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Autore: Pichichi    10/01/2010    6 recensioni
La mia ragazza – adoravo chiamarla così – aveva deciso che quella sera, per comprare le scarpe e farmi un regalo, saremmo andate in un paese distante quaranta minuti di viaggio.
-Dai, così passiamo una serata a fare shopping.
Quella voleva essere una proposta allettante?
Be’, avrebbe potuto proporre di meglio.
-Urrà- commentai accendendo il motore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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tutti i mali (1)


Non mi piaceva affatto uscire la sera, soprattutto con quel freddo e quel tempo, così tetro e minaccioso. Non mi piaceva dovermi scollare dalla mia poltrona preferita mentre in tivù si trasmetteva la dodicesima giornata del campionato di calcio.
Ero sdraiata scompostamente sul divano, con le vecchie scarpe color vinaccio poggiate sul cuscino, le mani pigramente abbandonate sulla pancia e gli occhi semichiusi, fissi sullo schermo televisivo.
Avrei potuto incarnare perfettamente l’accidia in quel momento, ed era chiaro per chiunque si fosse avvicinato che non avevo alcuna intenzione di alzarmi di lì prima che fosse terminata la partita di calcio.
Perciò, contenta all’idea di passare un sabato pomeriggio in completo ozio, sbadigliai e spinsi la schiena più giù in modo da affondare la testa nei cuscini e vedere meglio lo schermo.
Avevo in programma di non far niente fino alle otto, quando la partita sarebbe finita, di oziare per il tempo restante giocando a qualche videogioco, e di mangiare pomodori, cetrioli e carote per cena.
Quello era il mio perfetto programma per il sabato, e nessuno avrebbe potuto rovinarmelo.
Peccato che perduta nei meandri dell’ozio più profondo non avessi considerato l’eventualità numero uno che avrebbe potuto far saltare i miei piani.
Ebbene, avevo dimenticato che il sabato era un giorno particolarmente piacevole per me perché, oltre al fatto che non facevo nulla dalla mattina alla sera, era il giorno in cui di solito passavo più tempo con la mia ragazza.
Non era stato così semplice, né per me, né per lei, accettare il fatto che la nostra pseudo - relazione avesse delle fondamenta più resistenti di quanto pensassimo. La scoperta di avere un qualcosa di più profondo a legarci, oltre a sorprenderci e metterci in confusione, ci aveva quasi costretto ad ufficializzare il nostro rapporto.
Essendo entrambe molto orgogliose e non volendo ammettere la reciproca dipendenza che si era instaurata fra noi, ci era stato molto difficile.
In ogni caso quello che intercorreva fra me e lei in quel periodo, qualunque cosa esso fosse, poteva essere classificato come “primi mesi assieme”.
Fin qui, non avevo alcuna obiezione.
L’eventualità che il mio perfetto sabato da dolce far niente potesse subire qualche leggera modifica mi si presentò quando sentii la serratura di casa scattare e la porta aprirsi.
C’erano solo due persone che possedevano le chiavi di casa mia, ovvero la sottoscritta e la sua cosiddetta compagna.
Ora ragionando un po’, essendo io spaparanzata sul divano a fare nulla, con le chiavi dentro la borsa a tracolla gettata a terra, per esclusione non poteva essere che lei ad aver aperto la porta.
            -Ciao!
Mi chiamò dall’ingresso, richiamo a cui io non risposi per pura pigrizia, continuando a guardare la televisione.
            -Ca**o, mi dà i nervi quando ti chiamo e non mi rispondi, e lo sai!
Come potesse riuscire a cambiare tono e modi da una frase all’altra, dovevo ancora capirlo, ma ero diventata abbastanza pratica di lei da capire che al primo avvertimento conveniva rispondere per non farla arrabbiare.
            -E tu lo sai che mi secca risponderti- le dissi stancamente, rovesciando la testa all’indietro.
Ecco, comparì sulla soglia della porta del salotto in tutto il suo splendore, appena tornata dalla libreria e mi si presentò davanti agli occhi con la migliore delle sue espressioni entusiaste.
