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Autore: semplicementeme     15/01/2010    5 recensioni
Aveva deciso di partire per dimenticare.
Aveva deciso di partire per non soffrire.
Aveva deciso di partire per trovare, finalmente, un po’ di pace.

Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo se al posto di Flanny fosse partita Candy?
***ON LINE: VI capitolo***
Genere: Romantico, Malinconico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo VI

 

  Erano trascorse diverse settimane dall’arrivo di Candy ed Evelyn al St. Mary ‘s Hospital. Le due infermiere erano state accolte gentilmente ma separate da subito: Candy, grazie alla maggiore esperienza, era stata assegnata al reparto di chirurgia mentre Evelyn, molto meno esperta, alla degenza dei pazienti sulla strada della convalescenza.

   Il lavoro delle due infermiere era assai diverso non solo dal punto di vista pratico ma anche per quello che riguardava la resistenza fisica. Infatti, a causa dei bombardamenti sempre più frequenti, i turni in chirurgia erano diventati lunghi ed estenuanti. Candy passava gran parte del suo tempo in ospedale ed anche quando era libera preferiva rimanere in corsia per aiutare chi aveva di bisogno senza lasciare, effettivamente, il proprio posto di lavoro neanche nei giorni di riposo.

       - Infermiera House, per favore, può seguirmi nella stanza riservata al personale medico?

   Candy sussultò quando si sentì chiamare in quella maniera, a parte Evelyn nessuno sapeva che Catherine House era solo un nome fittizio. Non era ancora abituata alla sua nuova identità ed ogni volta che qualcuno la chiamava in quel modo impiegava un paio di secondi per rendersi conto che cercavano proprio lei.

       - Certamente Miss Watsom, finisco qui e la raggiungono subito.

   Velocemente la ragazza finì di medicare la ferita della donna che giaceva incosciente nello stesso letto ormai da cinque giorni. Doveva prestare parecchia attenzione nel ripulire e medicare le ferite dato che il rischio di infezione era altissimo, e da lì a morire il passo era breve1.

   Dopo aver concluso il suo lavoro ripose i farmaci e la garze al proprio posto e lavatasi le mani si diresse verso la stanza in cui Miss Watsom l’attendeva.

 

   Quando giunse nella grande sala dalle pareti bianche, Annabel Watsom sorseggiava una tazza di te caldo. La donna aveva circa trentacinque anni ed i capelli neri erano legati in una crocchia bassa. Gli occhi, piccoli e castani, erano circondati da rughe ed osservavano attentamente la sagoma dell’infermiera bionda di fronte a lei. Le labbra erano atteggiate in un’espressione tesa. Annabel Watsom osservava Catherine House senza sapere come iniziare il discorso che si apprestava a farle; generalmente era costretta a richiamare il personale infermieristico per il motivo contrario per il quale stava per redarguire l’americana. Dopo diversi secondi di silenzio decise che era inutile girare attorno alla questione, era necessario parlare con quella giovane infermiera tanto zelante ma altrettanto incosciente.

       - Come si trova qui da noi infermiera House?

       - Bene Miss Watsom. Lavorare in chirurgia è abbastanza faticoso ma non mi lamento, sono abituata alla fatica….

   Candy si era fermata a causa di un dubbio sorto mentre rispondeva all’infermiera-capo. Cercò il modo più educato per esporre il suo pensiero ma senza trovare soluzione alla sua inquietudine; alla fine, rassegnata, decise di esporre i fatti come stavano, Miss Pony diceva sempre: “Tolto il dente tolto il dolore!”… era arrivato il momento di togliere il suo dente.

       - Perché questa domanda? Forse qualcuno si è lamentato del mio lavoro?

   A dire il vero Candy, da quando era stata convocata da Miss Watsom, non aveva capito il perché si era ritrovata in quella stanza. La sua pausa era già passata ed in corsia erano a corto di personale a causa del numero elevato di pazienti ricoverati. Restare lì a parlare significava togliere aiuto a chi ne aveva bisogno e poi non aveva commesso nessun errore, ne era certa. Poteva aver dimenticato di prendere la temperatura a qualche paziente ma aveva rimediato subito dopo, non aveva mai dimenticato di ripulire le ferite e controllare che tutto procedesse per il meglio, cosa potevano rimproverarle?

