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Autore: Ernil    17/01/2010    13 recensioni
A quindici anni dalla morte di Dumbledore, Harry e Draco hanno un bizzarro incontro.
« Malfoy? » disse Potter, voltandosi.
« In carne, ossa e sangue puro » rispose Draco, e sogghignò.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3) Tre

 

[Non bisognerebbe affliggersi per ciò che è stato ed è senza rimedio.

 

Shakespeare]

 

 

« Guarda guarda » mormorò.

« Che cosa, mia cara? »

« Per l’amor di Salazar, Dumbledore. Concentrati sulla partita, o non mi riterrò personalmente responsabile per la strage delle tue pedine. Me ne lavo le mani ».

Il vecchio nel ritratto dedicò un sorriso a Severus Snape prima di tornare a guardare la schiena della sua anziana, vecchia amica e ora Preside, Minerva McGonagall.

Minerva guardava fuori dalla finestra.

L’erba del prato scintillava sotto il sole come un bizzarro cielo alieno. E, sulle rive del Lago Nero, la tomba bianca di Dumbledore brillava bianca come un sasso lucido, liscio e perfetto sul fondo di un ruscello.

Vicino alla tomba, due uomini. Minerva sapeva chi erano.

I capelli biondi di Draco Malfoy erano una pagliuzza d’oro. Perfino dal lontano la posa era inconfondibile – spalle dritte, postura aristocratica, mani ficcate nel completo su misura.

Quanto all’altro... il sole si rifletteva sulle lenti rotonde di Harry Potter. Era disinvolto, e Minerva poteva vedere la mano posata sulla tomba, in un gesto d’affetto, o protezione, o stanchezza.

« Sono Harry Potter e Draco Malfoy » disse, rispondendo alla domanda di Dumbledore. « Stanno parlando vicino alla tua tomba, Albus ».

« Parlando? Perfino dopo tutti questi anni, la tua scorta di eufemismi continua a stupirmi, Minerva. E questa è la deplorevole fine del tuo alfiere, Dumbledore » aggiunse Snape, allungando una mano nel ritratto di Dumbledore per muovere una pedina in avanti.

Dumbledore sorrise cortesemente, uccise la torre di Severus e inclinò la testa, rivolto verso Minerva.

« Parlando, mia cara? Sulla mia tomba? »

« Così pare » mormorò Minerva. « Devo ricordarvi che è il quindicesimo dalla tua morte, Albus? »

« Cielo, come ho potuto dimenticarmene » disse Snape, tagliente. Mentre Dumbledore ridacchiava, Minerva inclinò appena la testa e gli sorrise.

« Perdonami, Severus. Tendo a dimenticare il tuo ruolo. La mia mente che vacilla, suppongo ».

« Se la tua mente vacilla » disse Snape acido « da’ le dimissioni. Abbiamo già avuto Presidi dalla dubbia sanità mentale, e uno di essi mi ha fatto esasperare al punto di doverlo uccidere ».

Dumbledore rise. Minerva tornò a guardare fuori dalla finestra, dove le silhouette lontane di Malfoy e Potter continuavano a parlare.

Una cosa che non avrebbe mai capito era come potessero Dumbledore e Severus metterla sempre tanto sul ridere.

Non ne parlavano spesso – ma generalmente lo facevano con leggerezza. Severus sfoggiava tutto il suo incredibile sarcasmo, Dumbledore sorrideva, e lei, ogni volta che guardava la tomba in riva al Lago... ogni volta ricordava la notte terribile in cui si era chinata sul corpo senza vita di Dumbledore. Il dolore, la delusione, il tradimento, l’incredulità.

L’odio.

Eppure, eccoli lì, a giocare a scacchi nelle loro cornici, e non erano altro che quadri... quadri. Ritratti, pallide ombre di ciò che erano stati in vita. Una cornice che chiunque poteva strappare, come erano già stati strappati una volta.

Le sue deboli mani, pallide e venate d’azzurro e senza anelli, si alzarono ad aprire la finestra. L’aria di giugno invase la stanza come un sospiro di Zefiro, ma non portò fino a lei le voci dei due che, presso la tomba di Dumbledore, parlavano.

Le labbra di Minerva si curvarono leggermente a quell’immagine insolita, e tornarono a tendersi nella solita linea quando i suoi occhi, inevitabilmente, scivolarono sulla tomba.

Aveva perso il conto delle volte che era andata a passeggiare in riva al Lago, e si era fermata davanti a quel posto, dove ora stavano Malfoy e Potter.

Aveva perso il conto delle volte in cui aveva desiderato avere indietro Albus.

Dumbledore aveva sempre detto che, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.

Ma Minerva sapeva di non essere una mente ben organizzata, e pensava non si potesse parlare di avventura quando non ci sarebbe stato ritorno a casa.

I due ragazzi si stavano congedando. La figura esile di Malfoy si incamminò a testa alta verso i cancelli. Potter rimase vicino alla tomba.

Minerva si voltò in tempo per vedere Dumbledore battuto di stretta misura da Snape. Oppure Dumbledore si era fatto battere.

Non capiva. Probabilmente non avrebbe mai capito.

Lentamente, si lasciò cadere sulla sedia del Preside, su cui i due uomini che ora stavano discutendo vivacemente sulla legittimità di una certa mossa avevano entrambi, una volta, preso posto.

Perfino da lì, nonostante le montagne di carte sulla scrivania, riusciva a vedere la tomba di Albus. A volte pensava che Dumbledore avesse scelto apposta di posizionarla lì.

In tal caso, era stata una buona scelta. Nessuno che entrasse poteva non vederla. E tutti, sempre, si sarebbero ricordati dell’uomo che vi giaceva dentro, decomponendosi, smembrandosi. E con lui, un’epoca che si era chiusa quindici anni prima.

Forse, pensò Minerva chinandosi con un sospiro sulle lettere ministeriali, forse però da lì potevano ricominciare. Rinascere dalle ceneri – come la fenice.

E se non loro, i loro figli.

Potter era ancora vicino al lago. I suoi bambini gli giocavano accanto, spruzzandosi l’acqua addosso.

Minerva chinò il capo e cominciò a vergare una lettera, mentre alle sue spalle Dumbledore raccontava a Snape un aneddoto.

Erano quindici anni che raccontava aneddoti dalla sua cornice, e sembrava che la sua scorta non potesse aver fine.

Minerva tentò di concentrarsi, ed inevitabilmente si ritrovò a ridere silenziosamente per la fine della barzelletta di Dumbledore.

Erano passati quindici anni dalla sua morte, eppure, ancora, Albus era la dimostrazione che, per riparare, perdonare e ridere, non era mai troppo tardi.

   
 
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