Anche se avevo la testa rovesciata all’indietro, ero abbastanza certa che non fosse arrabbiata.
-A vederti senza far niente mi sembri una drogata in fase di recupero- commentò lei, avvicinandosi lentamente.
-Com’è andata?
-Ha tenuto le interviste per mezz’ora e per l’altra mezz’ora ha presentato il libro. Dovevi vedere come si gasava...
Sorrisi e tornai a poggiare la testa sui cuscini, contenta che fosse tornata a casa perché la sua presenza era per me un’ulteriore fonte di rilassamento.
Lei si sedette sul pouf giallo posto accanto al divano, e gettando un’occhiata alla partita disse:
            -Non hanno già giocato martedì?
            -No, quella era la Champions League.
            -Bah, sono tutte uguali.
            -Ignorante. Io non critico la tua amata Tonno Callipo, né protesto quando vuoi andare al palazzetto dello sport a vederne le partite.
Mi spintonò con una mano, e lo presi come un segnale poco promettente.
Inoltre, dettaglio che notai solo in quel momento, non s’era ancora tolta il cappotto e ciò non mi faceva ben sperare per i miei piani di un sabato tranquillo.
            -Ancora questa maglia?
Allungai una mano verso di lei e tastai il sottile tessuto di raso di cui era fatta la sua maglia svolazzante, a camiciola.
            -Non ti piace?- mi domandò, facendo una smorfia dubbiosa.
            -Sembri incinta con quella maglia, e un giorno tua madre penserà male di te.
            -Non è vero.
            -Oh sì.
In realtà io amavo le sue maglie a camiciola, poiché essendo larghe, svolazzanti e nella maggior parte dei casi trasparenti, mi davano la possibilità di infiltrarvi sotto le mani con un’incredibile facilità.
Così feci, afferrandole il fianco sinistro e attirandola contro la mia testa in modo da poggiarla sulla sua gamba.
D’un tratto lei, dopo avermi dato un’occhiata strana, tipicamente sua, mi saltò in grembo, sedendosi a cavalcioni.
Il peso del suo corpo sul mio stomaco mi impedì per un secondo di respirare, ma non fu quello a darmi fastidio. Ciò che mi turbò fu il fatto che senza preavviso si abbassò per baciarmi.
E questa non era una buona cosa, poiché non aveva alcun motivo di farlo.
Mi fidavo poco di lei, pochissimo a dirla tutta, perché conoscendola meglio avevo imparato che non faceva mai qualcosa senza un secondo fine.
Rovesciai indietro la testa per sfuggire alle sue labbra, guardandola aggrottando le sopracciglia.
            -Che c’è?
Anche lei di conseguenza aveva imparato che con me non doveva tergiversare, o tentare di arrampicarsi sugli specchi, poiché preferivo che mi si dicesse la verità immediatamente.
Poggiò le mani ai lati della mia testa e inclinò il busto nella mia direzione, guardandomi furba.
            -Fuori è tanto bello, lo sai? Le strade sono piene di luci.
            -Mi accontenterò di queste che abbiamo a casa, altrimenti si offenderanno.
Fece una piccola risata e si chinò ancora di più.
            -Oggi mi sento così... come dire? Mi sento un po’ abbattuta.
            -Perché non ti prendi la cioccolata e ne fai due tazze, che sarebbe proprio una bella idea?
Sapevo quello che voleva fare, e non gliel’avrei permesso per niente al mondo. Niente e nessuno mi avrebbe scollato da quel divano, non c’era ma che tenesse.
Avevo deciso di passare il mio pomeriggio lì a non far nulla, e caspita, sarei riuscita nel mio intento!
Lei mi sorrise invitante e poggiò la fronte contro la mia; così facendo i miei occhi, non potendo osservare ciò che succedeva in campo, scivolarono a contemplare qualcosa di altrettanto interessante, ovvero il suo seno giustamente fornito e stretto in una fascia nera, sotto la maglia.
L’avrei odiata per quello che stava facendo, perché l’aveva fatto di proposito a non alzarsi la scollatura, ma non ci riuscii.
