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Autore: Sundance    08/01/2010    10 recensioni
Era Natale anche adesso.
Adesso che fissava il lago ghiacciato, gli alberi piegati dalla neve, adesso che era solo, che nessuno gli stringeva la mano tenendo il mazzo di carte con l'altra, adesso che quella casa non era riscaldata dal fuoco del camino nè colorata dai riflessi dei festoni e delle luci intermittenti.
Nessuno sedeva attorno al tavolo nè sulle poltrone.
Le stanze erano silenziose e grigie.
Faceva male. Faceva tanto, troppo male.
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The lake is frozen over
The trees are white with snow
And all around
Reminders of you
Are everywhere I go


Mi affaccio alla finestra di camera nostra.
Nostra.
Ed ecco che una nuova coltellata mi perfora la carne, i polmoni, riempiendoli di liquido gelido.

Doveva stare attento, attento anche a ciò che gli capitava di pensare. Non c'era un momento in cui potesse abbassare la guardia e rilassarsi. Costantemente cauto verso qualsiasi cosa avesse una diafana ombra di ricordo, costantemente cauto anche verso se stesso. Costantemente da se stesso tradito.

Mi uccide considerare che ormai questa stanza ospita solo me, e scosto le tende chiare con un po’ più di violenza di come avrei fatto con altri pensieri in mente. Ogni volta che questa mandibola da squalo vorace e gelida mi morde lo stomaco, devo per forza muovermi, e puntualmente lo faccio con forza, con troppa vitalità, come uno scatto d'ira. Forse per scacciare meglio l'idea di averti perduto. Un gesto è qualcosa di concreto, esprime più sfumature del silenzio e della parola. Come quando tu...
... Dèi...
... Come quando ti arrabbiavi per qualcosa, e invece di parlarne subito aspettavi, finendo per avere così tante cose da dire che non ti venivano le parole, e battevi il piede a terra con stizza, come un bambino. Ed io ridevo, e tu ti innervosivi ancor di più, finchè alla fine non urlavi un insulto relativo alla mia idiozia e te ne andavi per fatti tuoi, uscendo dalla stanza in fretta e furia.
E come in un copione preciso e studiato a memoria, io ti seguivo fino alla macchina del caffè, ti fissavo per quei pochi secondi in cui mi voltavi le spalle, poi lentamente allungavo le braccia avvolgendoti e stringendoti a me. All'inizio...

Sorrise, quasi.

... all'inizio facevi il ritroso, poi sempre, sempre appoggiavi la nuca alla mia spalla, e restavamo così, anche dopo che il caffè era pronto nel bicchiere di carta. Se osavo lasciarti prima, le tue mani correvano alle mie braccia, una tenera e muta richiesta di tenerci ancora un pò stretti, ancora un pò solo noi due.
Dèi, questi occhi che bruciano, bruciano...

Appoggiò la fronte al vetro freddo chiudendoli, quegli occhi che bruciavano, e lasciò andare il fiato trattenuto in un singhiozzo spezzato che appannò delicatamente la superficie trasparente, sfocando la sua immagine.

Meglio, così non posso vedermi piangere.
L'avresti odiato. Mi odio anche io quando accade.
Ogni lacrima che cade è un continuo memento del motivo per cui cade, ed in questo circolo vizioso finisco per annegare.
Oggi, poi...

Oggi. Con la neve e le voci dei bambini in chissà quale giardino lontano.

... Oggi non ci sono braccia a cui aggrapparmi, non c'è sorriso amaro che possa ricordarmi che anche altri hanno perso qualcosa di raro e amato, e non saranno i capelli corvini di un fratello acquisito ad accarezzarmi le guance bagnate.
Dèi, che male, che male... Ghiaccio, profondo, vuoto, non respiro, non posso, io non... non vivo.

Si può morire davvero pur vivendo, per un istante solo.

A differenza tua però, per un macabro scherzo del cielo, io vivo eccome. Sei tu, sei tu a non farlo.
Sei stato tu ad andartene.
Tra i due, pur morendo io tutti i giorni, il solo ad essere morto davvero sei tu.

