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Autore: Avly    14/01/2010    2 recensioni
Mosca dorme sonni tranquilli, ma qualcuno veglia su di lei...Le Piccole Falene Notturne sono gli occhi dannati della notte...Una Fenice intrappolata in un'esistenza di Falena, una creatura di luce che vive nel buio... Un ipotetico seguito di "In the middle between life and death" sicuramente dai toni più accesi e crudi rispetto a quelli a cui sono abituata...E' un esperimento quindi non so cosa ne uscirà fuori, questo spero siate voi a dirmelo^^ Nuovi personaggi in arrivo^^ In seguito arriveranno anche gli altri^^Ps nn sapevo se darle un rating giallo o arancione^^
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mosca 23 Dicembre – ore 0

Ed eccoci qui con un nuovo esperimento, se è vero che bisogna provare tutto nella vita, allora questa è sicuramente una cosa “innovativa” per me; pensato come un ipotetico seguito di “Ad un passo…In the Middle between Life and Death” la storia si colloca circa un anno dopo l’incidente di Kai, quindi nove mesi dopo “la notte” di Hilary (brava sei capace di contare nd Kai) (grrr nd Avly)…Comunque come dicevo questo è un piccolo esperimento e spero vivamente che vi possa piacere^^ Lasciatemi un piccolo commentino se vi fa piacere, venire a conoscenza delle vostre opinioni sarebbe una grande cosa^^

Buona Lettura^^

 

La piccola Falena Notturna

 

Mosca 11 Gennaio 2010 ore 3.08

 

Le strade di Mosca non sono mai state luminose o familiari; c’è chi dice che ogni persona appartiene al luogo in cui nasce, e che in qualunque parte del mondo si possa trovare non si sentirà mai bene come a casa propria…”quante sciocchezze…

Lui a Mosca ci era nato, eppure tutti i ricordi felici che possedeva erano legati ad un altro posto, ad un’altra città…Certo, questa era la sua città, ma lui qui non aveva vissuto che incubi, torture, privazioni…qui gli avevano insegnato ad odiare, a distruggere, a sopprimere i sentimenti senza alcuna pietà…La pietà? Lui non la conosceva, gliel’avevano estirpata tanto tempo fa insieme al cuore…ma allora cosa ci faceva ancora lì?

 

Erano ore che camminava per le strade della fredda capitale russa, mentre pesanti fiocchi di neve cadevano come aghi su di lui, perforandogli la pelle diafana, ma nonostante questo, lui non potè non incantarsi davanti alla neve…”A loro piace quando nevica” un piccolo sorriso comparve a forza su quelle labbra sottili, ormai screpolate a causa del gran freddo.

Il gelo era ovunque; lo aveva circondato, rivestendolo completamente…Magari il freddo che sentiva fosse causato dal clima…No, il gelo che gli riempiva le ossa non aveva niente a che vedere con la temperatura di Mosca, bensì con il suo animo, quell’animo che credeva gli avessero sottratto tanto tempo fa, disperdendolo come una foglia mossa dal vento.

Camminava. Avanzava come un fantasma attraverso la neve, ormai alta quasi sessanta centimetri, sfidando la tormenta che si stava abbattendo come un castigo divino sulla Signora del Nord.

E in una delle strade periferiche di Mosca, un ragazzo di un’età indefinibile, vestito con “stracci” assolutamente inadeguati viste le temperature glaciali, avanzava con coraggio cercando di raggiungere la sua “casa”.

“La mia prigione” pensò, evitando di scivolare su un pezzo di ghiaccio lucido.

Una prigione…un prigioniero…un inferno…intorno a questi tre elementi girava l’asse della sua vita, un equilibrio precario, un filo che rischiava costantemente di spezzarsi…in balia dell’umore del suo Minosse.

 

Mosca dormiva sonni tranquilli, ma in realtà era tutta un’illusione, perché le Piccole Falene non riposavano mai, soprattutto la notte. L’oscurità era il loro sole, la sera il loro mattino, e l’alba il loro tramonto. Potevano essere paragonati a dei vampiri, ma per loro sfortuna erano solo esseri umani…Anzi no, perché gli esseri umani sono trattati con un rispetto maggiore di loro. No, loro sono merci, carni da macello, bambole di pezza, e lui…è il carico più ambito.

Ad un certo punto il ragazzo mise un piede in fallo, e cadde in avanti, sprofondando nella fredda neve candida, mentre quei pochi vestiti che indossava presero a bagnarsi del tutto.