Mi piaceva troppo quello che vedevo, e mi divertiva farla ingegnare per trovare il modo di farmi muovere da quel divano.
            -Devi guardarmi negli occhi, quando parlo- sorrise, sfregando il naso contro il mio.
            -Sai, mi è un po’ difficile se mi sbatti quel bendiddio davanti.
Lei rise, si sedette composta e si alzò il top nero che portava per coprirsi il seno.
            -Allora, ho bisogno di un nuovo paio di scarpe . Inoltre voglio regalarti qualcosa.
            -Allora per prima cosa mi pare che tu abbia già due paia di scarpe e un bel cappotto, quindi non credo ti servano cose nuove. Per quanto riguarda il resto, se tornassi ad abbassarti quel misero e sconsiderato pezzo di stoffa concedendomi la stessa visuale di prima, sarebbe il regalo più bello del mondo.
Non volevo concederle alcuna scusa per portarmi fuori, volevo anticipare tutti i suoi tentativi di movimentare il mio pomeriggio, e finora me la stavo cavando discretamente.
Lei si alzò di scatto a quella frase, apparentemente disinteressandosi di me; arrivata sulla soglia della porta si voltò e annunciò:
            -Be’, vado a farmi una doccia.
            -Bene, vai.
            -E... stamattina ti ho preso dieci euro.
            -Perché hai preso dieci euro?- domandai, guardandola accigliata.
            -Ecco... mi servivano-
Aveva un’aria terribilmente colpevole e provocante assieme, e dalla sua espressione capii che non mi conveniva andare avanti col discorso.
            -Oh... va bene- risposi, non volendo sapere per cosa le erano serviti i soldi – la prossima volta dimmelo però-
Ce l’avevo fatta, avevo ignorato il suo tentativo di adescamento e potevo considerarmi salva, per quel pomeriggio.
            -Te l’avrei detto, ma tu stamattina non c’eri e io non avevo banconote piccole. Sai, per andare a farmi un piercing non voglio portarmi pezzi grandi...
Maledizione, me l’aveva fatta!
Deglutii alla sua informazione, arrossendo e voltandomi a guardarla.
            -Ti sei fatta un altro piercing?- chiesi, sperando che negasse.
            -Sì, certo- lei mi fece un sorriso raggiante, guardandomi appoggiata allo stipite della porta, con artificiosa innocenza.
La mia ragazza adorava bucarsi le parti più svariate del corpo fin da quando l’avevo conosciuta; allora aveva solo due piercing, ma in seguito si era fatta applicare un puntino argentato sul naso, un piccolo anello al termine delle sopracciglia che poi aveva rimosso, delle asticelle che le perforavano ripetutamente i lobi delle orecchie e tre “bulloni”, a parer mio, che le attraversavano la cartilagine del padiglione auricolare.
            -E... dove te lo sei fatto?- domandai, non sapendo perché ma assalita da un brutto presentimento.
Lei mi sorrise in maniera piuttosto sconcia, e piegò la testa da un lato.
            -In un posto diverso dal solito, e devo ammettere che mi ha fatto un po’ male...- rispose, guardandomi intensamente.
Io arrossii subito, osservandola e schiudendo la bocca. Non la credevo capace di un’azione del genere, nemmeno lei poteva essere così svergognata, senza pudore. Non era possibile che si fosse fatta bucare una parte del corpo così delicata.
Ottenuto l’effetto sperato lei si allontanò, continuando a guardarmi e mordendosi un labbro maliziosamente.
            -Vado a farmi la doccia!- annunciò in procinto di scoppiare a ridere, sapendo di aver suscitato in me curiosità.
Quando fu sparita verso la zona notte, rimasi con lo sguardo fisso sulla porta, dove prima c’era lei. Sentivo che era tutta una trappola, che lei aveva architettato tutto per farmi alzare da quel divano, eppure qualcosa di più forte in me, qualcosa che batté perfino la mia pigrizia, mi invogliò a seguirla.
