Premessa: mi spiace per voi,
ma è necessaria
una chilometrica premessa (suppongo siate ancora in tempo per salvarvi,
se
volete XD). Innanzitutto,
bisogna
precisare che dedico questa storia a Juu_Nana con tutto il mio affetto,
sia per
il suo compleanno (con leggero
ritardo^^”. Mi scuso per questo^^”), sia
per Natale, sia perché è mia amica, e questo
basta. Ti voglio bene!^^ Inoltre,
voglio ringraziare plubuffy per le sue preziose consulenze^^ Detto
questo,
passo a precisazioni sulla storia vera e propria: non mi piace XD(Toh
che
novità XD). L’unico
motivo per cui ho
deciso di pubblicarla, dopo una serie di dilemmi esistenziali,
è perché,
nonostante il risultato lasci molto a desiderare, mi ci sono davvero
impegnata.
Diciamo che per me non è stato semplice scrivere questa
fanfic: in primo luogo,
è una commedia (o almeno dovrebbe esserlo) e io proprio NON
sono capace a
scrivere commedie; secondo poi, dal momento che ho la mania di perdermi
in
tante elucubrazioni contorte nelle mie solite storie, ho tentato di
concentrare
questa sull’azione…altro risultato disastroso XD;
tutto ciò ha influito anche
sul modo in cui è stata scritta questa one-shot, il quale
non mi soddisfa per
niente. Come ciliegina sulla torta, i personaggi sono OOC
*olè* XD Come al
solito, dopo aver elencato tutti i motivi per cui non dovreste leggere
questa
one-shot, mi ritrovo ad esortarvi alla lettura XD (che ci volete fare?
Mi sento
in dovere di avvisare^^”). Direi di aver cianciato troppo,
perciò vi lascio
alla lettura: spero che mi diate tanti pareri sinceri riguardo questa
shot
perché ho un disperato bisogno di consigli, critiche e
opinioni in generale!
*disperata* Perciò non siate taccagni con quelle recensioni,
fossero anche solo
per insultarmi!
Tea
party
Dei piccoli piedi scalzi fremevano a contatto con la calda moquette, alternandosi in brevi ed impazienti saltelli. Il bambino biondo a cui appartenevano tradiva una certa ansia, insita in quei movimenti e nel labbro morso con forza e nervosismo. Come se non fosse stato agitato già a sufficienza, da una parte gli incessanti "bip" provenienti dal videogioco di un ragazzino steso a pancia all'aria sul divano, e dall'altra l'indifferenza di un piccolo batuffolo bianco accucciato di fronte l'immensa finestra dell'attico non facevano altro che mandarlo ancor di più ai pazzi.
Quest'atmosfera
si ruppe nell'attimo in cui il ragazzino, giunto infine al
limite della sopportazione, proruppe in un urlo agghiacciante, per poi
azzannare tre o quattro volte una malcapitata barretta di cioccolata o
quel che
ne rimaneva. Il giocatore lo guardò sgomento, mentre l'altro
compagno girò
appena il viso dal suo punto di osservazione, fissandolo con apatia
talmente
intensa da non sembrare reale.
-Insomma,
si può sapere come fate a stare così calmi?! Oggi
è
il suo compleanno e noi non abbiamo ancora la più pallida
idea di cosa
regalargli! - gridò in preda all'isterismo.
-Mello,
calmati per favore. Forse siamo un po' (ma solo un
pochino) in ritardo, ma in fondo cosa vuoi che sia? Si tratta soltanto
di fare
uno stupido regalo! Ci metteremo appena qualche minuto-
ribatté la testolina
rossa, con la faccia premuta contro la soffice stoffa del divano.
-ah
sì, Matt? Allora sentiamo, geniaccio, cosa gli regaleresti?
Il
silenzio assoluto calò sulla stanza.
Nonostante
l'insoddisfacente non-risposta dell'amico, il
ragazzino gongolò di una puerile soddisfazione a quel
mutismo. In fondo, quel
compleanno non era di una persona qualunque, ma del loro cugino Elle,
ragazzo
di una certa importanza nella sfera socio-politica, nonché
dotato di
un’eccezionale intelligenza, in netto contrasto con il nome
alquanto buffo ed
il suo aspetto da imbranato. Trovare qualcosa che lui non potesse
ottenere
semplicemente schioccando le dita era sempre piuttosto difficile, senza
contare
che, data la sua intelligenza, stupirlo, o quantomeno catturare il suo
interesse con un dono era quasi impossibile. Ad aggravare ulteriormente
la
situazione, come se il tutto non fosse stato sufficiente,
v’era la mania di
Mello di dover trovare sempre un presente magnifico ed originale.
Così, ogni
anno, i tre erano costretti a scervellarsi per ore, per poi rinunciare
e
presentarsi a mani vuote da quel cugino che di tanto in tanto li
invitava a
trovarli.