       - Assolutamente Signorina, al contrario. Non fanno tutti che un gran parlar bene di lei e delle sue doti di infermiera solo che… da quanto tempo non prende un permesso per riposarsi?

   Candy si era aspettata di tutto ma tranne quella domanda che l’aveva sorpresa parecchio.

       - Non saprei Miss Watsom.

   La tazza che teneva tra le mani Annabel si posò delicatamente sul tavolino, alzò il capo e guardò davvero, per la prima volta, la giovane che aveva davanti. Catherine House aveva sicuramente meno di vent’anni ma i suoi occhi ne dimostravano molti di più. Il verde di quelle iride era un verde intenso ma celato dietro un velo di tristezza, probabilmente a causa dei dolori affrontati nel corso degli anni; era vero, non sapeva molto di quella giovane, ma era capace di riconoscere la sofferenza, ogni giorno aveva a che fare con essa, ma quella della sua giovane infermiera era diversa, non era una sofferenza fisica, era una sofferenza legata ai sentimenti… era un tormento interiore che portava Catherine a chiudersi in se stessa e buttarsi anima e corpo sul lavoro.

       - Miss House glielo dico io. Lei, da quando è qui da noi, non ha mai preso un giorno di riposo. Lavora ininterrottamente da quasi tre settimane, diciotto giorni per l’esattezza. La sua dedizione al lavoro è sorprendente e degna di nota ma non può continuare così. Ha bisogno di riposare, è umana anche lei.

   Candy strinse i pugni stropicciando la divisa bianca. Non si era aspettata un richiamo per qualcosa del genere, soprattutto in un momento simile, dato che erano a corto di personale. Non si sentiva stanca e lavorare la faceva sentire utile. Le faceva dimenticare ciò che aveva lasciato negli Stati Uniti e le impediva di tormentarsi a causa dei ricordi. Perché dovevano impedirle di trovare un po’ di pace?

       - Io… miss Watsom so perfettamente di essere umana ma credo che in questo momento non possa permettermi alcun riposo. In chirurgia il personale è insufficiente ed i bombardamenti sono continui così come l’arrivo di feriti…

       - Basta così Catherine! Non capisce che una distrazione nel nostro lavoro è inammissibile? Lei deve essere riposata non per sé ma per i suoi pazienti, per questo la pregherei di lasciare il suo posto in corsia e riprendere servizio solo lunedì mattina. È un ordine se non le fosse chiaro!

   Candy non riuscì a ribattere, anzi non volle ribattere, accettò quell’ordine con difficoltà. Non voleva lasciare l’ospedale che era il luogo più sicuro che conosceva, sicuro per il suo cuore che a Londra aveva molti ricordi felici, ma non poteva fare diversamente. Si congedò silenziosamente per far ritorno nei suoi alloggi dove avrebbe trascorso il resto dei suoi tre giorni di libertà!

 

   Inizialmente aveva preso male l’idea di quel riposo forzato. Aveva trascorso il pomeriggio di quel primo giorno di vacanza scrivendo due lettere, la prima indirizzate a Miss Pony e Suor Maria, la seconda ad Annie e Patty. In entrambe le lettera aveva raccontato sommariamente la vita a Londra, il lavoro ed i rapporti con il personale medico. Non aveva fatto cenno al diverbio di quella mattina ed aveva deciso di nascondere la gravità della situazione che viveva giorno dopo giorno nella città inglese. Non voleva fare preoccupare eccessivamente le persone a lei care.

   Dopo aver finito di scrivere le lettere, si era sdraiata sul suo letto e senza neanche accorgersene era crollata in un sonno profondo saltando perfino la cena. Il mattino successivo aveva dormito sino a tardi, cosa che le capitava di rado se non quando eccessivamente stanca, risvegliandosi molto più rilassata, trovando anche il tempo per andare a trovare i piccoli degenti dell’ospedale leggendo loro delle fiabe e facendoli giocare tutti insieme. Alla fine del secondo giorno di riposo, si era resa conto che il suo corpo era davvero stanco e quella sosta forzata si era rivelata necessaria.