La odiavo terribilmente in quel momento, la odiavo perché mi aveva insinuato il dubbio e la curiosità, e perché stava sfidando la mia resistenza.
Per principio decisi di disinteressarmi della questione, ripetendomi che mi ero prefissata di oziare per tutto il giorno.
Poi, quando sentii il rumore scrosciante dell’acqua, mi si presentò alla mente l’immagine di lei nuda, con l’acqua che le scorreva sul corpo e le bagnava i capelli, intenta a spalmarsi del profumato bagnoschiuma dappertutto.
Scossi leggermente il capo, sentendo le guance diventarmi rosse, ma non riuscii ad allontanare l’immagine, soprattutto al pensiero di dove potesse trovarsi quel misero, freddo e solitario anello di metallo...
Di scatto mi alzai in piedi, percorrendo rapidamente il corridoio e fermandomi alla porta del bagno.
Notando che era aperta la spinsi con una mano per trovarmi davanti agli occhi lei che in piedi si contemplava nello specchio.
            -Oh, ti sei alzata!
            -Non dovevi farti la doccia?
Lei semplicemente girò la manopola dell’acqua e quella smise di scorrere. Capii che mi aveva preso in giro, ma almeno volli la mia ricompensa.
            -Allora?
            -Allora che?
            -Dove caspita te lo sei fatto ‘sto piercing?
La mia ragazza mi fece una smorfia affettuosa e mi diede un bacio a stampo sulle labbra.
            -Lo vuoi sapere davvero?      
            -Sì voglio saperlo.
            -Non pensavo che avresti ceduto alla curiosità.
Voleva prendermi in giro, e mi dava fastidio, ma io avevo necessariamente bisogno di sapere dove si fosse conficcato quell’insulso aggeggio.
            -Cosa significa un posto diverso dal solito? E perché ti ha fatto male?- domandai di getto, senza girarci attorno.
Lei mi portò davanti allo specchio e mi abbracciò da dietro, poggiando la testa sulla mia spalla.
Mi prese una mano e la portò sul suo corpo.
            -Sei così preoccupata per me, perché ti ho detto che mi ha fatto male?
            -No- arrossii, stavo mentendo -il fatto è che non si sa mai, con queste cose, e tu deficiente possibile che vai ancora a fare queste bambinate?-
            -A me piace, fare le bambinate.
            -Oh, lo so.
Mi diede un bacio sulla guancia e fece scivolare la mano sul suo seno, in modo che mi rendessi conto da sola di dove fosse stato messo il piercing.
Notai con sollievo che le sue grazie superiori sembravano perfettamente rotonde e morbide come lo erano sempre state, ma trattenni leggermente il respiro quando sentii che conduceva la mia mano più giù, sulle sue gambe.
Ridacchiò notando il mio imbarazzo e mi morse scherzosamente l’orecchio.
            -Dì la verità, che è proprio per queste bambinate che ti piaccio.
            -Oh, ma questa è l’ultima volta. O almeno, l’ultima volta con i miei soldi- replicai, imbronciandomi.
            -Oh, come sei tirchia...
Fece indugiare la mano fra i nostri bacini un po’ troppo a lungo, ma poi la portò su di scatto, infilandola sotto la maglia.
            -Ecco, è qui.
Sorrise e fece in modo che il mio pollice si sfregasse contro una sporgenza metallica all’altezza della sua pancia.
Sbuffai fuori l’aria e piuttosto irritata perché mi aveva fregato le alzai di scatto la maglia.
            -Be’, allora?- domandò, sorridendomi.
            -Sei una deficiente. M’hai fatto preoccupare!
Nel punto in cui si trovava il suo ombelico, ora c’era uno spuntone rotondo e argenteo, che a dir la verità mi faceva impressione.
            -Cosa pensavi?- domandò maliziosa, fingendo di non capire.
            -Lascia perdere.
Scossi la testa e uscii dal bagno con l’intento di tornare a sdraiarmi sul divano, ma lei mi raggiunse subito e mi prese per un braccio.
            -Dove pensi di andare?- mi domandò.
            -A guardare la partita.
