Tiptoe to your room
a starlight in the gloom
I only dream of you
and you never knew
sing for absolution
I will be singing
“Jingle Bell, Batman Gay, Robin scemo
sei…”
Al storpia classiche canzoncine
natalizie mentre decora l’enorme albero di Natale. È in salotto in un angolo, è
vero e profuma. Gli appende festoni rossi e dorati e palline di vetro e
cristallo, mentre Edward lo guarda lavorare, tutto accartocciato in un angolo
del divano con le gambe piegate e un maglione enorme, color panna, che ciondola
da tutte le parti. Gli piace guardare Al mentre sbriga certe faccende,
tranquille e quotidiane, gli danno il senso di casa e che, per un certo senso,
in fondo tutto nel mondo gira comunque e gira bene. Gli piace osservare Al che
si impegna tanto per decorare l’albero, gli piace il Natale in casa, gli piace
la sensazione di tepore che avverte quando chiude gli occhi e il Natale è
perfetto proprio come se lo immagina.
Al si gira e lo guarda, e sorride
immensamente, quel suo piegar di labbra tanto simile al latte caldo, innocente
e caldissimo. È davvero bellissimo, il suo fratellino che si mette un festone
dorato attorno al collo. S’intona ai tuoi
capelli, avrebbe voluto dirgli ridendo, ma la gioia e le parole gli muoiono,
neppure nate, in gola. Al ha un sorriso bellissimo, non come quello di…
“Al…”
Il mormorio è morbido e quasi
invisibile, ma Alphonse lo percepisce in quanto è teso a cogliere ogni respiro
di Edward. Scende fulmineo dalle scale e vola ad abbracciarlo, circondandogli
il collo col festone e con le braccia.
“Ssh, ssh, va tutto bene, fratellone, tutto bene…”
Lo può sentire tremare.
C’è stato un piccolo periodo in cui
sembrava star bene. Se non altro, essere sopravvissuto senza braccia mozzate ma
pochi graffi profondi. È come se il dolore avesse avuto l’effetto boomerang di
colpirlo dopo mesi.
Parla poco, a sillabe smangiucchiate
e cenni del capo. Più volte, dopo un sonno di poche ore costellate di incubi
numerosi come stelle e buchi neri di dolore, si è svegliato nel cuore della
notte per andare a rimettere la cena. Alphonse lo ha trovato per molte,
infinite, dolorose mattine lì, a dormire sul pavimento con gli occhi rossi e la
pelle bianca come il marmo, e lo ha sempre riportato a letto per cercare di non
fargli ricordare di essere crollato nel bagno vomitando. Ha incubi su incubi,
mangia poco, urla e piange nel sonno. Esce di rado, e sempre all’ombra di
Alphonse, temendo ogni rumore, ogni essere umano gli ricordi William. Si accusa
di ogni cosa.
Alphonse lo culla piano, cercando di
tranquillizzarlo. Gli strofina la schiena, sperando che gli arrivi almeno un
minimo di calore. Gli bacia le tempie, le orecchie in fiamme a furia di
piangere, non osa baciargli le labbra per paura di vederlo ritrarsi. Lo sente
aggrapparsi come un bambino, singhiozzare.
Spesso ha delle crisi che, al di
fuori, appaiono insensate. In mezzo alla giornata, in mezzo alla strada, si
piega su se stesso e comincia a piangere, quasi smettendo di respirare.
Ed ha la costante sensazione di
soffocare. Non riesce a trovare aria; non la trova in casa, non fuori, non nei
sogni, nel sonno, nella veglia. In nulla.
Il calore dell’abbraccio di Al sfuma
sulla sua pelle, la carezza senza penetrarla.
Si sente intrappolato, in gabbia,
solo e tremendamente morto. Ciondola qua e là in una dimensione vuota, priva di
pavimenti e soffitti e cieli e terra e stelle e sole.
Lui sta lì, e il mondo gli crolla
addosso, e lui è immobile e tutto gli viene addosso e lo travolge. Lasciandolo,
però, fottutamente vivo.
Ed e Al hanno smesso di baciarsi da mesi.
Se, appena morto William, sembrava
tutto morto, via via che i giorni passavano,
addensandosi l’uno sull’altro, l’angoscia gli montava in petto ogni volta che
le loro labbra si sfioravano. Le accettava in tutto il viso, ma non sulle
proprie né tantomeno sul corpo, parte assolutamente inviolabile.
Odiava quella situazione, odiava
essere se stesso, odiava tutto, eppure non riusciva a sconfiggere nulla. Si
sentiva e si sente tutt’ora piccolo, inutile, odioso, una merda.