 

   quella domenica era l’ultimo giorno di congedo forzato, il mattino successivo avrebbe ripreso il suo posto in corsia e la cosa la rallegrava, l’inattività non aveva riaperto delle vecchie ferite, ma non l’aveva fatta stare meglio nello spirito.

   Le sue colleghe l’avevano invitata a fare un giro per il centro di Londra e lei si era ritrovata ad accettare per non essere scortese. Avevano girato per le vie della città come delle semplici ragazze e per concludere quella giornata avevano deciso di recarsi  allo zoo cittadino, aperto nonostante la guerra in corso.

   I segni dei bombardamenti erano bene evidenti e tutte si rendevano conto di come, lentamente, anche Londra stesse diventando parte attiva nel conflitto che coinvolgeva l’intera Europa.

   Vedendo la devastazione che le circondava, Candy aveva dimenticato parte dell’ansia che l’aveva accompagnata quella mattina. Era riuscita a mettere da parte i ricordi concentrandosi sulla distruzione che aveva davanti gli occhi. Il senso di colpa per ciò che egoisticamente aveva provato sin dalla sua partenza, la faceva sentire sporca ed inadeguata per il ruolo che ricopriva.

   Intanto, un silenzio carico di tensione era calato tra le ragazze che avevano perso, strada facendo, l’entusiasmo che avevano mostrato all’inizio di quella giornata. Nonostante la guerra, la vita della città provava a procedere nella normalità consentita dalla tregua tra un bombardamento e l’altro. Alcune botteghe erano aperte e molta gente si muoveva in città in cerca di scorte alimentari per prepararsi ai bombardamenti che certamente, presto o tardi, sarebbero ricominciati.

       - Allora che ne dite di andare allo zoo? È ancora in funzione e poi è quasi mezzogiorno, propongo di fermarci in un chiosco e mangiare lì qualcosa! Chi è d’accordo con me?

   La voce di Martha tentò di risultare allegra, ma non vi riuscì. Tutte loro avevano perso la spensieratezza iniziale, ma nessuno sembrava aver voglia di rientrare in ospedale, volevano essere, ancora per qualche ora, normali ragazze; per questo alla fine avevano deciso di concludere quella giornata allo zoo cittadino come era nei programmi.

   Il pensiero di Candy subito era volato ad Albert e si chiese se il giovane lavorasse ancora lì, magari poteva approfittarne per andare a trovarlo. Improvvisamente si bloccò, alla sua destra un imponente cancello in ferro battuto faceva bella mostra di sé. Il suo cuore iniziò a battere quando lesse il nome di quel collegio, Royal St. Paul School. Le sue gambe non riuscirono a muovere un passo e si ritrovò a sedere su di una panchina che si trovava proprio dietro di lei. I suoi ricordi tornarono indietro di cinque anni a quando lei stessa era una studentessa di quel collegio.

       - Catherine qualcosa non va? Sei impallidita.

   Martha si era affiancata alla collega e stringeva la sua mano fredda. Candy ripresasi dalla sorpresa si girò verso le colleghe che la guardavano, chi più chi meno, preoccupate.

       - Niente di grave. Solo un giramento di testa. Ragazze voi passate avanti… io mi fermo qui a riprendere fiato.

       - Non dire sciocchezze Catherine, ci fermiamo tutte!

   Martha che era la più materna tra tutte, era seduta accanto a Candy sulla panchina che le aveva impedito di finire in terra. Gli occhi dell’ex studentessa erano fissi proprio sul cancello e la voglia di entrare e rivedere i luoghi della sua adolescenza era sempre più intensa. Improvvisamente aveva dimenticato tutto, l’orrore della guerra, il senso di impotenza e l’inquietudine che Londra le aveva provocato sin dal suo arrivo. Si fermò ad osservare i volti delle colleghe e poi, alla fine, aveva fissato i suoi occhi verdi in quelli di Evelyn, colei che la conosceva un po’ meglio delle altre, ed una muta richiesta era stata rivolta alla giovane collega: “Aiutami!” poi cercando di sembrare il più naturale possibile si rivolse proprio a lei sperando nel suo aiuto.