Mello si lasciò andare sconsolato sul pavimento, prendendo a
fissare
la porta d’ingresso dell’abitazione. Dovevano
trovare un regalo da presentargli
prima che quella sera rincasasse…
- E
se gli organizzassimo un brodaglia-party? – chiese titubante
Matt alzando appena il viso dal sofà. Non sapeva bene come
gli fosse venuta in
mente quell’idea bizzarra: forse, il disgusto nel vedere
l’amico azzannare con
violenza il cioccolato e ingurgitarlo a grandi bocconi senza nemmeno
masticarlo, oppure l’idea dello stesso, infiocchettato,
sculettante e ricoperto
da cima a piedi di cacao gli avevano ricordato la medesima nausea che
lo
colpiva ogni qual volta assaggiava quell’intruglio che al
cugino sembrava,
invece, piacere tanto.
-
Intendi un tea-party? – pigolò con vocina lieve
l’unico dei
tre a non aver ancora aperto bocca.
- Aspettate
tutti! – esclamò Mello – ho avuto
un’idea geniale!
Organizzeremo un tea-party per Elle!
L’idea riscosse una sufficiente dose di successo visto che il bambino sembrava molto soddisfatto di sé e Matt, d’altro canto, lo elogiava senza sosta. Near, l’ultimo rimasto, al contrario degli altri due lasciò andare pesantemente lungo il fianco la mano con cui stava torturando una sua ciocca di capelli appena prima. Una grossa goccia di sudore prese a colargli sulla fronte, mentre le gambe minacciavano di cedere di fronte alla stupidità dei cugini.
Gli
occhi
azzurri del piccolo isterico si fissarono in pochi istanti verso la
credenza
poco prima di fiondarcisi e sbatterci quasi contro. Pochi minuti dopo,
ne tirò
fuori vittorioso una scatola di thé verde, agitandola a
destra e a sinistra di
fronte agli occhi degli altri due. Infine con un sorrisetto soddisfatto
asserì
di aver risolto il problema. Matt si mise a pensare (il che, il
più delle
volte, non era una cosa estremamente positiva): c’era un
dettaglio che si
ostinava a sfuggirgli …
Near che, al
contrario dell’amico aveva subito intuito dove fosse il
problema, si
attorcigliava i capelli intorno alle dita chiedendosi se fosse il caso
di
metterne Mello a conoscenza.
Infine,
atono e conciso disse:
- Mello,
benché il thè sia la caratteristica principale di
un tea party, non basta certo
questo ad organizzarne uno fatto per bene, in particolar modo se
è per
festeggiare un compleanno.
-...-
Mentre
l’albino si massaggiava il punto colpito dalla scatola di
thè lanciatagli
addosso, Mello disponeva le tappe da seguire durante l’uscita
pomeridiana: in
fondo, anche se avevano solo una decina di anni, erano pur sempre dei
piccoli
genietti.
Decise
tutte le fermate da compiere quel pomeriggio, Matt
trotterellò eccitato verso
la porta mentre un frettoloso Mello avanzava in stile Indiana Jones
verso
l’uscio trascinandosi dietro un apatico e lento Near.
***Prima
tappa: il supermercato***
-…uova
e
farina di tipo 00- concluse Near dopo aver elencato con apatica
saccenteria
tutti gli elementi necessari per preparare una torta (-al cioccolato!-
come
aveva specificato Mello con fare stizzito).
-Perfetto!
–
esclamò il biondo, battendo il pugno sul palmo
dell’altra mano. Il più piccolo,
sempre torturandosi una ciocca di capelli, era già pronto ad
esprimere il suo
disappunto, ma Mello, senza lasciargliene
l’opportunità, si arrampicò sullo
scaffale più vicino, dando l’impressione di essere
una bertuccia idrofoba, più
che un bambino. Una volta raggiunto l’ultimo ripiano,
reggendosi con una mano,
allungò cautamente l’altra nel tentativo di
afferrare quantità industriali di
farina. Tuttavia, prima che potesse mettere mano ad uno di quei pacchi
ordinatamente disposti, il più piccolo colse
l’opportunità per aprir bocca:
-Tu
sai
cucinare, vero Mello?
-Beh,
quanto
può esser difficile? Basta preparare qualche intruglio e poi
infilarlo nel
forno! –rispose l’altro con il braccio ancora
sospeso a mezz’aria.
-Temo
non sia
così semplice…-
-Sciocchezze! Dimentichi che siamo dei geni … beh, almeno io lo sono – concluse Mello con tono perentorio, a segnalare che la conversazione era chiusa. Near, dopo aver borbottato qualcosa, ricacciò in gola l’orribile presentimento che lo attanagliava, spostando lo sguardo mesto sul pavimento. D’altronde, se anche era vero che un dolce comprato in pasticceria avrebbe crudelmente prosciugato il loro risparmi (o quantomeno, per quel che riguardava le mirabolanti creazioni che Mello sceglieva e davanti cui Matt rilasciava ogni qual volta impetuosi torrenti di bava), c’erano pur sempre gli impasti pre-confezionati da supermercato. Tra l’altro, erano passati davanti un reparto straripante di tali prodotti appena qualche minuto prima. Inutile dire, però, che quando aveva provato ad indicarli, Mello lo aveva bellamente ignorato, storcendo la bocca in segno di disgusto. Erano scadenti, aveva proferito in un sibilo indignato. Poco importava che fossero la scelta più logica, aveva allora aggiunto mentalmente Near.