            -Nemmeno per sogno! Dai, visto che ti sei alzata ora ti cambi e usciamo insieme.
            -Ma non se ne parla proprio- scansandola delicatamente ripresi il mio percorso verso il salotto.
Lei incrociò le braccia e anche se non potevo vederla ero certa che avesse messo su il broncio.
            -Se non esci con me torno al negozio e mi faccio il piercing lì!- minacciò.
Mi voltai guardandola con sufficienza.
            -Non ti permettere- le ordinai stancamente.
            -Be’, se non esci con me stasera giuro che quanto prima me lo faccio.
Non avevo intenzione di litigare, poiché sapevo che se avessi fatto ancora resistenza la prossima volta che ci saremmo ritrovate sotto le coperte avrei avuto una brutta sorpresa. Consideravo questa sua mania di bucarsi il corpo una cosa del tutto inutile e di pessimo gusto, e non mi andava che per ripicca si sfregiasse ancora di più.
Sapevo infatti che a tirare troppo la corda l’avrei costretta a dimostrarmi che non potevo comandarla.
Avrei dovuto immaginare, dal momento in cui era entrata a casa, che il mio sabato di perfetto ozio sarebbe stato rovinato.
Sbuffai seccata, mostrandomi costretta ad accettare.
            -E sia, tanto lo sapevo che eri una guastafeste- borbottai, guardandola di traverso.
Lei batté le mani, compiaciuta, e mi diede un bacio sulla guancia.
            -Vedrai che ti piacerà, e poi lo sai che senza di te rischio di comprare delle cose del tutto inutili...-
            -Sì sì, basta che non mi secchi.
In realtà, anche se provavo a fare la dura, mi piaceva vederla felice e soprattutto mi piaceva l’idea di uscire assieme a fare spese come due fidanzati.
 
Possedevamo una piccola macchina blu scuro, una minuscola Smart capace di infilarsi ovunque e scarrozzarci dappertutto.
La mia ragazza – adoravo chiamarla così – aveva deciso che quella sera, per comprare le scarpe e farmi un regalo, saremmo andate in un paese distante quaranta minuti di viaggio.
-Dai, così passiamo una serata a fare shopping.
Quella voleva essere una proposta allettante?
Be’, avrebbe potuto proporre di meglio.
            -Urrà- commentai accendendo il motore.
Lei non faceva alcuna resistenza su chi dovesse fra noi guidare, poiché non era abituata a portare la macchina su lunghe distanze e non era tanto pratica.
Perciò lasciava che mi occupassi io di questioni senza importanza come la macchina, preferendo dedicarsi a compiti più adatti a lei.
            -Pensi che basteranno?- mi domandò, mostrandomi delle banconote dal portafoglio.
Gli diedi un’occhiata poco interessata e annuii, pensando piuttosto a quanto tempo avremmo speso stando lì, a quanti negozi avremmo girato inutilmente e a quanti provini avrei dovuto assistere.
Da che doveva essere il sabato più ozioso della mia vita, si stava trasformando in un’inevitabile pomeriggio stressante.
            -Lo sai, ho incontrato Gianluca in libreria- mi disse, poggiandosi contro il finestrino.
            -Davvero? E che cavolo voleva?- domandai, nel ricordo di quello che aveva osato farle il ragazzo.
Quel tale Gianluca aveva per più di un mese, tempo fa, corteggiato falsamente la mia ragazza, confondendola e dandole false speranze in cui lei era cascata, per poi scoprire che il tipo la stava solo prendendo in giro in quanto era fidanzato.
            -Niente, mi ha detto ciao, come va, come stai, tutto bene? Solite domande di circostanza...
            -S’è ricordato di quello che gli ho detto?- domandai, accigliandomi.
            -Credo di sì, perché non s’è azzardato nemmeno ad avvicinarsi.
Sogghignai, felice che il tale avesse capito che non doveva ritentare di adescarla, altrimenti sarebbe andato incontro alla mia rabbia.
Notai poi, dal suo conseguente silenzio, che c’era qualcosa che la turbava.
