetto si trasformò in uno sguardo rabbioso, colmo d'ira.

Sei ancora qui, checca? Ti avevo detto di girare alla larga da me ” gli disse, stando bene attento che nel frattempo non arrivasse il professore, “ Allontanati dal mio banco, non vorrei che lo contaminassi ” aggiunse poi, sedendosi.
L'altro non rispose, limitandosi a seguire il suo esempio. Il problema più grande, però, fu concentrarsi durante il più difficile compito di disegno dell'anno, con quella cosa nella tasca.
L'esame consisteva nel creare il bozzetto del proprio sogno nel cassetto, in altre parole avrebbero dovuto disegnare ciò che desideravano più ardentemente. Molti avevano protestato, definendo l'idea dell'insegnante una stupidaggine adatta alle ragazzine nell'età della prima cotta; altri invece avevano preferito non fiatare, consapevoli già di cosa avrebbero rappresentato.
Non era una cosa semplice, in verità;
in fondo, quando si è adolescenti, non si è mai troppo seri. E i sogni nel cassetto sono spesso cose irraggiungibili, talvolta addirittura irreali. Nell'età in cui si inizia seriamente a distinguere il reale dal sogno, e il bene dal male, Deidara sapeva bene che cosa voleva. Lo aveva deciso da tempo, ormai.

Iwa, si può sapere che cos'è questo? ” chiese il professore, gli occhi puntati sul disegno del giovane.
Il mio sogno, signore ” rispose lui determinato, mostrando con convinta ammirazione il proprio lavoro; una moltitudine di colori s'incontrava in un centro che esplodeva, liberando in cielo migliaia di frammenti dalle più svariate sfumature di rosso, verde, blu, giallo, e chi più ne ha più ne metta. Un trionfo di luci, di libertà.
Come sarebbe a dire, il tuo sogno? Non significa niente, è solo un foglio imbrattato, una serie di scarabocchi senza alcun senso! ” esclamò severo, sbattendo il pugno sulla cattedra, che tremò appena, “ Credo che tu non abbia ben inteso ciò che vi ho chiesto, ragazzo ”
Sì, invece! ” si difese, “ Perché non riesce a riconoscere la bellezza intrinseca di questo dipinto? Una splendida esplosione nel cielo terso di ieri mattina; l'arte che dura un attimo, la più sublime espressione... ”
Basta così ” lo interruppe, “ Voglio che tu disegni qualcos'altro, qualcosa che rappresenti il tuo vero sogno. Non ne voglio più sapere delle tue stupidaggini sulle esplosioni ”
Deidara non poté far altro che congedarsi rispettosamente. Fare l'arrogante non sarebbe servito a niente. Perché gli altri non comprendevano ciò che a lui piaceva? Perché erano tutti attratti dalle cose che duravano nel tempo e rimanevano costantemente immobili, inespressive?
Sbuffando si sedette su una panchina del grande cortile della scuola, addentando un panino; si ricordò in quel preciso momento di avere ancora in tasca la chiave che aveva trovato sul banco di Hidan, e si maledì di nuovo.

Dannazione, devo trovare il modo di rendergliela senza che si accorga che sono stato io a prenderla ” si disse, ripensando a quant'era arrabbiato il suo compagno quella mattina, dopo che si era accorto di aver perso quell'oggetto che per lui pareva di vitale importanza. Però, nel medesimo istante, avvertì un'irrefrenabile voglia di scoprire che cosa apriva. Stupida idea, pensò poi, dal momento che la porta incriminata poteva trovarsi anche ad un migliaio di chilometri di distanza. Abbandonò dunque il suo intento e si concentrò nuovamente sul cibo, rimuginando sul da farsi. Non che avesse paura di Hidan, tutt'altro, però non lo sopportava; si rifiutò perfino di pensare a come avrebbe potuto reagire, se solo avesse saputo. Soprattutto perché, per qualche oscuro motivo, da un po' di tempo l'albino ce l'aveva a morte con lui.
Finita la colazione varcò di nuovo il grande ingresso dell'istituto, avvicinandosi al proprio armadietto; esso si aprì con un cigolio, segno di quanto quell'arredamento fosse vecchio, così come la costruzione all'interno della quale si trovava. Nonostante ciò, però, quella scuola aveva qualcosa di affascinante; non certo gli studenti, ovvio, ma sicuramente i segreti che la contraddistinguevano erano particolarmente interessanti: la piccola parte della biblioteca chiusa da anni per non si sa quale arcano motivo, il fantomatico stanzino infestato dagli spettri – cosa a cui Deidara non credeva affatto, ma comunque ne era divertito – e soprattutto il terrazzo proibito. Da due anni studiava lì, ed in molti gliene avevano parlato. E, in quei frangenti, i volti di coloro che ne avevano narrato le ipotetiche sembianze s'erano illuminati di un bagliore accecante, quella luce prepotente definita curiosità. Inutile dire che anch'egli era curioso e più volte aveva provato, di nascosto da tutti, a forzare al serratura della porta che lo separava da quel mistero invitante; quest'ultima era addirittura di ferro, evidentemente per far sì che nessuno provasse a buttarla giù a spallate o a calci. Previdenti, decisamente previdenti.
Ritornò alla realtà, distogliendosi dai propri pensieri, quando un suo kohai* gli diede una pacca sulla spalla, in verità anche piuttosto violenta. Come al solito.