Ad ogni modo, quando
finalmente il biondo era riuscito a stringere fra le dita un pacchetto
di
farina, prima che i suoi polpastrelli lasciassero definitivamente la
presa
dello scaffale, Matt, che fino a quel momento aveva girovagato nel
corridoio,
andò a scontrarsi proprio contro la struttura su cui era
abbarbicato l’amico. A
dire il vero, era un esito alquanto prevedibile visto che il cugino
aveva
passato tutto il tempo con gli occhi, ormai venati di rosso per la
stanchezza,
incollati allo schermo della sua psp, mentre ciocche di capelli
ricadevano sui
suoi goggles. Inutile dire, però, che gli altri due erano
troppo presi dai loro
battibecchi per notarlo.
Tornando a noi, Mello, perso l’equilibrio, prese a
sbracciarsi come una gallina isterica, emettendo rantoli paragonabili a
quelli
dei coccodrilli in calore (era un’impressione di Matt o
somigliavano
terribilmente al canto del coro della loro scuola?). Near, dal canto
suo, ebbe
l’impressione di potersi godere l’intero spettacolo
a rallentatore: gli occhi
azzurri spalancati del biondo si fissarono su quelli terrorizzati di
Matt, poco
prima che il posteriore del più grande centrasse in pieno la
faccia dell’altro,
goggles compresi. La psp, inoltre, fece un’elegante scivolata
lungo l’intera
lunghezza del corridoio, sparendo qualche metro più in
là.
-Smettila
di
ridere, omino bianco!
-Non
lo sto
facendo, Mello – rispose l’altro, la sua
espressione facciale pari ad una
maschera di cera priva d’emozione. L’altro
assottigliò gli occhi, sospettoso:
era sicuro che, mentalmente, l’altro stesse sghignazzando di
gusto. Ovviamente,
non avrebbe mai potuto dimostrarlo, e Near, che, in effetti, stava
dando fondo
a tutte le sue riserve mentali per impedirsi di scoppiare a ridere, la
considerò quasi come una vendetta personale. Ci misero
qualche minuto ad
accorgersi del loro compagno rantolante che teneva il viso rosso
paonazzo
nascosto dalle sue mani.
-Mello,
il tuo
sedere è duro come un masso! – guaì,
scoprendosi finalmente il viso. L’amico,
dal canto suo, si era già preparato a fiondarsi contro Matt
ma non ne ebbe il
tempo che l’altro scoppiò a ridere, seguito da
Near, ormai incapace di
trattenersi.
-Che
diamine
ti ridi?
-Oh,
Mello!
Guardati: sembri Near! – disse l’amico fra un
singulto e l’altro, asciugandosi
le piccole lacrime dovute al troppo riso.
-Hey!
–
esclamò l’albino, indignato.
Il loro compagno, si limitò a guardarsi i vestiti
in un disperato tentativo di vederci più chiaro: si accorse
così che la farina,
rovesciatasi dal pacco che aveva tentato di tirare giù dallo
scaffale, si era
sparsa per l’intero corridoio, dando l’impressione
che dentro al supermercato
avesse nevicato. E, con suo enorme orrore, si rese conto che buona
parte di
quella bianca polvere si era riversata sui suoi abiti, così
come sui suoi
capelli, facendolo, in effetti, assomigliare a Near con i capelli
lisciati alla
perfezione.
Mentre l’amico continuava a ridere come una delle iene del re Leone, Mello si rialzò con lentezza, prestando maniacale attenzione nell’atto di sgrullare ogni singolo granello di farina appiccicatosi ai suoi vestiti neri. Infine, stizzito, si avviò alla ricerca degli altri ingredienti, nella speranza di uscire quanto prima da quell’odioso edificio e, soprattutto, di allontanarsi più velocemente possibile da Matt che, ancora spalmato per terra, si teneva la pancia, faticando a ritrovare respiro.
Una
mezz’ora dopo, con
grande sollievo di tutti e tre, finirono di raccogliere tutti gli
ingredienti e
si avviarono alla cassa.
-Sei
sempre
sicuro di riuscire a preparare una torta senza difficoltà,
vero? – pigolò il
più piccolo, poco prima che arrivasse il loro turno.
L’altro
sbuffò
scocciato:
-Ti
ho già
detto di sì! Di sicuro non ci vuole molto …
insomma, persino Matt ci
riuscirebbe!
-Hey!
-Basta
discutere: è già tutto deciso –
concluse categorico il biondo, per la seconda
volta nel giro di quel pomeriggio. Pagato il conto, dopo essersi
attirati le
occhiate sbalordite di una commessa (d’altronde, non
è di tutti i giorni vedere
tre bambini fra cui un potenziale terrorista ed un albino borbottante
riguardo
la scortesia di un certo “ragazzino di dubbia
sessualità”), uscirono entusiasti
verso la prossima tappa.
***Seconda
tappa: il centro commerciale***
Mimi
cominciava davvero a preoccuparsi.