       - Evelyn, tu che mi conosci, dì loro che possono lasciarmi senza problemi.

   La giovane tirata in ballo osservò il viso della collega e poi tutte le altre. Catherine l’aveva messa in una brutta situazione, non voleva lasciarla da sola, ma aveva capito benissimo che l’altra, al contrario, necessitava di un po’ di solitudine. Alla fine decise di fare come la collega le aveva chiesto, si sarebbe fatta spiegare tutto in un secondo momento.

       - Coraggio ragazze, Catherine ha perfettamente ragione, non ha senso rimanere tutte qui, sa badare a se stessa e conosce la città, ci raggiungerà appena si sentirà meglio. Noi andiamo avanti!

   Le altre tre colleghe si guardarono interrogative ma alla fine una ad una iniziarono ad andare avanti. Rimaste sole, Evelyn si rivolse verso Candy:

       - Poi mi spiegherai tutto.

   Candy annuì soddisfatta e la giovane raggiunse le altre ragazze che l’aspettavano più avanti.

   Ormai sola, Candy aspettò che le colleghe si allontanassero per poi  avvicinarsi al grande portone. Si guardò intorno e provò ad aprire il cancello che era chiuso dall’interno. Girò attorno alle mura che delineavano il parco del collegio ed alla fine trovò ciò che faceva al caso suo: un albero imponente sul ciglio della strada i cui rami si incontravano con altri che si trovavano all’interno del collegio. Guardandosi intorno, e facendo attenzione che nessuno si accorgesse di lei, iniziò la sua arrampicata. Trovato il ramo che le interessava saggiò la sua resistenza – e quando fu certa che quello fosse capace di reggere il suo peso – iniziò, come l’equilibrista di un circo, a camminare su di esso. Giunta in prossimità di un ramo di un albero interno al parco, spiccò un saltò e sperò con tutta se stessa che quel ramo fosse altrettanto resistente. L’atterraggio non fu dei migliori, a causa di uno strato di ghiaccio depositato sul ramo sul quale era saltata, scivolò in malo modo, la sua caduta nel vuoto fu bloccata da un secondo ramo che riuscì ad afferrare al volo. Prestando attenzione a non spezzare il ramo che l’aveva tratta in salvo, iniziò ad avanzare cautamente, facendo forza solo con le braccia – dato che il resto del corpo era sospeso nel vuoto – e così raggiunse il tronco. Da lì scendere fu una passeggiata.

   Si aggirava per il parco come in cerca di qualcosa, qualcuno. I ricordi la sommersero in un battito di ciglia ed anche se tutto era addormentato sotto il manto soffice della neve a lei non importava, ricordava perfettamente i colori di quei giardini.

       Buongiorno Tartan-tutte-lentiggini!” la sua testa si girò di scatto nel sentire quel nomignolo, si guardò intorno ma era sola. Era stata la sua fantasia a farle quello scherzo. Sorrise mestamente e proseguì per la sua passeggiata solitaria.

   Senza neanche sapere come i suoi piedi l’avevano condotta sino in cima a quella che aveva ribattezzato la Seconda Collina di Pony e lì si era fermata ad osservare la città. Una lacrime furtiva era scesa lungo la sua guancia; non la fermò perché sapeva che se lo avesse fatto altre avrebbero seguito il percorso di quella unica stilla salata.

       - Terence…

   Il nome del giovane fu sussurrato al vento che lo portò via, lontano da lei e dalla sua sofferenza. Terence doveva essere dimenticato, aveva voltato pagina e si era legato a Susanna, lei non faceva più parte della sua vita.

   Cercare di trattenere oltre i ricordi si era rivelato impossibile. In quel parco tutto le ricordava la sua adolescenza ed i giorni trascorsi in Scozia… e quel primo bacio rubato. Senza rendersene conto, le sue dita sfiorarono le labbra screpolate dal freddo. In quel lieve contatto ricercò il sapore di Terence, pungente, forte, vitale. Ricordava ancora la sensazione provata quando si era ritrovata stretta in quell’abbraccio così intenso da farle mancare il fiato. Ricordava ancora la sorpresa per il gesto di Terence.

       - Stupida Candy! Il passato non torna, è il momento di guardare avanti.