Decisi quindi di farla distrarre, riportandola su terreni più graditi, e chiesi:
            -Come mai hai deciso di farti un piercing?
Ottenni l’effetto sperato poiché lei mi concesse una piccola risata.
            -Ecco, volevo farti una sorpresa.
            -Lo sai che non mi piace questo tipo di sorprese.
            -Scusami. È solo che avevo voglia di fare qualcosa di incosciente.
            -Io che vivo assieme a te, questa non ti sembra un’incoscienza?
Mi tirò un pugno sul braccio, assottigliando le palpebre.
            -Bastarda.
Essendo autunno molto inoltrato, il cielo, alle sei del pomeriggio, era già buio e non si riusciva a distinguere molto del paesaggio. Perfino i cartelli segnaletici a volte passavano inosservati.
            -Come sei brava- disse ad un tratto, incapace di star zitta, osservandomi guidare.
            -Perché?
            -Io non sarei capace a guidare quando è così buio. Non hai paura?
            -No, affatto.
            -Sono proprio felice che hai accettato di venire.
Le diedi un rapido sguardo, e mi compiacque vederla così felice che sorrisi spontaneamente.
            -Sto pensando che mi divertirò da morire con te in giro per negozi.
            -Lo dici con ironia?- fece, abbassando di colpo la voce e diventando preoccupata.
            -No, sul serio. Lo so che faremo un sacco di figure memorabili e mi verrà da ridere fino alle lacrime. Inoltre, avrò materiale per sfotterti fino a quando vorrò.
            -Oh. Allora va bene.
La mia ragazza adorava vestirsi alla moda, almeno tanto quanto la gratificava ricevere complimenti. Sotto questo aspetto la definivo vanitosa, ma mi piaceva il suo essere donna a trecentosessanta gradi, sia negli aspetti positivi che negativi.
Ero certa che prima di aver trovato qualcosa che potesse andarle bene avremmo dovuto girare per negozi e negozi, facendo su e giù per la città. Ma ero disposta a farlo, solo per lei, perché potesse comprarsi quelle benedette scarpe del tutto superflue.
Ad un tratto, forse annoiata dalla durata eccessiva del viaggio, si sporse verso di me e mi portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli.
            -Che ne pensi se un giorno di questi ti stiro i capelli per bene?
            -Non se ne parla.
            -Ma perché?
            -Mi piacciono ricci.
            -Sei bellissima con i capelli lisci. Davvero, mi piaci tantissimo. E inoltre sono così lunghi che ti superano le spalle.
            -Lo so che il tuo scopo è un altro.
Mi guardò interrogativa.
            -Quale?
            -Tu vuoi che io mi stiri i capelli in modo che la gente noti quanto corti te li sei tagliata. E di conseguenza ti dica che ti stanno benissimo.
Lei ammutolì, facendo una smorfia buffa e imbarazzata.
            -Come fai a saperlo?- domandò infine, incrociando le braccia al petto.
            -Oh, ti conosco.
            -Mi fai sembrare una persona spregevole.
            -Oh no- ridacchiai, dandole uno sguardo divertito – a me piaci anche così. Mi piace anche il tuo essere superficiale –
La mia risposta le piacque e rimase in silenzio a godersela per un po’. Forse, intenerita per quello che le avevo detto volle ricambiare, perciò aggiunse:
            -Be’, a me piace tanto che tu sia una scorbutica convinta.
Scoppiai a ridere.
            -E questa dove l’hai trovata, hai un vocabolario appresso?
            -Ecco, appunto- mi beccai un pugno discretamente violento – sei una guastafeste –
Riflettei lentamente sulle sue parole e mi imbronciai, aggrottando le sopracciglia.
            -Non sono scorbutica.
            -Be’ secondo te dare quello sguardo poco amichevole a chiunque ti guardi, è indice di una persona estroversa?
            -Tutti quelli che incontro sono degli emeriti idioti- ribattei convinta delle mie parole -e questo non fa di me una scorbutica –
            -Allora tanto meno pretendere da tutti quelli che conosco un riconoscimento per ciò che faccio non fa di me una persona superficiale-       
Feci un sospiro, lasciando cadere il discorso nel nulla, sapendo che le piaceva avere sempre l’ultima parola nelle nostre discussioni.
