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Autore: Rota    10/01/2010    5 recensioni
Il seno di Hinata era bello.
Era grande ed era tremendamente morbido. Per quanto lei lo nascondesse sotto quei vestiti così larghi e ingombranti – timida, provava vergogna per ogni lembo di pelle esposto – lo si poteva intravedere perfettamente sotto ogni maglione.
Ho desiderato troppo spesso d’avere quel seno, ti poterlo vedere addosso a me.

Sulle note della magnifica canzone di De André vi racconto la storia di Shinoko, donna nata con un sesso sbagliato, che incontra l’amore e ivi si realizza completamente.
Un omaggio, in contemporanea, al mio pair prediletto e ad un grandissimo uomo – un poeta immortale. Fabrizio De André.
[KibaShinoko]
Genere: Romantico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame | Coppie: Shino/Kiba
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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me stessa Io mi ritengo una persona assurdamente fortunata.
Perché, nonostante le mie pare mentali – che, vi assicuro, sono tantissime – sul mio aspetto fisico, ho la fortuna di essere donna e di sentirmi tale fino a dentro il mio animo.
Non tutti hanno questa fortuna, purtroppo.
Sulle note della magnifica canzone di De André vi racconto la storia di Shinoko, donna nata con un sesso sbagliato, che incontra l’amore e ivi si realizza completamente.
Un omaggio, in contemporanea, al mio pair prediletto e ad un grandissimo uomo – un poeta immortale. Fabrizio De André.

(*)Princesa, Fabrizio De André


Me stessa




Sono la pecora sono la vacca

che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare (*)


Il seno di Hinata era bello.
Era grande ed era tremendamente morbido. Per quanto lei lo nascondesse sotto quei vestiti così larghi e ingombranti – timida, provava vergogna per ogni lembo di pelle esposto – lo si poteva intravedere perfettamente sotto ogni maglione.
Ho desiderato troppo spesso d’avere quel seno, ti poterlo vedere addosso a me.
Perché li vedevo, tutti gli altri, guardare di sottecchi le forme della mia formosa compagna di classe. Che fossero discreti, che fossero più espliciti, nessuno era passato indenne a quella visione.
Sì, la invidiavo. Profondamente. Ma solo ora ne comprendo appieno il motivo, e a dirla tutta mi dispiace.
Inconsapevolmente, la invidiavo per quel seno e quegli sguardi – non tanto per quel rossore che le attenzioni dei maschi con cui gli si dipingeva il viso paffuto – la invidiavo e covavo un profondo rancore per quell’anima innocente che aveva come unica colpa il ritrovarsi vicino a me. Perfettamente se stessa in quel corpo così adatto a lei.
Mi guardavo spesso allo specchio, a quei tempi. Mi disgustava il petto piatto, quella cosa che avevo tra le gambe, foss’anche una cosa talmente abominevole che ogni tanto, ogni tanto solamente, mi saliva in gola un senso di vomito.


Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l'orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre

"Che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita"

E io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica (*)


Papà non comprese. Non comprese e forse non volle farlo.
Si sorprese davvero quella volta che mi vide comprare di nascosto dei cosmetici. Non era certo la prima volta che lo facevo – troppi erano stati i pomeriggi trascorsi da solo in casa con in mano un rossetto sfavillante, davvero troppi – ma la cosa lo destabilizzò davvero molto.
Capì allora il motivo dei miei capelli curati, probabilmente. O anche i miei goffi tentativi di nascondere sotto pesanti cappotti un corpo che proprio non consideravo mio.
Non ha mai urlato in vita sua, mio padre. Neppure quella volta urlò. Neppure quando gli spiegai ciò che sentivo – alla fine, mi sembrava giusto che lui lo sapesse.
Disse un sacco di cose, tra le lacrime; che mamma non sarebbe stata felice, che mamma ora piangeva lassù in cielo, che mamma aveva dato alla luce a un maschio, non a una femmina.
Che non sarei mai riuscito a diventare come lei, neppure travestendomi da donna.
Mio padre non comprese, non comprese quella volta come non lo fece mai. Non era certo perché mia madre era morta quand’ero piccolo che ora io desideravo diventare donna.
E’ stata una cosa crudele da parte sua dirlo così, come se fosse cosa da nulla.
Semplicemente, la Natura si era sbagliata a darmi un sesso che non era mio. Niente, davvero, di più semplice di questo.
Cosa c’era di tanto difficile da capire?


Nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina
corro all'incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna

nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi

perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l'amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore

e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia (*)


Non è stato facile trovare comprensione, lo devo ammettere.
Ma d’altronde, se neppure chi ritenevo più vicino a me è riuscito a comprendermi come potevo pretendere che lo facessero gli altri?
Forse, il vero problema, era che non avevo ancora accettato pienamente ciò che ero. A livello razionale sì, era stata una delle cose più spontanee che avessi mai pensato.
A livello di concetto ci sono arrivata fin troppo tardi.
Hinata, da quando le rivelai la mia completa ammirazione per quello che era il suo sesso, mi tenne alla larga come un animale pericoloso. Quando le vidi la paura negli occhi – non riconosceva più in me Shino Aburame – capii che non sarebbe stato per me più possibile tenerla vicina.
Shibi aspettò quantomeno che mi trovassi un lavoro per scacciarmi di casa. Penso che non volesse rigurgiti di coscienza.
Ma tanto, ormai da tempo quello non era più mio padre. Non sarebbe stato tanto doloroso lasciare la casa di un estraneo.
I soldi che avevo messo da parte per me, durante i lunghi anni dell’adolescenza e della prima maturità, mi aiutarono i primi tempi. E anche a farmi un sogno su un possibile destino migliore.
E’ stato in quel periodo, in effetti, che è avvenuto lo slancio di interesse per la chirurgia estetica.
Prima, semplicemente pensavo a quanto potessero essere orribili due labbra gonfiate quanto due airbag. Ora però ne avevo una più ampia visione.
La mia laurea in bioscienze mi aiutò nell’avvicinamento, devo ammetterlo.  


Sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita

dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l'altro si arrende

che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un'unica stella
che squilla di luce di nome Princesa (*)


Mi ricordo perfettamente la prima volta che provai delle scarpe col tacco.
Camminai nel mio piccolo appartamento avanti e indietro, per essere pronta a uscire senza cadere ogni tre passi. Ricordo perfettamente che dopo qualche metro già invocavo una sedia su cui sedermi.
Cominciai a comprarmi gonne e vestiti aderenti – quanto più di femminile pensavo potesse esserci – mi feci crescere i capelli, cominciai a uscire truccata.
I primi insuccessi li digerii con difficoltà, ma ritenni che fosse necessario per me fare pratica.
Alla fine, il mio scopo non era la realizzazione nell’immediato. Per cui, dovevo solo pazientare.
Molti uomini sembravano spaventati, all’inizio, dalla mia natura.
Imparai i luoghi da frequentare, la gente con cui potermi intrattenere, gli approcci diretti e indiretti.
L’operazione alle corde vocali aiutò la mia voce a essere più acuta di quanto non fosse prima.


A un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone(*)


Alla fine, sono giunta qui.
Ho trovato l’amore, certo, dopo anni di ricerca.
E’ un uomo, si chiama Kiba Inuzuka. Sa ogni cosa di me, ho pensato che non fosse necessario tenerglielo nascosto. Perché poi? Se qualcuno mi stringe tra le sue braccia, è bene che sappia chi stringa. Non mi piace illudere la gente – neppure per sentirmi meglio.
Si chiama Kiba, il mio uomo, e mi ama come io amo lui.
Certo, litighiamo e anche spesso, andiamo in disaccordo praticamente su tutto. Lui è testardo quanto me, ma non ha certo la calma di un Aburame. E’ rozzo e selvatico, come un animale.
Ma nessuno mi ha mai baciata con così tanto ardore, nessuno ha mai fatto l’amore con me come riesce a farlo lui. E nessuno, davvero nessuno, sorride come fa lui.
E’ bello l’appartamento dove ora viviamo – assieme – nel suo essere semplice e accogliente.
Ora posso solo continuare a vivere, serenamente. Affinché possa davvero appurare che tutto questo non sia solo un sogno.
Finalmente solo me stessa.
   
 
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