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Autore: Carlos Olivera    09/01/2010    5 recensioni
Giappone. XVI Secolo.
La guerra civile consuma e distrugge tutto ciò che incontra. I signori della guerra si combattono l'un l'altro per il potere assoluto, i contadini soffrono e muoiono nelle campagne, i mercanti si arricchiscono, e le città bruciano.
Oda Nobunaga, presentatosi come il salvatore del Paese, si appresta a riunificare l'intero Giappone sotto il suo comando, e ben presto anche gli ultimi che ancora lo contrastano cadranno come fiori appassiti.
Ma qualcosa, qualcosa di terribile, cova al di sotto del caos che ovunque regna sovrano. Dall'occidente sono arrivate nuove armi, nuove conoscenze e una nuova fede, ma anche un'antica e sanguinosa battaglia segreta che dura da centinaia di anni, e che avrà in questo Paese uno dei suo maggiori teatri di scontro.
Dovere. Onore. Vendetta. Giustizia. Questo è ciò che mi guida, che mi spinge e proseguire lungo la strada che ho scelto, verso quel destino a cui non posso sottrarmi.
E' la mia maledizione.
Io sono Iguro Takemura.
Io sono... un Assassino.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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PROLOGO

PROLOGO

 

 

Nella seconda metà del sedicesimo secolo, il Giappone è devastato dalla guerra civile.

            I fuochi delle battaglie distruggono la terra, e il potere centrale è inerte dinnanzi alla violenza indiscriminata che di giorno in giorno diventa sempre più incontrollabile.

            Molti signori della guerra, alla guida dei rispettivi clan, si combattono ferocemente tra di loro per ottenere il potere, e fra di essi vi è Oda Nobunaga, daimyo della provincia di Owari. Carismatico e sanguinario, Nobunaga è impegnato da anni in una difficile campagna militare volta ad unificare l’intero Paese sotto un solo stendardo, e per riuscire in questa difficile impresa             il signore degli Oda si è avvalso di ogni possibile soluzione, sfruttando al meglio la propria abilità di condottiero e uomo politico; per assicurarsi una vantaggiosa alleanza ha dato in sposa la sorella Oichi a Nagamasa Azai, garantendosi in questo modo l’alleanza del potente clan Azai della provincia di Omi.

            In quanto dotato di grande esperienza e di una mentalità aperta al cambiamento, Nobunaga ha compreso subito l’immenso potenziale offerto dalle armi da fuoco, allora ancora sconosciute in Giappone e arrivate da oltreoceano grazie ai mercanti portoghesi; inoltre, usando come un’arma la nuova religione predicata dai missionari arrivati dall’Europa, che in poco tempo aveva trovato un buon numero di fedeli, è riuscito nell’intento di seminare sospetto tra i suoi oppositori, ostili nei confronti dei costumi occidentali, che troppo occupati a scontrarsi l’un l’altro non riescono a coalizzarsi per contrastare la sua armata, che diventa di giorno in giorno sempre più potente.

            Uno dopo l’altro i nemici degli Oda cadono come foglie secche, e ormai i clan Takeda e Nagao, guidati dai loro ultimi discendenti, Shingen Takeda e Uesugi Kenshin, sono tutto ciò che divide Nobunaga dal controllo totale sul Giappone.

            Tuttavia, prima di infliggere il colpo finale agli unici avversari in grado di minacciarlo, il signore degli Oda ha voluto assicurarsi un altro prezioso alleato, pertanto, accompagnato dai suoi più fedeli generali, Ieyasu Tokugawa e Akechi Mitsuhide, e dal suo nuovo genero, Azai Nagamasa, ha mosso le proprie armate in direzione di Kyoto per spodestare Ashikaga Yoshihide, shogun fantoccio controllato dal clan Miyoshi, e mettere al suo posto un proprio alleato, Ashikaga Yoshiaki, con l’intento di occupare militarmente la capitale del Paese e poter contare allo stesso tempo su di uno shogun fedele che avrebbe legittimato tutte le sue future conquiste.

            Mentre i nobili e i potenti si fanno la guerra, nei campi i contadini cercano per quanto possibile di continuare la propria pacifica esistenza, ma i briganti, le razzie, le confische e i continui ribaltamenti di potere hanno esasperato gli animi, portando ovunque sconforto e rassegnazione, e ora che Nobunaga si appresta ad entrare a Kyoto sono in molti a ritenere che da ora in poi le cose potranno soltanto peggiorare.

 

Provincia di Tamba

Agosto 1568

 

La giornata volgeva al termine nel piccolo villaggio adagiato placidamente sul fondo della vallata, circondato dalle risaie.