Ripresi a guardare la strada, illuminata unicamente dai fari della nostra piccola utilitaria, leggendo sul cartello il nome della cittadina verso cui eravamo dirette.
Quel posto era particolarmente prescelto dagli amanti della moda, poiché vi si potevano trovare negozi forniti di tutte le marche possibili di vestiario.
Purtroppo, la mia ragazza non era stata l’unica ad aver voglia di trascorrere un pomeriggio a far compere in quella città. La fila di auto che premeva per infilarsi nelle vie era così consistente che si protraeva fino all’inizio del corso principale.
Feci fermare la macchina, sbuffando e alzando la testa per controllare se l’ingorgo avesse uno sbocco.
            -Ah, che seccatura...- sbuffai, lasciando il volante e mettendo le mani dietro la testa.
            -Ma non c’è un semaforo più avanti?           
            -E allora?
            -Allora vedrai che una volta superato quello riusciremo a camminare più svelti.
Le sue previsioni si rivelarono esatte, perché sorpassato l’incrocio dove maggiormente si concentravano le macchine, il traffico si affievolì notevolmente e potei riprendere a guidare a velocità sostenuta.
            -Meno male... ma sai di preciso dov’è il negozio?
            -Che negozio?
            -Quello dove devi comprarti le scarpe...- lasciai perdere la frase a metà, quando intuii che lei non aveva la minima idea di dove fosse quel negozio.
Probabilmente, nei suoi rosei piani, avremmo girato per tutto il corso per tutto il tempo necessario a trovare quello che cercava.
Sospirai in maniera seccata, poi volsi la testa nella sua direzione.
            -Possibile che non hai nemmeno l’idea di cosa comprare?- chiesi.
Lei alzò semplicemente le spalle, mi sorrise e rispose:
            -Be’, altrimenti non ci sarebbe gusto, no?
            -Ovviamente- commentai con un sorriso sarcastico.
La piccola città era strapiena di automobili, tutti possibili compratori che il sabato sera si recavano a far spese per quei negozi gettonati.
Trovare un parcheggio che non distasse un chilometro dalla via principale era alquanto difficile, ma non impossibile.
Mentre lei, del tutto ignara delle mie preoccupazioni a suo parere futili, si trastullava osservando le vetrine luminose che sorpassavamo, io mi voltavo ripetutamente a destra e a sinistra per trovare un tanto di spazio da poterci infilare la macchina.
Eppure, non possedevo un fuoristrada che necessitava di ampio spazio per parcheggiare, la nostra macchina era minuscola e mi bastava anche una nicchia, non chiedevo tanto!
Feci per due volte il giro del corso principale, non trovando alcun parcheggio, e cominciavo ad innervosirmi leggermente.
            -Caspita, ecco dove dobbiamo andare! Lì vendono quelle scarpe che ho visto a Paola!
            -E perché, adesso tu copi tutto quello che si mette la tua amica?
            -No, è che voglio vedere quanto costano, per sapere a quale prezzo devo pagare le scarpe perché possano essere della stessa qualità- mi rispose, guardando fuori dal finestrino e allungando il collo all’indietro per cercare di sbirciare ancora quella vetrina alla quale eravamo passate davanti.
Fui tentata di darle della “superficiale”, ma ricordando che prima se l’era un po’ presa, preferii star zitta e concentrarmi per trovare un maledetto parcheggio.
Era chiaro che continuando a girare in tondo per la stessa via non avrei risolto un bel niente, perciò pensai che deviare per una strada secondaria mi avrebbe facilitato.
Per nostra immensa fortuna, in una strada deserta e poco illuminata, sotto un antico palazzo, c’era un posto libero che sembrava proprio invitarci a riempirlo.
Con un gran sorriso fermai la macchina lì, constatando che non eravamo nemmeno troppo distanti dal corso.
In conclusione, potevo ritenermi soddisfatta per la scelta del parcheggio.