Appoggiò le braccia agli infissi e chinò il capo, sconfitto dalla devastante atrocità di quella consapevolezza.
Gli giunse alle orecchie il richiamo di una madre al suo bambino e le risate infantili e giocose, avvertì i battiti pesanti del suo cuore e per un breve istante anche la sua voce, come un'eco in quella dei bambini, una fragile risata allegra.
Era Natale.
Non festeggiavano il Natale come in Occidente, ma avevano adottato l'usanza dei regali, delle luci, della festa e della giornata trascorsa con gli amici, una scusa per stare tutti assieme, a parlare e ridere attorno al tavolo, o a passeggiare nel parco davanti casa, vicino al lago ghiacciato e agli alberi piegati dalla neve, oppure davanti al camino, con due o tre bottiglie di un buon liquore e le carte da gioco in mano.
Lo sguardo concentrato di Aoi, la sigaretta mezza accesa tra le labbra di Uruha, il sorriso colmo di affetto di Kai quando, di colpo, lui alzava lo sguardo e lo sorprendeva a guardarli, tutti e quattro.
"Che cosa fissi, leader?" gli aveva chiesto in una di quelle occasioni.
"La mia famiglia, Akira" era stata la risposta.
C'erano stati due secondi di silenzio puro.
Poi ecco, lo assaltarono letteralmente, tuffandosi sulla sua poltrona e spettinandogli i capelli scuri, stringendolo in un abbraccio giocoso e ridendo come ragazzini, indifferenti alle carte lasciate cadere sulla moquette chiara. Anche quella sarebbe stata una scusa per riprendere il gioco da capo ed allungare il tempo da vivere insieme.
E nonostante fossero risuonate risate e battute goliardiche in quell'attacco generale cessato con un abbraccio fraterno a cinque, quei due secondi di profonda commozione per una risposta così genuina e violentemente dolce erano vibrati come una corda di chitarra, strappandoli dai loro pensieri e colpendoli nel profondo.
Kai aveva espresso perfettamente l'essenza del Natale. Che non importava fosse Natale, il 15 marzo oppure ancora il 17 luglio.
Erano loro a rendere Natale il 25 dicembre.
Loro come famiglia.
Due secondi, solo due, di cui uno era servito a comprendere fino in fondo il significato di quel termine, ed il successivo a realizzare che era proprio così per ognuno di loro.

Era Natale anche adesso.
Adesso che fissava il lago ghiacciato, gli alberi piegati dalla neve, adesso che era solo, che nessuno gli stringeva la mano tenendo il mazzo di carte con l'altra, adesso che quella casa non era riscaldata dal fuoco del camino nè colorata dai riflessi dei festoni e delle luci intermittenti.
Nessuno sedeva attorno al tavolo nè sulle poltrone.
Le stanze erano silenziose e grigie.
Faceva male. Faceva tanto, troppo male.


It's late and morning's in no hurry
But sleep won't set me free
I lie awake and try to recall
How your body felt beside me
When silence gets too hard to handle
And the night too long


Do uno strattone alle tende e volto le spalle al paesaggio bianco. Non posso continuare così. Quanto a lungo si può affogare nel proprio dolore? Quanto profondo può essere un abisso dopo che se ne è già toccato il fondo?
Lo sguardo mi cade sul letto sfatto. Ci vuole poco più di un attimo per decidermi ad entrare nel suo abbraccio.
Si vive rimpiazzando in ogni singolo modo quello che non puoi più avere, pur di non cedere all'idea che sarà sempre e comunque solo un sostituto di ciò che avevi.
Mi infilo tra le coperte tiepide, non ho lasciato il letto da molto. E' tardi, lo so. E' mattina da diverse ore, o quei bambini non sarebbero al parco con le loro madri. Devono essere le undici. Ma a che pro alzarmi, oggi? Per seguire un costume, un pro forma dettato dalla società, o dalla memoria? Non fa per me. Non ha mai fatto per me.
Ci si alza e ci si prepara per uscire o per ricevere visite. Non aspetto più nessuno da molto tempo, e nessuno attende più me.
E poi...

... quei sospiri intrecciati come le dita delle loro mani.

... era qui, che ti stringevo contro di me, che la mattina mi svegliavo con le tue braccia attorno ai fianchi, e mi mordevo le labbra per non ridere rischiando di svegliarti quando le tue ciglia mi solleticavano la pelle, se sognando muovevi le palpebre. Le tue labbra semiaperte e morbide contro il petto, il tuo respiro lento e sereno.
Quando invece non ero io a svegliarmi in un tentativo di sole d'autunno e a sentire, ancor prima di vederlo, il tuo sorriso accarezzarmi il viso, sostituito dalle tue mani delicate appena aprivo gli occhi. Mi sorridevi, amore mio.

"Ben svegliato."
"Dormirei ad intervalli regolari tutto il giorno per potermi svegliare ogni volta così."
Takanori sorrise:
"Dormiresti tutto il giorno perchè sei solo un pigrone."
"Anche per questo, sì" ammise lui, divertito, lisciandogli la guancia chiara. Takanori gli baciò le dita, tuffando poi il viso nell'incavo del suo collo e respirando il suo odore:
"Sai di me", sussurrò.
"So di noi", mormorò lui in risposta. Takanori sorrise chiudendo gli occhi, mentre Akira disegnava con le unghie, delicatamente, piccoli cerchi sulla schiena chiara del compagno:
"E' un buon profumo."
Akira sorrise annuendo, quasi più appagato da quel giudizio di come poteva esserlo facendo l'amore con lui, sentendolo gemere di piacere e stringerglisi contro con passionale sensualità e desiderio.
"Sì, lo è. Lo è davvero."


