Bene, bene, eccoci qui con il finale di questa storia. Spero
di non essere stata troppo sadica a lasciarvi così in sospeso (sì, sì, lo sono
stata, ihihihihih!) e anche che il seguito vi piaccia; certo, è diversa da “Il
richiamo” per forza di cose (anche se non saprei dire quale preferisco), c’è
molto più dialogo ed i personaggi sono più giovani, ma ho concluso comunque un
lavoro che mi soddisfa. Vi ringrazio tutti per i commenti, sempre
apprezzatissimi. Un bacio.
Sara
Seconda parte
La voce
dell’amore / Respiro orizzontale
Di un grande
fuoco / E un cuore
Non lo si può cambiare
"Come no?!" Sbottò Alessandro, scostandosi e girandosi verso di lui, mentre assumeva un’espressione pericolosa.
Efestione abbassò gli occhi sulle proprie mani. "E’ una questione troppo personale." Replicò serio.
"Veramente non capisco…" Mormorò l’altro, con un sibilo. "E’ una novità assoluta, questa, da quando ci conosciamo nulla di te è mai stato tanto intimo da non rivelarlo a me…" Dichiarò, mal celando la disapprovazione per il comportamento del compagno. "Cosa c’è scritto di tanto importante, in quella lettera, perché io non possa saperlo?" Domandò quindi, alzando minacciosamente il tono.
"Cerca di capire." Protestò debolmente Efestione. "Lo faccio per il tuo bene…"
"Poco fa hai affermato che mi avresti detto tutto, che lo hai sempre fatto!" Replicò determinato Alessandro. "Il contenuto di questa lettera è così privato?" Gli chiese, piegando di lato la testa e fissandolo con sguardo incalzante; l’altro non sapeva cosa dire, aveva pensato di proteggerlo, tacendogli la verità, ma ora sapeva cosa stava pensando Alessandro e non poteva permettere che quei pensieri foschi li dividessero. "Adesso me la farai leggere!" Proclamò il re, interrompendo i suoi pensieri e strappandogli la pergamena dalle mani.
"No, fermo!" Esclamò Efestione, cercando di opporsi, ma Alessandro si gettò di lato, rotolando sul letto. "Lascia almeno che ti spieghi!" Continuò preoccupato lui, cercando di riprendere la lettera, ma si ritrovò con un piede di Alessandro piantato alla base del collo. "Toglimi il piede dalla faccia!" Protestò innervosito.
L’altro non tolse il piede, ma invece lo spinse via, e quando Efestione tentò di nuovo di prendergli la pergamena, lui estrasse una spada e gliela puntò contro con un sorriso maligno.
"Ma che fai? Dormi con una sarissa sotto il materasso?!" Chiese stupito l’uomo castano.
"Beh?" Fece Alessandro, stringendosi nelle spalle. "La mia vita è in costante pericolo, anche lontano dalla battaglia, dunque lo faccio…" Aggiunse, girandosi per mettersi seduto sul bordo opposto. "Ah, e se è per quello, ho anche un pugnale sotto il cuscino, non si sa mai."
Efestione, rassegnato, sospirò e si lasciò andare contro i cuscini alle sue spalle; era perfettamente consapevole che non era cosa da comuni mortali contrastare la volontà di Alessandro, chissà adesso come l’avrebbe presa… Si mise ad osservare la sua schiena, una goccia d’acqua si staccò dai suoi capelli ancora bagnati, correndo giù tra le scapole, sulla pelle percorsa dalle cicatrici; lui leggeva attento, scorrendo gli occhi sul foglio. Efestione vedeva il suo viso voltato di tre quarti, ma non gli sfuggì l’improvvisa, serrata, contrazione della mascella; le spalle di Alessandro s’irrigidirono e la presa sulla lettera si strinse. Ormai aveva capito.
Alessandro, quando ebbe finito di leggere, sospirò rabbiosamente col naso, posando la lettera sulle ginocchia. "Se non fossimo così lontani, salterei sul primo cavallo e andrei a tirarle il collo di persona…" Sussurrò quindi, minaccioso.
"Ed io cercherei d’impedirtelo ad ogni costo." Ribatté saggiamente Efestione.
"Perché!" Esclamò Alessandro con occhi saettanti. "E’ mia madre!" Aggiunse battendosi una mano sul petto con energia, cosa che lasciò un segno rossastro sui suoi muscoli tirati.
"E’ proprio per questo che te lo impedirei." Insisté l’altro, serio.
Alessandro strinse i denti e tornò a guardare la lettera. "Io… io non riesco a capire perché…" Mormorò sconsolato, scuotendo il capo. "Quante te ne ha scritte di queste?" Chiese quindi, tornando a guardare Efestione, avevano entrambi un’espressione triste.