   Riprese a scendere il lieve pendio e si ritrovò al centro del parco. Ancora una volta i ricordi presero il sopravvento e lei si ritrovò davanti all’ingresso del dormitorio femminile. Con gli occhi andò in cerca di quello che era stato il balcone della sua stanza e sorrise.

       - Chi è lei e come ha fatto ad entrare?

   Una voce la fece voltare, la riconobbe all’istante e fu ben lieta di essere stata scoperta da suor Margaret e non dalla direttrice del collegio.

       - Suor Margaret sono lieta di rivederla!

       - Candy! Sei proprio tu! Oddio, non posso crederci…

   L’aveva riconosciuta subito anche se erano trascorsi cinque anni ed in quel periodo Candy aveva lasciato le fattezze dell’adolescente quale era ai tempi del suo soggiorno in quella scuola.

       - Sì, sono proprio io! Come sta?

   Candy si era ritrovata stritolata in un abbraccio inaspettato. Non credeva possibile che Suor Margaret, da sempre così controllata nelle sue azioni, potesse essere capace di un gesto simile.

       - Benedetta ragazza, non sai che preoccupazione quando sei scappata via dal collegio. Credevo di morire. Prima Terence e poi tu… siete stati due incoscienti!

   Candy si strinse nell’abbraccio della suora e sentì ancora una volta l’onda dei ricordi sommergerla. Per un attimo le sembrò essere tornata indietro nel tempo, si rivide con la divisa del collegio indosso e le code che portava da quando aveva memoria. Dopo un tempo incalcolabile le due donne si separarono, gli occhi di suor Margaret lucidi per le lacrime trattenute.

       - Sono così felice di rivederti. Ma cosa ti porta qui a Londra soprattutto ora che la guerra è così vicina?

       - Lavoro come infermiera al St. Mary ‘s Hospital suor Margareth.

   Camminando e ricordando i giorni in cui Candy era studentessa di quel collegio si ritrovarono all’interno del dormitorio e la ragazza, per un attimo, si rivide con Patty, in lacrime, stretta tra le braccia.

       Lei ha una pietra al posto del cuore. 2

   Quelle parole, rivolte alla direttrice del collegio, le costarono la sua partecipazione alla festa di maggio… anche se poi alla fine aveva trovato, ugualmente, il modo per prendere parte alla festa!

   Parlarono ancora per molto tempo Candy e suor Margaret. La giovane raccontò della sua scelta di diventare infermiera e delle difficoltà affrontate prima di poter riuscire a conseguire il diploma necessario; le raccontò di Annie e Patty rientrate a Chicago un paio di anni dopo rispetto lei e di come quest’ultima era riuscita a superare, almeno in parte, il dolore per la perdita di Stear, morto in guerra non meno di tre mesi prima.

       - E tu e Terence?

   Quelle parole sorpresero non poco Candy che non si aspettava una domanda simile da parte della suora, ma con un sorriso amaro la ragazza rispose ugualmente alla domanda di quella che, un tempo, era stata una sua insegnante.

       - Terence ha realizzato il suo sogno, adesso è un attore di Broadway… e presto si sposerà con una sua collega.

   Aveva pronunciato quelle parole con difficoltà, era la prima volta che ammetteva ad alta voce che Terence non era più suo e quell’ammissione le provocò non poco dolore. La calda mano di suor Margareth la strappò dal vortice della sofferenza.

       - Mi spiace, io non sapevo…

       - Non si preoccupi suor Margareth, è tutto a posto!

  Restarono in silenzio per diversi minuti. Era inutile commentare quanto accaduto, qualsiasi cosa avesse detto suor Margareth probabilmente avrebbe solamente fatto del male a Candy.

       - Credo che per me sia arrivato il momento di andare.

       - Non vai a salutare a suor Grey?

       - Non credo che sia felice di vedermi… sono stata una pessima studentessa!

       -Ti sbagli Candy. Non sei tu ad essere stata una pessima studentessa, semmai siamo state noi insegnanti non all’altezza del nostro ruolo.

   Con quelle parole la suora si incamminò verso lo studio di suor Grey.