            Il sole stava quasi per completare la sua discesa oltre l’orizzonte, e il fresco venticello della sera trasportava dalle montagne un piacevole odore di erbe, preannunciando quella che sarebbe stata una splendida notte.

            Da laggiù, da quel piccolo eremo di tranquillità e pace, la guerra che imperversava nel resto del Paese sembrava così lontana, ed erano passati anni dall’ultima volta che gli abitanti avevano visto un soldato o un samurai. Gli alti monti fornivano protezione, e gli unici valichi che li attraversavano erano troppo stretti per permettere ad un esercito di passarci agevolmente, senza contare che solo pochi ne conoscevano l’ubicazione. Infine, la vicinanza alla capitale scoraggiava le azioni dei briganti, che altrove invece regnavano indisturbati.

            La campana posta in cima alla torre annunciò a tutti la fine del lavoro, e i contadini, affaticati ma soddisfatti da una lunga giornata lavorativa, cominciarono a rientrare; le spighe crescevano come non avevano mai fatto, e per la fine dell’estate si preannunciava un raccolto davvero memorabile.

            Uno degli ultimi ad abbandonare il proprio lavoro fu un giovane appena diciottenne dall’espressione amichevole. Ciò che colpiva maggiormente di lui erano i suoi tratti, che pur rievocando in parte quelli tipici del popolo giapponese, con occhi leggermente allungati e i capelli neri, erano in verità molto particolari, e praticamente unici all’interno della sua comunità: altezza leggermente sopra la media, corporatura slanciata e prestante, occhi marrone scuro e volto tondeggiante.

            Il suo nome era Iguro, ed era figlio di Toru Takemura, uno degli uomini più in vista del villaggio, e di certo il più rispettato.

            Appena tornò verso casa, l’unica leggermente più sfarzosa delle altre e circondata anche da un piccolo muretto, gli venne incontro proprio suo padre, che invece era già rientrato da alcuni minuti. Lui che era suo figlio non ci faceva caso, e lo stesso valeva per i suoi concittadini, ma la zoppia che affliggeva Toru alla gamba destra era più che evidente, tanto da costringerlo ad una camminata ondulante e molto lenta, ma questo serviva solo ad accrescere il senso di rispetto che la sua figura suscitava in chi gli stava intorno.

            Poco più che cinquantenne, aveva occhi neri che trafiggevano più di una lama, capelli corvini raccolti in cima alla nuca in una coda nobiliare, cosa insolita per un contadino, per quanto rispettato, e un accenno di barba a circondargli la bocca.

            «Bentornato, figliolo.»

            «Grazie, padre.» rispose il ragazzo facendo un lieve inchino.

            Poco dopo sopraggiunse anche la madre, Suzue, una donna che, per quanto piuttosto avanti con gli anni, conservava ancora un certo fascino: di dieci anni più giovane del marito, in gioventù aveva lavorato come governante a Kobe, sua città natale, presso alcune nobili famiglie occidentali, soprattutto di ricchi mercanti, la più importante delle quali era stata senza alcun dubbio la famiglia dell’esploratore portoghese Fernão Mendes Pinto, in assoluto il primo occidentale nella sTorua ad aver messo piede in Giappone.

            «Iguro.»

            «Madre.»

            «Anche oggi hai fatto tardi.»

            «Mi dispiace, avevo del lavoro da finire.»

            «Avanti, venite dentro tutti e due. Ho appena finito di riscaldare l’acqua».

            Al termine di una massacrante giornata nei campi non c’era niente di meglio di un bella immersione in una tinozza d’acqua calda per recuperare le forze, e non era raro che, come quella sera, padre e figlio facessero il bagno insieme per ridurre al minimo il consumo sia dell’acqua che della legna per riscaldarla.

            Dopo il bagno venne il momento della cena, insolitamente abbondante per una famiglia di contadini: riso bollito, pesciolini di fiume essiccati ed insaporiti con daikon grattugiato e della verdura. Come detto, il villaggio di Iguro se la passava piuttosto bene, e ora che il nuovo raccolto, peraltro così abbondante, era alle porte era possibile dare maggiormente fondo a quelle scorte che durante tutto l’arco dell’anno erano state prudentemente messe da parte di previsione di un eventuale periodo di magra.

            A rendere la cena ancor più vivace ci pensava Sota, lo splendido Akita Inu che Iguro alcuni anni prima aveva trovato ancora cucciolo a vagare per le risaie attorno al villaggio e che tutti gli abitanti in qualche modo avevano adottato. Come ogni sera, si presentò alle otto in punto di fronte alla porta della casa, lasciata aperta, e come vide il suo padrone venirgli incontro con una ciotola piena di riso, pesce tagliuzzato e qualche avanzo della cena prese subito a scodinzolare, saltando in tutte le direzioni.