"Decine." Rispose lui, guardandolo negl’occhi. "Almeno una ogni volta che ha scritto anche a te." Alessandro emise un rumore sordo, a metà tra un lamento e un ringhio, riabbassando il capo; Efestione si avvicinò a lui, posandogli una mano sulle spalle.
"Ah, ma lasciami il tempo di risponderle e vedrai!" Proclamò poco dopo il re, rialzando fieramente il capo dorato. "Non avrà più il coraggio di riempirti di false accuse e ingiusti insulti, oh, vedrai come la sistemo…"
"Non lo farai." Lo interruppe deciso l’altro; Alessandro alzò su di lui uno sguardo capace di trapassarlo, come fa il fulmine con la coltre della notte, ma Efestione non ebbe timore.
"E’ mia madre!" Dichiarò ancora una volta l’altro, chiaramente adirato.
L’uomo dai capelli castani rimase calmo, anzi gli strinse delicatamente la base del collo. "Lo so." Gli disse. "Ma è con me che ce l’ha…" Alessandro tentò di divincolarsi, ma lui lo trattenne. "No, ascoltami." Pur riluttante, si rimise a sedere. "Se ora tu le scrivi, in risposta a questa lettera, lei penserà che io ti ho portato dalla mia parte, e tu non devi entrarci nulla in questa storia, è tra me e lei…" Alessandro respirava profondamente, ascoltando le sue parole, pronto a dibattersi ed a protestare. "…se penserà che cerco di dividervi, la gelosia si trasformerà in odio, e la prossima volta, invece delle minacce, arriverà un sicario…"
Alessandro si girò di scatto verso di lui, l’espressione indignata. "Pensi davvero che ne sarebbe capace?!" Esclamò.
"E tu?" Ribatté soltanto Efestione; l’altro non rispose, gli diede di nuovo le spalle, sdraiandosi su un fianco con uno sbuffo.
Passò qualche istante di sordo silenzio, entrambi erano persi dietro ai loro pensieri, poi Efestione si avvicinò ad Alessandro; gli scostò i capelli dal viso, carezzandogli il braccio, quindi si chinò su di lui, posando il capo sulla sua spalla.
"Io…" Esordì il biondo sovrano, con un filo di voce. "…ho cercato mille volte di spiegarle…"
"Shhh…" Gli fece l’altro, mentre gli carezzava il collo. "Xandre… non biasimarla, se non riesce a capire."
"A volte ho pensato…" Ribatté lui, mettendosi supino per vederlo. "…che fosse più una questione di volontà, da parte sua, Phai." Efestione sorrise appena.
"Guardami." Gli disse poi, scostando i capelli biondi da tutta la sua fronte con un unico gesto. "Hai fiducia in me?" Gli domandò.
"In te… soltanto." Rispose Alessandro remissivo.
"E non pensi che se Alessandro è tanto grande, non sia anche un po’ merito dei suoi generali?" Lui annuì scetticamente divertito. "E allora lasciami fare, lascia che sia io a risponderle, come ho sempre fatto, non entrare in questa storia, dammi retta per una volta…" Alessandro voltò il viso dall’altra parte, lui lo prese per il mento, costringendolo a voltarsi di nuovo. "So tenerle testa, credimi, non è la prima volta che lo faccio…"
"Appunto." Lo interruppe bruscamente lui. "Se sei così bravo a tenerle testa, allora perché continua a scrivere, e perché ti fa stare così male?!"
"Xandre, la conosci, è tua madre, che domande!" Sbottò Efestione.
"Sì, infatti…" Replicò mestamente Alessandro, scostandosi da lui ed alzandosi. "…che domande…"
Scuotendo il
capo si diresse verso l’uscita posteriore della tenda e ne scostò i lembi,
respirando intensamente il fresco della notte e l’odore del vento di levante.
Si mise a riflettere sul comportamento di Efestione, era irragionevole. Lui
aveva un ascendente su Olimpiade che il suo compagno non avrebbe potuto avere
mai, era logico che fossi lui, con la sua autorità di figlio e di sovrano, a
mettere fine a questo inutile gioco al massacro. Ripensò alle parole della
lettera; certo, anche con lui, la donna, non si risparmiava in durezza, ma con
Efestione era stata addirittura cattiva. Era
difficile accettare che le due persone che più amava al mondo non riuscissero a
capirsi; ad ogni modo, nonostante Olimpiade non avesse mai mascherato la sua
disapprovazione nei confronti di Efestione, l’uomo non aveva pronunciato una
sola parola contro di lei, e questo a dispetto degli anni in cui lei lo aveva
tormentato con quelle lettere atroci. Questo andava a vantaggio del suo amico,
e gli confermava, in modo definitivo, che la sua fiducia era ben riposta.