Senpai*, hai la testa fra le nuvole? ” domandò Tobi, colui che si era auto proclamato suo amico del cuore, fin dal loro primo incontro.
Che ne te importa? E, soprattutto, dovevi proprio colpirmi così forte, razza di idiota patentato? ” lo apostrofò sprezzante, e in tutta risposta l'altro gli si avvinghiò addosso a mo di sanguisuga, stringendolo spasmodicamente. Aveva uno strano modo di dimostrare affetto, quell'assurdo ragazzo che, nelle occasioni speciali – le gite, ad esempio – adorava portarsi dietro una strana maschera arancione, forata solo in corrispondenza dell'occhio destro. L'unico occhio che il moro mostrava ogni giorno, sempre e costantemente munito di benda nera sull'altro. Deidara però non gli aveva mai chiesto spiegazioni, né ci teneva a farlo. A dire il vero la sua presenza lo infastidiva non poco, ma sapeva bene che cacciarlo avrebbe sortito un effetto ancor più devastante dell'essere gentile con lui. In parole povere, era costretto a fare buon viso a cattivo gioco, se non voleva incorrere nella sua ira, rappresentata per lo più da piagnistei insopportabili – ci aveva provato, una volta, a mandarlo a quel paese – e scherzi dannatamente fastidiosi.
Deidara-senpai è nervoso stamattina! ” sentenziò, canticchiando, “ Tobi risolleverà il suo morale! ” esclamò poi con enfasi, saltellando per il corridoio. Già, chissà come lo avrebbe risollevato... beh, a modo suo, ovviamente.

Ma che diavolo... ”
Il biondo strabuzzò gli occhi, quando notò il proprio nome scritto a caratteri cubitali sulla lavagna nera; il gessetto stridette al contatto con essa quando un suo compagno di classe vi scrisse accanto: turno di pulizie. No. Tutto tranne quello. Se c'era una cosa che odiava più di Hidan, di Tobi e delle cose inanimate era pulire. Soprattutto perché gli sarebbe toccato farlo assieme al suo “migliore amico”. Chiaramente era stata una sua idea e, a quanto pare, era in quel modo che pensava di tirarlo su di tono. Purtroppo, però, anche in quel caso non poteva ribellarsi, o avrebbe dovuto sopportare le ramanzine dei professori, oltre ai capricci di quell'insulso elemento che talvolta faticava perfino a definire essere umano. Dovette così soccombere e prendere in mano una scopa ed uno straccio, e darsi da fare; decise di iniziare dalle scale, quelle scale che parevano non finire mai, tanto erano numerose. Sì, sarebbe tornato a casa molto tardi, quel giorno.
Per ogni classe era stato scelto uno studente incaricato delle pulizie, come accadeva tutte le settimane. Dei suoi compagni di sventura, oltre
all'idiota, conosceva solo Kakuzu, un tipo decisamente inquietante ed enigmatico, dalla pelle olivastra e numerose cicatrici a deturparla. Si soffermò a pensare a come poteva essersele procurate mentre egli, diligente e silenzioso, adempieva al proprio dovere. Non si lamentava mai e possedeva un invidiabile sangue freddo. Pareva essere in confidenza con Hidan, o per lo meno questo era quanto trapelava dalle lingue lunghe che vivevano unicamente di pettegolezzi. Non che tal particolare potesse cambiargli la vita, certo, ma forse prima o poi avrebbe potuto chiedere a lui perché l'albino, di punto in bianco, aveva deciso di degradarlo da semplice compagno di classe a bersaglio preferito delle sue angherie.
Comunque, tornando a quella mattina – che oramai stava volgendo al termine, dato che il grande orologio appeso sopra la porta d'ingresso segnava mezzogiorno -, i ragazzi di turno decisero di dividersi i vari piani, e Deidara scelse prontamente quello più alto. Non che avesse una particolare voglia di salire tutte quelle scale – era stato proposto innumerevoli volte di mettervi un ascensore -, però quella era la parte che preferiva di tutta quell'enorme costruzione. Questo perché v'era l'entrata che desiderava ardentemente violare, il grande blocco di ferro con su incisa una luna piena d'un colore rosso vivo. Rosso come la passione, come l'incandescente cuore di un'esplosione senza precedenti.
Una volta solo di fronte ad essa, ascoltò le voci dei propri compagni che parevano distanti chilometri, da lassù. Starci era come estraniarsi dal resto del mondo, l'effetto che faceva era indescrivibile.
D'improvviso, come una scossa elettrica o un brivido di paura – o di puro piacere – si ricordò della chiave che custodiva gelosamente e che avrebbe dovuto restituire ad Hidan il prima possibile. Ma, prima di farlo, perché non regalarsi una dolce illusione? La estrasse dalla tasca, e il suo peso lo stupì ancora una volta; la guardò attentamente, ma essa era perfettamente anonima: senza iscrizioni, segni o quant'altro. Non lasciava assolutamente presagire cosa avrebbe mostrato al giovane di lì a poco.