Il giovane immerse il viso pallido nella neve, come per trovare una sensazione piacevole in quel gesto. I cristalli gli punsero affettuosamente il viso e le sue labbra si inumidirono assaporando il fresco sapore di quella straordinaria massa bianca.

Rimase lì per qualche minuto, beandosi dell’innaturale calore che stava provando in quel momento. C’era il Nulla attorno a lui. Nessun rumore, nessun odore, solo lui…e i suoi ricordi.

Non gli importava se sarebbe arrivato tardi, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza. Che giungesse tardi o in orario, la punizione era sempre quella. “Tanto vale prendermela con calma” pensò sprofondando ancora di più nella coltre candida.

Percepì l’acqua fredda percorrergli i capelli argentati, e piccole goccioline scivolare rapide sul suo viso, avvicinandosi agli occhi che erano di un magico color ametista. Occhi tristi, spenti, vuoti…due pietre che avevano smesso di brillare, due occhi che avevano deciso di non voler più vedere…

Rimase lì, sdraiato sulla neve per parecchi minuti, fino a che non si decise ad alzarsi, seppur con estrema fatica.

Si scrollò la polvere bianca dalla leggera tunica nera che indossava e riprese il suo cammino, rivedendo in ogni piccolo cristallo volteggiante i volti dei suoi Angeli.

 

- Sei in ritardo! Si può sapere che fine avevi fatto? Lui è infuriato – una voce flebile e delicata lo accolse agitata non appena il ragazzo attraversò l’enorme cancellata di ferro.

- Sai quanto me ne importa – rispose freddamente senza guardare il suo interlocutore

- Non dire sciocchezze Kai – l’ammonì l’altra preoccupata afferrandolo per il braccio 

Il giovane chiamato Kai si voltò verso chi gli aveva afferrato delicatamente il polso, fino ad incrociare gli occhi castani chiari di una giovane ragazza, circa della sua età, con lunghi capelli biondo cenere lasciati crescere senza molta cura. Il viso chiaro, piccolo dai lineamenti delicati era attraversato da un’espressione angosciata e preoccupata, ed il ragazzo non seppe risponderle con voce seccata.

- Tranquilla Ranja è tutto a posto – le disse prendendole delicatamente le spalle per rassicurarla.

La ragazza sembrò calmarsi, ma non si staccò dall’altro.

- Ha fatto mettere Alexander e Shila nella cripta come punizione del tuo ritardo…e Alex aveva la febbre alta questa mattina -

“Bastardo” Il ragazzo digrignò i denti.

Abbassò lo sguardo sulla giovane ragazza, che lo fissava con un’espressione terribilmente triste; una fitta di dolore li dilaniò il cuore mentre quegli occhi assumevano piano nelle sua mente un altro colore. Non poteva vedere ancora quella sofferenza, l’avrebbe impedito.

- Tranquilla – pronunciò con un filo di voce – Ci penso io – Detto questo si allontanò inoltrandosi negli oscuri cunicoli della villa, oltrepassando decine di uomini vestiti di nero che lo squadravano con disprezzo.

- Alla buon ora Hiwatari – disse uno assestandogli un colpo dietro la nuca.

Il ragazzo non mosse un muscolo contro il suo aggressore, non sarebbe servito a niente…Doveva trovare il suo Carceriere.

Lentamente proseguì il suo cammino, tenendo uno sguardo freddo e duro su un viso che in realtà avrebbe solo voluto poter urlare e piangere. Piangere, cosa c’era di male in fondo? Lui non aveva mai versato una lacrima per nessuno…anzi forse una volta si…

 

- Con una vittoria straordinaria Kai riporta alla ribalta i G-Revolution, battendo l’arma segreta della BEGA, Brooklyn! -

Aveva vinto…incredibile…ci era riuscito! La felicità provata il quel momento era troppa per poter essere descritta con delle semplici parole; si sentiva leggero, svuotato di un peso che da molto tempo si portava dietro. Ora, illuminato dalla luce dei riflettori si era voltato verso i suoi amici…coloro che lo avevano sostenuto…coloro che avevano pianto per lui, e che ora lo osservavano con occhi velati di gioia, versando lacrime solo per lui. Aveva alzato il pugno verso l’alto come segno di vittoria, guardandoli con i suoi occhi color ametista, mentre loro non facevano altro che gridare il suo nome…Kai

E fu in quel momento che accadde; se lo ricordava ancora. Dai suoi occhi violacei avevano iniziato a farsi strada con coraggio delle piccole gocce di acqua salmastra, che avevano poi ricoperto le sue iridi, rendendole ancora più splendenti. Aveva pianto per loro…per quelli che erano la sua vita, e per lei che era la sua luce.