            «Sei contento di vedermi, eh?» disse il ragazzo ricevendo feste a non finire.

            Come l’ultimo raggio di sole scomparve del tutto una splendida notte senza nubi illuminò la vallata con la luce di milioni di stelle; la luna, grande e piena, brillava con tutta la sua forza, rendendo quasi superfluo il tenue bagliore prodotto da qualche lampada accesa qui e là al di fuori delle case.

            A causa della lunga e difficile giornata lavorativa quasi tutti nel villaggio si coricarono subito dopo aver finito la cena, ma per Iguro restava ancora un’ultima cosa da fare prima di andare a dormire. Recatosi nel retro del giardino, in un piccolo spiazzo circolare di una decina di sei o sette metri di diametro, armato di un lungo bastone leggermente ricurvo, incominciò come ogni sera ad allenarsi minuziosamente nell’arte della spada, dimostrando di possedere abilità, grazia ed eleganza assolutamente non comuni per un contadino.

            Fin da piccolo aveva sentito di provare una certa attrazione per quella vita, la vita del guerriero, e anche se sapeva svolgere il suo lavoro alla perfezione chi lo aveva visto allenarsi riteneva, senza peccare di esagerazione, che la sua vocazione era quella del samurai, e non del contadino.

            Negli ultimi anni alcune persone di umile estrazione erano riuscite ad imporsi all’attenzione e al rispetto di alcuni tra i più potenti clan del Giappone grazie alla loro perizia con la spada, all’abilità militare o al carisma con cui riuscivano a persuadere anche gli animi più forti, e qualcuno diceva che forse, se solo Iguro fosse uscito da quella specie di isola remota che era la valle in cui era cresciuta, nascondendo magari le sue vere origini, un giorno o l’altro avrebbe potuto fare fortuna, arrivare in alto.

            Ma questo, in verità, allo stesso Iguro non importava più di tanto: la sua vita gli piaceva, aveva tutto quello che si potesse desiderare: famiglia affettuosa, degli amici fedeli e una casa accogliente. Ogni tanto, per via dei suoi tratti così singolari, si sentiva come un pesce fuor d’acqua, e più di una volta, soprattutto durante la prima adolescenza, si era domandato se quello fosse davvero il suo giusto posto nel mondo, ma con il tempo questi pensieri si erano affievoliti, e più passavano i giorni e le stagioni più si convinceva che il suo giusto posto lo aveva già trovato.

            D’un tratto, mentre era nel bel mezzo di un esercizio, si accorse di avere addosso gli occhi di suo padre, che lo osservava da sotto la veranda, appoggiato al muro della casa. Chissà da quanto tempo era lì a guardarlo, e lui, concentrato com’era, non se ne era accorto.

            «Padre!?»

            «Stai migliorando. Questo si vede.»

            «Da quanto… da quanto siete qui?»

            «Da un po’.»

            «Io… io credevo che dormiste.»

            «E lo starei ancora facendo, se non fosse per il baccano che fai.»

            «Mi… mi dispiace. In effetti è molto tardi. Sarà meglio che vada a letto».

            Zoppicando, Takemura raggiunse a sua volta il piccolo campo d’allenamento, e prima che il figlio posasse il bastone strinse le sue mani.

            «Tieni le mani troppo distanziate.» disse riposizionandole nel modo giusto «Con un bastone leggero può anche andar bene, ma impugnando la spada in questo modo faticheresti a controllarla, e i tuoi movimenti sarebbero impacciati. Ecco, così va’ meglio».

            Non c’era da stupirsi che suo padre conoscesse il modo più corretto di impugnare una katana.

            In pochi nel villaggio lo sapevano, ma l’uomo chiamato Toru Takemura era stato in gioventù un samurai al servizio del Clan Rokkaku, e aveva combattuto per il grande condottiero Rokkaku Yoshikata, con cui aveva stretto uno speciale rapporto di amicizia, in numerose battaglie. Purtroppo, quando era ad un passo dalla nomina ad ufficiale una brutta ferita di guerra segnò la fine della delle sue aspirazioni. Impossibilitato a proseguire la sua carriera militare aveva cercato il suicidio, ma Yoshikata, in memoria del legame che li aveva uniti, lo aveva convinto a non togliersi la vita e a fare ritorno al suo villaggio, dove, sposatosi, aveva iniziato una nuova vita come semplice contadino.

            Di tanto in tanto Takemura soffriva per la sorte avversa che lo aveva colpito, si vedeva chiaramente, ma il pensiero di avere accanto a sé una moglie ed un figlio migliori di quanto avesse mai sperato serviva ogni volta a dargli forza, e a ricordargli che in fin dei conti non era stato tutto vano.

