Epilogo
Mulder
mosse lunghe falcate in direzione di William, che, ben coperto da una giacca a
vento di qualche taglia più grande, osservava il paesaggio sottostante con
sguardo assorto.
Era
il 25 dicembre, il giorno di Natale… il suo
compleanno.
E
ancora erano ospitati dall’FBI, che si era dimostrata estremamente gentile e
ospitale con tutte le persone che ne avevano avuto bisogno, offrendo loro vitto
e alloggio. Lo spazio era tanto, ma anche le persone bisognose lo erano. I
corridoi e le sale riunioni erano state adibite a dormitori, mentre il salone
d’ingresso era diventato mensa, e tutte le zone pullulavano di gente stremata,
sconfitta e disperata, che, però, aveva una grande forza e una grande voglia di
ricominciare a vivere un’esistenza pressoché normale.
Ogni
giorno, le associazioni umanitarie che ancora erano attive, facevano il giro
dei quartieri portando pasti caldi, bevande bollenti e sostegno morale.
William
era salito sul tetto del J. Edgard Hoover Building una decina di minuti prima. Osservava
l’aspetto del mondo dopo l’attacco alieno.
Era
uscito dall’ospedale da due giorni, ma, essendo ancora debole, aveva passato le
ore chiuso tra le mura del palazzo.
Mulder
gli arrivò in fianco, silenziosamente.
Seguì
lo sguardo del figlio verso un punto lontano all’orizzonte.
Gli
occhi incontravano macerie, case spezzate, ferite, disintegrate. Parchi aridi,
alberi bruciati. Recinzioni, panchine, cartelli stradali divelti. Carcasse di
macchine ingombravano le strade prive di traffico. Ogni tanto un’ambulanza
squarciava l’aria statica del nuovo mondo con sirene lamentose e rombi di motori
lanciati a forte velocità.
I
cadaveri, che fino a pochi giorni prima ancora costellavano i marciapiedi e le
soglie delle case distrutte, erano stati rimossi e sistemati provvisoriamente
nelle celle refrigerate degli obitori che ancora erano in piedi.
Lo
spettacolo era desolante.
Non
esisteva parola più giusta per definire lo stato di malessere, fisico e
psicologico, che quella visuale provocava alle persone.
“Bello
spettacolo…” commentò Mulder, usando il suo abituale
tono ironico per contrastare le situazioni troppo serie.
William
sollevò la testa a guardarlo e gli sorrise con un angolo della bocca.
“Già…”. La risposta venne pronunciata a voce bassa,
scoraggiata, una leggera nota sarcastica al suo interno.
Mulder
lo osservò. William era estremamente serio. Il volto da ragazzino era solcato
da occhiaie e le labbra erano una linea diritta, riflessiva e preoccupata.
“A
cosa pensi?” gli chiesi Mulder. Gli sembrava ancora strano non riuscire a
penetrare nei pensieri del figlio…
William
prese un profondo respiro, piuttosto restio a rispondere alla domanda.
Mulder
vide l’indecisione offuscare i suoi occhi blu, così uguali a quelli della madre,
e si pentì di avergli rivolto quella semplice domanda. Seppure la sua voglia di
conoscere i suoi pensieri era pressante, non voleva metterlo in difficoltà.
Probabilmente gliene avrebbe parlato quando si fosse sentito pronto.
Così
decise di stemperare quell’atmosfera imbarazzante con il suo solito sarcasmo.
“Ho
capito…” disse sospirando rassegnato “… sei
arrabbiato perché non ti abbiamo fatto un regalo di compleanno…”.
William
sollevò lo sguardo verso Mulder, un’espressione sorpresa gli solcava il volto.
“Te
lo ricordi? Io non c’avevo nemmeno fatto caso…”.
Mulder
sorrise mestamente.
“Per
me e Scully è un po’ difficile dimenticare il giorno in cui sei nato…”.
William
annuì, un leggero rossore gli imporporò le guance.
“Già… scusami…”.
Mulder
fu sorpreso dalle sue parole e dal tono grave con cui furono pronunciate.
“Perché
mai dovresti scusarti?” gli chiese perplesso.
William
lo guardò dritto negli occhi. Mulder scorse nei suoi un fiume di lacrime che
minacciava di trasbordare.
“Perché
mi sento terribilmente in colpa nei vostri confronti” disse con estrema
sincerità.
Mulder
scosse la testa, come a dire che non comprendeva le sue parole.
Una
lacrima solitaria scese a bagnare la guancia di William. Prontamente la sua
mano la lavò via dal volto.
“Mi
sento in colpa perché… dopo tutto quello che fate per
me, il bene che mi volete, la felicità che vi si legge negli occhi ogni volta
che mi guardate… io non riesco a togliermi il
pensiero dei miei genitori adottivi… mi tormento in
continuazione”. Le lacrime presero a scorrere veloci sul suo viso. “Volervi bene… mi sembra quasi di tradirli, di fare loro un torto! E
a preoccuparmi per loro, mi sembra di fare un torto a voi…
mi sento un ingrato…”.
Mulder
sentì il cuore stringersi nel petto. La sofferenza mal celata che provava suo
figlio lo distruggeva. E lo capiva. Non doveva essere facile vivere una vita
così.
Avere
un dono che non si ha chiesto, averlo ricevuto in eredità. Scoprire che servirà
ad aiutare il mondo a sopravvivere. Scoprire chi sono i tuoi veri genitori,
perdere quelli che ti hanno cresciuto…
Troppi
pensieri, troppe preoccupazioni per la sua età.