“Ssh, ssh, fratellone, è tutto a posto, va tutto bene… ci sono io, sono Al, mi vedi, vero?”
Alphonse gli prende il viso con le
mani e si sforza di essere un concentrato di zucchero e miele. Gli bacia le
guance, togliendo più lacrime che riesce.
“Vuoi parlare u—“
“È-è tutta
colpa mia, tutta tutta tutta
colpa mia…”
Ci sono mille vocine, dentro la testa
di Edward, che continuano a ripetere sempre lo stesso concetto, con parole
sempre diverse in modo che gli entri meglio in testa. Se non ti fosse piaciuto non ci saresti stato, Se non ti fosse piaciuto
avresti tirato fuori le palle, Sei tu che l’hai attirato e ti sei fatto
scopare, non dare la colpa agli altri. Di continuo lo martellano e non lo
lasciano in pace, e lui si avvolge ancora di più nel maglione, ancora più ad Alphonse.
Cosa ci fai con me?
“Dio, Ed, non è vero, non è affatto vero…”
Gli bacia la fronte e lo guarda negli
occhi, fermo e sempre dolce, farlo sentire sgridato non farebbe che peggiorare
la situazione già tragica di suo. Il fuoco scoppietta nel camino, sfumando di
arancione e rosso le pareti altrimenti perfettamente candide.
“Lo sai, lo sai benissimo che tu non
c’entri. Sei innocente, sei una vittima, sei…”
Si blocca: sono parole e frasi trite
e ritrite, non potranno avere nessun effetto.
Suo fratello è sempre stato più basso
di lui, ma in questo momento sembra minuscolo, un uccellino dall’ossatura
particolarmente fragile che trema per la pioggia e ha paura di vivere.
Edward non ha voglia di vivere. Ha
sempre gli occhi vuoti, il sorriso spento, lo sguardo assente, il volto morto.
Alphonse ha così tanta rabbia addosso che andrebbe a profanare il cimitero solo
per tirar fuori il corpo di William e farlo a pezzi, solo per poter contribuire
alla salvezza di Edward. Ha un moto di odio e rabbia e bile nello stomaco da
credere che fra poco possa esplodere, ma si trattiene solo per non ferire
ulteriormente quella creaturina che lo stringe con le
uniche forze che ha.
“Edward, ascoltami…”,
e pronuncia il nome ponderando ogni lettera, “io voglio che tu stia bene. No,
non è una richiesta, è un’imposizione.”
Ed non riesce a capire del tutto
quell’ordine bizzarro. Si sente talmente immerso fino al collo nella tempera
nera, copiosa e soffocante, che non riesce neppure ad immaginare come sia,
essere felici.
Lo è stato, un tempo. Ma i ricordi
tendono a sbiadirsi e scivolare via silenziosamente senza colpo ferire.
“So che sarà difficile, so che ti
sembrerà dannatamente impossibile, e—e , Dio, so benissimo che non siamo in un
film e non sarai colpito dal fulmine della rivelazione dopo le mie parole…”
Al gli alza il viso, lo mette seduto
davanti a sé per poter parlare guardandolo per bene in volto.
“Ci sono, capito? Non tenerti tutto
dentro, non evitare di parlarmi, io… sono Al,
fratellone, non sono un estraneo…”
Di colpo lo bacia. Edward urla, ma Al
continua a baciarlo. In un moto di pazzia, forse.
“Fratellone, Edward—amore,
cristo… lo affrontiamo insieme? È un mostro troppo
grosso da uccidere da solo… dio, fammi essere vicino
a te, ti prego…”
“A-Al, io…”
“Ed, ti prego, non sentirti in colpa,
a me non stai facendo nulla—anzi, sì, ma il peggio
che mi fai è rimanendo così—“
“Scusami…”,
scoppiando nuovamente a piangere forte, scappando in camera propria.
Se ne sta in un angolino, senza
tremare né piangere, semplicemente rimanendo immobile nel maglione enorme.
Ama Al, profondamente, totalmente.
Non potrebbe fare altro nella vita. È la sua unica sicurezza. Eppure lo sta
ferendo. Lo ferisce sempre, con ogni silenzio, ogni lacrima, ogni crisi, ogni
rifiuto di aprirsi e parlare e sfogarsi e fargli capire a pieno. Non vuole che
lui sia toccato oltre dalla faccenda, è un fatto suo, ed è tutta colpa tua, Edward.