Il suo nervosismo era evidente dal modo in
cui torceva la pezza con la quale fino a pochi momenti prima stava
spolverando
e dal colorito biancastro assunto dalle nocche della sua mano. I suoi
datori di
lavoro le avevano affidato il negozio da appena qualche minuto e, se
fino a
poco prima le sembrava una giornata tranquilla, si era dovuta
ricredere: un
bambino si era appiccicato alla vetrina che lei aveva pulito proprio
quella
mattina e da lì non si era più staccato. La sua
faccia era talmente schiacciata
contro il vetro che la bocca si era distorta, lasciando intravedere i
denti e
qualche rivolo di bava; inoltre, i suoi occhi avevano assunto uno
sguardo tanto
strabico quanto eccitato. Insomma, quel ragazzino dai capelli rossi le
metteva
un’inspiegabile ansia. Le sembrava quasi come se, da un
momento all’altro,
potesse entrare nel locale e depredarlo di tutti i videogiochi
custoditi
all’interno, primo fra tutti “Assassin’s
Creed”, che aveva attirato subito la
sua attenzione. Per qualche attimo ponderò persino
l’idea di precipitarsi là
fuori e staccarlo dalla vetrina con l’aiuto della scopa,
visto che dava
l’impressione di essersi letteralmente incollato sulla
superficie.
-staccati
Matt! Non abbiamo tempo da perdere! – gridò Mello
nel bel mezzo del centro commerciale.
Erano entrati lì da mezz’ora ormai e non avevano
ancora concluso niente, in
buona parte perché il suo amico si era innamorato di uno
stupido aggeggio
elettronico! Aveva provato a tirarlo via, ma i suoi polpastrelli
avevano fatto
presa sul vetro quasi come i tentacoli di una piovra. Inutile dire,
poi, che
quel nano bianco che aveva avuto la malaugurata idea di portarsi
appresso
(ancora gli sfuggiva quale fosse la sua utilità) non aveva
fatto il minimo
sforzo per aiutarlo.
Si lasciò scappare un altro sospiro carico di
frustrazione. Poi, raccogliendo tutte le sue forze, afferrò
i lembi della
maglietta a righe del più piccolo e, puntati i piedi sul
terreno, tirò con
tutte le sue forze. La vittoria venne pagata a caro prezzo: entrambi
presero a
ruzzolare all’indietro per un po’, guadagnandosi un
fastidioso mal di testa. Se
solo Near non fosse stato coinvolto con loro, Mello avrebbe urlato a
pieni
polmoni per tutto l’edificio, e le sue narici si sarebbero
dilatate talmente
tanto da conferirgli le sembianze di un toro imbestialito. Tuttavia, la
visione
del piccolino che si massaggiava la testa con dissimulata sofferenza
attutì
appena la rabbia che stava crescendo sempre più in lui.
-
Mello – si
lamentò Matt, mettendo particolare enfasi sulla vocale
finale – stavo vedendo
un attimo quel negozio! E’un mio diritto:
d’altronde, ti ricordo che è colpa
tua se la mia psp è andata perduta – concluse
disperato, impegnando il braccio
in un gesto teatrale.
-Non
è stata
colpa mia: se solo tu guardassi dove metti i piedi, non sarebbe
successo! E
poi, non hai nemmeno i soldi per ricomprartela, quindi…
-Però
potrei
chiederlo ad L
-Avevi
davvero
intenzione di farlo? – interruppe Near con tono calmo e
razionale.
Matt, dal
canto suo, rise nervosamente, accarezzandosi il colletto della sua
maglietta a
righe: se doveva essere onesto, in quei minuti di mistica
contemplazione del
negozio, si era ritrovato a considerare
l’eventualità di fare una rapina o,
quantomeno, un tentativo di saccheggio. Non è che fosse una
persona disonesta:
semplicemente, era ormai un’ora che non toccava il tasto di
un videogioco e
stava lentamente sprofondando in crisi d’astinenza. Lo
sguardo che Near gli
stava rivolgendo – sembrava gridargli: “so sempre
tutto quel che ti passa per
la testa”- cominciava a metterlo un po’ a disagio,
così, rassegnatosi a stare
lontano dai suoi adorati videogames ancora per un po’,
lasciò cadere la testa
in avanti. Infine, appesantito dall’opprimente silenzio che
sembrava essere
calato, tentò di giustificarsi ancora una volta.
Tuttavia,
non ebbe nemmeno il
tempo d’aprir bocca che il più piccolo se
n’era già andato, preso in
un’estatica contemplazione di un robottino d’epoca
custodito in un negozio di
collezionismo lì vicino.
Ecco, adesso poteva davvero vedere le narici di Mello
fumare dalla rabbia. Per qualche attimo, si immaginò nelle
vesti di un toreador,
sventolante una tovaglia rossa e pronto ad evitare un’
incornata da parte di un
toro biondo.
Era
talmente preso da tale visione che non si accorse nemmeno che
l’amico, dopo aver digrignato qualche frase sconnessa a denti
stretti, era
scomparso. Si risvegliò dal suo stato di trance solo quando
avvertì un lembo di
stoffa venir arrotolato attorno al suo polso; era dannatamente stretto,
tra
l’altro!