 

Ne era passato di tempo da allora; il tempo aveva corso più velocemente di lui, e così si era ritrovato nel buio. Tempo e destino…due nemici per lui, due variabili a cui non aveva mai saputo dare un valore…due poteri che si erano messi contro di lui, che lo avevano accerchiato e gli avevano impedito di rivedere la luce. “Probabilmente è meglio così…forse io non me ne rendo conto, ma la mia natura è questa…” pensò mentre attraversava l’immenso porticato in pietra che lo separava dalla camera di lavoro di Minosse. Il giudice avrebbe ascoltato i suoi resoconti e poi avrebbe decretato la sua punizione, come il mostro mitologico faceva con le anime dei dannati dell’Inferno di Dante. Se il giudice infernale avrebbe girato la coda attorno al corpo, per indicare il numero del girone, allora il suo carceriere avrebbe dovuto scegliere in quale cripta mandarlo.

“Beh…tanto le ho provate tutte” pensò sarcastico il ragazzo, che ormai ci aveva fatto l’abitudine.

Quando si ritrovò dinanzi alla porta del suo tribunale, alta di legno scuro e pesante, il respiro cominciò a farsi più rarefatto. “Devo…non posso lasciare Alexander e Shila là dentro…Non per colpa mia” deciso bussò alla porta, scandendo bene i colpi, per far capire all’uomo che si trovava dall’altra parte chi fosse.

- Entra – Una voce, una sola parola, un solo sospiro, un solo incubo. Il giovane spinse piano i battenti della porta, entrando con molta discrezione e silenzio. I suoi occhi non riuscirono immediatamente a distinguere gli oggetti e l’arredamento, benché li conoscesse a memoria. La camera era totalmente immersa nel buio e l’odore di chiuso impregnava la stanza. Kai storse il naso in una smorfia di disgusto.

- Sei arrivato finalmente – disse una voce stagliandosi calma e potente nell’oscurità.

Un brivido corse lungo la schiena del giovane, che però si limitò ad ignorarlo.

- Si signore – “Signore” Dio solo sapeva quanto odiava dover rivolgersi a quell’uomo con quell’appellativo. Era un nome che trasudava rispetto, terrore, sottomissione, e lui non si era mai fatto piegare da nessuno…fino ad ora.

- Non hai nient’altro da dire? –

Si morse il labbro irritato. Lui sapeva come metterlo alle strette, sapeva perfettamente quanto il ragazzo detestasse doversi piegare e godeva nel leggere la frustrazione nei suoi occhi ametista.

Si costrinse a rimanere calmo.

- Mi perdoni signore…non succederà più… - Bugia…alla prima occasione avrebbe rifatto tardi.

- Lo hai detto anche la volta scorsa – precisò l’altro gustandosi l’espressione dipinta sul viso diafano e scarno della sua piccola falena notturna.

- Ho avuto degli impedimenti con la neve…è molto alta e camminare è stato un problema –

- Soprattutto se si è indisponenti e bugiardi come te –

Kai era molto irritato, sapeva che non ci avrebbe mai creduto, ma perlomeno sperava che non fosse di così cattivo umore.

- E cosa mi dici della tua missione? -

- E’ andata come previsto – rispose secco lui, che non vedeva l’ora di uscire da quella stanza scura. Per la prima volta in vita sua si convinse che forse scendere nelle cripte non era poi così male.

- Il contatto ti ha creato problemi? –

- Non ne ha avuto il tempo –

Il silenzio calò insieme al gelo nella stanza. Entrambi si squadravano con astio, nonostante non fossero ben visibili i connotati dei loro visi, a causa dell’oscurità perenne.

- Bene…lo sai che Alexander e Shila sono nella cripta rossa per colpa del tuo ritardo? – la sua voce era acida, tentatrice, odorava di trappola, di tranello sporco, ma il ragazzo non seppe non caderci. Sprofondò nella fossa di sua volontà…Non poteva permettere che quei due bambini restassero lì.

- Sono qui per prendere il loro posto –

- Lo immaginavo. Certo che sei davvero cambiato. Il freddo Kai Hiwatari che si sacrifica per due mocciosi?! – Minosse scoppiò in una risata, tanto orribile quanto sprezzante. Umiliazione; era questo che voleva fargli provare, voleva che si sentisse uno straccio al suo servizio, il suo sicario, il suo giocattolo, la sua arma preferita.