Esistono dei segreti inconfessabili; segreti di cui spesso gli uomini si vergognano oppure di cui si vantano, schiavi della propria intrinseca follia. Misteri, meglio definibili come bestialità.

La chiave entrò nel buco della serratura senza alcun problema, e girò al suo interno con un colpo secco.
Kami... ” sussurrò il giovane, “ Non è possibile ”
Fu come un sogno ad occhi aperti, o un cenno divino; la porta si spalancò davanti al suo sguardo incredulo, e d'un tratto capì perché chi possedeva la chiave prima di lui ne era così geloso. Quel che si trovò di fronte una volta aperta lo stupì non poco: il terrazzo, coperto da una robusta struttura in ferro e vetro oscurato – quella che si poteva scorgere dal cortile dell'edificio -, celava una sorta di museo. V'erano statue, interessanti composizioni floreali chiuse in delle teche sigillate, e soprattutto costruzioni in legno, molte raffiguranti creature dalle sembianze umane. I più comunemente chiamati burattini, o marionette che dir si voglia. Si guardò attorno basito, tutto era così curato in quel posto, come se vi fosse un guardiano a sorvegliare costantemente ogni opera nascosta al suo interno.
Eppure pareva non esserci nessuno, non percepiva presenza alcuna. Osservò con particolare attenzione un burattino alla sua destra: i suoi occhi erano così espressivi da sembrare vero. Un momento, forse...
Toccò il suo volto con una carezza leggera, appena accennata, e i suoi lineamenti delicati si contrassero in una smorfia. Di scatto ritrasse la mano, spaventato.

Che diavolo... ” esordì, senza però terminare la frase. Le parole gli morirono in gola quando il tizio – o la creatura, non sapeva come definirlo – si portò alla bocca la sottile cannuccia di un succo di frutta, di quelli nell'involucro di cartone. L'etichetta variopinta recitava: “Strawberry Juice” e, in effetti, su di essa vi era stampata una grossa ed invitante fragola.
Sei nuovo? ” domandò, una voce atona e scocciata uscì dalle sue labbra vermiglie quando allontanò la cannuccia da esse.
Nuovo? Che cosa intendeva dire? Deidara, sempre più sconvolto, non poté far altro che replicare con un: “ Eh? ” che ebbe unicamente il potere di annoiare l'altro più di quanto già non fosse.