            «Grazie padre».

            Toru sorrise leggermente, poi diede al figlio un leggero scappellotto.

            «E ora a letto, forza. Domani c’è da alzarsi presto».

 

Non aveva idea di dove si trovava, né di cosa gli stesse succedendo.

            Davanti ai suoi occhi scorrevano immagini strane, incomprensibili e straordinarie, ma anche spaventose, e ormai ci era passato così tante volte che una parte di lui sapeva quanto potevano diventare spaventose.

            Vedeva città immense, città che non somigliavano a nulla che avesse mai visto, alcune affacciate su di un oceano senza fine, altre immerse in un mare di sabbia e illuminate da un sole così forte da accecare chiunque avesse osato guardarlo direttamente, altre ancora in cui svettavano ovunque altissime torri di pietra, e tutte erano circondate da mura talmente possenti da dare l’idea che nessun esercito, per quanto grande, sarebbe stato in grado di abbatterle.

            E poi genti, genti a non finire, vestite nei modi più strani. E lui era lì, in mezzo a loro; camminava, e gli sembrava quasi di sentirli, di sentire i loro abiti sfiorare il suo, di ascoltare le loro parole, parole che in parte riusciva addirittura a comprendere.

            Poi, di colpo, si ritrovò in alto, sui tetti, intento a saltare da una parte all’altra come nessun uomo sarebbe stato in grado di fare; poi un salto lunghissimo, in direzione di una torre, che mutò il suo aspetto appena vi si aggrappò, passando da una costruzione circolare color ocra ad una quadrata, di colore rosso e sormontata da una piramide verde con in cima una creatura alata tutta d’oro.

            La scalata fu incredibilmente semplice, le braccia e le gambe forti gli permettevano di salire con uno sforzo apparentemente minimo, e come fu in cima, dinnanzi a lui si materializzò uno spettacolo incredibile; tutto attorno vedeva una grande città che sembrava quasi emergere dall’acqua, e i suoi palazzi, tutti di solida pietra, parevano gettare le proprie fondamenta al di sotto della superficie. Una cosa del genere non l’aveva mai vista, e mai avrebbe pensato che potesse essere possibile.

            Dopo qualche altro istante si vide saltare giù, precipitare verso terra, ma non avvertiva alcun senso di paura, come se dentro di sé sapesse che non gli sarebbe accaduto nulla di male; forse era la consapevolezza di essere soltanto in un sogno, forse qualcos’altro, fatto sta che davvero non successe nulla, perché la sua caduta venne agilmente frenata da una grossa pila di fieno che si trovava, leggermente appartata, ai piedi della torre.

            Quello era però era il momento peggiore, perché era quello che segnava la fine del sogno e l’inizio dell’incubo.

            Un attimo di buio, poi, come un’aquila, si vide volare al di sopra di una cittadella circondata da una terra arida e con poca vegetazione, e arroccata su di una collina. Nuovo buio, poi vide una luce, una luce circolare, e vide che a generarla era un oggetto indistinguibile stretto da un uomo, forse un vecchio a giudicare dalla lunga barba, che nell’altra mano stringeva una spada. L’oggetto divenne ancor più brillate, accecandolo, e quando riaprì gli occhi si trovò in un posto diverso, una sorta di gigantesca sala rettangolare piena di uomini distesi a terra. Di fronte a lui un altro uomo, un altro vecchio, stavolta vestito tutto di bianco, che nella sua mano stringeva un lungo bastone luminoso.

            Fece appena in tempo a vederlo mentre si avvicinava con aria minacciosa, poi di nuovo buio, ed ecco apparire dal nulla una figura fatta di luce, mentre tutto attorno a lui si materializzavano migliaia e migliaia di strani simboli. In parte provava un senso di attrazione, e anche una certa curiosità, ma più di ogni altro sentiva la paura, una paura terribile.

            «Devi impedire che accada.» disse una voce echeggiante di giovane donna «Il tempo sta scadendo! Devi trovarla! Trovala!».

            Poi, solo buio e terrore.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Avevo promesso una nuova fan fiction sul mondo di Assassin’s Creed, ed eccomi qui a mantenere la promessa.

Come avete visto questa nuova storia costituisce un ponte tra il secondo e l’ancora misterioso terzo capitolo, ed è ambientato nel Giappone del Periodo Sengoku, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Vista la grande quantità di eventi storici ai quali si farà riferimento consiglierei a chiunque voglia leggere di andare a dare una spulciata a wikipedia, in modo da avere un’idea più chiara degli eventi che saranno descritti.

Beh, concludo qui e vi auguro buona giornata, ringraziando in anticipo tutti coloro che leggeranno e recensiranno.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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