Sento le lacrime bagnare il cuscino, ma non ho neppure la forza di muovermi per asciugarle. Sto cercando di ricordare il calore del tuo corpo vicino al mio, per quanto possa dilaniarmi, e per quanto possa dilaniarmi, ci riesco fin troppo bene. E' difficile perdere la memoria di ciò che ci tiene in vita. Rammento ogni singolo dettaglio che ti riguarda. Il fruscìo delle lenzuola quando ti voltavi, il mormorìo assonnato di quando scivolavi nel sonno, la sensazione di poter sopravvivere anche nella neve, fuori, vicino al lago ghiacciato, finchè avessi avuto il tuo corpo a scaldare il mio. Lo faccio ogni sera, ogni notte, ogni mattina. Il tempo non ha più molto senso per me, capita che vada a dormire all'alba e mi svegli un'ora o due dopo, oppure direttamente di pomeriggio, o la sera stessa. Ma prima di precipitare nel buio e nell'oblìo, quando il silenzio diventa troppo lugubre e pesante da sopportare e la tenebra che mi si stende davanti appare troppo lunga, il ricordo del tuo calore è l'unica cosa che mi offre un rifugio luminoso e confortante, come quelle giornate di neve davanti al caminetto, con la nostra famiglia e le luci colorate.

And this is how I see you
In the snow on Christmas morning
Love and happiness surround you
As you throw your arms up to the sky
I keep this moment by and by


Sento un tintinnìo di vetri e apro gli occhi. Non mi ero accorto di essermi addormentato mentre ti immaginavo nella neve, com'eri solo un anno fa, quando mi svegliai senza averti vicino a me. Credetti fosse stata la tua mancanza a svegliarmi di soprassalto. Invece un rumore sordo mi fece voltare verso la finestra, e mi affacciai.

Era tutto candido, là fuori. Niente sembrava muoversi. La strada divideva con una linea retta e scura un paesaggio niveo e silenzioso. Un pugno gelido e morbido gli colpì il viso, e sussultando indietreggiò chiudendo gli occhi, per poi riaprirli e trovarsi il petto ed il collo coperti di neve. Sentì una risata dal giardino, e cominciò a capire cosa veramente l'aveva strappato al suo sonno quando un'altra palla di neve colpì il davanzale. Si sporse fuori con cautela.
Il viso ridente di Takanori spuntava dalla sciarpa scura e lo guardava divertito ed entusiasta.
"Buon Natale!"
"Un accidente! Mi hai fatto prendere due colpi, uno dietro l'altro!"
"Guarda che meraviglia!" ribattè incurante il più piccolo, indicando il lago e gli alberi. Akira distolse lo sguardo da lui sorridendo tra sè e fissò il cielo limpido, il sole che brillava rilucendo sulla coperta bianca che si stendeva fin dove poteva vedere. Nessuna sorpresa che Takanori fosse così allegro: era un paesaggio stupendo. Riportò lo sguardo su Takanori, completamente bardato in un cappotto nero, con i guanti alle mani e gli stivali caldi ai piedi, che lo guardava in attesa di risposta al suo commento. I colori chiari gli brillavano negli occhi, il freddo gli colorava le guance.
Ricordava d'averlo conosciuto così, in un parco non molto diverso, quando erano bambini, tutto intento a costruire un pupazzo di neve più grande di lui.
"Non che ci voglia granchè", si era detto studiando la piccola figura incappucciata, e gli si era avvicinato, per il solo gusto di complicargli il lavoro e abbattere quella scultura bianca, per vedere come avrebbe reagito quello scricciolo.
Ma quando gli occhi vividi del più piccolo avevano allacciato i suoi con uno sguardo sereno e ingenuo, privo di timidezza e di malizia, aveva deciso che quel bambino, che lo invitava a partecipare alla propria impresa con spontaneità, senza neppure pensare che Akira l'aveva raggiunto con lo scopo di vanificarla, doveva essere protetto. Protetto dagli altri bambini che avrebbero ignorato quello sguardo fiducioso, protetto dagli adulti che non avrebbero mosso un dito per intervenire in un litigio tra ragazzi, e protetto da un mondo che Akira non sapeva ancora quanto fosse duro, ma se lo era la metà di quel che sentiva dire, allora quel bambino non avrebbe avuto scampo. E aveva anche deciso che sarebbe stato lui a proteggerlo.
Così erano passati vent'anni, e quello stesso scricciolo lo guardava tranquillo, con lo stesso sorriso giocoso sulle labbra. Sentì le proprie piegarsi un un'espressione che ormai gli era famigliare, da quando il suo cuore non era colmo che di lui.
"Bellissimo", annuì.
Non che si fosse riferito al solo panorama. Takanori lo intuì, e sorrise in maniera diversa, tralasciando l'allegria per dare spazio sulle labbra ad una dolcezza profonda.
"Mi raggiungi?" chiese.
"Ti ho mai lasciato solo?" replicò lui. Takanori lo inchiodò con uno sguardo dalle mille sfumature, una più prorompente dell'altra. Akira gli sorrise:
"Arrivo subito", esclamò, chiudendo la finestra.
Pochi minuti dopo erano entrambi seduti sugli scalini ghiacciati a fissare la città bianca, la testa di Takanori sulla spalla di Akira, ben coperto nel suo cappotto chiaro, ed il braccio di quest'ultimo attorno alla schiena del più piccolo.
"Taka?"
"Mhm?"
"Buon Natale."