 

   Nel percorso che dal refettorio, dove si erano fermate a parlare, all’ufficio di Suor Grey si ritrovarono a passare dinnanzi all’infermeria ed un nuovo ricordo tornò a tormentare Candy…

       Nel sogno ero diventata un angelo e con le ali ho cominciato a volare nell’aria, leggera… leggera…

       Però poi all’improvviso è caduta dalle scale e Terence l’ha trovata svenuta e porta qui, giusto?

       Terence? È stato Terence a portarmi qua?3

   Il ricordo di quella sera degli inizi di maggio la sommerse ancora. Chiuse gli occhi quasi infastidita, era stanca dei ricordi. Suor Margareth non si accorse del suo gesto e proseguì verso l’ufficio di suor Grey.

 

       - Avanti.

   La voce imperiosa di suor Grey la ricordava bene ma risentirla le provocava un senso di insicurezza come quando, ancora adolescente, si recava nell’ufficio della direttrice per essere punita a causa di una qualche trasgressione al regolamento del collegio.

       - Buongiorno suor Grey…

   La direttrice del collegio sollevo il capo di scatto. Si aspettava suor Margareth ma non quella voce…

       - Signorina Andrew…

   Candy restò sulla soglia attendendo che Suor Grey le desse il permesso per entrare e prendere posto; permesso che arrivò dopo alcuni secondi di silenzio.

       - Entri, prego si accomodi.

   Entrò silenziosa e prese posto in una delle poltrone poste davanti la scrivania dove lavorava la direttrice. Candy ricordò che quando ancora frequentava la St. Paul School davanti al tavolo di lavoro non c’era nulla mentre adesso capeggiavano due sedie enormi.

       - Non credevo di rivederla. Quando è scappata dal collegio sono rimasta molto turbata dalla sua scelta.

   Doveva pur aspettarsi un qualche riferimento alle sue scelte passate per questa ragione non si stupì per quelle parole.

       - Posso comprendere il suo turbamento ma questa non era più la mia casa… o probabilmente non lo è mai stata.

       - Per un periodo di tempo, signorina Andrew, questo collegio è stato la sua casa, almeno fino a quando il signor Grandchester è rimasto con noi.

   Quelle parole colpirono profondamente Candy. Non si sarebbe aspettata mai un discorso simile da parte di Suor Grey, forse neanche da Miss Pony.

      - La pregherei di non utilizzare più il nome degli Andrew. Ho legalmente rinunciato all’adozione prima della partenza per Londra. Adesso sono… semplicemente Candy White, come doveva essere da sempre.

   Probabilmente era stata troppo scontrosa con Suor Grey ma non aveva intenzione di parlare di Terence, con nessuno, tanto meno con lei che, in un certo qual modo, era la causa della loro separazione.

       - Posso sapere perché ha rinunciato al cognome degli Andrew?

   Candy si rilassò, forse suor Grey aveva capito le sue intenzioni e la stava assecondando.

       - Certo suor Grey! Adesso sono un’infermiera che presta servizio al St. Mary ‘s Hospital; sono arrivata qui da meno di tre settimane partendo da New York come volontaria della croce rossa. Ho deciso di non utilizzare il cognome degli Andrew perché, dopo la morte di Stear, non voglio che in alcun modo io possa essere facilitata negli incarichi che mi saranno affidati. Voglio affrontare tutto, qualsiasi lavoro, dal più umile al più pericoloso, voglio essere normale come le altre infermiere che lavorano con me… e poi credo che per me sia arrivato il momento di imparare a camminare da sola, senza il sostegno di nessuno…

   Candy non si chiese se effettivamente suor Grey fosse a conoscenza della morte di Stear, lo disse e basta, di contro la suora sembrava già sapere della tragica scomparsa dell’ex allievo dato che non aveva battuto ciglio dopo quella rivelazione. Dopo alcuni minuti di silenzio suor Grey riprese a parlare, la sua voce adesso era più bassa, forse incrinata dall’emozione.

       - Questo le fa onore signorina White, anche se credo che da sempre lei abbia camminato da sola, sulle sue gambe.

   Candy non si era aspettato un simile complimento da parte di suor Grey. Lo stupore era leggibile sul suo viso coperto da efelidi tanto che la suora continuò con il suo discorso senza attendere una risposta da parte della giovane.