Non fare il finto tonto. Ti manda Hidan? O forse Pein? ”
Quando pronunciò il nome del suo coetaneo, il biondo sussultò; dunque lo conosceva. E pareva conoscere anche Pein, noto in tutta la scuola e nel quartiere in cui abitavano per le sue idee rivoluzionarie
. Era un ribelle, un tipo che non si fermava davanti a nulla, e non faceva che proclamare l'imminente venuta di un modo diverso; era convinto di poterlo cambiare con le proprie forze e quelle di chi lo sosteneva. Il sogno di ogni uomo animato da un po' d'ambizione, il sogno proibito suo e di molti altri. Al suo fianco una ragazza di nome Konan, la sua ombra, colei che lo seguiva dovunque, anche nelle situazioni di estremo pericolo. L'Iwa aveva sempre provato una sorta di amore/odio nei confronti del suo senpai e delle sue convinzioni: amore perché anche lui avrebbe voluto poter apportare cambiamenti a quella società corrotta, odio perché lui se ne sbatteva altamente di quell'arte che, secondo Deidara, ne avrebbe certamente avuto il potere.

Con qualcosa d'incredibilmente bello, in un solo istante puoi far sì che le idee dell'intero genere umano mutino. Puoi dare inizio ad una vera, artistica rivoluzione ”

Non mi manda nessuno ” asserì, “ Ho trovato questa chiave – gliela mostrò, soddisfatto, accantonando la paura per un po' – ed ho deciso di provarla sulla porta del terrazzo. Non pensavo che avrebbe funzionato ” spiegò.
Il ragazzo dai capelli color cremisi mosse appena gli occhi, ma lui non seppe interpretare la sua espressione. Lo guardò: se ne stava seduto lì quasi completamente immobile, ed indossava una normale divisa scolastica, come un qualsiasi studente; eppure era certo di non averlo mai visto prima d'allora.
Notò che era bello, di quella bellezza effimera destinata a svanire in pochi, intensi anni. Che ci faceva, in quel luogo, un essere così affascinante?

Dunque non sai nulla del terrazzo proibito? ” chiese.
No, non so proprio niente, uhn! Sono capitato qui per caso! ” spiegò con decisione.
Non capì se lui ci credesse o meno, lo conosceva da pochi istanti eppure si era già reso conto di quanto fosse enigmatico, insondabile.

E non vuoi domandarmi nulla? ”
Era tacitamente sfacciato, quel tipo. Evitava il suo sguardo diretto volgendo il suo al cielo che poteva osservare attraverso le spesse vetrate che lo circondavano, ma nonostante ciò nel suo tono di voce si leggeva una punta d'ironia, come se volesse schernirlo senza darlo troppo a vedere. Inutile dire che l'altro trovo fuori luogo e decisamente insopportabile quel suo fastidioso modo di porsi. Arrogante. Sì, era la parola più adatta.
L'
arrogante prese un pennello da un piccolo contenitore posto sopra un tavolo alla sua destra, giocandoci come per scacciare la noia.
Deidara decise dunque di provare a chiedergli qualcosa, seppur fosse quasi certo che lui non avrebbe parlato. Insomma, mai prima di allora aveva sentito parlare di una specie di museo dentro la scuola, ma solo di un luogo ignoto che attirava l'attenzione di tutti. Ciò implicava che doveva trattarsi di qualcosa d'illegale o quantomeno vietato all'interno di un edificio adibito alla pubblica istruzione.

Che cos'è questo posto? ”
Cominciò con tal domanda il suo interrogatorio, e lui abbozzò un finto sorriso, soffiando appena sul pennello, lasciando che una goccia color rosso intenso macchiasse il pavimento ai piedi del suo interlocutore.

La mia casa ” affermò.
Lo disse con una tranquillità assurda, come se abitare in quel luogo fosse una cosa assolutamente normale.

Come sarebbe, la tua casa? ” ribatté, sperando d'aver capito male.
A te piace l'arte? ” gli domandò, seppur alquanto scettico. Non riusciva ad immaginarselo come un appassionato del genere, ma l'apparenza inganna.
Sì! Io amo l'arte! ” rispose, visibilmente eccitato.
Sorpreso dalla sua affermazione, il rosso si voltò verso una delle sue creazioni lignee, una marionetta cui era appeso un cartellino con un nome: Iruko*. Rivolse ad essa uno sguardo di pura ammirazione, poi riprese: “ Io creo l'arte eterna, quella che non muore mai. L'unica e vera forma di bellezza da ammirare con occhi sognanti. La mia è quella sublime ” si elogiò, sotto lo sguardo serio di Deidara che si stava pian piano trasformando, fino a sfociare in una fragorosa risata.