Oh I miss you now, my love
Merry Christmas, merry Christmas,
Merry Christmas, my love


Buon Natale, amore mio.
Lo sussurro tra le labbra, ed è quasi un sollievo. Dare una voce al dolore non mi fa male quanto trattenerlo.
Buon Natale.
La tua è una presenza così vivida, oggi.
Un sospiro più profondo mi solleva il petto, e mentre apro gli occhi il rumore di poco fa si ripete.
Non viene da fuori.
Mi tiro a sedere con calma, ma i battiti del cuore accelerano. Sento un mormorìo al piano di sotto. Un tono ugualmente basso ma diverso gli risponde.
C'è qualcuno in casa.
Mi alzo, piano, ed in silenzio raggiungo la porta accostata. La apro un pò di più, cercando di captare qualcos'altro. Lancio un veloce sguardo alla sveglia sul comodino. Le 12.37.
Chi va a svaligiare una casa la mattina di Natale all'ora di pranzo?!
Un tonfo, qualcosa che rotola sul tappeto. Mi sporgo dalle scale per vedere cosa sia ed il mio sguardo cade su una bottiglia colma di un liquido scuro.
Una figura scura sbuca da non so dove ed indietreggio di scatto per non farmi vedere.
Quando mi affaccio di nuovo, la figura e la bottiglia sono sparite.
Però sento un richiamo dalla cucina. Una serie di mormorii concitati.
"Scusate! Non l'avevo vista, l'ho urtata col piede!"
"Hai la grazia di un transatlantico, Kou."
"Ehi!"
"L'importante è che non sia rotta, stai tranquillo, Kouyou."
Riconosco le voci prima ancora di far caso al nome pronunciato. Mentre mi chiedo cosa ci facciano qui, come abbiano fatto ad entrare, e le risposte - è Natale, come ho potuto credere che mi lasciassero solo davvero, quando sono io che li allontano, quando loro non vogliono che starmi vicino. La chiave, io stesso ne ho dato una copia a Kouyou, anni fa - mi si accavallano nella mente, una sensazione pungente e familiare mi pervade il petto. La stessa che mi prendeva lo stomaco quando svegliandomi vedevo Takanori dormire, la stessa con cui ci stringevamo le mani tutti e cinque alla fine di un concerto, la forza struggente di qualcosa che ti fa male appena entra e poi ti colma di uno strano sollievo agrodolce.
"Credi che si sia svegliato?"
"Non lo so. Spero di no."
"Forse è già sveglio. Andresti a controllare?"
Un breve silenzio. Quasi li vedo guardarsi a vicenda. Mi accorgo di star sorridendo immaginandoli. La sensazione si tinge di colori più caldi, delineandosi.
"Non è meglio aspettare che sia tutto pronto?"
"... Yutaka, stavo pensando... ma se non ha voglia di vederci? Di... avere gente per casa, proprio oggi? Magari non se la sente."
Eccolo, lo squarcio di luce.
Le parole di Kouyou ed il suo tono mi piombano addosso travolgendomi.
Gente. Avere gente per casa.
Sono arrivato a fargli credere che non siano più di questo?
I miei amici.
La mia famiglia.
Che io ho tenuto alla larga, quando invece ne ho un bisogno spasmodico. Lo capisco adesso, stringendo le dita attorno al parapetto di legno delle scale.
Ho bisogno delle braccia di Kouyou, del sorriso di Yutaka, dei capelli di Yuu sulla guancia, quando tutti e tre mi stringono per non farmi spezzare.
Commozione.
Nel riconoscere che non mi hanno mai lasciato solo nonostante li scacciassi, nell'intuire perchè siano venuti proprio oggi tutti e tre, nel cogliere nella voce del mio migliore amico un timore che non gli avevo mai sentito esprimere nei miei confronti.
La paura che lo allontani ancora.
Eppure anche loro ti hanno perso, Taka. Ma erano lì per me, ed io non li volevo. Io che per loro non ci sono mai stato da quando sei andato via.
Ho già deciso cosa fare, senza neanche rifletterci.
Fa male pensare che non ti troverò di sotto con loro, nè in camera, quando salirò nuovamente le scale alla fine della giornata, ma ad ogni gradino che scendo ho quasi fame della loro presenza, e più mi avvicino, meno pesante si fa quel blocco di marmo sullo stomaco.
Riesco a inquadrarli, in cucina. Yutaka è l'unico che potrebbe vedermi dalla sua postazione, ma sta guardando Kouyou con aria stanca e sfiduciata, troppo concentrato per notare me. Vorrei cancellargli quell'espressione dal viso e dagli occhi.

Posso farlo. Io voglio farlo.