-Ma
che cos…?
-E’
un altro dei piani psicotici di Mello
-Non
è
psicotico! – esclamò il bambino dopo aver smesso
di ridere come un personaggio
manga di uno shonen scadente. Poi, dopo essere stato colpito da
chissà quale
illuminazione divina –se il ghigno malefico che aveva
stampato in faccia ne era
una qualche indicazione- diede un violento strattone alla sciarpa che
legava i
polsi dei suoi compagni al suo. I due, per tutta risposta, cozzarono
dritti
l’uno contro l’altro, dandosi una poderosa testata.
Mello scoppiò a ridere:
-Bene,
così
non potrete più scappare da una parte e
dall’altra! Vi ricordo che dobbiamo
concentrarci sulla nostra missione! – e così
dicendo agitò un pugno in aria,
con fare solenne- e voi non fate altro che distrarvi!-
Esclamò infine.
Dopodiché, diede un altro violento strattone, trascinandosi
i più piccoli
dietro.
Dopo
aver
chiesto informazioni ad una signorina lì accanto, si
diressero verso il punto
indicato da questa, finendo dritti in un negozio di giocattoli.
-Ma che diamine…?! Vuoi vedere che ci ha scambiato per dei mocciosi? Io le avevo chiesto le indicazioni per un negozio dove prendere un bel regalo e non per il paese dei balocchi! – gridò Mello in preda ad una crisi isterica.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi verso i suoi due compagni che sentì le sue braccia essere tirate in direzioni opposte; trattenne a stento un urlo di dolore. Matt aveva le cascate del Niagara colanti –beh, in fondo la bava è più densa dell’acqua- dalla sua bocca e le dita delle sue mani protese in avanti si spiegavano e piegavano in un movimento ossessivo-compulsivo, dando l’impressione di voler afferrare l’aria. Near, dal canto suo, tentava di contenersi ma l’adorazione per la distesa di puzzle che serbava davanti agli occhi era palesemente manifesta nella sua boccuccia leggermente aperta – Mello avrebbe gradito se qualche mosca vi fosse entrata dentro- e dagli occhioni luccicanti, estremamente simili a quelli di uno stupido chibi manga.
Alla fine, strano ma vero, Near riuscì a liberarsi con poca difficoltà dalla sciarpa – l’aveva morsa?!- e sparì dalla vista degli altri due. Poco dopo, Matt fece lo stesso.
Rimasto solo, il biondo sbuffò esasperato mettendosi alla ricerca degli altri due. La sua mente ponderò per qualche attimo l’eventualità di abbandonare Near in quel negozio. Beh, come biasimarlo? Dopo tutto, era un’occasione da non lasciarsi scappare. Quando poi si ricordò della tesi del suo migliore amico, il quale sosteneva che il più piccolo fosse in realtà il fantasma di un bambino morto qualche anno prima, cambiò idea, non volendo rischiare che uno stupido spettro non lo lasciasse dormire in pace per una qualche stupida vendetta.
Già dopo pochi minuti la frustrazione era talmente pesante da risultare quasi tangibile. Al terzo scaffale di barbie che si era ritrovato davanti, cominciò a progettare ogni tipo di tortura da infliggere agli altri due, non appena ritrovati. Ma stava girando in tondo in quella giungla di giocattoli oppure quei pezzi di plastica anoressici stavano progettando di conquistare il mondo?!
E
poi la vide: così bella, dai fianchi lisci e
dolci…fu amore a prima vista.
A
quella visione, i suoi occhi presero a brillare per lo stupore, mentre
la sua
mano si allungava in avanti con lentezza, quasi timorosa che un
qualsiasi
movimento brusco avesse potuto dissolvere quell’eterea
visione. Afferrò il
manico della pistola spara prezzi, avvertendone il nero
potere.
Una
commessa
scappò terrorizzata quando vide un biondino maniaco puntare
una pistola al
soffitto ridendo come un ossesso…e poi dicono che i
videogiochi odierni non
istigano alla violenza!
Se possibile, Mello prezzò la metà dei prodotti
presenti in quello sterminato negozio: il suo passo era furtivo come
quello di
un felino, la mente concentrata a scovare ogni bersaglio e a
nascondersi da
occhi indiscreti, gli occhi spalancati fino all’inverosimile,
il respiro
affannato e provato da un’enorme scarica di adrenalina.
Riusciva ad avvertirla
circolare sempre più frenetica in ogni fibra del proprio
corpo, in ogni
anfratto dei suoi muscoli tesi. Se prima aveva dei dubbi sul suo
futuro, adesso
nutriva la certezza che la carriera del sicario fosse la sua
più grande aspirazione
di vita (sotto approvazione di suo cugino L, ovviamente).
Il pensiero lo faceva
quasi sbavare come un cane.
Era così preso dalla sua piccola esperienza alla “Metal Gear Solid” da non essersi accorto di aver trovato Matt. O meglio dire il contrario dal momento che il ragazzino, visto l’oggetto stretto nelle mani dell’amico, si era aggrappato alla sua schiena come un koala, continuando a farneticare petulanti frasi del tipo: “Me la fai provare? Eh? Eh? Eh? Eh?”.