Ma dai! E ne sei davvero convinto? L'arte è esplosione, mio caro. E' un'emozione che dura un istante, ma è la più intensa che si possa provare ”
Non sopportava di essere contraddetto, e soprattutto non sopportava d'esser chiamato
mio caro da qualcuno che non lo conosceva affatto.
Mentre discutevano, però, la campanella iniziò a suonare incessantemente. Indi il biondo fu costretto, seppur controvoglia, a lasciare il terrazzo, non senza prima avvertire l'altro che la loro disputa non sarebbe certo finire lì. Ma adesso, purtroppo, il problema per lui era un altro: che motivazione avrebbe dato quando i professori si sarebbero accorti che il piano da lui scelto era tutto fuorché pulito come invece sarebbe dovuto essere?

Iwa! ”
Ecco, appunto.
Era appena entrato in classe, e il professore lo guardava già con aria torva. Sospirò rassegnato, avvicinandosi alla cattedra con fare rispettoso.

Mi è stato riferito che hai scelto proprio tu il piano da pulire, ieri. E mi è stato anche riferito che, a quanto pare, hai litigato con la polvere e non sei stato tu a vincere... ” lo canzonò, e i suoi compagni risero all'unisono. Hidan lo guardava soddisfatto, mentre egli s'inchinava e domandava scusa. Godeva nel vederlo umiliato. Tutto era cominciato quel maledetto giorno di aprile...

Questo è il vostro nuovo compagno di classe, si chiama Deidara Iwa. Trattatelo bene e fate amicizia con lui, mi raccomando! ” aveva esclamato l'insegnante, mentre un ragazzo dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e gli occhi azzurri come il cielo entrava nell'aula con passo felpato.
L'inusuale visione aveva colpito un altro giovane, Hidan; non si vedevano spesso in giro ragazzi con dei lineamenti così fini, più simili in verità a quelli di una donna. La sua chioma dorata splendeva nel grigiore del mondo in cui viveva, ed era un peccato che tal creatura venisse esposta allo sguardo di famelici lupi pronti ad azzannare l'ignara preda. Quella pelle bianca e perfetta, simile alla più pregiata delle porcellane, certamente era appetitosa e profumata; egli sarebbe stato il sacrificio ideale, atto a soddisfare il suo Dio immorale. Jashin-sama avrebbe sicuramente apprezzato un simile dono.
Così lo aveva prontamente avvicinato e lui gli aveva sorriso, inconsapevole delle sue brutali intenzioni. Desiderava veder sgorgare il suo sangue, dopo aver posseduto quel corpo così maledettamente attraente, per poi lasciarlo morire lentamente al suo cospetto. Perché Hidan era folle, e tutti lo sapevano bene. Tutti tranne lui.

Iwa, ti consiglio di stare lontano da quel tipo. E' pericoloso ” lo aveva avvertito un suo senpai, Hoshigaki Kisame, ma lui non aveva dato troppo peso a quelle parole. Lo trovava solo un po' strano, ma nulla di più. In fondo, una brava persona.
Un giorno, però, avvenne qualcosa: l'albino lo aveva invitato a casa sua con lo scopo di una partita alla playstation, ma quel pomeriggio non andò esattamente come aveva previsto. Con la forza aveva tentato d'imporsi, di farlo suo, ma Deidara lo aveva scacciato. E, per qualche oscuro motivo, Hidan non aveva protestato, constatando che in effetti stava correndo un po' troppo.
Da quel pomeriggio, però, erano iniziate le sue torture morali; di fronte ai compagni aveva cominciato ad apostrofarlo in svariati e poco gentili modi, quali “checca”, “puttana” e via dicendo. Lo avrebbe offeso fin quando lui non avrebbe deciso di ribellarsi. E, quando questo sarebbe successo...