Akira scese gli ultimi gradini con lentezza ed in silenzio, guardando i suoi amici più cari e riuscendo a vederli dopo diversi mesi in cui non poteva nemmeno sperare di cogliere ogni loro singola sfaccettatura. Vide i loro lineamenti chiari più sottili, più fragili di come li ricordava. Capì che l'espressione seria di Yutaka non lasciava il posto al sorriso così facilmente come una volta, se ne accorse dai leggeri segni che si erano formati attorno ai suoi occhi e sulla fronte. Percepì una mutazione nel carattere estroverso e pronto al gioco di Yuu quanto nel legame che aveva con Kouyou, perchè nonostante avesse ascoltato la battuta sarcastica del moro e la replica imbronciata del biondo, vi aveva riconosciuto un tono cauto, quasi una paura che l'altro potesse prendersela, che un altro filo si spezzasse.
Una volta, Yutaka sarebbe scoppiato a ridere vedendoli discutere e stuzzicarsi, così come avrebbero fatto lui e Takanori. Anche Yuu e Kouyou avrebbero passato la giornata prendendosi in giro ridendo, a dimostrazione che il periodo in cui si erano allontanati era del tutto cessato e dimenticato.
Adesso erano tutti e tre lì, nella sua cucina, per non lasciarlo solo il giorno di Natale, eppure si muovevano e si parlavano guardinghi.
La perdita di uno di loro avrebbe dovuto rafforzarli, non sgretolarli poco a poco.
Forse era questo che cercavano, quel giorno. Il permesso di Akira per continuare a stare assieme e a stare bene assieme.
Probabilmente pensavano che non lo avrebbe mai accettato.
Akira vide anche questo. La sensazione di calore e mancanza si intensificò al punto di bloccargli il respiro.
Non avrebbe pianto. Takanori odiava vederlo piangere.


Ma Takanori aveva odiato anche l'idea di lasciarmi. E avrebbe odiato vederci così, lontani uno dall'altro, prudente l'uno con l'altro, come fossimo conoscenti. Non fratelli.
Però, al contrario di Takanori, io posso decidere di restare. Posso scegliere di riaverli con me. Ho bisogno della mia famiglia, Taka. Tanto quanto ho bisogno di te.

Lui non lo avrebbe riavuto, se non nei ricordi. Ma era ancora in tempo per evitare di perdere qualcun altro.

"... credere che non sia così. Ma non lo so, io... non lo so più."
Yutaka si sedette sospirando, la testa tra le mani. Kouyou si appoggiò al lavello chinando il capo. Yuu si voltò, dando loro le spalle e chiudendo gli occhi, per poi riaprirli dopo qualche secondo e trovarsi davanti Akira. E Akira fissò il proprio sguardo nocciola e sereno in uno scuro e colmo di pena, spezzato da lacrime cocenti. Non lasciò il tempo a Yuu di sorprendersi o spaventarsi per la sua apparizione improvvisa, non permise neppure a se stesso un momento per pensare.
Coprì con due passi la poca distanza che li separava e lo abbracciò.
Sentì Yuu fremere; poi, due braccia lo cinsero con forza, un cuore battè contro il suo ad un ritmo veloce, e seppe di essere al sicuro.
Posò il mento sulla spalla del moro e guardò gli altri due. Kouyou lo guardava con un'aria incerta, a metà tra lo stupore gioioso e un timore imbarazzato. Yutaka si era alzato e ricambiò lo sguardo con intensità, prima di sciogliersi nel sorriso che Akira ricordava come suo e suo soltanto.

Nessuno sorride come Yutaka, aveva detto Takanori una volta.


Avevi ragione, chibikko.

Così, tenendo stretto un fratello contro il suo cuore e avvolgendo gli altri due con uno sguardo di profondo affetto, mormorò:
"Buon Natale, ragazzi."


Sense of joy fills the air
And I daydream and I stare
Up at the tree and I see
Your star up there



Non c'è stato alcun imbarazzo, sai, Taka? Il tempo di lasciar andare Yuu e Kouyou mi era già addosso, seguito da Yutaka. Non ho avuto neppure modo di scusarmi, appena mi nasceva un'espressione strana sul viso tornavano a parlare e ad interrompere i miei pensieri. Non c'è stato spazio per pentirsi di aver perso di vista tante cose.
Mi sono accorto che non hanno mai smesso di sfiorarmi. Quando, seduti sul divano, Yuu si è alzato - scostando le dita dal mio avambraccio - per aiutare Yutaka a portare i bicchieri, Kouyou ha afferrato l'altra mia mano e me l'ha tenuta stretta, continuando a chiacchierare del più e del meno e a farmi ridere. Non tanto per le sue battute, anche se oggi il suo umorismo era davvero al top. Ridevo di sollievo, di gratitudine.
Credo di essere stato anche felice, in alcuni momenti.
Spengo l’ultima lampada al piano di sotto e alla luce delle decorazioni intermittenti osservo con un mezzo sorriso quei tre pazzi addormentati. Kouyou sa ripiegarsi su se stesso come un gatto: dorme su quella poltrona tranquillo, comodo come fosse il suo letto. Secondo me domani avrà un mal di schiena lancinante. Yuu e Yutaka si sono divisi il divano. O meglio, Yuu è crollato prima di Yutaka, quindi il nostro leader ha dovuto prendersi lo spazio che il chitarrista gli aveva lasciato. Ma li vedo entrambi sereni. Vorrei non essermi svegliato ed essere rimasto con loro, sull’altra poltrona, appallottolato come Kouyou, ma sono contento di non essermi perso questa scena. E comunque la schiena mi serve illesa.
Sarà bello svegliarmi domani e averli qui.

