Libri > Leggende Arturiane
Ricorda la storia  |      
Autore: ailinon    12/01/2010    7 recensioni
Artù si chiede come punire il tradimento di Lancillotto e Ginevra, senza far uccidere le due persone che più ama al mondo.
Decide allora, di far ricorso a una vecchia lex romana che dice...
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Artù, Ginevra, Lancillotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lex'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 80 – UNA SOLA ANIMA

LEX

 

Vigeva in quel tempo, sulla Bretagna, un re buono e giusto. Un grande re che univa insieme la cultura celtica a quella cristiana. Le leggi nuove insieme a quelle rimaste dai tempi dei romani.

Era un re saggio che sedeva come pari insieme ai suoi cavalieri. E come pari, sia su di lui che su di loro, Artù faceva rispettare la stessa legge.

Per questo, quando Mordred accompagnò il re nelle stanze della regina Ginevra, e insieme vi scoprirono il tradimento della donna con Lancillotto del lago, Artù non poté esimersi dal applicare quella stessa giusta legge anche sui due amanti sventurati.

Dura lex, sed lex, diceva un vecchio motto romano.

La legge britannica diceva che un’adultera veniva messa al rogo, e l’amante decapitato; ma in quell’occasione Artù preferì applicare una vecchia legge romana ancora attiva in alcune parti del suo regno.

La legge era contro alle due persone che più amava, e malgrado si sentisse tradito, per salvarle Artù decise di applicare così quella legge romana.

Fece scortare la regina, dai suoi cavalieri,  nella torre, mentre lui restava solo nella stanza con il suo prode cavaliere Lancillotto.

Mordred tentò di protestare. E anche Gawain pensò che fosse troppo pericoloso, ma Artù ordinò loro di obbedirgli, e questi lo fecero, anche se di controvoglia.

Rimasti soli nella camera da letto, il sovrano impose al suo primo cavaliere di obbedirgli se voleva restare vivo.

Il figlio della dama del lago, vedendolo così irato, e sentendosi molto in colpa verso il suo migliore amico, che tanto lo amava, disse che avrebbe fatto quello che gli imponeva di buon grado. Qualsiasi cosa fosse. Perché grande torto gli aveva fatto.

Artù, che lo aveva trovato già nudo nella camera della regina, osservò il lenzuolo che si era panneggiato attorno alla vita, per coprire le sue nudità; quindi gli spiegò il contenuto della legge romana, che avrebbe potuto salvargli la vita.

Questa buona legge permetteva al marito gabbato, di approfittare dell’amante nello stesso modo in cui questi aveva fatto di sua moglie. Egli poteva approfittare quanto voleva del povero amante colto in flagranza di reato.

Il bel cavaliere ascoltò incredulo a quella regola, e si oppose timidamente.

Tuttavia quando Artù gli rammentò il grande tradimento che gli aveva fatto, Lancillotto si sottomise di buon grado. Quale leale cavaliere era, malgrado quel che aveva fatto.

Il re allora gli strappò di dosso il lenzuolo di dosso, lasciandolo nudo e tremante, come Adamo dopo il peccato originale.

Lo afferrò poi per i fianchi, lo fece voltare e lo sbatté contro al tavolo, a pancia sotto.

Lentamente si sfilò la cintura che gli teneva la tunica, e si calò le calzabrache.

«Questo farà male a voi quanto a me»

disse soltanto il re posandogli una mano sulla splendida schiena, muscolosa e nuda.

Premette Lancillotto contro il legno del solido tavolo,  e poi lo penetrò senza garbo.

Il desiderio già acceso dalla solida nudità dell’amico.

Più volte avevano giaciuto vicini su un duro prato dopo una battaglia, o lavati insieme in un fiume ma, mai l’aveva visto così bello e completamente nudo. Le membra perfette e sode, come quelle di un giovane puledro.

I capelli castani scarmigliati dall’amore, gli scendevano lungo il collo candido, come una criniera. La schiena arcuata.

Lancillotto gridò. E gridò ancora quando Artù gli afferrò i fianchi e si spinse violentemente in lui.

Doveva gridare, così che tutti i cavalieri fuori dalla porta sapessero che lo stava punendo per quell’affronto insopportabile.

Alla terza spinta, un gemito di piacere sgorgò dalla gola del suo più caro cavaliere, e anche il biondo Artù ansimò.

Il desiderio non lo abbandonava, e un attimo dopo si trovò a far vagare le dita attorno alla bocca socchiusa del suo amico.

Questo l’avrebbe indubbiamente svergognato davanti a tutti i cavalieri…

La bocca del figlio delle dama del lago si chiuse attorno alle sue dita e prese a leccarle e succhiarle.

Artù impazzì. Afferrandolo meglio, si mosse ancora, e ancora.