Si ridestò dai suoi pensieri quando, con un fruscio, il biondo si sedette al proprio posto, poco lontano da lui. Si leccò le labbra, pregustando un momento che sperò essere prossimo, osservando i capelli di Deidara muoversi lenti e sensuali sulle sue spalle, quando questi si sciolse per un attimo la coda di cavallo per risistemarla.
Non che Kakuzu – il suo “ragazzo”, se così lo si poteva definire – non fosse capace di soddisfarlo, tutt'altro. Semplicemente sentiva il bisogno di stimoli differenti, da condividere poi con la divinità che gli dava la forza di andare avanti. Quella divinità effimera in cui credeva fermamente, forse perché fin da quando era bambino era stato addestrato alla violenza dai coetanei e al menefreghismo da genitori, che lo avevano abbandonato al suo destino quando si erano stancati di lui. Da allora il sangue e il dolore altrui erano divenuti la sua droga, così come il sesso. Ma quest'ultimo, in tutta sincerità, passava in secondo piano quando poteva inebriarsi dall'odore di Morte. Era convinto di potersi salvare, ascoltando gli ordini di un qualcosa che, alla fin fine, esisteva solo nella sua mente e nei suoi sogni.
Tornando a Deidara, il professore gli aveva fatto una predica di quelle sonore. E, ovviamente, quel pomeriggio sarebbe dovuto rimanere a scuola per fare quello che il giorno prima aveva trascurato: pulire l'ultimo piano. A dire il vero la cosa non gli dispiaceva affatto, visto che in quel modo – stavolta DOPO aver lucidato pavimento e mobili – avrebbe avuto la possibilità di tornare dallo strano tipo che abitava il terrazzo.
Così fu, in effetti. Velocemente spazzò per terra, spolverò alcuni armadietti che si trovavano lì – erano chiusi a chiave, chissà che cosa contenevano – e diede una bella pulita anche ai vetri delle grandi finestre che davano sulla strada. Poi, guardandosi prima attorno e tendendo bene l'orecchio per captare eventuali rumori, decise di osare di nuovo; il custode si trovava a piano terra e stava pulendo i bagni, di sicuro non ci avrebbe messo meno di un'ora. Prese la chiave e varcò per la seconda volta la soglia proibita, avvertendo il solito brivido, l'emozione di trasgredire alle regole.
Lui era ancora lì, nella medesima posizione del giorno prima, nella stessa sedia; davanti a lui, però, v'era un tavolino con sopra diversi pezzi di legno, accuratamente sistemati. Il giovane entrò salutando, e il ragazzo dai capelli rossi lo guardò adirato.

Che ci fai ancora qui? E' rischioso, lo vuoi capire? ” lo avvertì, sempre con la consueta calma, ma con un duro ed autoritario tono di voce.
Voglio sapere perché te ne stai sempre in questo posto. Voglio finire la nostra discussione sull'arte e... e poi non so nemmeno il tuo nome ”
A nessuno è dato sapere il mio nome, tanto meno ad uno come te. Per essere tornato qui, dopo esserti sicuramente reso conto che questo luogo non è fra i più sicuri, devi essere proprio lo stupido che sembri ”
Deidara, colto da un impeto di rabbia, lo afferrò per il bavero della camicia bianca che spuntava dalla giacca nera un poco sbottonata; egli lo intimò di fermarsi, ma lui pareva non sentirci.

Non ti permetto di darmi dello stupido, proprio tu che sostiene che l'arte è eterna... dici solo sciocchezze ed io ti odio, nonostante non sappia nulla di te! ” esclamò ferito nell'orgoglio mentre l'altro, come se le sue parole e i suo gesti non lo toccassero minimamente, se ne stava fermo a subire. Questo portò il biondo ad allontanarsi da lui, senza però staccare gli occhi dalla sua figura.
Ansimò per qualche secondo, prima di riprendere fiato e sorridere sfrontato: “ Tu come ti chiami? ”