Sì, e gli Dei ben sapevano che non era fiducia semplice, quella che gli concedeva; era l’anima denudata, nella sua vera fragilità, un qualcosa di così profondo e intimo da essere quasi difficile anche solo da accettare. Figuriamoci da spiegare. Forse per questo sua madre non aveva mai capito… Eppure le aveva timidamente parlato di anime che si toccano, e lei blaterava di lussuria…
«Ma cosa importa alla fine? Tanto non potrà mai capire,
non si può paragonare l’amore di una madre per un figlio a ciò che io provo per
Efestione. Lei non ha mai amato nessuno così, quindi non può capire…»
"Che cosa stai guardando?" Sussurrò una voce dolce; si girò e lui era là, al suo fianco, come in ogni gioco, battaglia, sogno, della sua vita.
Alessandro gli sorrise, poi alzò di nuovo gli occhi alla grande luna piena di quella notte. "Vedi com’è grande la luna, stanotte?" Gli disse, indicandola. "Sembra che gli Dei l’abbiano calciata tra le nostre braccia…" Spiegò distrattamente.
“Hm…” Fece l’altro, sollevando a sua volta lo sguardo. “…tu starai anche cullando la luna…” Si girò verso di lui, con aria malinconica. “…ma le mie braccia sono vuote.”
Alessandro lo fissò per un lungo istante, esaminando con serietà i bei lineamenti che tanto conosceva, poi sollevò una mano e gli carezzò la tempia e lo zigomo, dolcemente.
“Se me lo chiedi tu, la posso benissimo rimandare indietro.” Gli disse quindi, continuando a guardarlo con il capo piegato di lato.
Efestione gli sorrise. “Sì…” Ammise timidamente. “…vorrei che tu lo facessi.”
Alessandro, allora, lasciò andare il lembo della tenda, che si richiuse su di loro, poi si avvicinò al compagno e gli catturò le labbra in un bacio appassionato; Efestione rispose con partecipazione al bacio, abbracciandolo con forza e tirandolo verso l’interno della tenda.
“Vieni, vieni con me…” Mormorò con un filo di voce, quando riuscì a staccarsi da Alessandro, che però continuò a baciargli il collo e le spalle; il peplo che copriva i fianchi del re cadde a terra poco prima che raggiungessero il letto e vi cadessero sopra.
Oltre le coltri della tenda il mondo si stava
schiarendo nell’alba, lo capiva benissimo dalla luce più chiara che, da qualche
minuto, s’intravedeva sotto il bordo. Alessandro non dormiva, anche se si era
svegliato da poco; il sonno ancora lo illanguidiva, non era una sensazione che
amasse, e poi, vedere che stava nascendo il giorno, gli metteva addosso
un’insopprimibile voglia di alzarsi.
Si girò verso Efestione, lui dormiva ancora
profondamente, su un fianco, dandogli le spalle; osservò il suo bel corpo nudo,
disteso tra le lenzuola stropicciate, e sorrise soddisfatto, mentre si metteva
supino. Fare l’amore con lui era ancora bello, come se fosse sempre la prima
volta, ma allo stesso tempo sempre diverso; quanto al dolore… lui era stato
abituato fin da bambino a resistere ad ogni tipo di dolore, fisico e morale,
quindi era una cosa accettabile, ci si abituava, e poi… il piacere era molto
più intenso di qualsiasi altra cosa. Certo, non avrebbe permesso a nessun
altro, ciò che concedeva ad Efestione, quel tipo d’intimità era solo sua.
Basta. Decise di alzarsi, dormire era la cosa
più inutile del mondo, questa notte lo aveva fatto solo sotto le minacce di
Efestione, ma continuava a pensare che rubava soltanto tempo a tutte le altre
cose che avrebbe potuto fare.
Alessandro si girò nuovamente verso il
compagno, gli carezzò il braccio e il fianco, poi avvicinò il viso alla sua
schiena e ne inspirò il profumo, sapeva di loro due e di mare, quindi gli baciò
la spalla dolcemente, e poi si sollevò per fare altrettanto col suo orecchio;
Efestione, senza svegliarsi, mugolò e alzò una mano per scacciarlo come fosse
una mosca fastidiosa. Alessandro si allontanò reprimendo una risatina, non lo
voleva svegliare; l’altro mise un braccio oltre la testa e torse il busto,
mostrando il petto e l’addome. Il re gli rivolse un ultimo sorriso, s’infilò la
prima tunica a portata di mano ed uscì.
Alessandro iniziò a camminare attraverso
l’accampamento che, intorno a lui, si stava risvegliando; i rumori erano quasi
soffusi, nella luce opaca del primo mattino, l’aria fresca adeguata a chi si è
appena svegliato. L’uomo si lavò il viso al primo pozzo che incontrò, mentre
ascoltava le voci intorno a se: il pianto di un bambino, un fischiettio
melodioso, l’uggiolare di un cane, e, lontana ma più chiara degli altri, la risacca
del mare. Prese quella direzione, senza un preciso perché.