La mano libera gli cinse il torace e prese a vagargli sul petto, accarezzandolo sensualmente. Sfiorandolo in ogni dove. Quando gli strinse i capezzoli tra le dita, al giovane ventitreenne, suo prigioniero, sfuggì un gemito strozzato che mandò il sangue al cervello ad Artù.

«Lancillotto…» disse con voce roca, protendendosi sulla sua schiena

Il cavaliere girò il capo e le loro bocche si unirono in un bacio appassionato. Le lingue si sfidarono in un duello giocoso, come da anni facevano con le loro spade.

Incapace di resistere Lancillotto fece scendere una mano sul suo sesso eccitato, seguendo le spinte del suo re; ma Artù lo bloccò, afferrandogli i polsi.

«Ti avrò come voglio» esclamò lapidario, poi gli torse le braccia all’indietro e si spinse in avanti. Ancora e ancora.

«Per Ginevra» mormorò distante.

Ansimando Lancillotto lo ripetè: «Si… Per Ginevra…» ma nessuno dei due stava pensando ad altro che a quel momento. A quei corpi, e al proprio piacere.

Con altre spinte poderose, il grande re Artù fece suo il bel Lancillotto, e questi gli si sottomise con stoica vitalità.

***

 Quando si svegliarono, dopo la seconda o terza volta, Artù giaceva nel letto della regina, col suo cavaliere.

Lancillotto riposava accanto a lui, nudo, con il capo bruno abbandonato sul suo braccio. La mano sul suo torace muscoloso.

Doveva averlo punito per qualche ora perché fuori dalle finestre ad arco acuto il sole era calato.

Distrattamente il sovrano si chiese se i suoi cavalieri della tavola rotonda fossero ancora fuori dalla stanza, ad attendere.

Probabilmente solo Mordred si sarebbe ostinato nel corridoio. O forse Galahad con lui. Chissà. Non gli importava in quel momento.

In quel momento avrebbe voluto cavalcare per ore nei prati, accanto al suo più fidato amico, senza altro pensiero che la gioia.

Il vento avrebbe scosse la brughiera, e i loro capelli. Si sarebbero guardati, sorridendo.

L’avrebbe perdonato senza altre punizioni.

Sarebbe stato facile se non fosse stato re…

Sentì la mano di Lancillotto accarezzargli il petto glabro e lo guardò.

 «Una scuderia» mormorò il più giovane dei due con un sorriso trasognato.

 «Che vuoi dire?»

«Dovremmo avere una scuderia, tu e io. Ed allevare solo cavalli. Splendidi cavalli da battaglia. Animali liberi e vivi»

Il re sorrise al suo sogno: «E come vivremmo?» domandò tanto per fare.

 «Ci arrangeremmo, lo sai»

Al suono della sua voce convinta, il re si voltò a guardarlo negli occhi. E in quegli occhi azzurri vi lesse tutta la sua decisione. E improvvisamente la sua volontà vacillò.

Si, sarebbe stato facile fuggire. Lasciare alla regina la sua libertà, e a loro due… La gioia.

D’improvviso fu facile condividere il sogno con lui.

«Cavalli…» mormorò turbato.

Lancillotto gli strinse un braccio in un gesto che tante volte era già stato d’amicizia.

«Si. Insieme»

 Artù lo sentiva. Avrebbero potuto scordare tutto. Avrebbero potuto anche farlo prima… Ma forse quella punizione li aveva uniti più di quanto aveva fatto la tavola rotonda. Facendogli scordare i falsi obblighi. Le imposizioni. Solo loro due.

«Lancillotto…» tentò di protestare il re, ma poi la voce si spense nei suoi occhi.

***

 Quando Artù svanì da Camelot, molti credettero che avesse lasciato Camelot per inseguire Lancillotto. Per ucciderlo e vendicarsi del suo tradimento.

Altri sospettarono che il giovane Mordred, l’unico rimastogli vicino prima della sparizione del grande re, l’avesse fatto uccidere per avere il suo trono.

E non valse la difesa di Galahad per discolparlo del tutto dal sospetto.

Altri dissero che invece il re fosse stato ferito da Lancillotto e riportato ad Avalon, dove ora vivesse lietamente.

In realtà Artù era davvero felice in quei giorni. Così come non era mai stato.

Si era trasferito molto a sud, dove allevava dei cavalli, sotto falso nome.

Tutti lo credevano solo un semplice allevatore che viveva dei frutti della dura terra. E che amava galoppare libero, con il suo più caro compagno, sui prati verdi della brughiera. Allenarsi con lui alla spada, e a volte distendersi insieme, all’ombra di alberi in fiore.

Per poi svanire nel suo caldo abbraccio.

 E’ questa la vera storia della fine del grande re Artù, e di come tutta la Bretagna né cantò la leggenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Leggende Arturiane / Vai alla pagina dell'autore: ailinon