Resosi conto che non sarebbe mai
riuscito ad attirare l’attenzione del biondo,
lasciò finalmente stare la sua
schiena, mettendosi alla ricerca di un’altra pistola. In
realtà, non ci mise
molto a trovarla e, come si può ben immaginare, fu proprio
questo il problema. Se
il più grande era riuscito a trasformare quel luogo in una
sorta di poligono di
tiro, insieme riuscirono a fargli assumere le sembianze di un fronte di
battaglia. Avevano mietuto un’infinità di vittime,
senza risparmiare nessuno:
un povero bambino, vittima innocente di una mira presa male, si era
ritrovato
prezzato sulla fronte e, se la madre non si fosse messa ad urlare in
preda al
terrore alla cassa, sarebbe stato comprato da un povera nonnina
attanagliata
dalla solitudine per il conveniente prezzo di 10 sterline.
Peccato che Near
fosse un fantasma, perché quello sarebbe stato un altro
ottimo piano per
disfarsi di lui, aveva pensato Mello con rammarico.
La
battaglia si concluse
quando, dopo uno scontro faccia a faccia, in pieno stile western,
suddetto
batuffolo bianco si era materializzato dal nulla (ulteriore prova della
sua
natura ectoplasmatica?), puntualizzando, come suo solito, che non
avevano ancora
trovato un regalo. Anche se, in compenso, avevano guadagnato
l’ultimo
sfavillante modello del robottino di Buzz Lightyear, stretto con forza
dalle
mani del piccino.
-Bene!
Perfetto! Siamo in terribile ritardo sulla tabella di marcia e non
abbiamo
nemmeno la più pallida idea di cosa comprargli!
-
Beh, la psp
sarebbe un’ottima idea, no?
Matt
si sentì
d’improvviso grato per il fatto che gli sguardi non avessero
ancora acquisito
la facoltà di uccidere. Prima che Mello potesse aprir bocca
per lanciare una
sfilza d’insulti all’amico, Near intervenne:
-Beh,
io
un’idea ce l’avrei- pigolò, esponendo,
poi, suddetta trovata. Gli occhi di
Mello si illuminarono dall’eccitazione:
-Sì,
potrebbe
andare!- esclamò, quindi, tirando i compagni alla ricerca
del reparto dove
potessero trovare quel regalo. Di certo, L sarebbe rimasto senza parole!
***Terza
tappa: casa. (ovvero i preparativi per il party)***
Il
fumo era
nero e soffocante, talmente denso da dargli l’impressione
che, se solo avesse
allungato una mano in avanti, sarebbe riuscito a toccarlo e la sua
consistenza
sarebbe stata pari a quella del marmo.
Avrebbe ucciso Matt.
Era già sicuro che
quel ragazzo sarebbe morto grazie al fumo, un giorno o
l’altro, ma era ben
consapevole che quel dì non era ancora arrivato: dal momento
che, nelle
riunioni di famiglia del piccolo giocatore, tutti i suoi parenti
fumavano,
dando al malcapitato di turno l’impressione di essere nel
mezzo di un camino,
era ben consapevole che la resistenza dei polmoni del suo amico andava
ben
oltre la sua.
Tuttavia, se era giunta la sua ora, pensò il piccolo biondo
tossendo disperato, allora Matt lo avrebbe seguito giù
nell’inferno.
Near,
dall’altra parte della stanza, prendeva grandi boccate
d’aria affacciato ad una
finestra dell’attico. In questo modo, rischiava quasi di
cadere, quando un urlo
animalesco infranse la barriera del suono. Se solo non avesse rischiato
l’asfissia, avrebbe spalancato la bocca dalla sorpresa.
Mello, guidato dal suo
istinto bestiale, si era lanciato addosso a Matt, il quale,
già in bilico su
una sedia, era rotolato a terra fino a sbattere contro la parete.
-Come
diamine
hai fatto a bruciarla?!
-Mi
ero un
pochino distrat-----
-Giocando
al
game-boy, vero? Ah, già che ci sono…si
può sapere da dove diamine l’hai tirato
fuori?!
Matt era un vero mago quando si trattava di far spuntar videogiochi dal nulla, tanto che i due cugini cominciavano a sospettare quasi che se li fabbricasse con le sue mani.
Quando, infine, il fumo si diradò, Near vide i due ansimare pesantemente, tentando di immagazzinare nei loro polmoni quanta più aria possibile. Boccheggiavano disperati, avvertendo un immenso bruciore ad ogni respiro e sentendo piccole lacrime calde sgorgargli dagli occhi; una mano di Mello era ancora incastrata fra i capelli di Matt, intrappolando le sue ciocche in un pugno tanto serrato da aver reso bianche le sue nocche. Spostando il suo sguardo un po’ più in là, si compiacque nel constatare che il forno, grazie al cielo, non era ancora esploso sebbene la torta all’interno fosse ormai carbonizzata.
Lo
aveva sempre saputo che sarebbe andata a finire così: quel
brutto presentimento
non lo aveva lasciato stare sin da quando erano entrati nel
supermercato.