Mentre camminava si ritrovò a pensare alla
discussione della sera prima, alle parole crudeli di sua madre, alla sua
decisione nel volerle rispondere, alla stoica determinazione di Efestione nel
volerglielo impedire; per un attimo, tutta quella faccenda, li aveva divisi.
Per fortuna era durato il tempo di un respiro.
Alessandro, veramente, in quel momento, aveva
stentato nel capire il compagno; sapeva che, dietro l’apparenza tranquilla e
mite di Efestione, si nascondeva una persona sicura di se e delle proprie
decisioni, ma, prima di tutto, non aveva idea che lui gli avesse tenuto
nascosto per tanto tempo il fatto delle lettere di Olimpiade, e poi, Santi
Numi, si parlava di sua madre!
Quanto gli sembrava sterile, ora, la sua
posizione, davanti a quest’alba sul mare, ai gabbiani… si stese contro la
chiglia di una barca rovesciata sulla spiaggia e spaziò il suo sguardo
sull’orizzonte; aveva in mano un grappolo di datteri freschi, nemmeno ricordava
chi glieli avesse dati, ma li mangiò con piacere.
Fermò gli occhi sul terrapieno in
costruzione: questa cosa lo stava rallentando oltre il dovuto, ma, allo stesso
tempo, non voleva rinunciare all’impresa, era contraddetto ma non avrebbe
rinunciato; d’altra parte, Dario era ancora là fuori, una pecca inammissibile.
Era frustrante non poter fare tutto nel momento stresso in cui lo desiderava;
in certe occasioni avrebbe voluto potersi sdoppiare, ed era esilarante pensare
alle reazioni di chi lo circondava: il mondo non era pronto per un solo
Alessandro, figuriamoci per due!
Represse un sorriso. Un sorriso amaro. Era
abbastanza intelligente da capire che i suoi sogni erano troppo grandi per
qualsiasi uomo, ma non poteva comunque rinunciarvi. Non era nemmeno tanto
stupido da credere di essere veramente figlio di un dio, l’importante era che
lo credessero gli altri. Ciò che contava era il dono che aveva, e cioè quello
di riuscire a far credere nei suoi sogni anche coloro che lo seguivano,
dal primo generale all’ultimo schiavo. Finché aveva quel potere era salvo, il
giorno in cui sarebbe venuto a mancare, forse, sarebbe finita la sua vita.
Poco importava, comunque, adesso era forte e
giovane, bruciava di passione, ambizione e voglia di conoscenza, e la sua
energia non sarebbe venuta meno, almeno finché voltandosi avrebbe visto gli
occhi di Efestione su di se, il suo braccio forte a sostenerlo, il suo amore a
scaldarlo; se era grande, e sapeva di esserlo, molto del merito andava alla
volontà e all’affetto del suo compagno.
Gli tornò alla mente un evento di molti anni
prima, un’estate della loro adolescenza, a Pella…
Era un pomeriggio brillante, come solo i
pomeriggi estivi in Macedonia sanno essere, Alessandro era in piedi, in mezzo
ad un prato, ed il sole impetuoso disegnava la sua ombra scura sull’erba;
Efestione gli si avvicinò, fermandosi a qualche passo da lui.
"Cosa fai?" Gli chiese incuriosito.
"Avvicinati ancora." Gli ordinò
deciso il principe, lui lo fece. "Ancora qualche passo." Continuò
Alessandro, e l’altro ubbidì nuovamente; adesso le loro spalle si sfioravano.
"Vuoi dirmi cosa stai facendo?" Si
decise quindi a chiedergli di nuovo.
"Guarda." Gl’indicò, continuando a
fissare il basso. "Adesso la nostra ombra è una sola."
Efestione sorrise un po’ perplesso, poi
guardò Alessandro. "E cosa vuol dire?"
L’altro alzò gli occhi chiari su di lui.
"Che finché splende il sole, noi due siamo uno." Spiegò serio.
Era ancora valido quel che aveva detto
allora, loro erano uno, questo contava sopra ogni cosa, e se lui era Alessandro
non poteva permettere che niente, niente, cambiasse questo, né il giudizio
della gente, né le minacce di sua madre, o la volontà degli Dei; erano così, il
loro cuore non lo potevano cambiare. Non voleva perdere Efestione. Non poteva
rischiare, non voleva farlo.
"Mio Signore, grande re?" Una voce
timida lo distrasse dai suoi ragionamenti; alzò gli occhi sulla figura magra di
un giovane servo.
"Dimmi." Lo incitò con un gesto
pigro, restando comunque seduto.
"Mi hanno chiesto di domandarti se vuoi
mangiare." Gli disse il ragazzo.