Sarà come è sempre stato, anche se non è stato mai così.

Salgo le scale pensando, come avevo previsto oggi, che non ti troverò in camera. Una morsa mi stringe il cuore, ma è più pietosa di quelle precedenti. Meno straziante. Mi spoglio lentamente – una fitta improvvisa mi riporta alla mente le notti trascorse con te, quelle in cui credevamo che niente ci avrebbe separati,e le ultime, in cui sapevamo che sarebbe successo, e ci stringevamo con tanta forza da farci male. Ma per grazia del cielo, non dura a lungo, e torno a respirare con regolarità. Qualcosa picchietta improvvisamente contro la finestra. Mi volto e la raggiungo, scrutando all’esterno.
Nevica.

“Akira, guarda! Akira? Akira!”
Al terzo richiamo si girò, beccandosi una palla di neve in piena faccia.
“Taka, prega che le tue gambette corte siano veloci, perché se ti raggiungo ti uccido!” ringhiò, sputacchiando e scuotendo la testa.
Il ragazzino gli fece una linguaccia in risposta e rimbeccò:
“La colpa è tua, non mi consideri, dovevo richiamare la tua attenzione!”
“Ah si, eh?” rispose, chinandosi a raccogliere quanta più neve poteva tra le mani. Takanori gli lanciò uno sguardo terrorizzato:
“No, Akira, aspetta!”
Gli corse incontro abbracciandolo forte e posandogli la testa sul petto:
“Scusa, scusa, non lo faccio più, va bene?” implorò, con un’espressione da cerbiatto. Akira sbuffò, alzandogli il mento con due dita.
“Che ruffiano.”
Il più piccolo sorrise, certo di essersela cavata anche stavolta.
“Guarda, Aki-chan! Guarda cosa volevo farti vedere!”
“Aki-chan?” boccheggiò l’altro, ma Takanori gli tirò la mano con forza ignorandolo per poi lasciarlo e afferrare manciate di neve. Akira si dimenticò il nomignolo e indietreggiò, temendo un nuovo attacco:
“Ma allora vuoi proprio morire?!”
“No!” esclamò Takanori perplesso, poi intuì cosa l’altro intendesse e rise.
“Ma no, Akira! Guarda!”
Alzò le mani al cielo lanciando in aria la neve, che si sbriciolò in salita, ricadendo poi tutta intorno ai due bambini.
“Sto facendo nevicare!” esultò Takanori.
“Ah, tutto qui?” commentò Akira inarcando un sopracciglio.
Il più piccolo lo guardò indispettito:
“Dai, Akira! E’ stata l’ultima neve dell’anno, lo hanno detto in televisione. A me però piace quando nevica, e voglio continuare a far finta che stia nevicando. Mi aiuti?”
L’altro lo guardò con un sorriso appena accennato.
“Ci saranno altri inverni, eh, non è che questo sia l’ultimo.”
Takanori rimase in silenzio, lasciando ricadere le braccia lungo il corpo.
“E se nei prossimi non siamo insieme?” replicò poi in un soffio. Akira aggrottò le sopracciglia:
“Cioè?”
Takanori alzò la testa e lo fronteggiò con espressione trepidante:
“Se ci trasferiamo, e non ci vediamo più? Se quando ricomincia la scuola tu trovi altri amici e ti dimentichi di me? E se poi io non ti manco ma tu mi manchi? Perché a me manchi quando non ci vediamo, sai. E non voglio altri amici. Gli altri bambini non mi piacciono, ed io non piaccio a loro.”
Akira restò in silenzio, guardando quello scricciolo con cui giocava incessantemente da giorni, quel piccolo puffo dalle guance rosse per il freddo che l’aveva fatto capitolare dalla sua decisione di distruggergli il pupazzo di neve e che anzi l’aveva convinto a farne uno più grande ancora assieme a lui. Certo che gli altri bambini lo avrebbero maltrattato, indifeso com’era. Certo che gli sarebbe mancato, se non si fossero rivisti. Certo che non avrebbe mai potuto dimenticarsi di lui.
“Ma guarda che vale anche per me, Taka-chan.”
Il più piccolo l’aveva guardato spalancando gli occhi.
“Davvero?”
“Sì.”
Takanori sorrise raggiante, prendendo altra neve e facendola cadere su di sé.
“Allora dai, solo per oggi, aiutami a far nevicare!”
Akira sorrise e si arrese, seguendo il suo esempio e tirando in alto la neve, manciata dopo manciata, finchè non sembrò quasi che scendesse davvero dal cielo in piccoli fiochi lucenti sui due bambini.
Takanori alzò le braccia ridendo e volteggiò sul posto, lasciandosi infine cadere sul morbido manto.
“E’ bello, vero, Aki-chan?” domandò senza fiato, gli occhi lucenti.
Akira lo guardò, fissò i capelli colmi di neve, le guance rosse, lo sguardo luminoso di Takanori per lungo tempo. Poi sorrise annuendo.
“Bellissimo.”