“Fratellone, posso entrare…?”, mentre bussa alla porta un’unica volta.
“N-no…”
Più sta lontano, meglio è. Si
corromperebbe. Per quanto ora predichi il contrario, di sicuro basterebbe poco
perché la sua idea cambi del tutto.
“Fratellone, io devo assolutamente parlarti… ma okay, rimango qua.”
Lo sente sedersi, appoggiare la
schiena alla porta.
“Tra poco è Natale, lo sai? Ti
ricordi quant’è bello il Natale, fratellone?”
Per Natale, nonostante siano secoli
che hanno scoperto l’inesistenza di Babbo Natale, scrivono la letterina e la
nascondono nell’albero prima che sia addobbato. Se la leggono a vicenda in modo
da sapere cosa regalarsi, ma anche questa è una tradizione infantile, perché
sanno perfettamente cosa l’altro vuole.
In quella di Edward c’è scritta una
cosa sola: dimenticare.
“I regali, i dolci, la cioccolata e
il latte caldo davanti al fuoco…”
Tutte quelle cose che, irrimediabilmente,
Ed non fa che paragonare al fratello, alla tranquillità, alla vita. Tutte
quelle cose che Alphonse sta cercando, in ogni modo possibile, di ricordargli
di godersi a pieno.
“E siamo liberi dai compiti, e
possiamo leggere quello che ci piace anche tutta la notte…
lo sai, eh, Ed?”
Quello tira su col naso, è riuscito a
smettere di piangere.
“Perché non te ne vai finché sei in tempo…?”
“Perché ti amo.”
Ed è forte, e potente, è una
cannonata in pieno petto.
“Perché non sono un codardo, perché pretendo
che tu sia felice. C’è un mondo bellissimo e – oh, cazzo, parlo come un vecchio… Edward, io non ho mai sofferto come te, non posso
capire al cento per cento, ma… Dio, io voglio vedere
il mondo con te. Voglio tenerti per mano baciarti fare l’amore con te con
orgoglio e con la testa alta in mille posti, voglio parlare e urlare e giocare
dove non ci conoscono, voglio uscire da questa casa e giocare battaglia di
palle di neve con te, fare gli angeli nella neve, voglio buttarmi con te nei
fiumi di febbraio e prendere la febbre altissima e così rimanere nei nostri
letti a coccolarci tutto il giorno, tutti belli avvolti nei pigiami, voglio
vedere l’Italia, l’America, la Spagna, voglio che la mia vita sia piena di te,
voglio essere un tutt’uno con te, Dio Edward…”
E lo sente piangere; è un pianto
lento, soffuso, trattenuto il più possibile. Ed non sopporta che suo fratello
pianga, mai.
Non entrare
Entra
Non voglio alzarmi
Voglio abbracciarlo
Non deve toccarmi, andrà all’inferno
Voglio andare all’inferno insieme a lui
“Ed, ti prego…”
E quello si alza e va ad
abbracciarlo, piano, con tutta la poca forza che ha. Piangono assieme, i
profumi e le lacrime si mischiano, diventano un tutt’uno, un po’ come sono
sempre stati loro.
“Ho… paura…”
Fottutamente paura. Di non farcela,
di soccombere. Non sa se ha voglia di combattere. Non sa nulla.
Alphonse, però, di contro, sembra
avere le idee chiare. Vuole essere il suo appoggio, il suo percorso da seguire.
È come stare in un tunnel
lunghissimo.
E si sente tremendamente
superficiale, e un po’ da film, e chissà quant’altro, ma comincia a profilarsi
la luce. Ed è una luce a forma di Alphonse. Ed è bellissima, immensa. Ed è
tutta lì, ed è Alphonse, e l’amore e la gioia che prova così tanto di
infondergli e, Dio, sente come se, quasi quasi, ci
stesse riuscendo.
“L’abbiamo tutti, fratellone. La
sconfiggeremo insieme. Ce la faremo. A piccoli passi, cammineremo insieme.
Fidati.”
Si abbracciano stretti, e lì restano
per un’ora, a darsi bacini da cuccioli.
Don't be
afraid
What your
mind conceals
You should
make a stand
Stand up for
what you believe
And tonight
we can truly say
Together we're invincibile
Le due canzoni citate appartengono
entrambe ai Muse, e sono, rispettivamente, “Absolution”
e “Invicible”. È un piccolo tributino a PM della mia Nattola, un po’ perché amo quella fic,
un po’ perché lo voleva. Fa parte, come le restanti due fic
che ho pubblicato XD, di uno dei suoi regali di Natale. <3