Alessandro distolse nuovamente lo sguardo e
sospirò, riflettendo per qualche attimo. "Sì…" Rispose infine, senza
guardarlo. "…ma non qui." Aggiunse alzandosi e scuotendo la sabbia
dalla sua tunica. "Fai portare nella mia tenda, per due." Il ragazzo
annuì e corse via.
Alessandro diede un ultimo sguardo
all’orizzonte, respirò profondamente la fragrante brezza proveniente dal mare,
poi sorrise e s’incamminò per la sua tenda.
Quando la raggiunse i servi avevano già
portato tutto il necessario, togliendo gli avanzi della cena; sul tavolo
c’erano latte appena munto, pane caldo con uvetta, frutta, focacce e miele.
Alessandro lanciò un’occhiata al letto,
Efestione dormiva ancora; incredibile come riuscisse a farlo tanto a lungo.
Sorrise, poi chiese ai servi di lasciarlo; loro si allontanarono silenziosi.
Mangiò una focaccia spalmata di miele e si leccò le dita come un bambino; dopo aver bevuto un sorso di latte, decise di svegliare Efestione. Si sedette sul letto, accanto a lui, poi lo costrinse a mettersi supino, nonostante i lamenti, quindi cominciò a baciargli le labbra; quando lo sentì rispondere al bacio, sorrise compiaciuto, ma non si fermò, almeno finché Efestione non gli prese il viso tra le mani.
“Le tue labbra sanno di miele…” Mormorò l’uomo, con voce ancora impastata e gli occhi sempre chiusi.
“So essere anche dolce… quando voglio…” Replicò Alessandro, con un sensuale sussurro.
Efestione socchiuse gli occhi, continuando a tenere il viso del compagno tra le mani. “La maggior parte delle volte, però, sei proprio acido…”
Alessandro si scostò, fingendosi brusco. “Senti chi parla, tu sei peggio del latte andato a male, quando ti ci metti!” Scherzò quindi; l’altro sorrise divertito.
“Sei la cosa più bella che qualcuno possa vedere svegliandosi.” Affermò allora Efestione, carezzandogli i capelli; Alessandro sorrise con dolcezza.
“Come ti sta il braccio, oggi?” Gli domandò poi, spostando gli occhi sulla fasciatura del compagno.
“Ahm…” Fece lui, flettendo il muscolo nel punto ferito. “…direi meglio…”
“Bene.” Disse Alessandro annuendo, poi fece per alzarsi dal letto, ma Efestione lo trattenne; lui tornò a guardarlo con espressione interrogativa.
“Prima ho aperto gli occhi e… non c’eri.” Affermò Efestione.
Alessandro si strinse nelle spalle con aria indifferente. “Avevo voglia di camminare, non volevo svegliarti, sono andato a fare una passeggiata.” Rispose, ma non gli sfuggì il rimprovero negl’occhi del compagno. “Oh, per tutti i fulmini di Zeus! Lo so che cosa pensi!” Sbottò quindi, puntandogli contro l’indice. “Giuro che ho dormito, l’ho fatto per tutta la notte!”
“Vabbene, vabbene, ma non urlare per pietà!” Replicò Efestione alzando le mani. “Mi sono appena svegliato!”
Scoppiarono entrambi a ridere e, quando smisero, Alessandro si gettò sul letto al fianco di Efestione; le loro spalle nude si sfioravano.
“Lo sai che sei pigro? Ma come fai a dormire così tanto?” Domandò ironico il re, qualche momento dopo; l’altro scosse semplicemente le spalle, con una smorfia.
“Tu dove sei stato a passeggiare?” Ribatté poi.
“Sulla spiaggia…” Efestione stava per fare un commento, ma fu interrotto. “…dovevo riflettere.” La voce di Alessandro si era fatta più seria.
Efestione aggrottò le sopracciglia
incuriosito, girandosi verso il compagno. "E… a proposito di che
cosa?" Gli chiese.
"Quello che è capitato ieri sera."
Rispose distrattamente Alessandro, fissando la volta della tenda; l’altro
s’incupì, alzandosi su un gomito per guardarlo meglio. "Ho camminato ed ho
pensato." Spiegò lui.
"Sarai giunto ad una conclusione,
quindi." Mormorò Efestione, che, però, si sentiva stranamente teso, sarà
stato per l’atteggiamento sfuggente di Alessandro.
"Certo, non sono uno che ama perdersi
nei voli pindarici, dovresti saperlo." Replicò brusco lui.
Efestione rimase interdetto per un istante,
immaginando, dal tono usato, che Alessandro non si fosse mosso dalle posizioni
della sera prima; infine sospirò, arreso, e si gettò di nuovo supino sul letto.
Trascorse un lungo momento di silenzio,
mentre da fuori giungevano ovattati i suoni dell’accampamento ormai
risvegliato; entrambi sapevano che il tempo loro concesso per stare insieme
stava per scadere, presto i doveri di ognuno li avrebbero divisi per quella
nuova, intera giornata.