C’è un cielo stupendo e limpido, stanotte. Le stelle brillano come oro. Chissà qual è la tua fra tante, Taka?
Mi appoggio al vetro e fisso la volta argentata, individuando subito un punto che splende con più forza e vigore degli altri. Eccoti. Sono certo che sia quella. Eri la stella più luminosa quando vivevi sulla terra, mi sembrerebbe assurdo che non lo fossi ora che puoi insegnare anche alle altre come sfavillare. Chissà perché non ho mai pensato a cercarti tra le stelle. Ci saresti stato, lo so. Ci metto un po’ a capirle le cose, ma poi ci arrivo. Ti immagino sorridere e la tua stella ha un guizzo più vivace. Ti sorrido anche io da qui, mi vedi, Taka? Resti con me, stanotte?

“Perché piangi?”
Akira socchiuse gli occhi e vide quelli di Takanori brillare nel buio.
“Credevo dormissi.”
“E perdere l’occasione di imprimerti ancor più nella mia mente?”
Sorrisero. Takanori alzò la mano e sfiorò la guancia umida di Akira.
“Sono ancora qui, Aki-chan.”
Akira si morse le labbra e avvolse con un braccio il suo fianco, tirandolo a sé. Takanori si accoccolò contro di lui, respirando piano.
“Ti prometto che sarò qui anche domani, quando ti sveglierai.”
“Non lasciarmi, Taka.”
“No, Akira” rispose lui in un sussurro, posandogli una mano sul petto.
“Stanotte non ti lascio. Dormi tranquillo, itoshii. Sono qui. Stanotte resto con te.”


Il letto era pronto ad accoglierlo. Non si stupì di sentire le coperte tiepide, nonostante nessuno vi fosse entrato da diverse ore. Chiuse gli occhi e l’ombra di un sorriso aleggiò sul suo volto, nonostante le lacrime che lo rigavano. Strinse a sé il cuscino e scivolò nell’eco del ricordo di una mattina di Natale, quando non aveva bisogno di richiamare alla mente il calore del corpo di Takanori vicino al proprio per riassaporare la sua presenza, ma gli era sufficiente allungare una mano e sfiorarlo.

“Dannata neve! E’ la terza volta che rischio di rompermi l’osso del collo là fuori” borbottò Akira entrando in cucina e scuotendosi i fiocchi bianchi dai capelli.
Takanori alzò lo sguardo dalle pentole e sogghignò:
“Non sei atletico, Aki-chan.”
“Stanotte non la pensavi così, mi pare” gli sibilò il biondo in risposta, ottenendo come rivincita una discreta sfumatura rosata sulle guance dell’altro.
“Stronzo.”
“Ti amo anche io” commentò sorridendo.
“Davvero?” chiese velocemente Takanori, gli occhi fissi su di lui, l’espressione quasi ansiosa.
Akira gli si avvicinò, cingendogli i fianchi con le braccia e guardandolo sereno.
“Ne dubiti, chibikko?”
Takanori sorrise lentamente, una nuova espressione colma di dolcezza sul viso chiaro.
“Sono vent’anni che mi chiami Aki-chan e ancora non ti ho massacrato, qualcosa vorrà dire.”
Takanori sbuffò tornando al suo pranzo, lanciando un’occhiataccia al biondo che ridacchiava.
“Invece di fare lo spiritoso aiutami, che tra poco arriva il resto della truppa.”
“Meglio! Così lasci i fornelli a Kai e forse riusciamo a pranzare con qualcosa di decente” ribattè Akira, conscio d’aver scatenato la piccola tigre. Takanori difatti si voltò, brandendo un mestolo come fosse un'arma:
“Se la mia cucina ti fa schifo, puoi… oh, no.”
"Che c’è?” domandò Akira, seguendo lo sguardo del più piccolo e guardando fuori dalla porta-finestra della stanza in cerca della ragione del mancato scoppio d’ira.
“Ha smesso di nevicare” rispose Takanori.
“Oh” replicò il biondo, perplesso. Poi guardò il moro, la cui espressione era quasi sconsolata.
“Ricomincerà, vedrai.”
“Sai che mi piace quando nevica” mormorò Takanori in risposta, armeggiando con i fornelli.
Akira rimase a guardarlo, in silenzio, per un intero minuto, seguendone i gesti con attenzione, quasi dovesse fornirne un resoconto dettagliato, intanto che nei suoi occhi si accendeva una luce più tenera.
“Finito!” esclamò l’altro con soddisfazione, abbassando il fuoco sotto una delle pentole che borbottava. Si voltò verso il biondo e notando il suo sguardo assunse un’espressione incuriosita:
“Che cosa c’è?”
Akira si alzò e gli si fermò davanti, prendendogli le mani e stringendole forte tra le sue.
“Vieni con me.”
Lo guidò attraverso la porta-finestra in giardino; lì gli lasciò le mani e raccolse una gran manciata di neve dal suolo. Takanori indietreggiò preoccupato:
“Oh, non ti ci provare, eh!”
Akira sorrise:
“Guarda, Taka” sussurrò lanciando in alto la neve, che ricadde in piccoli batuffoli bianchi attorno a lui. Una volta finiti questi, raccolse altra neve e ripetè il gesto.
“Sto facendo nevicare.”
Takanori lo fissò con espressione indecifrabile per un lungo momento, poi lentamente le sue labbra si schiusero in un sorriso realmente felice. Si chinò seguendo l’esempio del biondo e ripetendone le mosse, ancora ed ancora, finchè non fu un vento freddo e giocoso ad alzare e far scendere in fiocchi quelle manciate di neve, investendo i due ragazzi di soffice lana ghiacciata.
“Sta ricominciando davvero!” esclamò Takanori, alzando le braccia tra i cristalli danzanti.
Akira lo guardò con il cuore che traboccava di tenerezza e amore, e lo raggiunse, posando le mani sul viso del moro e scrutandolo negli occhi scuri.
“Non avrei mai potuto dimenticarmi di te, Takanori. Sei rimasto com’eri il giorno del nostro primo Natale assieme, mentre giri su te stesso con le braccia verso il cielo e la neve ti scivola attorno. Ti avrei sempre ricordato così ed è così che voglio vederti per tutti i Natale a venire. Voglio tenere questo momento per sempre.”