Io sono Deidara. Deidara Iwa ”
Bene, Deidara Iwa. Raccontami un po' come sei giunto a tale conclusione riguardo l'arte. Sono curioso ”
Era sincero. All'inizio la sua presenza lo aveva irritato non poco, ma quello scatto d'ira aveva fatto sì che il suo cuore si riempisse di ammirazione verso una persona che credeva
davvero nelle sue convinzioni, per quanto assurde esse fossero. In un certo qual modo, gli somigliava.
Dopo circa un'ora, però, sorse un problema: oramai il custode se n'era andato, avevano sentito il motore della sua auto rombare e Deidara l'aveva visto allontanarsi. Evidentemente, si era dimenticato di lui. Era vero che il ragazzo avrebbe potuto telefonare a sua madre, ma perché non sfruttare quell'occasione? Magari le avrebbe poi mandato un sms avvertendola che rimaneva a dormire da un amico, o qualcosa del genere. Voleva approfondire il discorso, parlare ancora con lui, perché nonostante le loro idee fossero diverse, colui di cui ancora non conosceva il nome di battesimo lo affascinava. C'era qualcosa di
artistico in lui, malgrado tutto.
Non si fece problemi neppure per la mattina dopo, visto che non sarebbe stato difficile uscire senza farsi notare, visto che le due aule al piano più alto venivano utilizzate unicamente per visionare pellicole inerenti al programma scolastico, e solo ed esclusivamente di pomeriggio. Un buon modo per costringere gli studenti a restare a scuola anche nelle ore pomeridiane, insomma, visto che la presenza era obbligatoria. Tranne in caso di malattia o imprevisti gravi, ovviamente.
Il rosso cercò di farlo desistere dal suo intento e provò a forzarlo ad avvertire sua madre, perché sapeva bene che da un momento all'altro sarebbero potuti arrivare gli altri. Non sapeva di chi fosse la chiave che Deidara possedeva, ma in circolazione ce n'erano solo due: una apparteneva ad Hidan e l'altra a Pein.
Lui, però, era irremovibile.
Beh, evidentemente la morte in giovane età era il destino che più gli si confaceva. Pazienza, se davvero era così non lo avrebbe impedito. Fondamentalmente a lui interessava solo una cosa: creare, col materiale a sua disposizione, quello che gli mancava. Necessitava di qualcosa che i suoi aguzzini gli avevano prepotentemente strappato via due anni prima, quando si era avventurato – esattamente come l'Iwa – nel terrazzo proibito, quando all'epoca era un normale studente dell'istituto, oramai dimenticato da tutti, molto probabilmente considerato morto. Fatto sta che nessuno era mai andato a cercarlo in quel posto, come se anche le forze dell'ordine e il personale sanitario fossero bloccati da quel qualcosa d'invisibile ed intangibile che caratterizzava chi insegnava e studiava in quella scuola: la paura. Aveva preso il posto di Chiyo, che un tempo aveva ricoperto il ruolo di custode, anche lei “misteriosamente” scomparsa. V'era un particolare legame fra i due, ma nessuno a parte loro lo sapeva, da quando i genitori del ragazzo dai capelli rossi erano morti in un terribile incidente stradale: erano nonna e nipote. E proprio per cercare l'anziana donna, il giovane aveva osato tanto al punto da violare il segreto più grande. Fra l'altro, a quel tempo Hidan non faceva parte dell'organizzazione, in quanto non ancora studente all'Akatsuki.
Quel gesto gli fu fatale, o meglio, lo fu per le sue gambe. In conclusione, era come se non le avesse più. Per questo non poteva muoversi da quella sedia, a meno che qualcuno non lo aiutasse a farlo. Per questo cercava un modo per poter camminare di nuovo, e magari per ottenere un corpo impossibile da scalfire, e per farlo aveva deciso di utilizzare l'arte in cui credeva fin da quando era bambino.
Quindi, non gliene importava nulla degli altri. Ognuno era libero di decidere arbitrariamente del proprio destino, lui avrebbe continuato a creare per sé e per chi lo costringeva a farlo, solo ed esclusivamente per sopravvivere, in previsione del giorno fatidico in cui avrebbe potuto finalmente correre ancora una volta. Ce l'avrebbe fatta, ne era sicuro. E allora si sarebbe vendicato per le violenze subite, trasformando coloro che lo avevano torturato in delle splendide opere d'arte destinate a non morire mai, ad aver costantemente e per sempre impresse su di sé le espressioni di puro ed estatico terrore che si sarebbero dipinte sui loro volti quando lui li avrebbe privati della loro forza vitale.

Beh, fai come ti pare ” disse quindi a Deidara, concentrandosi nuovamente sul suo lavoro, “ Ma non infastidirmi ”
Il biondo annuì e fece un giro di perlustrazione del terrazzo, cosa che il giorno prima non aveva fatto; le opere esposte erano veramente tante, circa un centinaio. Nessuna, però, lo impressionò più di tanto; erano statiche, e lui odiava profondamente le cose immobili.
Poi guardò il ragazzo, intento ad assemblare vari pezzi.