Efestione era ormai convinto che Alessandro
sarebbe intervenuto nella disputa tra lui ed Olimpiade; certo, le cose potevano
anche andare bene, ma lui già s’immaginava la regina accettare formalmente la
richiesta del figlio di lasciarlo in pace, mentre in realtà avrebbe messo su,
nell’ombra, chissà quale sadica macchinazione per sbarazzarsi del suo
ingombrante amante… Si maledisse a voce alta, dentro la sua mente, dicendosi
che Olimpiade non poteva essere tanto folle da rischiare, con una mossa così
azzardata, il rispetto del proprio figlio; alla fine, l’amore di Alessandro li
proteggeva entrambi: lui che lo possedeva e lei, che aveva paura di perderlo.
Il silenzio dilatava i sensi di Alessandro;
gli giungevano alle orecchie suoni lontani, voci, il nitrito dei cavalli,
perfino il mare, lontanissimo… il respiro di Efestione, così vicino…
Era tardi, e sapeva cosa stava pensando il
suo compagno; non capiva perché non riusciva a parlargli, eppure le parole
erano pronte. Perché gli era sempre così difficile ammettere di non aver
ragione? Anche con lui… lui che lo capiva, lo aspettava, lo perdonava sempre…
Sentiva il suo corpo nervoso muoversi accanto
a se, incerto, come in attesa di una reazione che non arrivava; lo stava
facendo soffrire, lo faceva sempre, ma non significava che gli piacesse.
Ora basta. Un uomo è un vero uomo se ammette
i propri errori, ancora di più se è un re. Aveva fatto stare abbastanza
Efestione sui carboni ardenti, era ora di smetterla. Allungò una mano…
Quando Efestione sentì la mano di Alessandro
cercare la sua, poi stringerla delicatamente, fu sopraffatto dall’emozione;
quel gesto non era casuale: quando erano meno che adolescenti e ancora non
conoscevano la dolcezza di un bacio sulle labbra, il languore di una carezza,
quando il piacere fisico si riduceva ad un abbraccio, Alessandro si stendeva
accanto a lui, come ora, e gli prendeva la mano, a quel tempo sarebbero potuti
rimanere così per l’eternità.
Girò il capo di scatto, trovando gli occhi
misteriosi di Alessandro a fissarlo; come sempre, per un attimo infinito, si
smarrì davanti a quelle iridi di due colori diversi, ma poi la tenerezza di
quello sguardo lo sommerse e sorrise, ricambiando il gesto dell’altro.
"Sai, non credo che tu abbia
capito." Affermò Alessandro, lui alzò sorpreso le sopracciglia.
"Che cosa?" Ribatté Efestione.
"Ciò che ho deciso." Rispose
l’altro.
"Allora spiegamelo bene."
Continuavano a guardarsi negl’occhi ed a tenersi la mano.
"Vedi…" Esordì il biondo sovrano,
distogliendo un attimo lo sguardo. "…capirai anche da solo quanto per me
sia difficile ammetterlo, ma… temo che stanotte io abbia commesso un
errore." Parlava fissando il vuoto sopra di se, ma la presa sulla mano di
Efestione si era stretta, palesando lo sforzo che stava facendo, e l’altro
rispondeva con vigore, ben comprendendo la sua ansia. "Ancora… ancora ritengo
che la mia reazione fosse giusta, come il mio sdegno, e sono sempre convinto
che il mio intervento sarebbe la cosa migliore." Respirò profondamente e
si girò a guardarlo. "Ma ho pensato anche a te, al tuo punto di
vista."
"Ebbene?" Lo incalzò Efestione.
Alessandro distolse nuovamente gli occhi.
"Ricordi quando ti dissi che, finché splendeva il sole, noi saremmo stati
una cosa sola?" Gli chiese, lui annuì, lo ricordava benissimo e sentiva
che era ancora vero. "Phai…" Si girò con impeto su un fianco, verso
di lui. "…io non posso permettere che niente, niente al mondo, ci
divida." Dichiarò deciso afferrandolo per le braccia. "Non le vane
parole di mia madre, perché… io non posso perderti, la sola idea di vivere un
istante senza di te mi è intollerabile, possono privarmi di qualsiasi cosa,
qualsiasi, ma non del tuo sostegno." Aggiunse con occhi fiammeggianti, poi
lo lasciò e abbassò lo sguardo. "Forse sono sbagliato, il mio cuore è
sbagliato, per questo bisogno che non so vincere, ma, ormai, non lo posso cambiare…"
"E nemmeno vuoi, infine…" Pensò
Efestione, che non riusciva a togliere gli occhi da quella testa china davanti
a se, dai capelli biondi che gli sfioravano il petto.