            -Ecco, non è stato complicato, vero? E tu che ti lamenti sempre del parcheggio...- mi disse lei, recuperando la borsa.
Mi venne voglia di sorridere ironicamente, ma invece feci un sospiro e mi poggiai contro il sedile, slacciando la cintura.           
            -Già, è stato abbastanza semplice.
Io non mi ero portata appresso nient’altro che il mazzo di chiavi della macchina e di casa, mentre lei si era attrezzata infilando nella borsa di tutto, dal portafoglio agli assorbenti, dalle chewing-gum alle caramelle, dai guanti alle forcine per capelli.
Mi sporsi nella sua direzione, abbracciandomi al suo corpo e le diedi un bacio sulla guancia. Nonostante brontolassi continuamente per la noia che mi dava il girare mezza città alla ricerca del perfetto paio di scarpe, mi piaceva che volesse portarmi assieme a lei a far compere. Lo consideravo un onore.
Lei prese un piccolo specchio dalla capiente borsa, lo aprì e vi si scrutò attentamente, controllando di non avere nemmeno il più piccolo ciuffo fuori posto.
Mentre compieva questo scrupoloso controllo, io certa che per tutta la serata sarebbe stata presa da altre questioni, e sapendo che quando andava a far compere per negozi non voleva sentir parlare di altro, approfittai di quel momento per dimostrarle il mio apprezzamento alla sua mise giornaliera.
            -Non baciarmi sul collo, che poi si vede- mi raccomandò, come faceva sempre prima di uscire di casa.
E come ogni volta io disobbedii al suo comando, andando a baciarle proprio il punto nascosto da un ciuffo di capelli neri, quasi spostandomi sul suo sedile.
Con uno schiocco acquoso mi staccai brevemente.
            -Devi mettere il lucidalabbra?- domandai.
            -Certo che sì, o avrò le labbra secche.
            -Bene.
Prima che potesse spalmarselo sopra e togliermi ogni possibilità, risalii sul suo viso e le baciai la bocca.
Lei mi diede il permesso di continuare per un po’, poi decidendo che altrimenti avremmo impiegato troppo tempo a girare il corso, mi allontanò di poco.
            -Dai, lo so che sono irresistibile, ma datti un contegno.
            -Ma sentila.
Aggrottando le sopracciglia per la sua presunzione, tornai al mio posto guardandola storta; lei rise della mia espressione e per compensare la mancanza di cui avrei sofferto per il resto della serata, si premurò di darmi un bacio piuttosto lungo e approfondito.
            -Okay, ora andiamo!- con questa allegria euforica aprì lo sportello e scese giù dalla macchina, lasciandomi sul sedile, con le labbra ancora bagnate.
Stavolta feci un sospiro molto più esasperato, ma dovetti rassegnarmi a seguirla, scendendo a mia volta giù dall’auto.
            -Dai, non fare quella faccia!- mi rimproverò, prendendomi sottobraccio mentre mi affiancavo a lei sul marciapiede.
            -Che faccia?
            -Hai l’aria di una che è appena stata condannata a guardare per tutto il giorno le repliche di qualche telenovela sudamericana!
            -Considerando il freddo che fa, preferirei essere sul divano a guardare telenovele- borbottai io, sperando che non mi sentisse.
Lei mi diede una brutta occhiata, poi alzò la testa con fare superiore e disse:
            -Be’ se avrai questo atteggiamento per tutta la sera, puoi scordarti il regalo!
            -Non ho bisogno di alcun regalo, c’è una sola cosa che voglio da te e tu ti rifiuti di darmela in nome di uno stupido lucidalabbra!- spiegai, stringendomi nelle spalle.
            -Sempre a quello pensi.
            -Da che pulpito...
            -Allora cosa significa, che ogni volta che voglio farmi accompagnare a fare shopping devo ricompensarti in natura?- mi chiese.
            -Non sarebbe una brutta cosa. Almeno riuscirei a tenere un po’ d’entusiasmo- le sorrisi, ridendo poi quando mi spintonò di lato.
            -Scema.
   
 
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