Mulder
posò le mani sulle spalle di William, invitandolo a prestare attenzione a
quello che stava per dirgli.
“Non
devi sentirti in colpa nei nostri confronti, non ha alcun senso. Sei stato
cresciuto da due persone che ti hanno amato, e che ancora ti amano. Sarebbe
grave se tu ora ti dimenticassi di loro, se le lasciassi andare solo perché ti
senti in colpa nei nostri confronti…”.
Mulder
respiro piano, per riuscire a calmarsi quel tanto che bastava per parlargli
come un vero padre.
“Io
e Scully ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo, non ti abbiamo mai
dimenticato e mai ti dimenticheremo, e sappiamo perfettamente che nel tuo cuore
c’è del posto per noi… ma sappiamo anche che dobbiamo
condividerlo con due persone straordinarie, che non smetteremo mai di ringraziare
per averti accolto con amore nelle loro vite quando noi non abbiamo potuto
farlo”.
Passò
il pollice lungo le guance del figlio, asciugandole dalle lacrime che non
doveva versare.
“William,
io ti ho fatto una promessa e intendo onorarla”.
Il
ragazzo si avvicinò a quel padre che aveva immaginato per anni e che aveva
conosciuto da poche settimane, e affondò il volto nel suo petto ampio e caldo.
Sentì
le sua braccia forti avvolgerlo in un abbraccio protettivo. Lentamente si
rilassò, cercando di scacciare dal suo petto quel senso di colpa che lo stava
logorando.
Rimasero
fermi in quella posizione per un po’, circondati da un mondo che doveva
ricominciare a vivere. Il vento gelido di dicembre li sferzava, ma a loro non
dava fastidio. Il calore dei loro corpi stretti li aiutava a combattere il
freddo delle loro vite.
“E
se non li ritroviamo?” chiese infine William, la voce attutita dal giubbotto di
Mulder.
Mulder
lo strinse un po’ più forte.
“Stanno
setacciando tutto il paese, palmo a palmo. Molte persone si sono rifugiate in
bunker sotterranei, in case abbandonate… vedrai che
li troveremo…”. Lo prese per le spalle e lo allontanò
leggermente da sé per poterlo guardare negli occhi.
William
scorse una scintilla di determinazione illuminare lo sguardo di Mulder.
“Ma
se così non fosse, non verrò meno al mio impegno. Li troveremo, ovunque essi siano… ovunque”.
William
annuì un paio di volte, poi gli sorrise.
“Voi
due! C’è un dolce natalizio che vi aspetta di sotto! Se non scendete
immediatamente non vi resterà nemmeno una fetta…”.
La
voce di Scully li distolse dal quel loro momento così intenso. Si voltarono
nella sua direzione e la videro avanzare verso di loro.
I
capelli ramati si muovevano a ritmo del vento, la sua pelle era arrossata per
via del freddo. Si stringeva al collo una giacca troppo leggera e li osservava
con un sorriso sereno sulle labbra.
Si
avvicinò, tendendo una mano verso William.
“Almeno
quella per festeggiare il tuo compleanno…”.
William
le sorrise, prese la sua mano e la strinse.
“Ce
n’è anche per Zar?”.
Scully
rise.
“Zar
sta già mangiando la sua porzione, ma ho l’impressione che non disdegnerà di
ingoiare anche la tua!”.
Si
incamminarono verso la porta, ma poi Scully si fermò, accorgendosi che Mulder
non li stava seguendo.
Lo
osservò incuriosita.
“Tu
non vieni?”.
Mulder
le si avvicinò e le dette un leggero, ma dolce, bacio sulle labbra, trovandole
fredde e tremanti.
“Vi
raggiungo tra un momento, voi andate pure”.
Scully
annuì e lo lasciò ai suoi pensieri. Era certa che le avrebbe parlato delle sue
riflessioni quella sera stessa.
Mulder
si voltò nuovamente ad osservare il paesaggio sottostante.
Posò
un piede sul cornicione e si sporse leggermente.
Il
lato positivo di tutta quella terribile faccenda -l’unico
lato positivo- era rappresentato dalla collaborazione tra le persone.
Contrariamente
alle aspettative, non si era registrato nessun atto criminale da quando gli
alieni se n’erano andati, nessun saccheggio, nessuna violenza, nessuno stupro.
Sembrava che l’uomo avesse raggiunto il suo limite massimo di dolore, che
avesse assistito alla crudeltà nella sua forma più primitiva, e che ora non ne
volesse più sentire parlare.
Mulder
non si illudeva. Sapeva che, prima o poi, quando il mondo avesse ripreso a
vivere normalmente, le guerre e l’odio avrebbero bussato alla porta, a
reclamare il loro tributo di morte e violenza, ma era bello sapere che, almeno
per un po’, l’umanità sarebbe riuscita a vivere in pace, collaborando.
Mulder
vide un gruppo di bambini uscire dal palazzo, cantando a squarciagola.
L’aria
vorticante gli portò alle orecchio le note di solenni di una famosa canzone, a
tema natalizio, di John Lennon.
And so this is Christmas (war is over)
For weak and for strong (if you want it)
The rich and the poor ones (war is over)
The world is so wrong
And so Happy Christmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fight
A very Merry Christmas
And a Happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear
Mulder
sorrise tristemente, poi si incamminò verso la porta che portava all’interno
dell’edificio.
Con
un pensiero certo.
Il
mondo non sarebbe mai più stato lo stesso.
THE
END