Era rimasto molto colpito dal discorso di
Alessandro, inutile dire che non si apriva spesso in questo modo, ed era
importante quello che aveva detto; non che Efestione avesse bisogno delle
parole per conoscere i sentimenti di Alessandro, erano certezze che gli
venivano da un luogo più profondo di quello dove nascono i discorsi, ma la sincerità
e la passione che l’altro ci aveva messo erano da apprezzare, provenendo da
qualcuno che preferiva di gran lunga i fatti alle parole. Lo conosceva bene,
anche se, ancora adesso, dopo lunghi anni insieme, si stupiva della facilità
con cui, a momenti, riusciva a penetrare i suoi pensieri, come anche della
difficoltà nel fare la stessa cosa in certi altri; Alessandro era una persona
estremamente complessa, ma che nel profondo aveva tanto amore da dare, anche se
chi lo circondava non riusciva a capirlo. Efestione, però, lo sapeva, lo
capiva, perché lo conosceva meglio di chiunque altro, ed era disposto a dargli
l’amore che cercava.
Gli prese il viso tra le mani, costringendolo
ad alzare lo sguardo; i suoi occhi chiari lo fissavano seri, in attesa, lucidi
come specchi. Uno azzurro, uno grigio. Come un demone, come un gatto… come un
angelo. Come un Dio.
"Se tu sei sbagliato, Xandre…" Gli
disse infine. "…allora lo sono anch’io, perché tutto quel che hai detto
vale anche per me." Poi si strinse il suo capo al petto.
Lo sentì rilassarsi contro il suo cuore, con
un sospiro, quindi un suo braccio gli cinse la vita, avvicinandoli ancora di
più, qualche istante dopo la sua voce lo raggiunse, bassa ma sicura.
"Non le risponderò, non m’intrometterò
in questa faccenda, voglio che tu agisca come ritieni più giusto, io… mi fido
di te…" Affermò Alessandro.
"Questo mi rende felice." Ribatté
dolcemente Efestione.
"Spero soltanto che serva."
Dichiarò l’altro, scostandosi per guardarlo.
"Anche se non servisse…" Riprese
lui. "…adesso ne sei a conoscenza, so cosa ne pensi e questo toglie un
peso alla mia anima. La tua fiducia è la cosa più importante." Si
sorrisero.
"Ora dobbiamo alzarci." Ricordò il
sovrano, mettendosi energicamente seduto. "Il dovere chiama
entrambi."
Efestione sorrise, stiracchiandosi. "Sì,
mio Re!" Proclamò divertito, l’altro gli diede una piccola spinta,
fingendosi offeso dal tono usato.
"Ci vediamo stasera." Gli disse
poi, però, con un tono dolce, quando si fu messo in piedi.
"Se così desideri." Gli rispose
Efestione, scendendo dall’altra parte del letto, mentre lo guardava negl’occhi.
"Lo desidero." Fu la breve
affermazione di Alessandro, ma, nel calore della sua voce, c’era molto più di
quel che esprimevano le semplici parole.
Epilogo
La fiamma dorata del lume ad olio rischiarava
tenuemente il tavolo a cui era seduto Efestione; lo stilo correva sicuro tra le
sue dita, mentre tracciava sulla pergamena la risposta per Olimpiade.
Mia signora, madre della mia anima,
Ho ricevuto la tua nuova lettera ed ho visto
che anche stavolta non ti sei risparmiata nel darmi preziosi consigli e
suggerimenti, di ciò ti ringrazio.
Io, ancora una volta, mi accingo a
risponderti, benché il mio stato d’animo mi spingesse verso il silenzio, poiché
è difficile trovare parole per rispondere a ciò che tu mi dici.
Finora ho tentato la strada della diplomazia,
quella della rabbia e dello sdegno, ma niente pare funzionare, neanche le
suppliche, quindi ritengo che anche una mancata risposta da parte mia, non
porrebbe fine alla nostra corrispondenza, o forse, peggiorerebbe soltanto le
cose.
Voglio sia chiaro che non provo alcun
sentimento negativo nei tuoi confronti, poiché non è possibile odiare chi ha
dato la vita a ciò che di più prezioso esista a questo mondo.
Vorrei soltanto che tu capissi, ma comprendo
che questo esula dalla tua volontà; per quanto possa rattristarmi la tua
scelta, non sono nella posizione di farti cambiare idea, ne credo tu vorrai
prendere in considerazione una mia proposta in tal senso.
Ho il mio dovere da compiere, e molto poco
tempo da perdere. Troppe cose, nel cammino trionfale di tuo figlio, dipendono
da questo umile soldato, come da ogni altro di questo esercito.
Ma se non fossi sicuro che da me dipende
anche molto altro, accetterei ben volentieri il tuo perentorio invito a fare
ritorno in patria. Non credere che questa campagna, più lunga e avventurosa di
quanto fosse nelle nostre più rosee, o fosche, previsioni, sia ciò che di
meglio può chiedere un uomo; io soffro, come tutti i miei compagni, ma sopporto
il dolore perché questa scelta l’ho fatta per amore, e non mi vergogno a
dirtelo, mia signora.