Insomma, non vuoi proprio dirmelo? ” gli chiese poi, rompendo il silenzio.
Che cosa? ” ribatté l'altro, scocciato, alzando gli occhi dal tavolo da lavoro.
Il tuo nome ”
Quant'era testardo! No, non voleva dirglielo. O meglio, non poteva. Doveva preservare il proprio anonimato fino al giorno in cui avrebbe rivoluzionato il sistema che vigeva da anni all'interno della scuola e di cui nessuno, tranne chi apparteneva all'organizzazione, contemplava l'esistenza.

No ”
Ok. Allora ti chiamerò danna* ” asserì sorridendo sornione.
E perché? ”
Perché, anche se la tua concezione dell'arte è totalmente assurda, ci credi davvero. Insomma, il tuo è un artistico modo di pensare*. Per questo d'ora in poi ti chiamerò danna, uhn! ” spiegò, sempre col consueto ghigno sul volto, un'espressione indecifrabile. Era serio o lo stava semplicemente prendendo in giro?
Va bene, come preferisci, basta che adesso mi lasci in pace ”
Enfatizzò la parola
adesso quel tanto che bastava a convincere il biondo a voltarsi e a cominciare un nuovo giro panoramico, e si rimise al lavoro. Quel tipo era proprio strano ma, in un certo senso, lo divertiva. Da tempo immemore non sorrideva, probabilmente dal giorno in cui aveva salutato i suoi genitori con un cenno della mano, ignaro del fatto che non li avrebbe rivisti mai più, se non in fotografia. Certo, il sorriso che adesso mostrava di tanto in tanto non era quello sincero che rivolgeva a sua madre quand'ella si complimentava con lui per un buon voto a scuola o per essersi comportato bene, ma era sicuramente meglio di niente.
E Deidara, che era rimasto affascinato da lui fin da subito, lo osservava con sguardo sognante quando le sue labbra si curvavano appena, disegnando una vera e propria opera d'arte sul suo volto di porcellana. Un'opera destinata a svanire in poco tempo, e per questo molto più bella di qualsiasi altra cosa. Desiderava sapere tutto di lui, conoscere il suo passato e il motivo per cui era rinchiuso lì – a quanto pare, a causa di Hidan e dei suoi amici -, ma aveva quasi timore di chiedere. Però doveva riuscirci, chissà, forse se avesse insistito e se gli fosse rimasto accanto, qualcosa sarebbe sfuggito dalla sua bocca invitante.
Aveva constatato che gli piacevano molto le fragole dal momento che, da quando era tornato sul posto, aveva già divorato tre succhi al suddetto gusto. Le fragole erano rosse come i suoi capelli, come il colore che predominava nelle sue opere.
Allungò una mano per toccare la marionetta che il ragazzo teneva sempre accanto a sé, la famosa Iruko, ma lui lo fermò, fulminandolo con lo sguardo.

Non ti consiglierei di toccarla ” lo avvertì, “ Le armi che sfoggia sono velenose ”
Velenose, aveva detto? Che diavolo aveva intenzione di fare con quelle cose? Il mistero s'infittiva. Annuì con un cenno del capo e guardò l'orologio che teneva al polso sinistro: le due del pomeriggio. Erano già passate due ore da quando era entrato di nuovo nel terrazzo e, secondo le sue previsioni, doveva rimanerci ancora molto tempo: ovvero, fino alla mattina dopo.
Cosa che però, purtroppo, non accadde.
Perché la cattiva sorte è sempre in agguato, specie nei momenti in cui ci sentiamo anche solo vagamente felici.

L'arte è una passione rischiosa, ma proprio per questo è così bella ”

~ ~ ~

*1 Kohai: compagno di scuola più giovane
*2
Senpai: compagno di scuola più anziano
*3
Iruko: la marionetta favorita di Sasori, quella ove si nasconde per non mostrare il proprio reale aspetto.
*4
Danna: titolo con cui Deidara, nella storia originale, si rivolge a Sasori. Letteralmente significa maestro, titolo onorifico che il ragazzo usa per rispetto verso il suo collega artista.
*5
“ Il tuo è un artistico modo di pensare ”: riferimento all'episodio dell'anime in cui Deidara viene a sapere che Sasori è perito nello scontro con Sakura e sua nonna Chiyo. Il biondo pensa al suo danna sostenendo ch'egli si è fatto ammazzare nonostante tutte le sue belle parole sull'arte eterna, lo maledice, ma infine afferma proprio che il suo era un “artistico modo di pensare”.

Al prossimo capitolo! ~
  
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