Difatti, quando, arrivati a casa, Mello aveva cominciato a dividere gli
incarichi, quel groppo in gola sembrava soltanto essere aumentato. Il
fatto che
Matt, in un primo momento, stesse cucinando quella torta senza alcuna
difficoltà,
tra l’altro, aveva ulteriormente acuito quella orribile
sensazione: stava
filando tutto troppo liscio.
Fu strappato dalle sue riflessioni quando il più
grande, afferratolo per il bavero della camicia-pigiama, aveva
cominciato a
scuoterlo con insistenza e furia omicida.
-E
tu, si può
sapere che diamine hai fatto?!
L’altro,
calmo
e flemmatico come sempre, voltò il capo in direzione della
tavola, per poi
tornare a guardare il cugino.
-Ho
apparecchiato la tavola, come mi avevi chiesto
-Cretino!
E’
una festa di compleanno, non il ricevimento di nozze della principessa
Sissi! –
urlò il ragazzo indicando con il mento le preziose
porcellane, l’argenteria
lucida e i delicati calici di cristallo. Matt, dal canto suo,
sprecò tutta
l’aria che aveva faticosamente recuperato scoppiando a ridere
come un pazzo: la
visione di suo cugino L – i capelli corvini scompigliati, la
postura da scimmia
e quegli orribili solchi neri sotto gli occhi- che sculettava in un
pomposo
vestito viennese era a dir poco esilarante.
-Sei
tu che mi
hai detto di fare una tavola elegante. Mi sono solo attenuto a
ciò che mi avevi
chiesto.
-E
quello
allora?!- gridò con tutta la sua forza il cugino, indicando
con veemenza il
centro del tavolo. Lì giaceva una foto di L (ne esisteva
una?!), circondata da
due ceri accesi. Sembrava un altare funebre, per la miseria!
-Pensavo desse un tocco di solennità in più – ribatté l’altro attorcigliandosi un ricciolo attorno al dito. Mello, per tutta risposta, riprese a scuoterlo, facendo prontamente corna con la mano non impegnata a strangolare il più piccolo.
Ci
volle qualche minuto perché un crampo al polso costringesse
il biondo a
calmarsi e a chinare la testa sconsolato.
Ricapitolando: la torta era andata in
fumo (nel senso letterale del termine), la tavola era da rifare
(compreso
l’altare funebre che doveva essere smontato a tutti i costi,
pensò digrignando
i denti) e il pacco…beh, stendiamo un velo pietoso.
Nonostante fosse ben
consapevole della sua grande vena artistica e creativa, costantemente
criticata
da quegli incompetenti dei suoi insegnanti d’arte, doveva
ammettere che non era
riuscito ad incartare il regalo molto bene.
Preso ancor più dalla disperazione, si afferrò la testa fra le mani, lasciandosi scappare un gemito carico di frustrazione.
Matt,
dal canto suo, prese a fissare l’amico con aria sconsolata:
gli dispiaceva per quel che era successo, anche perché in
buona parte era colpa
sua. In realtà, non era molto desolato per la scarsa
riuscita della festa.
D’altronde, per quanto il cugino gli stesse simpatico, non
godeva di
particolare affetto o attenzioni da parte sua. Tuttavia, la visione del
suo
migliore amico afflitto e rannicchiato a terra faceva sì che
la sua nuca
bruciasse dai sensi di colpa e che il suo stomaco si torcesse dal
dispiacere.
Si disse che, in fondo, quella festa era più per Mello che
per L.
Deciso a
rimediare al suo errore, si sedette accanto al biondo, abbracciandogli
le
spalle in un atteggiamento di conforto.
-Dai
Mello,
non è una tragedia. In fondo, possiamo ancora rimediare.
Manca un’ora e mezza,
c’è tutto il tempo per farlo, se ci mettiamo
d’impegno.
-E
come
possiamo fare, scusa? La farina rimasta è poca per rifare la
torta – sospirò il
più grande, fissando sconsolato tutti quei granelli bianchi
finiti sul
pavimento durante la precedente azzuffata.
-uh,
e ti
arrendi così facilmente? – proruppe il
più giovane dei tre, esibendo un piccolo
sorriso di scherno.
Matt aveva già aperto la bocca per zittirlo quando, una
volta incrociato lo sguardo dell’altro, aveva capito le
intenzioni del nano
bianco. Il miglior modo per convincere Mello a fare ciò che
si vuole?
Provocarlo! Doveva dare ragione all’amico: il cugino, sebbene
piccolo e in
apparenza indifeso, aveva una mente diabolica all’occorrenza.
-cosa
vorresti
dire?
-Niente.
A
dire il vero, non è che mi aspettassi molto da te
nell’organizzazione di questa
faccenda. L’avevo detto sin dal principio, no? –
rispose Near con voce apatica
e scostante. Ci fu un guizzo divertito nel suo sguardo quando il biondo
sollevò
il capo, fissandolo carico d’ira. Quindi riprese: - non
capisco per quale
motivo mi guardi in quel modo. Sto solo constatando i fatti.