- Non ti starai rammollendo vero? Forse la continua compagnia di Ranja ti fa davvero male, certo è una delle migliori nel suo campo, ma ti credevo uno attaccato solo ed esclusivamente alla propria immagine – Gli  occhi vitrei dell’uomo percorsero con piacere il corpo della sua falena; era la sua bambola preferita. Un fisico atletico, delle braccia forti e salde, un petto in cui non vi era più un il cuore. Il suo cuore glielo aveva strappato molto tempo fa insieme alla sua esistenza. Ora di Kai Hiwatari non restava che un’ombra.  

- Vai nella cripta nera –

- E i ragazzi? –

- Se sono sopravvissuti potranno uscire –

Il giovane come era entrato se ne andò, ponendo un leggero inchino e chiudendosi la porta alle spalle con delicatezza. Il suo cuore rallentò i battiti, ed il respiro si fece regolare.

Chiuse gli occhi stanco.

- Kai? Come è andata? – non si mosse. Avrebbe riconosciuto quella voce in mezzo a mille altre.

- Vai a prenderli Ranja, io vado nella nera – e senza aggiungere altro si allontanò, lasciando la giovane leggermente sollevata, ma al contempo tesa e preoccupata. “Kai”

 

Le catene gli ferivano i polsi, ed il loro tintinnio era quasi snervante. Sembrava come se ridessero di lui, della condizione in cui si trovava. Era anche del tutto inutile agitarsi…Non avrebbe cambiato nulla; doveva solo attendere che la punizione finisse, doveva solo attendere o che le porte della sua prigione si aprissero, oppure aspettare che gli si spalancassero le porte dell’Inferno.

Forse la seconda opzione era la più allettante…

La cripta nera manteneva orgogliosamente il suo appellativo: era una stanza sotterranea molto piccola e stretta, con i muri ricoperti di macchie d’umido e da aculei di ferro, alcuni dei quali erano arrugginiti; inutile dire a cosa servissero…Dal soffitto pendevano delle catene terminanti con delle manette, che una volta assicurate ai polsi della vittima lo facevano penzolare pericolosamente fra le due file di aculei. Kai aveva perso il conto di quante volte per evitare di essere troppo vicino ad uno spuntone, si era ritrovato quasi trafitto da un altro alle sue spalle.

Fortunatamente ormai aveva un fisico e soprattutto una mente abituata a questi speciali trattamenti, per cui riusciva dopo dodici ore di astinenza da acqua e cibo, a reggersi quasi perfettamente in piedi.

Aveva imparato come combattere la paura. Aveva capito come annientare questo subdolo nemico almeno quando si trovava solo. Lì non c’erano persone che avrebbero rischiato la vita, lì non esistevano i sentimenti, lì lui non aveva nessuno che se stesso…

Solo quando era veramente solo sapeva di poter combattere, solo quando il suo cuore non doveva preoccuparsi per l’incolumità degli altri, lui poteva combattere…

“Quanto sei scemo…la verità è che senza i ricordi che hai di loro…di lei, tu non riusciresti a sopravvivere…ti credi davvero forte Hiwatari? Te lo dico io, tu non sei forte…Sei un debole, che ha bisogno di annodare la propria esistenza a quella di altre persone per poter vivere…”

“Non è vero…”

“A no? Allora spiegami questo…per quale motivo sei rimasto qui? Perché non sei fuggito? Te lo dico io…Non hai avuto il coraggio per una volta di tagliare i ponti con il tuo passato, ed ora ci sei dentro fino al midollo!”

Era la sua coscienza a parlare? No, forse i sensi di colpa, o ancor più probabilmente stava delirando.

Era davvero un codardo? La verità era che non lo sapeva più nemmeno lui…In quel posto si perdeva l’identità, la coscienza, si imparava a vivere come spettri, si abbandonava la vita per entrare in uno stadio intermedio fra la vita e la morte; vita perché dopotutto aveva ancora un corpo, ma morte perché al contempo si sentiva privo di un cuore pulsante.

Forse quella voce aveva ragione: non aveva voluto tagliare i ponti con il suo passato, ed aveva dovuto rinunciare a tutta la felicità che aveva a fatica conquistato…

I suoi amici, Takao, Rei, Max, Daichi, Yuri…chissà come stavano…Se lo era chiesto molte volte senza mai riuscire a darsi una risposta; non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, ma lui voleva bene a quei ragazzi, erano la sua famiglia, anzi erano stati la sua famiglia.

Con questi pensieri cercò ancora una volta di sfuggire al suo Inferno, cercando in loro un piccolo istante di evasione dal suo nuovo mondo avvolto dall’oscurità.

 

 

 

 

  
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