È la devozione a spingermi. La fede
nell’unico Dio che io conosca e che anche tu veneri. Per questo io ti chiedo
ancora una volta di provare a capire, poiché, anche se in modi diversi, siamo
bruciati dallo stesso fuoco, una fiamma che le mie preghiere esortano a non
spegnersi mai. È per questo che io sono qui, e vi resterò: per preservare
quella fiamma.
Non la farò spegnere, anche se dovesse
costarmi un’atroce morte. Non lascerò il suo fianco, non permetterò che resti
scoperto in battaglia solo perché io non ci sono, non gli farò mancare il mio
conforto dopo il sangue dato e preso.
Ma se tu ancora ti rifiuti di comprendere,
io, da ora in avanti, mi rifiuterò di discutere nuovamente con te. La mia
decisione è irrevocabile, lo seguirò fino alla fine del mondo e non tornerò
indietro finché non lo farà lui. Non c’è niente di più importante di
Alessandro, per me, a questo mondo.
Se sei orgogliosa anche solo la metà di quanto
egli lo è, so che non ti arrenderai, né mi aspetterei di meno dal ventre che lo
ha partorito, ma sappi, e lo dico con certezza assoluta, niente di quello che
potresti fare riuscirà a separarci. Niente.
Non sono più quel ragazzino che potevi
spaventare con i tuoi serpenti, sono un generale di Alessandro, ed insieme a
lui ho visto cose che tu non potrai mai neanche immaginare, ma non provo astio nei tuoi confronti, perché non
posso far altro che venerare colei che portò in grembo la mia ragione di vita;
non sprecherò mai una parola cattiva, o ti mancherò di rispetto, davanti a lui,
desidero che tu lo sappia.
Ora ti saluto, e spero, ma non credo, che
questa sia l’ultima lettera che sarò costretto a scriverti. Ti auguro una buona
salute ed una lunga vita.
Tuo devoto
Efestione
Finito di scrivere l’uomo rilesse
attentamente la lettera, dimostrandosi convinto di ciò che aveva scritto,
quindi l’arrotolo e la sigillò, per poi inserirla in un tubo di cuoio; all’alba
sarebbe partita, insieme alle altre, verso la Macedonia.
Efestione si rilassò con un sospiro contro lo
schienale della sua sedia, soddisfatto, qualche istante dopo si alzò, pulì le
mani dallo sporco della scrittura con uno straccio, quindi spense il lume ed
uscì dalla tenda.
La notte era chiara; la luna, ancora quasi
piena e brillante, illuminava placidamente l’accampamento, accompagnata da una
fitta coltre di stelle. L’aria profumava di mare. Efestione si diresse verso la
spiaggia.
La zona del terrapieno era illuminata dalle
fiaccole e le ombre dei soldati di guardia si stagliavano minacciose nei
bagliori dei fuochi, ma lui si diresse nella parte più a nord, dove aveva
intravisto una sagoma familiare.
Alessandro osservava il riflesso delle fiamme
sull’acqua scura, era quasi ipnotico, certamente affascinante; non si accorse
dell’arrivo di Efestione, almeno finché questi non gli toccò un braccio.
Rimasero a guardarsi negl’occhi per un lungo
istante, gli occhi chiari e bicromi di Alessandro in quelli caldi e nocciola di
Efestione, paghi anche solo di questo; infine sorrisero.
"Vieni più vicino." Chiese
Efestione all’altro.
Alessandro sollevò sorpreso le sopracciglia.
"Perché?" Domandò quindi.
"Dai, vieni." L’incitò lui
tranquillo.
"Mah…" Fece il re, perplesso,
mentre gli si metteva accanto, Efestione gli passò un braccio intorno alle
spalle, e Alessandro, pur non capendone il motivo, si gustò il piacevole
contatto.
"Guarda l’ombra." Gli suggerì,
però, il compagno, e allora lui chinò il capo.
Anche se la luce delle torce li raggiungeva
debolmente, ai loro piedi e dietro, si allungava sulla sabbia grigia una sola
ombra scura e indefinita. Alessandro rialzò gli occhi in quelli di Efestione
sorridendo.
"Hai visto?" Gli disse l’altro.
"Non è necessario il sole, per essere uno." Alessandro non rispose,
si limitò a sorridere e carezzargli i capelli, annuendo.
S’incamminarono lungo la spiaggia vicini,
tenendosi per la vita, allontanandosi lungo la riva, verso una notte piena di
promesse, perché ormai erano certi che, anche nell’oscurità più cupa, sarebbe
bastata la luce del loro amore a renderli una cosa sola.
FINE