Prima
che il
biondo potesse staccare a morsi la gola del più piccolo,
Matt lo prese per le
spalle, osservando divertito come Near non avesse nemmeno battuto
ciglio, con
ogni probabilità ben consapevole che Mello sarebbe stato
afferrato prima che
potesse fare alcun danno.
-Ad
ogni modo,
c’è abbastanza farina per fare dei biscotti di
pasta frolla al cioccolato.
Certo, non sono di grande effetto come la torta, ma se sono buoni che
differenza fa?
E
fu solo
allora che Mello smise di agitare le braccia, mentre i suoi occhi si
spalancavano
nella realizzazione di ciò che l’altro aveva
appena fatto. Piccolo bastardo!
Tuttavia, non si permise di sentirsi ridicolo; si limitò a
lanciare
un’occhiataccia in direzione del più piccolo, per
poi voltarsi verso Matt.
-Bene,
allora
è deciso: Matt, prepara i biscotti. Il che implica niente
videogames, yo-yo, sigarette
di cioccolata o colonna sonora di Alvin superstar, chiaro?
Il bambino in
questione annuì eccitato
-Tu
– e così
dicendo puntò un dito in direzione dell’altro
cugino – ti occuperai della
tavola. Deve essere carina, ma niente cristalleria della regina
Elisabetta, che
diamine! E per l’amor del cielo, togli quella foto!
– gridò.
L’altro si limitò
ad arrampicarsi su una sedia e a soffiare sopra uno dei due ceri,
spegnendo
così la fiamma.
-
E per quel
che riguarda te, invece – digrignò in direzione
del regalo – questa è una
faccenda fra noi due!
Quando Matt vide il suo
migliore amico lottare
contro quel pacchetto, i polsi avvinghiati dai nastri lucidi e le
spalle
coperte dalla carta regalo, si lasciò scappare un piccolo
sorriso soddisfatto.
***
Abituato all’oscurità, i suoi occhi non fecero fatica ad osservare la stanza in cui si trovava, nonostante l’unica fonte di luce fossero i lampioni di quella città caotica, separata appena da lastre di vetro.
La casa era un disastro: il pavimento della cucina era diventato bianco a causa di tutta la farina rovesciatasi in terra, lo zucchero si era appiccicato al ripiano del tavolo e gli era sembrato di scorgere un oggetto nero non identificato giacente nel forno; la cristalleria, sebbene fosse stata rimessa a posto con meticolosa attenzione, era stata chiaramente spostata a giudicare dalla polvere smossa; e vogliamo parlare del salotto? Quando era arrivato, dopo essere stato assalito dai suoi due affezionati cuginetti e salutato da un Matt sempre preso nel suo mondo di videogiochi, aveva trovato a terra una scia di carta da regalo stracciata, evidente prova di una sanguinosa lotta. E perché la sua foto (quell’orrore scattato da Watari a tradimento e che ogni volta si riprometteva di distruggere fra le fiamme del caminetto) era stata spostata?
Non
che il
disordine gli desse fastidio, davvero. Tuttavia, si rendeva conto che
era di
certo meno irritante quando era lui stesso a crearlo, senza contare che
quando
Watari sarebbe entrato nell’attico la mattina dopo, gli
avrebbe di certo fatto
una bella lavata d’orecchie prima di ripulire il tutto. La
mania che il suo
tutore aveva per l’ordine, risultava deleteria delle volte,
davvero.
Sospirò sconsolato quando Mello strinse ancor di più la sua maglietta.
A
fine festa, si erano rifiutati di andare a letto,
sostenendo che non avevano affatto sonno.
Inutile dire che dopo pochi minuti
erano tutti e tre crollati, Near primo fra tutti.
Sarebbe stato un sollievo, a
dire il vero, se solo non si fossero tutti aggrappati a qualsiasi parte
di lui
afferrabile al momento. E, sebbene fosse affezionato ai suoi tre
cugini,
rimaneva comunque infastidito da quel contatto fisico così
opprimente; non lo
aveva mai sopportato.
Scivolò un po’ sul divano, cercando un po’ di libertà in più dalla presa ferrea del più piccolo e del biondo. Gettò un’occhiata languida in direzione del suo portatile, custodito nella borsa ai piedi del tavolino: come avrebbe fatto ad afferrarlo senza svegliare i cugini? Doveva pur sempre lavorare. E come ciliegina sulla torta, non riuscì a trattenere un moto di disgusto nello scorgere il regalo che quelle pesti gli avevano acquistato: quel ridicolo costume da Sherlock Holmes offendeva la sua intelligenza, davvero.
Eppure,
quando i tre si strinsero ancor più contro di lui,
nonostante i fremiti di
fastidio che scossero ogni angolo del suo corpo, sentì il
suo sguardo
addolcirsi e le sue labbra alzarsi in un piccolo sorriso. Quindi, si
sistemò
meglio sul divano, gettando un ultimo sguardo verso quelle tre pesti
dei suoi
cugini. Non amava festeggiare il suo compleanno né era
solito farlo, ma si
disse che per quella volta poteva anche andare.
Piccola
nota di fondo
pagina per Maddalena: hai visto? Ce l’ho fatta! XD Ancora
auguri e scusami per
questo regalo un po’…beh…XD