       - Nel corso della mia vita ho commesso diversi errori. Soprattutto con lei ed il signor Grandchester. Accecata dal dovere di mantenere alto il buon nome del collegio, non mi sono resa conto di aver allontanato i buoni propositi con cui ho iniziato a lavorare in questa struttura. Educando le giovani generazioni ad essere perfetti lord e lady ho perso di vista la cosa più importante: il cuore della futura classe dirigente. Con Terence, in meno di un anno, lei è riuscita dove io per sette anni ho fallito miseramente. Ha toccato le corde del suo cuore ed è riuscita a far crescere e maturare quel giovane ragazzo.

   Candy rimase con il capo chino. Era sorpresa per quelle parole. Suor Grey non le aveva mai parlato in quella maniera… umana. Umana, non c’era altro modo per spiegare il modo in cui la suora si rivolgeva a lei. La direttrice dispotica e insensibile di cinque anni prima non esisteva più, era solo un lontano ricordo.

       - Suor Grey io…

       - Mi lasci finire la prego. Il mio ruolo di istitutrice era quello di guidarvi ed io sono venuta meno. Devo ringraziarla perché è per merito suo se ho capito che avevo perso di vista la mia strada. È stata lei ad insegnare qualcosa a me e non il contrario.

   Candy non disse nulla i suoi occhi pieni di lacrime mal trattenute valevano più di mille parole.



1 Ricordo che la storia è ambientata nel corso della Prima Guerra Mondiale, al momento siamo agli inizi del dicembre 1917, gli antibiotici n quegli anni erano sconosciuti. La scoperta della penicillina, ad opera di Fleming, risale al 1928.

2 Dialogo tratto dalla puntata 39 dell’anime. Il titolo dell’episodio è “Il tesoro di Patty”.

3 Dialoghi tratti dalla puntata 38 dell’anime. Il titolo dell’episodio è “Il segreto di Terence”.

 

   Dopo più di un anno torno ad aggiornare questa storia. È strano davvero. Era il 4 dicembre del 2008, oggi è il 15 gennaio del 2010.

   Mi scuso con chi ha seguito questa storia ma purtroppo il tempo è davvero scarso e le idee, benché la trama sia delineata nero su bianca, scarseggiano. In questo anno mi sono concentrata molto su quella che è la mia carriera universitaria riuscendo a dare 10 esami in 12 mesi, sia chiaro però che questa non è una giustificazione.

   Per quel che riguarda questo capitolo mi rendo conto di aver reso una suor Grey parecchio OOC ma sapete, dato che in me è presente un buonismo intrinseco nel mio DNA tendo a vedere il lato buono in tutti  i personaggi (cercherò di farlo anche con Neal ed Iiriza, non so quando ma ci proverò!) e così ecco qui il momento di suor Grey.

   Passo ai ringraziamenti:

- JAJ984: Ili tesoro mi auguro che tu ogni tanto butti ancora l’occhio da queste parti così almeno sai che ho aggiornato! Spero che questo capitolo ti piaccia tanto il precedente e che questa suor Grey tanto dolce e comprensiva – ma alquanto improponibile – ti convinca un po’! A me non convince per nulla! Susanna… sapessi cosa ho in mente per lei… i fuochi d’artificio… mi conosci e sai che sono un poco diabolica! E comunque finalmente Terence si comporta da uomo e va in cerca della sua donna… ci ha messo cinque anni per capirlo ma alla fine ci arriva pure lui!

- LAGADEMA: cara il racconto, anche se dovessi avere 100 anni, lo finisco non temere. Susanna è davvero terribile e come puoi leggere nella risposta alla recensitrice (si dice così?) ho in serbo tante sorprese per lei! Intanto Terence ha lasciato la compagnia e ti anticipo che parte, parte! Per quel che riguarda Incontro nel Vortice è un capolavoro ed il mio, in confronto, è solo spazzatura! Per quel che riguarda la tua fic giuro che la leggerò e recensirò!

  

   Non so quando tornerò ad aggiornare ma sappiate che la storia sarà conclusa.

   Alla prossima!

   
 
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