Takanori lo aveva guardato con gli occhi colmi di lacrime ed un sorriso che valeva più della vita stessa.

And this is how I see you
In the snow on Christmas morning
Love and happiness surround you
As you throw your arms up to the sky
I keep this moment by and by



Voglio ricordarti così.


“Buon Natale, Akira.”
“Buon Natale, amore mio.”



















Ebbene, non che si sentisse la mia mancanza, però ormai lo sapete che io scrivo specialmente quando sono sotto esami. Il fandom farà una festa dopo che avrò preso la Laurea, così sarete liberi da questa maledizione XD Però nel frattempo potete cliccare sulla X nell’angolo destro in alto U.U
Questa fic… non me la sento di commentarla bene. Ho due annotazioni a proposito, una tecnica e una personale.
La tecnica è che le ripetizioni che troverete sono tutte volute, non è che fossi a corto di vocaboli. Inoltre, ho anche rifatto la storia in tutto… mhm… quattro volte, da ieri pomeriggio alle sei. Era pronta, ieri, poi rileggendola non m’era piaciuta. Ci avevo messo dentro troppo poco.
Adesso (ore 2.44) che l’ho letteralmente riscritta da capo (sì, per la quinta volta, e di notte pure) e che ci ho messo dentro troppo, sto peggio, e di rileggerla non me la sento. Domattina prendo e posto, e stop.

Questo mi porta all’annotazione personale.
Odio averla scritta. Non per via di Shin, eh, chiariamoci!
Semmai, mi dispiace che, povera piccola, io non abbia di meglio da dedicarle. Spero ti piaccia comunque, bimba.
E’ che avevo intenzione di chiudere l’anno diversamente e di aprirlo con brio, non con… con questo, con la perdita. E’ stata una cosa tormentosa, e visti i risultati ve la potevo pure risparmiare, però un impegno è un impegno.
Ad ogni modo… Per quanto sia scritta con uno stile tutto mio, per quanto la tematica possa non piacere, e così via, mi piacerebbe che potesse piacere anche a voi.
E’ per Shin, certo, ma vorrei dedicarla anche a tutte quelle persone che trascorrono il Natale ricordando una persona a loro cara che non può più stargli accanto. In special modo, vorrei abbracciare tanto, forte forte, la mia stellina Kiki. Ti voglio bene, chicca.
La canzone è di Sarah McLachlan, si intitola Wintersong.
Vi consiglierei di ascoltarla leggendo, perché esprime con le note ben più di quel che ho tentato di esprimere io a parole. L'avrei postata ma non mi riesce.
Ah, ultima cosa: grazie.
Grazie di cuore a Mya, Kiki, Guren, Aeth, Deneb, irisviola, Debo94, e a tutte quelle squisite personcine che commentando o inserendo tra i preferiti danno qualche valore a ciò che scrivo.
Un bacio, ed un sincero augurio di cuore per tutto.
Jo

  
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